GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI

Una nuova alba per il Sol Levante

ASIA PACIFICO di

Il governo giapponese ha recentemente approvato un aumento da capogiro della spesa militare per il 2024, dando avvio alla seconda fase del rapido potenziamento quinquennale delle capacità di difesa del paese. L’iniziativa è stata annunciata nel dicembre 2022 dal governo Kishida attraverso la diffusione di tre nuovi documenti strategici che mirano a ridefinire l’interesse nazionale del Giappone alla luce delle crescenti tensioni politiche nella regione dell’Indo-Pacifico.

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AMERICHE di

“Un tentativo di colpo di Stato in Bolivia è fallito. Le forze militari, guidate dal generale Juan Josè Zuniga, hanno cercato di portarlo avanti, ma sono stati fermati. I soldati hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale a La Paz, posizionandosi con veicoli blindati e truppe nella Plaza Murillo, dove si trovano gli edifici governativi principali. Leggi Tutto

Ucraina: La Nato discute l’arsenale nucleare in mezzo alle minacce russe

EUROPA/SICUREZZA di

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha dichiarato che i paesi membri stanno considerando la possibilità di schierare più armi nucleari in standby. Questo avviene mentre la Russia continua a minacciare l’uso di armi nucleari in Ucraina. Stoltenberg ha invitato gli alleati della Nato a dimostrare trasparenza riguardo al loro arsenale nucleare e ha sottolineato che sono in corso consultazioni su come ritirare le armi nucleari dai depositi e metterle in standby. Leggi Tutto

Collisione tra navi filippina e cinese in acque contese

ASIA PACIFICO di

Nelle acque vicino a Second Thomas, un atollo sommerso nelle Isole Spratly, si è verificata una collisione tra una nave da rifornimento filippina e una nave cinese. La guardia costiera cinese ha accusato la nave filippina di avvicinarsi “pericolosamente” in modo non professionale, ignorando i ripetuti avvertimenti. Le Filippine, d’altra parte, sostengono che l’atollo rientri nella loro zona economica esclusiva, basandosi su una sentenza arbitrale internazionale del 2016. Leggi Tutto

La maestosa parata del 2 giugno: un’apoteosi di valori democratici e di orgoglio nazionale.

