GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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ASIA PACIFICO

Il Dragone cambia pelle. L’evoluzione della politica estera di Pechino

 

Durante i giorni scorsi il Presidente russo Putin ha ospitato a Mosca il leader cinese Xi Jinping in visita ufficiale per una tre giorni di incontri diplomatico – politici.

Il vertice russo-cinese si è concluso con la pubblicazione di un documento congiunto nel quale sono stati ribaditi i parametri concettuali della convergenza delle posizioni geostrategiche dei due Paesi: la conferma dell’asse ideologico Mosca – Pechino quale alternativa al dominio USA, il supporto non condizionato alla Russia per l’Ucraina, la volontà di attrarre il Global SUD nella sfera di influenza russo-cinese e il consolidamento di una partnership economico finanziaria sino-russa in grado di bilanciare e annullare gli effetti del sistema occidentale delle sanzioni.

Indubbiamente, il profilo programmatico che deriva dalla formulazione di un tale documento rappresenta un elemento di estremo interesse per le conseguenze che investono lo sviluppo dello scenario internazionale, ma non risulta essere l’evento fondamentale che ha conferito un’estrema valenza geopolitica al vertice di Mosca.

Il fattore critico e di gran lunga più interessante per il prossimo futuro è risultato essere la conferma del ruolo che Pechino ha deciso di svolgere a livello internazionale con la presentazione della proposta di soluzione della crisi ucraina, che la Cina ha elaborato e discusso con il partner russo.

Anche se il documento era stato annunciato antecedentemente al meeting di Mosca, la sua presentazione durante l’incontro tra Putin e Xi conferisce un aspetto formale all’iniziativa di Pechino che si propone, non solo, come potenza neutrale interessata alla soluzione del conflitto, ma come grande potenza disposta a ricoprire il ruolo da protagonista nella gestione dell’ordine mondiale.

A sostegno di tale tesi deve essere intesa la dichiarazione di Xi di voler nei prossimi giorni contattare Zelensky per sondare la disponibilità dell’Ucraina a discutere la proposta cinese.

Questo cambiamento dell’orientamento della politica estera di Pechino risulta essere l’elemento di massima importanza che il vertice ha evidenziato, confermando che il successo del riavvicinamento diplomatico tra Arabia Saudita e Iran, conclusosi attraverso l’opera mediatrice della Cina, non ha rappresentato un’azione circoscritta nell’ambito di uno scenario locale, ma ha costituito il primo passo della nuova linea politica di Pechino.

Dopo la conferma della sua leadership interna con l’approvazione di un terzo mandato, il rafforzamento della cerchia di alleati fedeli con nuove nomine negli incarichi cardine del sistema politico, il superamento indenne delle critiche all’opzione Zero-Covid, adesso Xi Jinping ha intrapreso un nuovo step per condurre la Cina a imporre il proprio concetto di ordine internazionale e conquistare quel ruolo di egemonia mondiale che appartiene al DNA cinese da secoli.

Abbandonando la visione di Deng che rifiutava il coinvolgimento diretto nel contesto geostrategico mondiale, Xi ha dato inizio al nuovo corso della politica estera cinese.

Per poter consolidare la sua posizione in un tale contesto la partnership con la Russia – partnership e non alleanza, questo deve essere chiaro – risulta essere fondamentale per una serie di motivi di immediata comprensione. Innanzi tutto, questa amicizia senza limiti permette alla Cina di non dover distogliere parte delle sue risorse per fronteggiare un Paese ostile lungo le sue estese frontiere settentrionali. Successivamente, l’Orso Russo, agendo come lo spauracchio in una rinnovata Guerra Fredda, fantasticata e ardentemente rivissuta dall’Europa orientale e baltica, calamita l’attenzione di una NATO e di una Unione Europea sempre più a trazione orientale, focalizzandoli su uno scenario, oramai, di secondaria importanza, che li priva di una visione strategica globale e li costringe a concentrare le loro risorse nel punto sbagliato. Ultimo elemento di interesse, ma non meno importante, risulta essere la possibilità di usufruire delle enormi risorse naturali che la Russia possiede e che la Cina non ha, che consentirebbero a Pechino di disporre di un ulteriore vantaggio per supportare il processo di sviluppo interno.

L’elemento critico fondamentale della visione cinese nel sostenere il processo di costituzione di un ordine mondiale, alternativo a quella che viene percepita come un’egemonia occidentale, rappresenta un paradigma concettuale e ideologico certamente non originale, che, inizialmente, si è sviluppato attraverso gli schemi della contrapposizione di opposte teorie politiche basate, principalmente, sulla identificazione di sistemi economico finanziari differenti (capitalismo e socialismo).

Tale paradigma, persa questa sua connotazione ideologica, si è, quindi, trasformato in una lotta manichea tra il Bene e il Male, rappresentati dai sostenitori del sistema democratico opposto a quelli che perseguono una impostazione autoritaria.

Questa visione tipicamente occidentale si è sublimata nella narrativa che ha contraddistinto, dall’inizio, l’ultima e più attuale fase della crisi ucraina: l’Ucraina è l’ultimo baluardo della democrazia e della libertà dell’Occidente contro la barbarie autocratica che viene da oriente.

La miopia che contraddistingue questa visione geopolitica è stata usata dalla Cina per costruire la sua narrative a supporto della necessità di un nuovo ordine.

