Mignosi e Ortoleva spiegano la mafia
Ottant’anni di storia della mafia in 80 minuti: impresa quasi epica riuscita a due giornalisti che quella storia l’hanno in parte vissuta. Si tratta di Enzo Mignosi e Antonio Ortoleva che nel pomeriggio del 26 maggio, al Forum Grandela della Freguesia di São Domingos de Benfica, hanno tenuto una conferenza sul tema: "Messina Denaro. La mafia di ieri, la mafia di domani". Nella sala della freguesia, circondati dalle guaches della mostra di Fernando Amaral intitolata “A Intuição”, i due giornalisti, alternandosi, hanno delineato le tappe della storia di Cosa Nostra andando a ritroso dall’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo dei grandi latitanti di mafia. Presente tra il pubblico, tra gli altri, oltre a Guido Moretti, presidente dell’AIReP che ha organizzato e ospitato la serata, anche Giulia De Vita (in piedi, nella foto), la presidente del Comites Portogallo che è intervenuta al termine del dibattito.
Enzo Mignosi, giornalista professionista dal 1977, ha studiato il fenomeno mafioso fin dall’inizio della sua carriera. Da cronista di cronaca nera e giustizia ha raccontato i casi di mafia più sanguinosi iniziati con le guerre degli anni Ottanta e i processi più delicati dell’ultimo quarto di secolo (Andreotti, Del Utri, Mannino, Contrada) e via D’Amelio. È autore dei libri Il Signore sia coi Boss (Arbor, 1994) e Cose loro (Novantacento, 2008), Mafia. I giorni della speranza (Di Girolamo, 2010), Quelli di via Solferino (Di Girolamo 2018).
Antonio Ortoleva, ex giornalista del Giornale di Sicilia, già direttore e co-fondatore del periodico antimafia “Il Quartiere nuovo” di Palermo è docente di giornalismo, a contratto, presso l’Università di Palermo. Autore di reportage di viaggi, del volume C’era una volta l’India e c’è ancora (Navarra ed.) e più recentemente con lo stesso editore Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano.
La storia di Cosa Nostra comincia nel 1943 – ha esordito Ortoleva – con lo sbarco delle truppe americane in Sicilia che cercano e trovano una sponda nell’isola. L’Antimafia nasce invece nel 1958 con un’inchiesta giornalistica dell’Ora di Palermo, in ventuno puntate, la prima della storia, e con una bomba che distrugge la tipografia. L’Ora è piccolo quotidiano del pomeriggio, con una esigua redazione di giornalisti ma con la collaborazione di intellettuali come Leonardo Sciascia, Danilo Dolci, Carlo Levi, Michele Perriera, Vincenzo Consolo, Enzo Sellerio, Renato Guttuso, Bruno Caruso. C’è anche l’allora giovanissima fotografa Letizia Battaglia. Il gruppo si misura con l’organizzazione criminale che sarebbe divenuta la più potente del mondo, nonché con i suoi padrini politici del tempo.
Sulla spinta emozionale venuta da quei fatti, il Parlamento vara la Commissione Antimafia. “Non tutto nasce – ha precisato Ortoleva – da quel piccolo giornale del pomeriggio, ma il follicolo ovarico sta lì”. A guidarlo c’è un giovane direttore che ha 35 anni, Vittorio Nisticò, ed è nato in un paesino della Calabria da famiglia borghese. Viene da Roma, è cronista parlamentare, vanta un rapporto d’amicizia con Aldo Moro. “L’Ora di Nisticò – ha affermato Mignosi – è stata la migliore scuola italiana di giornalismo”. Seppe decifrare il trasferimento della mafia rurale e delle borgate in città. Le cosche si urbanizzavano nella fase del “sacco edilizio” e della conseguente alleanza con i grandi costruttori, anche di stretta provenienza mafiosa.
Poi la stagione del traffico di eroina: Palermo era diventata la capitale mondiale della raffinazione dell’eroina che, a un certo punto, aveva fruttato alla mafia oltre 20mila miliardi di lire. La guerra di mafia tra palermitani e corleonesi, vinta da questi ultimi, portò questa immensa ricchezza nelle tasche dei corleonesi. Buscetta, con la famiglia sterminata dai Corleonesi, riparato all’estero, cominciò a collaborare con giudice Falcone e lo aiutò a delineare la struttura e i gangli di Cosa Nostra, portando all’arresto di oltre 400 mafiosi. Poi il maxiprocesso e le condanne, con 19 ergastoli. La vittoria dello Stato non era ancora, però, definitiva. Riina aveva in serbo il “grande botto” con la strage di Capaci e quella di via D’Amelio che videro come vittime i due campioni dell’antimafia: Falcone, Borsellino e i loro agenti di scorta. “Ora la cattura di Messina Denaro sembra chiudere una lunga storia di sangue che ha visto tra le vittime anche otto giornalisti – hanno concluso i due scrittori – ma ricordiamoci che le mafie italiane (oggi la ‘ndrangheta, più della mafia) hanno varcato i confini italiane e sono diventate un problema europeo, anche portoghese”.
c.p.