Anche quest’anno, nel 78° anniversario della Repubblica, nostante il tempo uggioso e la pioggia battente, il cielo mattutino della Città eterna si è tinto di tricolore e le vie dell’Urbe hanno risuonato al passo cadenzato di una parata militare di incomparabile e rara bellezza, simbolo supremo dell’unità nazionale, della fedeltà e della dedizione incrollabile delle Forze Armate alla Patria.
In presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Capo Supremo delle Forze Armate, il quale ha nobilitato con la sua augusta partecipazione l’importanza dell’evento, la parata ha assunto una dimensione ancor più solenne. Un evento di straordinaria rilevanza – impreziosito dalla presenza del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Ministro della Difesa Guido Crosetto e delle più alte cariche dello Stato – che rappresenta non solo una cerimonia militare, ma prima di tutto una solenne celebrazione dei valori democratici della nostra amata Italia.
La rivista, che annualmente si svolge ai Fori Imperiali, nel cuore pulsante della Capitale, si è affermata anche stavolta come un appuntamento imperdibile per i cittadini italiani e – almeno per la maggioranza di essi – come un momento di sana riflessione patriottica e di atteso orgoglio collettivo.
Quest’anno, come sempre – dopo il doveroso omaggio delle più alte cariche dello Stato al sacello del Milite Ignoto – la manifestazione, aperta da una rappresentanza dei sindaci d’Italia, ha visto sfilare i vari corpi delle Forze Armate, i reparti speciali e le unità storiche, i mezzi, gli aerei e i quadrupedi, in un susseguirsi di quadri marziali che hanno esaltato la disciplina, il coraggio e l’abnegazione di donne e uomini che quotidianamente si prodigano per la sicurezza e la salvaguardia della Nazione.
Nel rassicurante clangore delle lance e delle sciabole, in un colorato ma composto connubio di pennacchi piume, penne, mostrine, alamari, ghette e cordellini, accanto alle Forze Armate, accompagnate dalle note di bande e fanfare, anche le Forze di Polizia e le componenti del soccorso pubblico hanno reso omaggio alla Repubblica, esibendo la loro instancabile ed indispensabile opera di tutela della legalità e di pronto intervento in situazioni di emergenza.
In questa edizione hanno sfilato per la prima volta anche i rappresentanti dell‘Unità di Crisi della Farnesina e delle rappresentanze diplomatiche e consolari.
Non è una mera e vuota esaltazione di forza, bensì una celebrazione della democrazia, dell’amor di Patria, dello spirito di corpo e di appartenenza che caratterizzano le nostre Forze Armate.
Gli Italiani si stringono attorno alle loro Forze Armate. Le Forze Armate si stringono intorno agli Italiani. Così è stato oggi e così dovrebbe essere sempre.
Un evento che rispecchia l’essenza stessa dei valori costituzionali su cui si fonda la nostra veneranda Repubblica.
Oggi, qui, la forma si è fusa con la sostanza.
Tante facce pulite, che si intravedono anche dietro a qualche mephisto.
Un’aria da bravi ragazzi e brave ragazze, “acqua e sapone”, che cela però cuori impavidi, valori immutabili e professionalità di altissimo valore.
Dai cavalieri agli incursori, dai marinai ai piloti, dal Carabiniere di quartiere alle operazioni spaziali, le nostre Forze Armate sono il luogo dove albergano la fedeltà, la giustizia, la bellezza, l’onestà, l’onore, il sacrificio.
In un’epoca in cui le sfide globali sono sempre più intricate, gli uomini e le donne con le stellette si ergono come un baluardo di stabilità e sicurezza, impegnate sia sul fronte interno che nelle missioni per la pace e la cooperazione internazionali.
Le Forze Armate italiane non si limitano alla difesa del territorio nazionale; il loro impegno si estende anche al supporto delle popolazioni afflitte da calamità naturali, offrendo assistenza umanitaria e aiuto concreto nei momenti di maggior bisogno.
La partecipazione dell’Italia alle organizzazioni internazionali con vocazione securitaria come la NATO, l’ONU e altre importanti alleanze globali e regionali, testimonia il ruolo fondamentale del nostro Paese nella promozione della pace e della sicurezza mondiale.
Ma la parata di quest’anno può stimolare gli addetti ai lavori – e non solo – a pensare all’attuale apertura delle nostre Forze Armate verso nuove sfide, alcune delle quali sono già in corso.
L’integrazione delle associazioni professionali a carattere sindacale rappresenta un passo importante verso uno strumento militare più moderno e inclusivo, capace di rispondere alle esigenze e ai diritti dei suoi membri, nonostante la complessità di un quadro giuridico in via di rapida definizione.
Inoltre, la visione di un esercito europeo, sebbene ancora in fase embrionale, inizia a prendere lentamente forma, riflettendo il desiderio di una difesa comune più coesa e razionale all’interno dell’Unione europea, in termini sia economici e industriali che valoriali e politici.
La concreta solidarietà all’Ucraina, devastata da un conflitto che ha sconvolto la comunità internazionale, rappresenta un ulteriore esempio dell’impegno italiano per la difesa della democrazia e della libertà oltre i confini nazionali.
Le Forze Armate italiane, con il loro contributo, ribadiscono il loro ruolo cruciale nella promozione della pace e della sicurezza globale.
L’Italia è da sempre impegnata affinché tutti gli attori internazionali rispettino il diritto internazionale umanitario, che mai può cedere il passo al pur sacrosanto diritto all’autodifesa. Questa ferma posizione, oggi più che mai, sottolinea l’importanza della giustizia e della legalità anche nei contesti più difficili, promuovendo un ordine internazionale basato sulla cooperazione e il rispetto reciproco.
I critici che vedono in questa parata un atto muscolare di militarismo fine a sé stesso, o – peggio – un pericoloso e vago atto di fanatismo per capitoli ormai risalenti della nostra storia, dimostrano di non cogliere la profondità e il significato dell’evento.
E, come scritto in passato su queste pagine virtuali: chi non gradisce le uniformi, chi le teme, chi addirittura le attacca ha la coscienza sporca o, quanto meno, non è in pace con sé stesso.
Al contrario, chi vi partecipa o vi assiste con occhi attenti può percepire l’autentico spirito di servizio e la dedizione che anima la compagine militare.
Un servizio che non conosce confini, ma che si estende ovunque vi sia bisogno di proteggere e promuovere i valori democratici e costituzionali.
Il rumore delle critiche, spesso superficiali e infondate, non deve infatti distogliere l’attenzione dal vero scopo della parata: esaltare e onorare coloro che, con sacrificio e abnegazione, operano quotidianamente per il bene della Nazione.
Coloro che mettono a repentaglio la propria vita, spesso in modo drastico e fatale, per garantire la sicurezza di tutti, meritano rispetto e riconoscenza.
Non basterebbero svariati volumi per descrivere gli innumerevoli esempi di eroismo compiuti dai nostri soldati in Patria e all’estero.
Ne sono un esempio le rappresentanze degli atleti paralimpici e dei mutilati e invalidi della Difesa che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’odierna celebrazione.
In maniera sicuramente elementare e tautologica, è noto come la nostra componente mililtare operi da sempre a favore dell’Italia e per l’Italia: possedere delle Forze Armate costituisce uno dei capisaldi di qualsiasi entità che voglia definirsi “statuale”, perché le Forze Armate rappresentano espressione della sovranità di qualunque Stato, che voglia definirsi tale e che abbia anche un territorio e un popolo.
Questo è pacifico.
Ma, al contrario e in maniera forse anche un po’ infantile, nel nostro caso specifico, occorrerebbe chiedersi se sia davvero possibile pensare all’Italia senza le sue Forze Armate.
La risposta è scontata, perché – che piaccia o no – la storia del nostro Paese è legata da sempre a doppio filo a quella delle sue Forze Armate e, proprio durante le vere difficoltà e le crisi profonde, gli Italiani hanno guardato non a caso alle Forze Armate per la propria salvezza e la propria sicurezza.
Che piaccia o no, le Forze Armate rappresentano la nostra identità. Fortunatamente. 
La parata militare che si svolge a Roma e le altre manifestazioni di analogo tenore che si tengono in altre città non sono soltanto un evento celebrativo, ma un importante simbolo di unità e di valori condivisi.
Grazie alla visione lungimirante dell’attuale leadership istituzionale, la celebrazione del 2 giugno si è confermata come un appuntamento fondamentale per la vita realmente democratica del nostro Paese.
Non è solo una festa della Difesa, ma una festa di tutti gli Italiani e come tale dovrebbe essere sentita e vissuta.
Un’occasione per tutti i cittadini per rinnovare l’impegno verso la Patria e per riscoprire il valore dell’appartenenza a una Nazione che, forte delle sue radici e dei suoi ideali, guarda con fiducia e speranza al futuro.
Avevamo scritto qui, su European Affairs Magazine, della necessità di ripensare e di esaltare lo strumento militare, specie dopo gli inenarrabili sacrifici profusi dai nostri soldati durante la pandemia.
Finalmente, sembra che quanto auspicato in termini di considerazione e tributo alle Forze Armate, quale simbolo di unità nazionale e punto di riferimento per tutti, si stia concretizzando.
Finalmente, perché non è stato sempre così.
Ancora una volta, grazie alle nostre Forze Armate… e viva l’Italia!