Senza dover inventare nulla ha ripreso i concetti culturali sviluppati dall’Occidente (pace, collaborazione, libero sviluppo della tecnologia a favore di tutti, benessere sociale, ruolo fondamentale delle Istituzioni Internazionali), li ha integrati con la propria visione (i concetti di democrazia e di libertà individuali non sono univoci, devono essere adattati alla realtà culturale dei vari Paesi, non ingerenza nelle tematiche interne degli Stati), li ha mischiati per bene e ha servito la propria mano, proponendo un nuovo ordine multipolare, democratico, pacifico dove le alleanze lasciano il posto alla collaborazione tra Stati, dove il Global Sud sia protagonista e non più terra di conquista e dove, soprattutto, la Cina sia la potenza dominante ed equilibratrice dell’intero sistema!

In linea di principio il discorso non fa una grinza in quanto usa e ripropone i valori culturali cari all’Occidente, anche se la loro declinazione è leggermente differente. Insiste sui principi geopolitici condivisi dall’Occidente e sulla preminenza delle Istituzioni da noi create. Fa riferimento a una pace cosmica e una collaborazione disinteressata.

Ma in realtà propone un sistema completamente differente, dove i valori culturali e i principi liberali sono stravolti a beneficio di un’organizzazione di relazioni internazionali non più guidate e sorrette da concetti universali e applicabili indistintamente al genere umano, ma adattate ai singoli casi a seconda della convenienza dello Stato.

E la Cina non ha fatto mistero di questa sua interpretazione, anzi, non ha perso occasione per propagandarla e dichiararla con documenti pubblici: la dichiarazione congiunta prima delle Olimpiadi a febbraio dello scorso anno, il documento di condanna degli Stati Uniti emanato dal Ministero degli Esteri cinese di inizio anno e adesso la dichiarazione finale del meeting appena concluso.

Tutto questo in aggiunta alla crescente proattività a tutto campo che ha contraddistinto la Cina negli ultimi anni con iniziative diplomatico-economico-finanziarie in Medio Oriente, in Africa, nel Pacifico.

Insomma, non si tratta di una operazione segreta volta a svelare all’improvviso un complotto teso a sovvertire l’ordine mondiale, ma una scelta programmatica precisa, chiara e pubblicizzata senza riserve e senza peli sulla lingua.

Ma questo non basta per un Occidente sempre più incapace di guardare al di là di un orizzonte limitato e senza profondità. Un Occidente che continua a giocare a Risiko invece di comprendere che il mondo è definitivamente cambiato, dove le regole che noi vogliamo usare non sono più accettate e condivise dagli altri, dove ancora pensiamo e ragioniamo in termini di interesse privato e nazionale, illudendoci che il Vecchio Continente sia ancora il centro del mondo.

Il sistema USA sta disperatamente cercando di tracciare una rotta da dare alla propria geopolitica, barcollando nell’illusione utopica di poter sanzionare il mondo intero, qualora questo non condivida la sua visione.

L’Europa bluffa con se stessa illudendosi di essere un modello di virtù e di valori da imitare a occhi chiusi, senza rendersi conto che ancora si rifà a un sistema di relazioni internazionali che risalgono a un concetto che ormai appartiene al passato, accanendosi nel sostenere un sistema che privilegia gli interessi delle singole nazioni a scapito di una unione europea reale e coesa.

Se non fosse estremamente pericoloso per il nostro futuro assetto nel contesto internazionale, sarebbe perfino ridicolo l’atteggiamento di paesi come la Francia e Germania, che ancora ritengono di potersi contendere la guida di un continente, o come il Regno Unito che, una volta svincolatosi dalla zavorra dell’Unione Europea, credeva di essere diventato di nuovo l’Impero Britannico.

L’Occidente, insomma, sta illudendo sé stesso, precipitato in un conflitto che non sa come fermare e che lo sta danneggiando sempre di più, travolto da una retorica che fa riferimento a un mondo scomparso (non ci darà una nuova Norimberga perché non ci sarà una resa senza condizioni), ma non è capace di fermarsi e di guardare al futuro con lucidità.

La Cina ci ha battuto sul tempo proponendosi come la Grande Potenza che dirime i conflitti, assicura la prosperità e garantisce l’ordine mondiale. Purtroppo, l’Occidente nella sua presunzione si ostina a non volerlo capire!

 

 

 

Il manifesto di politica estera di Pechino

 

Mentre in Occidente ci auto illudiamo con una narrativa di “regime” unidirezionale e ingannevole che il conflitto ucraino rappresenti l’atto estremo dell’eterna lotta tra il Bene (noi Occidentali) e il Male (il resto del mondo che non la pensa come noi), non ci accorgiamo che la Cina sta ponendo le basi ideologiche del suo concetto di Ordine Mondiale in chiave dichiaratamente antioccidentale.

A un anno esatto di distanza dalla dichiarazione congiunta russo-cinese dove veniva affermato un nuovo paradigma del concetto di democrazia – uno Stato è democratico se si sente democratico – e una differente declinazione dell’idea dei diritti dell’individuo – finiscono dove inizia l’interesse dello Stato – la Cina ha emanato un nuovo documento particolarmente interessante.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica Cinese ha infatti emesso un documento intitolato “L’egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli”.

Se il titolo non fosse abbastanza esplicito da chiarire il contenuto, basta dare un’occhiata all’indice: dopo una breve, ma significativa, introduzione dove gli Stati Uniti sono presentati come il peggiore dei mali, seguono cinque capitoli dedicati a tutti quei settori dove gli USA impongono la loro egemonia politica, militare, economica, tecnologica, culturale.