Incentivi economici per finanziare la difesa comune dell’UE

EUROPA di

Il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, ha sottolineato l’importanza di fare passi avanti nella difesa comune dell’Unione europea. Attualmente, i Paesi dell’UE acquistano il 75% dei loro sistemi di difesa da fonti esterne, principalmente dagli Stati Uniti e da altri paesi. Per promuovere una politica industriale di difesa comune, Gentiloni ha proposto l’uso di incentivi economici. Leggi Tutto

Muore in un incidente aereo il Presidente della Repubblica Islamica d’Iran.

ASIA PACIFICO di

Il giorno dopo lo schianto dell’elicottero in una zona impervia dell’Azerbaigian orientale, l’Iran è in lutto. Il presidente Ebrahim Raisi è morto, insieme ad altre vittime, tra cui il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian. La Guida suprema Ali Khamenei ha decretato cinque giorni di lutto nazionale e ha avviato le successioni ad interim.

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La nuova strategia di Hamas

 

L’esito delle operazioni militari all’interno della Striscia di Gaza suscita la preoccupazione, l’angoscia e la condanna da parte dei Governi, delle Organizzazioni Internazionali e dei media occidentali unanimi nel chiedere a Israele di interrompere il conflitto ed evitare una “catastrofe umanitaria”.

L’intento di questo insieme di iniziative è assolutamente condivisibile da un punto di vista concettuale e umano, quello che risulta meno accettabile, e alquanto dissonante, è la mancanza di un’uguale pressione nei confronti della controparte israeliana in questo ennesimo episodio del conflitto endemico che caratterizza il Medio Oriente da circa un secolo: non ci sono voci in questa levata corale di scudi che abbiano come soggetto il ruolo di Hamas!

Anche le discutibili manifestazioni di piazza e l’occupazione degli atenei (discutibili non in quanto proteste o espressione di dissenso in termini generali, ma perché frutto di una strumentalizzazione condotta da elementi estremizzati, prive di oggettività e avulse da una reale conoscenza e un’obiettiva analisi della situazione) sono indirizzate a senso unico contro Israele, colpevole di tutti i mali, tra i quali il peggiore è quello di cercare di sopravvivere in un mondo ostile che dichiara apertamente di volere la sua distruzione, e, soprattutto, non ammettono alcuna critica nei confronti di Hamas.

Fermo restando che il tributo di sofferenza imposto alla popolazione civile (palestinese e israeliana) sia altissimo e assolutamente condannabile, e che quindi sia lecito impegnarsi per identificare una soluzione che ponga fine a una tale situazione, rimane però il punto che nessuno dei citati protagonisti abbia condotto un’analisi sulle cause che hanno riacceso il conflitto e sugli obiettivi che Hamas ha inteso conseguire con l’attacco a Israele e, soprattutto cosa vorrebbe raggiungere dopo la cessazione delle operazioni militari.

Con l’attacco dello scorso ottobre Hamas si era prefisso di raggiungere una serie di obiettivi militari e politici finalizzati a ferire lo spirito della popolazione civile dell’area, indebolire Israele e creare le premesse per l’eliminazione dello stato ebraico.

Da un punto di vista militare, in primo luogo, l’efferatezza delle modalità che hanno contraddistinto le operazioni di Hamas aveva lo scopo di suscitare una risposta immediata, violenta e non ragionata da parte di Israele che avrebbe rovesciato il paradigma vittima-aggressore (buono-cattivo) a favore di Hamas.

Successivamente, l’idea era quella di essere supportati nella lotta contro il nemico sionista mediante l’apertura di un secondo fronte in Cisgiordania e un terzo in Libano, sperando di coinvolgere, ancorché indirettamente, l’Iran nel tentativo di infiammare tutta la regione e creare le condizioni per distruggere Israele (obiettivo dichiarato nel testo istitutivo dell’Organizzazione di Hamas).

Anche gli obiettivi politici erano molteplici: riqualificare l’immagine dell’Organizzazione agli occhi della popolazione della Striscia, offuscata dalla pessima gestione governativa e in calo costante di consensi, proponendosi come il difensore dei diritti della popolazione palestinese; sabotare il processo di distensione in atto (Patto di Abramo e intesa con l’Arabia Saudita) in modo da scongiurare il pericolo che il successo di tali iniziative potesse ridefinire l’assetto della regione favorendo la distensione tra Israele e i Paesi Arabi, minando così, il potere e l’autonomia di Hamas e vanificando la sua capacità di gestire la Striscia di Gaza (cioè l’enorme flusso di fondi che Qatar e donors mondiali – tra cui l’Unione Europea – riversano quotidianamente e che avrebbero dovuto essere usati a beneficio della popolazione civile e non per rifornire l’arsenale di Hamas come avvenuto, senza che nessuno dimostrasse o protestasse con sit-in o cortei); riproporre all’attenzione internazionale il problema palestinese assumendo il ruolo di principali difensori della causa nella regione

A otto mesi circa dall’inizio del conflitto, considerato che alcuni di questi obiettivi sono stati parzialmente raggiunti, altri, invece, non sono stati conseguiti affatto; che le operazioni militari continuano e che l’odioso ricatto sulla vita degli ostaggi (cosa che nessuno si è sognato di portare davanti a qualche Corte Internazionale di Giustizia!!!) non ha prodotto i risultati sperati, Hamas ha riconfigurato la sua strategia per il futuro.

Politicamente i vertici dell’Organizzazione hanno intrapreso un’azione di ravvicinamento verso la PLO (Palestine Liberation Organization) che risulta essere profonda ostile a Mahamoud Abbas, leader della PNA (Palestine National Authority), con il fine di poter essere comunque parte di qualsiasi struttura di Governo si possa configurare a Gaza al termine delle operazioni militari.