Il fine che il documento si propone di conseguire è rappresentato dalle ultime due righe dell’introduzione dove si cita testualmente:

This report, by presenting the relevant facts seeks to expose the U.S. abuse of hegemony in the political, military, economic, finance, technological and cultural fields, and to draw greater international attention to the perils of the U.S. practises to world peace and stability and the well-being of all people.

Un incipit che farebbe sembrare dei principianti l’Imperatore Palpatine o il Signore dei Sith, i super cattivi galattici che impersonano il male assoluto nella saga di Star Wars.

Nel corso dei vari capitoli il documento spiega come gli USA impongano la loro egemonia nei differenti settori a detrimento del bene universale e della pace dei popoli.

Senza andare nel particolare di quelle che sono, in realtà, dichiarazioni di una propaganda che affonda le sue radici in una retorica derivante da una visione social-comunista da Libretto Rosso, è opportuno notare come alcuni argomenti, quasi accennanti casualmente, definiscano, invece, la visione cinese che propaganda un nuovo ordine mondiale.

Il primo di questi concetti riguarda l’accusa di aver fabbricato una falsa narrativa della “democrazia verso l’autoritarismo” per incitare all’allontanamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto tra le varie nazioni. Anche l’idea USA della creazione di un “Summit per la democrazia” è un’iniziativa che viene aspramente criticata e accusata di causare la divisione nel mondo.

Il secondo concetto riguarda la sfera economico finanziaria, dove viene messo in discussione il sistema che regola la struttura globale ritenuto esclusivamente vantaggioso per il binomio USA – Occidente (probabilmente ci si dimentica due terzi del debito USA sono finanziati dalla Cina).

Il terzo elemento evidenzia un certo fastidio per il sistema di alleanze che gli USA hanno impostato nella gestione della loro visione diplomatico – strategica, percepito da Pechino come elemento coercitivo e destabilizzante perché escludente la sua partecipazione.

Il paragrafo finale delle conclusioni contiene una affermazione programmatica che invita le grandi nazioni a prendere l’iniziativa nel perseguire un Nuovo Modello di relazioni tra stato e stato basato sul dialogo e la partnership, e non il confronto e le alleanze; rimarca, inoltre, la posizione contraria della Cina verso qualsiasi forma di egemonia e di potere politico e sottolinea il rigetto di qualsiasi interferenza negli affari interni di altri paesi (concetti cari a Pechino per la risoluzione dei vari problemi come il Tibet, la minoranza uigura, Taiwan).

Non poteva mancare, a conclusione del tutto, l’invito agli USA a fare autocritica conducendo una seria introspezione al fine di esaminare con visione critica le loro malefatte, rifuggire dal loro comportamento arrogante e pregiudizievole e smettere di adottare comportamenti egemonici, prepotenti e bullizzanti!!!!!!  (“The United States must conduct serious soul-searching. It must critically examine what it has done, let go of its arrogance and prejudice, and quit its hegemonic, domineering and bullying practises”).

L’importanza del documento non risiede nelle affermazioni che vengono fatte o nella demonizzazione del comportamento degli Stati Uniti, ma nell’aspetto concettuale che esso si propone di realizzare.

Gli USA e i loro valori culturali (che in definitiva sono ampiamente condivisi dall’Occidente per intero) sono un pericolo per il mondo e contro questa visione la Cina si erge a baluardo proponendo un Nuovo Ordine.

Questo Nuovo Ordine non si basa sulla condivisione di quei concetti culturali e sociali che hanno ispirato l’Occidente come la democrazia, la libertà individuale, la libertà di espressione, la libertà di commercio e di movimento, ma un sistema dove tutti questi valori si fermano quando un superiore interesse da parte di un concetto di Stato astratto e imposto si inserisce e prevarica su tutto.

E la Cina, con estrema scaltrezza non propone sé stessa come elemento guida di questo nuovo sistema di relazioni internazionali, ma elenca i mali che il sistema occidentale, tiranneggiato dagli USA, comporta e produce, proponendolo all’attenzione del resto del mondo come il pericolo da cui è necessario e fondamentale difendersi.

Il problema da affrontare non è costituito dalla retorica da Libretto Rosso che la propaganda cinese usa o la veridicità o meno delle sue affermazioni, ma risiede nei concetti politici che la Cina intende veicolare per impostare una nuova concezione di valori culturali.

Il sistema proposto è un chiaro e mirato attacco contro gli USA che sono individuati come l’ostacolo principale verso un’egemonia cinese, mentre considera l’Europa come un sistema in completo decadimento, disunito e privo di peso politico, la cui insignificante importanza globale non costituisce alcun problema per l’affermazione del sistema cinese.

La forza di questa linea strategica che la Cina persegue da tempo, deriva, non tanto dall’efficacia della critica dei valori occidentali e dalla proposta di valori culturali alternativi, ma dalla nostra mancanza di visione globale del contesto internazionale, persi come siamo nella nostra piccola gabbia dorata dalla quale non vogliamo uscire.

Purtroppo, l’Europa non ha una visione strategica globale ma si dibatte tra vecchi rancori (il deuteragonismo franco-tedesco nel voler dominare l’Unione Europea), l’incapacità di uscire dal passato (la crisi ucraina ne è un esempio), la tendenza a rimanere ancorati a un orizzonte limitato (assenza della percezione del lato Sud dell’Europa e del mondo) e questo la porta a essere vulnerabile nei confronti dell’evoluzione che caratterizza lo scenario internazionale.