Una tale mossa, inoltre, consentirebbe alla struttura politica di Hamas di inserirsi anche nella Cisgiordania dove la PNA risulta essere in difficoltà di consensi.

Corruzione, scarsa capacità organizzativa e mancanza di unità di intenti nella gestione della Cisgiordania hanno notevolmente eroso il credito dei vertici del PNA nei confronti della popolazione locale che potrebbe essere spinta a identificare nel PLO e nei vertici di Hamas un’alternativa alla direzione del PNA.

La possibilità di inserirsi nella nuova struttura di governance che dovrebbe essere costituita per favorire la ricostruzione di Gaza e l’assestamento dei territori, al temine dell’attuale fase militare darebbe, quindi, la possibilità ad Hamas di introdursi nel panorama politico assumendo un ruolo nel sistema di governance in collaborazione con altre formazioni politiche, senza essere avere, quindi, l’intera responsabilità del governo come invece accaduto precedentemente a Gaza.

In sintesi, Hamas sta cercando di replicare il modello libanese di Hezbollah dove l’ala politica dell’Organizzazione partecipa al sistema di governo del Paese, legittimando la sua posizione quale entità politicamente rappresentativa, mentre, l’ala militare può continuare a perseguire l’obiettivo di combattere Israele nel Sud del Paese.

Infatti, per poter replicare una simile struttura Hamas ha ripreso i contatti con Al-Fatah (l’ala militare del PLO) cercando possibili intese nonostante i profondi dissidi che avevano causato lo scontro tra le due opposte fazioni nella striscia di Gaza negli anni 2005 2007.

Il disegno strategico di Hamas sarebbe quello di qualificarsi come entità politica ed entrare a far parte della struttura statuale che gestirà i territori palestinesi, così da poter controllare e indirizzare le azioni politiche senza avere, comunque, la responsabilità totale di governo, in questo modo avrà campo libero per poter condurre con maggiore libertà e autonomia le azioni militari contro Israele, sia dal fronte Sud (Gaza), sia da quello a Est (Cisgiordania) presumibilmente supportato da Al-Fatah, nell’ottica di poter coinvolgere anche Hezbollah a Nord.

Se questo disegno strategico dovesse realizzarsi sarebbe impossibile evitare un conflitto generale nella regione le cui conseguenze sarebbero disastrose non solo per l’equilibrio del Medio Oriente.

L’azione diplomatica internazionale deve assolutamente evitare che questo possa concretizzarsi, impedendo che Hamas si possa inserire nel processo politico di riassestamento dei territori palestinesi.

Per evitare che questo possa avverarsi è fondamentale che vengano adottate tutte le possibili azioni a livello internazionale, non solo per fare cessare le operazioni a Gaza, ma soprattutto, per identificare una soluzione che consenta di stabilire delle reali condizioni di pace e di stabilità che tengano conto delle legittime aspirazioni di tutti: uno Stato per i Palestinesi e la garanzia di vivere in sicurezza per Israele.

Soluzione che, come il passato recente dimostra, è possibile costruire e perseguire ma che non deve essere rifiutata da una minoranza politica per considerazioni di potere personale.

Il problema del Medio Oriente affonda le sue radici nella storia antica e recente e per la sua risoluzione necessita del contributo e della buona volontà di tutta la comunità internazionale che è la maggiore responsabile della situazione nella regione.

Spesso sfugge a molti che il capitolo più recente di questa storia (che magari anche l’attuale Segretario Generale farebbe bene a considerare) è iniziato nel 1947 quando l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato, approvandola, la Risoluzione n.181, senza, tuttavia, preoccuparsi minimamente della reale applicabilità di una soluzione come quella proposta dalla commissione UNSCOP, (composta dai rappresentanti dei seguenti 11 Stati: Australia, Canada, Guatemala, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Cecoslovacchia, Uruguay, Jugoslavia) che stabiliva sulla carta, la creazione di due entità Statali secondo aleatori criteri dimostratesi immediatamente di difficile applicazione.

Mi si consenta una considerazione personale, anche chi protesta, occupa atenei e marcia in corteo per sostenere una Palestina libera dovrebbe avere l’umiltà di informarsi riguardo a che cosa e a chi stanno supportando: popoli che vogliono vivere in pace o strutture terroristiche che perseguono obiettivi di potere nascondendosi dietro le aspettative di una popolazione; desiderio di sicurezza e di vita oppure volontà di distruggere l’altro per il perseguimento di un’interpretazione distorta della religione o della politica; ricorso all’estremismo religioso o razziale, oppure volontà di dialogo e di comprensione?

Una volta che avranno fatto chiarezza sui motivi che li spingono a scendere in strada e si saranno liberati dei condizionamenti di una ideologia estremizzante e accecante allora la loro protesta potrà essere utile e potrà concorrere nella individuazione di una soluzione umanamente accettabile.

Disinnescare il fronte libanese

Quando a Ottobre dello scorso anno Hamas perpetrò il suo attacco terroristico nella striscia di Gaza ottenne, immediatamente, il pieno supporto mediatico delle milizie filoiraniane di Hezbollah.

Tuttavia, anche se nei mesi successivi Hezbollah ha intensificato le sue attività offensive lungo la linea di confine, costringendo Israele ad evacuare diverse decine di migliaia di residenti dai paesi in prossimità dell’area, l’intensità delle operazioni non si è tradotta in uno scontro diretto e nell’apertura di un secondo fronte per Israele.

Nonostante l’incremento delle attività da parte di Hezbollah e la conseguente crescita della risposta israeliana, a sette mesi dall’inizio del conflitto a Gaza rimane ancora un’incognita come possa evolversi la situazione nel settore nord di Israele lungo il confine con il Libano.

Ciò che appare evidente, comunque, è che la precaria situazione di equilibrio preesistente al 7 Ottobre non possa essere più ripristinata e che una nuova soluzione debba essere ricercata. Il punto nodale della questione è se tale soluzione possa essere il frutto di accordi politico diplomatici o il risultato dell’uso della forza.

Allo stato attuale, anche se il rischio di una possibile escalation rimane alto, l’atteggiamento dei principali protagonisti induce a ritenere che si voglia evitare una guerra su larga scala.

Da una parte l’Iran non ritiene di essere ancora pronto a un confronto diretto con Israele e preferisce risparmiare il potenziale di Hezbollah evitando di vedere vanificati gli investimenti fatti nell’area per sostenere una delle risorse strategicamente più importanti nell’ambito della  visione politica in chiave antisraeliana.

Dall’altra parte Israele non intende, almeno per ora, aprire un secondo fronte che comporterebbe un riposizionamento delle forze privando le operazioni a Gaza del necessario supporto specifico.

Gli USA rappresentano il terzo protagonista in quanto una escalation nel Libano comprometterebbe la posizione di Washington nell’intero Medioriente, vanificando gli sforzi diplomatico politici messi in atto dall’amministrazione Biden per avvalorare il ruolo di garante dell’equilibrio nell’area.

Quindi, quali possono essere gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione USA per evitare che l’attuale situazione di attrito si trasformi in un conflitto aperto?

Da un punto di vista diplomatico l’azione che Washington sta sviluppando si articola in due direzioni.

Innanzitutto, la ricerca di un dialogo con la fazione politica di Hezbollah che si basa sulla proposta di un soddisfacente accordo che possa portare a un cessate il fuoco. I termini dell’accordo prevedono i seguenti punti:

  • costituzione di una zona cuscinetto lungo il confine dell’ampiezza di sette chilometri che comporta il ritiro delle forze di Hezbollah;
  • riduzione delle attività aeree di Israele nel Libano meridionale;
  • spiegamento di una forza libanese per il controllo degli accordi a Sud del Litani;
  • avvio di negoziati bilaterali per la definizione delle aree di confine lungo la Blue Line, il cui possesso è oggetto di contesa.

Per supportare tale linea di azione l’Amministrazione USA propone, inoltre:

  • la possibilità di supportare Sleiman Franhgieh il candidato sostenuto da Hezbollah nell’elezione al la carica di presidente del Libano vacante da due anni;
  • l’offerta di supportare economicamente lo sviluppo del Sud del Libano e di concorrere nel pagamento del personale delle Forze Armate Libanesi.

Successivamente, un’intensificazione delle azioni tese a coinvolgere i Paesi dell’area nella ricerca di una soluzione mediata che scongiuri il pericolo di una escalation che avrebbe dannose ricadute su tutta l’area stessa rischiando di compromettere il conseguimento di una situazione di stabilità.