L’Occidente europeo si è fatto trascinare in un conflitto provocato da interessi che non gli appartengono e alimentato da vecchi rancori, dove una retorica ormai appartenente al passato vagheggia vittorie impossibili e imposizione di trattati di Versailles irrealistici (l’Ucraina sta vincendo su Facebook ma perde sul terreno!!!!!!). La nostra società annaspa in una crisi sempre più profonda e l’unica reazione è quella di chiudere gli occhi di fronte alla realtà di un mondo in evoluzione e illuderci che la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), la rete 5G a basso costo, i finanziamenti ai progetti universitari, l’acquisto di proprietà ed esercizi commerciali da parte cinese, siano esclusivamente l’espressione di una benevola e innocua aspirazione a fare parte del nostro sistema e di interesse a condividere i nostri valori.

Non è così, e il documento del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese lo conferma senza ombra di dubbio.

Se non vogliamo essere schiacciati nel confronto per il Nuovo Ordine ed essere ridimensionati allo stato di colonie, dobbiamo aver il coraggio di guardare al di là del nostro piccolo orizzonte, utilizzare le capacità che l’Unione Europea ci consente di avere, se agiamo come un unico, solido, coeso organismo (lasciando perdere idiozie concettuali come i Paesi Frugali, quelli Virtuosi, i Quattro di Visegard e via dicendo) e quelle intrinseche che un istituzione di difesa collettiva e di integrazione come la NATO rende possibili, se trasforma la sua accezione di club in funzione anti Russia e si trasforma in un elemento di sviluppo dei valori e dei concetti condivisi da un Occidente unito e in grado di svolgere un ruolo da protagonista nel contesto internazionale.

I valori culturali che hanno disegnano e formato la nostra società sono senz’altro validi e meritano di essere proposti come un modello da seguire e da adottare e non dobbiamo vergognarci di sostenerli e di veicolarli, ma dobbiamo farlo senza l’arroganza che siano gli unici e che possano essere imposti come merce di scambio. Il modo migliore è dimostrare che la nostra società Occidentale non è decadente, immorale e pericolosa come la Cina la descrive ma, invece, rappresenta un modello i cui valori sono degni di essere accettati e condivisi anche dagli altri.

L’alternativa è di iniziare a imparare a usare le bacchette per mangiare!

Il nuovo protagonismo della Turchia

 

 

Un anno fa la Turchia sembrava essere al margine della scena geopolitica internazionale, isolata diplomaticamente, aspramente criticata per la leadership di Erdogan, ininfluente nel complesso flusso delle relazioni che condizionano l’aerea mediorientale e mediterranea, priva di peso politico e quindi destinata ad assumere una posizione di paria internazionale.

Invece, nel corso dell’ultimo anno, la Turchia di Erdogan ha saputo cogliere le opportunità che si sono verificate a seguito dell’evoluzione che ha stravolto il quadro strategico europeo e scosso quello mondiale.

La crisi ucraina è stata immediatamente usata da Erdogan per inserire nuovamente da protagonista la Turchia al centro del contesto geopolitico.

L’essere contemporaneamente un Paese che è uno dei cardini del concetto strategico della NATO, la cerniera tra Europa e Asia, il guardiano storico degli accessi tra Mar Nero e Mare Mediterraneo, l’ostico deuteragonista della Russia nella gestione delle crisi dell’aerea siriana e caucasica e il depositario di una tradizione diplomatica imperiale vecchia di quasi duemila anni ha consentito a Erdogan di avere una serie di atout diplomatiche di eccezionale importanza. Questo ha consentito alla Turchia di assumere un ruolo da protagonista nel contesto della crisi ucraina, contraddistinto da una calcolata ambiguità finalizzata a ottenere un riposizionamento di vertice nell’ambito del contesto internazionale.

Ma il risultato più importante per la Turchia non è rappresentato dal ruolo che ha assunto nel contesto della crisi ucraina, bensì dalla capacità immediata che ha dimostrato nello sfruttare le conseguenze geopolitiche che il conflitto ha generato, riprendendo subito ad agire nello scenario dove si concretizzano gli interessi e gli obiettivi strategici immediati, ritenuti fondamentali per il conseguimento della visione di politica nazionale turca.

Nel particolare, si è assistito a un rinnovato impegno della Turchia nella ricerca di rendere stabile la situazione delle sue frontiere asiatiche: a oriente nella infinita disputa armeno azerbaigiana; ma soprattutto, a meridione, dove ha intrapreso una nuova serie di operazioni destinate a completare una zona cuscinetto libera dalla presenza dell’organizzazione militare curda del PKK.

La volontà di condurre operazioni militari lungo il confine meridionale non rappresenta una novità nella strategia turca in quanto, nel passato recente, attività di tale tipo sono state condotte ripetutamente, anche, se condizionate dalla presenza di contesti internazionali più restrittivi.

La crisi ucraina ha, però, mutato lo scenario consentendo alla Turchia di pianificare, con criteri concettuali differenti, una nuova operazione ad ampio raggio.

La realizzazione della nuova operazione, denominata Claw-Sword, è prevista attraverso lo sviluppo di varie fasi di cui alcune già in essere (uso di raid aerei e di artiglieria), ma si sostanzia nell’esecuzione della fase di terra quando le Forze Armate turche oltrepasseranno il confine per creare le premesse territoriali necessarie al conseguimento degli obiettivi definiti.