Da un punto di vista politico l’Amministrazione Biden, invece persegue i seguenti obiettivi:

  • supportare Israele sia a livello politico, consentendo al Governo di Netanyahu di resistere alle pressioni interne offrendo la possibilità del raggiungimento di una accordo, che anche se non pienamente soddisfacente, consenta almeno la ripresa di una certa normalità permettendo il ritorno dei circa 80.000 sfollati; sia a livello militare rendendo possibile il consolidamento delle posizioni e il ripristino di un elevato livello di efficienza in termini di materiali e scorte quale deterrente per un eventuale ripresa delle attività da parte di Hezbollah;
  • rafforzare la posizione di Washington nell’area riducendo l’attrito con l’Iran, rinsaldando il ruolo di mediatore preferenziale e di potenza in grado di pervenire alla definizione di una situazione di equilibrio nell’area mediorientale e di garantirne la continuità.

Ovviamente quanto proposto dall’Amministrazione Biden risulta essere una soluzione ottimale ma non perfetta e perché questa ipotesi articolata possa aver successo è necessario che vengano superate le perplessità e le differenze di vedute che contraddistinguono le relative posizioni degli altri protagonisti.

Hezbollah, in primis, ha l’interesse che la situazione non si trasformi in un conflitto aperto in quanto il suo potenziale militare verrebbe seriamente compromesso riducendo le sue capacità di svolgere una pressione costante nello scenario interno libanese. La possibilità di conquistare la carica di presidente del Libano aumenterebbe il prestigio del gruppo e sarebbe un ulteriore passo verso il controllo politico del Paese.

Contestualmente, esistono delle difficoltà ad accettare l’offerta di finanziare la ricostruzione del Sud del Paese da parte USA in quanto diminuirebbe il prestigio dell’organizzazione e la priverebbe della possibilità di gestire gli eventuali fondi per fini propri.

Lo stesso vale per l’offerta fatta per il pagamento degli stipendi alle Forze Armate Libanesi che diminuirebbe la possibilità di estendere il controllo sui militari per indebolire lo Stato.

Da ultimo, la creazione della zona cuscinetto con il ritiro delle forze pregiudicherebbe la narrative di Hezbollah che si basa sull’identificazione del movimento quale difensore dell’integrità del suolo libanese occupato da Israele.

Per quanto riguarda Israele, il Premier Netanyahu è sottoposto a una serie di pressioni politiche difficilmente conciliabili.

L’ala estrema della sua coalizione di governo insiste per evitare concessioni che non siano basate sulla ricerca di soluzioni di forza come premessa per uno scontro che ritengono comunque inevitabile, anche se non imminente.

Le persone che sono state evacuate dalla zona insistono perché si giunga a una soluzione che consenta il ritorno a una situazioni di normalità in una cornice di sicurezza.

Dal punto di vista militare il problema più grosso è rappresentato dalla possibilità di garantire il mantenimento degli accordi per il cessate il fuoco. In questo caso Israele insiste per la possibilità di monitorare il confine con i suoi sistemi di informazione e sicurezza; e per la riconfigurazione della missione di UNIFIL che si è dimostrata un fallimento completo (avvalorando l’ennesima ipocrisia delle Nazioni Unite nella gestione delle crisi) non essendo stata in grado di portare a termine la missione assegnata (disarmare le milizie e controllare la zona cuscinetto).

L’azione diplomatico politica di Washington è diretta a negoziare un cessate il fuoco a Gaza e, contestualmente, a evitare una escalation sul confine libanese che aprirebbe prospettive drammatiche.

L’ipotesi di soluzione individuata rimane al momento di dubbia applicabilità dati i constraints che condizionano la posizione di Hezbollah e di Israele, di conseguenza l’Amministrazione Biden deve riconfigurare la sua visione nell’individuare sia ulteriori eventuali proposte sia soprattutto utilizzare le sue risorse diplomatico politiche per smussare le posizioni dei due protagonisti determinando la possibilità di far convergere le posizioni verso una soluzione negoziale.

Il compito non risulta assolutamente facile in quanto le variabili in gioco sono numerose e particolarmente complicate, inoltre l’Amministrazione Biden non può contare sul sostegno di attori esterni (le Nazioni Unite sono completamente assenti e brillano per una passività imbarazzante, l’Unione Europea ricopre il suo ruolo di grande assente trastullandosi con la riedizione della Guerra Fredda e la Cina non ha ancora deciso se e come deve impegnarsi per svolgere il ruolo di grande Potenza che reclama di diritto) e soprattutto si avvicina un impegno elettorale che impone il conseguimento di un qualche risultato da poter sbandierare per invogliare l’elettorato.