L’operazione è ampiamente sostenuta non solo dalla popolazione turca, ma ha ricevuto, anche, l’appoggio politico della coalizione anti – Erdogan, a dimostrazione di quanto sia sentito a livello nazionale il problema rappresentato dal PKK.

La finestra temporale scelta per condurre ClawSword è stata attentamente studiata e si basa sulle seguenti premesse:

–    la crisi ucraina, oltre a limitare l’azione politica di Mosca, ha indebolito il dispositivo militare russo schierato in Siria;

–    la Turchia, come detto, ha adottato un’azione diplomatica di ampia visione geopolitica che ha rafforzato le sue credenziali nell’area;

–    lo sviluppo di un generale riavvicinamento diplomatico ai Paesi dell’area mediorientale ha ridotto l’ostilità contro la conduzione di operazioni anti PKK;

–    l’escalation delle provocazioni che l’Iran ha messo in atto contro la presenza e gli interessi USA in Siria ed Iraq creano le premesse per un nuovo maggiore interesse del ruolo che la Turchia può svolgere (lotta all’ISIS, protezione del Nord dell’Iraq e risoluzione del conflitto siriano);

–    ultimo, ma non meno importante fattore, l’approssimarsi nel 2023 delle elezioni in Turchia.

Dal punto di vista della pianificazione dell’attività, quindi, sono stati fatti i seguenti passi.

Innanzitutto, sono stati identificati tre obiettivi: creare la zona cuscinetto libera dalla presenza del PKK mirante all’espulsione dalle aree di Manbij e Tel Rifaat delle forze del YPG (People’s Defence Units frangia siriana del PKK); stabilire le condizioni per un regolare ritorno dei profughi siriani; aumentare l’influenza turca nella gestione degli accordi politici che saranno adottati alla fine della guerra in Siria.

Successivamente è seguita una preparazione diplomatico-politica estremamente articolata, volta ad assicurare non il consenso all’operazione, ma la ragionevole certezza della mancanza di reazioni particolarmente ostili.

In tale quado di situazione l’azione diplomatica di Erdogan si è sviluppata su più piani.

A livello globale la strategia turca si è concretizzata sia nella partecipazione a forum internazionali (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, OSCE) dove, oltre a identificarsi come uno degli elementi cardine per la stabilità nella regione mediorientale, ha proposto il ruolo di mediatore tra la Russia e l’Occidente, sia nel riavvicinamento diplomatico verso attori fondamentali del contesto mediorientale (Israele, Siria e Paesi del Golfo).

Nello scenario di riferimento specifico, invece, gli obiettivi e il concetto operativo della nuova fase delle operazioni sono stati ampiamente illustrati e spiegati sia agli USA sia alla Russia, esponendo chiaramente quelle che saranno le limitazioni che le operazioni avranno al fine di non andare a collidere con gli interessi e le posizioni delle due Potenze nell’area.

In tale quadro di situazione, la valutazione operativa sulle condizioni di successo politico dell’operazione si è basata su due elementi cardine:

–    data la reale incapacità pratica dei due Paesi nel poter fermare le operazioni, quando verrà dato inizio alla fase terrestre la reazione internazionale sarà basata sull’attuazione di una pressione diplomatico-politica blanda, alla quale la Turchia si è preparata;

–    la conduzione delle operazioni non incide direttamente sugli obiettivi USA (guerra all’ISIS) e Russia (supporto alla Siria).

Le sanzioni con le quali gli USA potrebbero mettere pressione su Ankara avrebbero, però, alcuni effetti collaterali quali quello d’inasprire il sentimento anti USA nell’area, di rendere meno collaborativa la Turchia nella risoluzione del conflitto in Ucraina e soprattutto di spingere Ankara a osteggiare l’allargamento della NATO.

Così come è stata pianificata Claw-Sword riuscirebbe, quindi, a conseguire una serie di obiettivi di importanza critica sia per la posizione turca sia, soprattutto, per raggiungere un consolidamento della situazione in Siria che possa portare alla conclusione del conflitto

Innanzitutto, le operazioni anti ISIS non subirebbero alcun danno. Anche se l’YPG inizialmente potrebbe sospendere le sue attività di cooperazione, comunque, sarebbe una soluzione temporanea in quanto il supporto politico degli USA alla fazione anti Assad delle Syrian Democratic Forces (SDF) è condizionato dalla disponibilità proprio dell’YPG in funzione anti ISIS.

In secondo luogo, Turchia e USA sono i due attori diplomatici che possono influire nell’esercitare qualche pressione sulla Siria per addivenire ad una soluzione del conflitto. Una rinnovata unicità di visione geostrategica dove l’accettazione USA della permanenza di Assad alla leadership del Paese e la diminuita percezione di minaccia dei propri confini da parte dell’YGP attraverso un’operazione ben pianificata ed eseguita in modo calibrato senza danneggiare l’SDF e le operazioni anti ISIS, possono creare quelle sinergie che sino ad ora sono rimaste inespresse.

Infine, il conseguimento del successo dell’operazione Claw-Sword consentirebbe di rafforzare ulteriormente la posizione negoziale e il peso diplomatico della Turchia nell’ambito della questione siriana con risvolti positivi nei confronti degli altri due attori protagonisti. Nel particolare, nei confronti, della Russia, quale elemento di pressioni su Assad per convenire ad una soluzione del conflitto, ma soprattutto nei confronti dell’Iran riducendo l’influenza che lo stato islamico esercita sia nel frammentato scenario siriano sia nel nord dell’Iraq.

In conclusione, Erdogan ha, nuovamente, dimostrato, non solo, la vitalità politica e diplomatica della sua visione strategica nazionale, ma ha confermato come le variazioni dello scenario geopolitico mondiale debbano essere considerate come opportunità da cogliere in quanto, se abilmente sfruttate, sono in grado di ribaltare situazioni dall’aspetto negativo e proporsi come condizioni di successo.

Per fare questo, ovviamente, occorre sia avere le capacità di gestire il dominio geopolitico e diplomatico, ma, soprattutto, occorre avere una visione geostrategica nazionale che fissi scopi, obiettivi e risorse da utilizzare per poterli conseguire.

La Turchia ed Erdogan hanno queste capacità e le usano senza farsi distrarre da utopistiche e inconcludenti visioni moralistico-demagogiche, mentre gli altri (leggi l’Europa) rimangono alla finestra a guardare, prigionieri dell’illusione di un brillante passato che nessuna operazione di rianimazione diplomatica può riportare ai fasti di un tempo.

Il valore politico dell’interpretazione cinese della sicurezza alimentare

ASIA PACIFICO di

È difficile redigere un quadro complessivo degli effetti di medio periodo che produrrà la guerra in Ucraina, ma è stato già largamente fatto presente che colpiranno l’economia alimentare globale. Come molti hanno avvertito, le attuali difficoltà che oggi esportatori agricoli russi e ucraini devono affrontare, unite alla parziale interruzione della stagione della semina, causeranno catastrofi umanitarie nei paesi più poveri e shock economici in quelli più ricchi. Diversi paesi hanno già iniziato ad agire per resistere all’impatto, ma è chiaro che stiamo andando incontro a quella tempesta perfetta che già prima del conflitto intravedevamo.

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Un nuovo ordine internazionale

 

Russian President Vladimir Putin, right, and Chinese President Xi Jinping (AP Photo/Alexander Zemlianichenko)

Il 4 febbraio scorso, in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici a Pechino, nella sede del China Aerospace Studies Institute, Cina e Russia hanno firmato una dichiarazione congiunta, denominata “Joint Statement of the Russian Federation and the People’s Republic of China on the International Relations Entering a New Era and the Global Sustainable Development”.

Il documento rappresenta un atto di profondo valore geopolitico, i cui elementi fondamentali sono stati recepiti in modo generico dall’opinione pubblica occidentale che ne ha superficialmente interpretato i contenuti riducendoli a un accordo, più o meno formale, tra Pechino e Mosca volto, principalmente, a esprimere il sostegno e il supporto reciproco tra i due Paesi in vista delle possibili azioni russe verso l’Ucraina.

Ma il fine del documento non è affatto questo! Se si scorre il testo ci si accorge subito che si tratta di un programma volto a porre le basi per l’affermazione di un nuovo ordine mondiale che soppianterebbe quello emerso al termine del Secondo Conflitto Mondiale e, soprattutto, quello che è stato sviluppato al termine della Guerra Fredda.

E l’intenzione programmatica non è affatto celata, ma, addirittura, apertamente esplicitata già nel titolo stesso, dove viene sottolineata l’inizio di un Nuova Era delle Relazioni Internazionali.

Il punto cardinale dell’intero documento è centrato sulla convinzione che la leadership mondiale dell’Occidente sia al tramonto e che quindi il sistema delle relazioni internazionali debba essere gestito impostando una nuova serie di regole.

Il contenuto del documento, lungo e articolato nel suo svolgimento, sottolinea la volontà dei due firmatari di partecipare in modo attivo e responsabile alla risoluzione delle molteplici problematiche di interesse globale (sviluppo economico, clima, sicurezza nucleare, cyber domain, controllo dello spazio), sottolineando l’importanza degli organismi internazionali (ONU in primis) e l’adesione ai valori universalmente riconosciuti (democrazia e diritti umani).

Da un punto di vista formale il documento è un capolavoro di diplomazia, in quanto esplicita le stesse idee e gli stessi propositi formali che contraddistinguono il concetto di relazioni internazionali dell’Occidente (convivenza pacifica, reciproco rispetto, collaborazione internazionale); li propone in termini assolutamente condivisibili e, soprattutto, tocca e ribadisce l’assoluto rispetto e la convinta adesione agli stessi ideali – la democrazia e i diritti umani – che hanno rappresentato i criteri fondamentali del sistema di valori sviluppato nel secondo dopoguerra.

Anzi, nel sostenere la loro tesi Russia e Cina si identificano come i veri rappresentati della democrazia e dei diritti umani.

In generale, quindi, il documento espone dei concetti pienamente condivisibili e assolutamente non nuovi, ribadendo la centralità delle Organizzazioni Internazionali quali elementi di sviluppo e di stabilità.

Se però si legge con attenzione il testo ci sono una serie di indizi che preludono all’atto finale di accusa rivolto contro gli Stati Uniti e contro tutto l’Occidente. Già nelle prime righe si afferma che la democrazia è un valore universale dell’umanità e non un privilegio di un limitato numero di Stati (Cap I “…the democracy is a universal human value, raher than a privilege of a limited number of State…”).

Immediatamente dopo viene esplicitato il concetto su cosa sia la democrazia definendola come il mezzo attraverso il quale i cittadini partecipano al bene comune e all’implementazione del concetto di governo popolare. La democrazia è quindi esercitata in tutte le sfere della vita pubblica e ha come scopo il soddisfacimento delle necessità del popolo, garantendone i diritti e salvaguardandone gli interessi. A questo concetto, condivisibile nella sua generalità, ne fa seguito un altro che, invece, rappresenta il vero paradigma ideologico che il documento sostiene.