La possibilità di un conflitto che nessuno vuole esiste ed è concreta, ma la volontà di evitare un ulteriore tragedia può spingere i vari protagonisti ad accettare una soluzione che, se non perfetta, rappresenta un punto di inizio per ulteriori sviluppi successivi, di conseguenza si può solo condividere la determinazione di Washington nel cercare di perseguire questa soluzione attraverso la diplomazia.

Pubblicato il bando del Master UniPA di I Livello in Europrogettazione e Professioni Europee

EUROPA di

L’Università degli Studi di Palermo attiva per l’Anno Accademico 2023/2024 il Master Universitario di I Livello in “Europrogettazione e Professioni Europee”, con sede presso il Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali.

Il Master, della durata di 1 anno per un totale di 1500 ore e 60 CFU, è coordinato dal Prof. Gaetano Armao e mira a fornire competenze approfondite nell’ambito della progettazione europea, per facilitare l’accesso ai finanziamenti comunitari e formare professionisti in grado di lavorare nelle istituzioni e nelle imprese che si rapportano con l’Unione Europea.

Il percorso formativo prevede lezioni frontali, seminari, tirocini e stage per 14 CFU, lo sviluppo di una tesi finale con prova finale per 6 CFU. Le attività didattiche si svolgeranno il venerdì pomeriggio e il sabato mattina.

Il corpo docente è formato da professori ed esperti dell’Ateneo palermitano e professionisti esterni: Gaetano Armao, Antonello Miranda, Salvatore Muscolino, Enzo Bivona, Angelo Cuva, Santa Giuseppina Tumminelli, Mauro Antonio Buscemi, Pietro Luigi Matta, Rosario Genchi, Emilio Vergani.

Possono accedere al Master i laureati magistrali e triennali in ambito politico, giuridico, economico, sociale, internazionale. La scadenza per la presentazione delle domande di ammissione è fissata al 15 Aprile 2024.

Attraverso il percorso formativo del Master si punta all’approfondimento della
conoscenza dell’Unione europea e dei meccanismi che ne governano la macchina
istituzionale, per consentire l’individuazione delle molte opportunità di crescita
professionale e culturale presenti nell’ambito della progettazione europea e
facilitare l’accesso ai finanziamenti europei, con particolare attenzione rispetto
alle possibilità esistenti nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027.
A conclusione del corso i partecipanti saranno in grado di adottare un approccio
strategico alla progettazione europea e presentare un progetto europeo studiato
nei dettagli. In questo senso, si metterà in risalto l’importanza data dal saper
disegnare e implementare tecniche e modelli operativi pensati nell’ambito
di una progettazione europea saldamente basata sulle evidenze empiriche
(evidence-based practices).
L’offerta formativa del Master consta di due unità didattiche interrelate e integrate
l’una con l’altra in una prospettiva d’insieme: la prima è dedicata allo studio
della storia politica e istituzionale dell’Unione europea, trattandone la questione
dei flussi migratori o quanto attiene alla politica estera e di difesa nel più vasto
scenario mediterraneo e internazionale; la seconda è finalizzata all’analisi dei temi
legati alla progettazione europea, con riferimento alle conoscenze necessarie per
la partecipazione ai bandi, approfondendo le tecniche di gestione dei progetti
europei e le strategie con cui identificare priorità delle politiche pubbliche dell’UE
funzionali alla redazione di progetti vincenti, al budgeting, alle procedure di
rendicontazione e di audit.
Coerentemente con la finalità, gli obiettivi e i risultati di apprendimento attesi, il
Master intende preparare le seguenti figure professionali: Dirigenti e funzionari
di imprese; Dirigenti e funzionari di Enti pubblici, locali e regionali; Dirigenti e
funzionari e dipendenti di Associazioni di categoria, sindacali, del terzo settore,
del volontariato, di Organizzazioni internazionali e non governative e di Università
ed Enti di ricerca; Liberi professionisti, europrogettisti a disposizione di istituzioni
e aziende; Project manager in enti pubblici e aziende pubbliche o private.

Maggiori informazioni sul bando di ammissione e le modalità di iscrizione sono disponibili sul sito: https://rb.gy/whfqpo

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Carmelo Cutuli
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