Non esiste un tipo di formato la cui validità sia generale per indirizzare i Paesi verso la democrazia (Cap. I “There is no-size-fits-all template to guide countries in establishing democracy”) e dipende solamente dalla popolazione decidere se il proprio Paese è uno Stato democratico (Cap I “It is only up to the people of the country to decide wheter their State is a democratic one.”).

A questa serie di affermazioni fa da corollario il concetto che il tentativo di certi Stati di imporre il loro standard di democrazia, monopolizzando, a loro favore, un concetto universale e stabilendo alleanze esclusive finalizzate al conseguimento di una egemonia ideologica, costituisca una minaccia totale e pericolosa per la stabilità dell’ordine mondiale stesso (Cap. I “Certain States’ attempts to impose their own democratic standards…….undermine the stability of the world order.”).

L’atto introduttivo completa il presupposto ideologico con l’affermazione che il sostegno della democrazia e dei diritti umani non devono essere usati come strumento di pressione nei rapporti internazionali.

A tale proposito Russia e Cina si oppongono all’abuso dei valori democratici e al sostegno della democrazia e dei diritti umani come pretesto per l’ingerenza negli affari interni di uno Stato, chiedendo invece, il rispetto delle differenze culturali e delle differenze degli Stati, concludendo che è interesse dei firmatari promuovere una reale democrazia (Cap. I “They oppose the abuse of democratic values ……interference in internal affairs of sovereign states…..to promote genuine democracy.”).

Fatta questa premessa di carattere ideologico è nel terzo punto del documento che Cina e Russia sviluppano il loro concetto di ordine caratterizzato dai seguenti principi:

  • dichiarazione di mutuo supporto per la protezione dei loro interessi fondamentali, integrità della loro sovranità e opposizione a ogni forma di interferenza nei loro affari interni;
  • completo supporto di Mosca al principio di una sola Cina e opposizione a ogni forma di indipendenza di Taiwan;
  • contrasto di ogni tentativo da parte di Stati esterni di alterare la stabilità delle regioni di interesse e di interferire negli affari interni delle nazioni sovrane e opposizione a ogni forma di rivoluzione di qualsiasi colore.

Il testo prosegue con l’affermazione che certi Stati, certe alleanze politico militari e certe coalizioni sono ritenute responsabili di ricercare vantaggi a detrimento della sicurezza generale, stimolando rivalità e instabilità a detrimento dell’ordine pacifico. Vengono citate sia la NATO sia la AKUS quali elementi di instabilità regionale. i cui fini sono in netto contrasto, invece, con le organizzazioni promosse dalla Cina e dalla Russia.

L’affondo conclusivo evidenzia la visione degli interessi specifici di Pechino e di Mosca in merito agli scacchieri geopolitici di riferimento:

  • condanna della politica degli Stati Uniti nello scacchiere indo-pacifico, in quanto ritenuta responsabile di produrre effetti negativi sulla pace e sulla stabilità della regione;
  • supporto e condivisione da parte della Cina alle proposte avanzate dalla Russia, per dare vita ad accordi legalmente astringenti che consentano di creare delle condizioni di sicurezza durevoli in Europa.

Il documento, quindi, presenta una nuova interpretazione dei valori su cui l’Occidente basa la sua concezione filosofico-morale: la democrazia e i diritti umani non rappresentano più due concetti oggettivi ma devono essere intesi soggettivamente, a seconda delle situazioni, delle popolazioni che li devono applicare e degli Stati che ne devono salvaguardare l’applicazione. In sintesi, i valori non sono assoluti ma variano a seconda della percezione dei singoli Stati!

Con questo documento la Cina, soprattutto, ha deciso di proporsi, formalmente, come l’alternativa a un Occidente ormai ritenuto in declino, sostituendosi agli Stati Uniti come campione di valori e modelli universali. Per questo motivo ha cooptato la Russia, offrendo i termini di un accordo politico di mutuo sostegno e di cooperazione ad ampio spettro, facendo leva sulla ambizione di Mosca di riprendere il ruolo di grande potenza del quale si ritiene, ingiustamente, spodestata dall’Occidente.

Le implicazioni che derivano da questo documento sono praticamente dirompenti e volte a stravolgere il complesso delle relazioni internazionali così come concepito.

Il documento, infatti, sostiene la creazione di un sistema dove alla popolazione viene riconosciuto primariamente il diritto a poter beneficiare di un livello di sviluppo economico e sociale, ma dove libertà e interessi individuali si sfumano sino a scomparire quando sono considerati un ostacolo per la solidità e la sicurezza del sistema di governo. E perché questo modello funzioni non c’è spazio per la visione di democrazia che l’Occidente si ostina a voler imporre.

Se un tale sistema può, difficilmente, suscitare un proselitismo in Occidente, dove democrazia e rispetto dei diritti umani sono valori radicati e pienamente condivisi, vi sono tuttavia alcune tipologie di regimi che possono aderire e supportare una tale impostazione dell’ordine mondiale.

Il primo e, forse, più importante scacchiere a cui è indirizzata una tale interpretazione di un nuovo corso delle relazioni internazionali è senz’altro l’area mediorientale e nordafricana (MENA), dove la Cina è attiva da parecchio tempo. I contenuti del documento, infatti, possono costituire un’alternativa ideologica valida per gli Stati dell’area che indipendentemente dalla loro forma di governo (repubbliche nazionaliste, monarchie e regimi religiosi) potrebbero sicuramente trovare nella formula proposta del conseguimento di un benessere sociale e di uno sviluppo economico elevato, conseguenza di uno Stato autoritario, la risposta ideale alla pretesa occidentale di imporre valori che, considerati in senso assoluto universali, non tengono conto della necessità di un’applicazione soggettiva e in linea con il mantenimento primario di una formula autoritaria di Governo.

A questo punto, non è solo un sistema di valori che viene messo in discussione dal documento, ma l’intero impianto geopolitico che è stato creato dalle due guerre mondiali.

L’Occidente ha il dovere di rispondere e di sostenere i valori universali che sono i pilastri della nostra civiltà accettando la sfida e sostenendo la sua posizione, iniziando proprio da quello scacchiere del quale l’Europa è parte integrante: il Mediterraneo, l’Africa del Nord e il Medioriente.

 

Crisi ucraina: posizione “ambigua” della Cina

ASIA PACIFICO/EST EUROPA/EUROPA di

“Le parole sono importanti” ammoniva Nanni Moretti in uno dei suoi più celebri film, Palombella Rossa.  Sicuramente sarà dello stesso avviso il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che non è certo un tipo che rilascia dichiarazioni senza prima aver pesato attentamente le parole. Se non fosse per una delle ultime comunicazioni che ha rilasciato in merito al conflitto in Ucraina. << La situazione è cambiata rapidamente, la Cina DEPLORA lo scoppia del conflitto tra Ucraina e Russia ed è estremamente preoccupata per i danni ai civili>>. Quel “deplora”, infatti, nel giro di poche ore si è prontamente trasformato in più neutro “lamenta. Sì, certamente si tratta di una sfumatura, una sfumatura che però la dice lunga sulla difficile situazione in cui si trova Pechino da dopo lo scoppio di questo conflitto. Il Partito Comunista Cinese, infatti, sembra stia giocando la parte del funambolo nel tentativo di: nè abbandonare un alleato importantissimo come la Russia né di tagliare definitivamente con l’Occidente. Dunque, in mezzo a questi equilibrismi rimane molto difficile capire che posizione prenderà in merito alla questione ucraina il Dragone. Dragone che potenzialmente avrebbe tutte le carte in regola per accontentare le richieste del ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, il quale sta, incessantemente, chiedendo a Pechino di usare la sua influenza diplomatica con il Cremlino per mettere la parola fine alla guerra che sta devastando il suo Paese.

Anche se, quantomeno, qualcosa sembra smuoversi all’interno del PCC che per la prima volta ha parlato di “guerra” ed ha invitato la Russia a trovare un accordo attraverso i negoziati mostrandosi disponibile a sostenere tutti gli sforzi internazionali possibili al fine di trovare una soluzione politica al conflitto. Tuttavia, continua a rimanere inflessibile sulla posizione secondo la quale << la sicurezza di un Paese non dovrebbe essere a scapito della sicurezza di altri, e ancor meno la sicurezza regionale dovrebbe essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari (Nato su tutti) >>.

Quel che è certo, come sostiene anche il ministro Kuleba, è che se si vuole trovare una soluzione diplomatica a questo conflitto bisognerà sedersi allo stesso tavolo dei cinesi e cercare di trovare una soluzione con loro, in quanto sono i soli che, minacciando sanzioni economiche alla Russia, proprio come ha fatto l’occidente, potrebbero chiudere Putin all’interno di una via che non avrebbe altra via di uscita se non la resa. Rimane da capire se anche Pechino sia disposto a sedersi al tavolo con l’Occidente per imporre un “cessate il fuoco”, per ora, infatti, ancora non si dice disponibile a mediare. L’impressione è che, sicuramente, ancora per un po’ il Dragone continuerà a giocare la parte del funambolo per avere più potere contrattuale possibile fino a quando riterrà che sarà arrivato il momento di trattare.

 

Una conferenza della Resistenza Iraniana espone le unità navali per procura della forza Quds dei Passdaran

ASIA PACIFICO di

Il 2 febbraio, attraverso il suo ufficio di Washington, il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI) ha reso pubbliche le sue ultime rivelazioni sulla più recente strategia del regime iraniano e di un suo braccio terroristico, l’unità navale della Forza Quds delle Guardie Rivoluzionarie; ha fornito dettagli sulla sua missione e sulle sue basi e ha indicato il modo migliore per affrontarlo.

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Vulcano Tonga e tsunami: i bisogni umanitari rischiano di essere enormi. Save the Children è in prima linea.

ASIA PACIFICO di

Vulcano Tonga e successivo tsunami. I bisogni umanitari rischiano di essere enormi. Save the Children, preoccupata per le sorti dei minori, è pronta a intervenire.

Questo l’allarme di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

A causa dell’eruzione del vulcano Hunga Tonga avvenuta il 14 gennaio 2022 e del conseguente tsunami, Save the Children teme per i rischi sulla salute di migliaia di minori ed è pronta a intervenire e mettendo a disposizione il proprio programma per l’apprendimento a distanza nelle isole più remote. Implementerà, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, un programma di apprendimento a distanza utilizzando la tecnologia per raggiungere le isole periferiche e le popolazioni remote. I partner dell’Organizzazione sono pronti ad attivare questo servizio, noto come Hama eLearning Platform, per supportare l’istruzione e la formazione come risposta alle emergenze. Leggi Tutto

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