GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Luglio 2015 - page 5

Libia: l’accordo è monco

Primo passo nelle trattative per la costituzione di un esecutivo di unità nazionale, dirette dal mediatore Onu Leon. Il governo di Tobruk e i rappresentanti delle altre fazioni hanno ufficializzato il proprio consenso dopo mesi di trattative. Ma manca ancora l’adesione indispensabile di Tripoli.

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Domenica 12 luglio, è stato messo nero su bianco l’accordo per il governo di unità nazionale libico. A Skhirat (Marocco) il governo di Tobruk e i rappresentanti di Zintan, Misurata e di altre fazioni hanno sottoscritto il patto già nell’aria dal 3 luglio scorso. Un passo in avanti, visto il lungo lavoro del mediatore Onu Bernardino Leon. Ma un’intesa monca, visto che manca il consenso dell’esecutivo di Tripoli.

Le reazioni, tuttavia, sono state positive. Per Leon e e per i rappresentanti di Tobruk si tratta di “un primo ed importante passo verso la pace”. Mentre il governo italiano, attraverso il ministro degli Affari Esteri Gentiloni, saluta l’accordo come “un motivo di speranza e ci incoraggia a proseguire nell’impegno negoziale. Tocca adesso a Tripoli compiere un gesto importante e responsabile, aderendo all’accordo proposto dal Rappresentante Speciale ONU Bernardino Leon, con il pieno sostegno anche dell’Italia”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto, sul fronte interno, Derna, città portuale della Cirenaica, è ormai stata “persa dallo Stato Islamico”, come ha ammesso un miliziano dal volto coperto in un video diffuso sul web. Mentre gli Stati Uniti stessi, consapevoli dell’impasse politico-istituzionale del Paese, hanno deciso di rompere gli indugi e, in accordo con altri Stati africani, sarebbero pronti ad impiegare droni contro le roccaforti del Daesh in Libia. Sia il presidente Obama sia il premier della Gran Bretagna Cameron hanno evidenziato, nelle uscite pubbliche di questi giorni, che l’Isis si può sconfiggere. Ma, al tempo stesso, hanno entrambi escluso l’impiego di forze militari tradizionali a vantaggio di tecnologie che non implichino l’utilizzo diretto di truppe.
Giacomo Pratali

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Afghanistan oggi: una storia infinita

Medio oriente – Africa di

L’intervento della comunità internazionale in Afghanistan risale al 2001. La premessa alla quale il neo nato movimento talebano guidato dal Mullah Omar si affidò per comunicare la propria esistenza al mondo fu la distruzione delle statue del Buddha a Bamyan nel marzo di quell’anno. Il brivido che percorse il pianeta si trasformò, qualche mese più tardi, a settembre, in un sentimento di concreto timore. Le immagini delle Torre Gemelle che si incrinano e poi si ripiegano su se stesse, prima di crollare e rubare le vite di migliaia di persone, restano tutt’ora scolpite nella mente di chi le ha viste, quasi in diretta quell’11 settembre, o successivamente. Il nome di Osama Bin Laden, anima dell’organizzazione terroristica di matrice integralista Al Qaeda, autrice dell’attentato divenne in quei giorni tragicamente famoso. Troppo il dolore, lo scempio. Troppa la violenza e l’arroganza del nuovo leader che aveva osato sfidare l’Occidente direttamente sul suo territorio. Sulla base delle risoluzioni ONU n. 1368, 1373 e 1386 del 2001 venne intrapresa l’Operazione Enduring Freedom, con l’obiettivo di contrastare il terrorismo internazionale e distruggere la rete di Al Quaeda. In contemporanea il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dispose il dispiegamento nella città di Kabul ed aree limitrofe, della International Security Assistance Force (ISAF), missione di stabilizzazione e sicurezza, diversa e nettamente separata da Enduring Freedom. Da allora ad oggi sono passati ben 15 anni. Il 31 dicembre dello scorso anno la missione ISAF è terminata, trasformandosi nella nuova “Resolute Support” declinata in varie attività di advising e assist finalizzate ad addestrare le truppe locali afghane. Nonostante gli sforzi compiuti durante tutti questi anni dalla Nato per rendere autonomo lo stato afghano nella lotta contro il terrorismo, il quadro che si delinea attualmente conserva ancora, ben evidenti, tracce di profonda instabilità. Le elezioni presidenziali svoltesi nel 2014 per eleggere il sostituto di Karzai, hanno visto fronteggiarsi due avversari, Ashraf Ghani, esponente dell’etnia pashtun, ministro delle finanze durante la presidenza Karzai, con un passato lavorativo presso la banca mondiale e Abdullah Abdullah , tajiko, ex ministro degli Esteri ed ex esponente dell’Alleanza del Nord. Nonostante le innumerevoli accuse di imbrogli perpetrati durante le elezioni, le due parti contendenti si sono poi accordate per riconoscere la vittoria a Ghani, innescando un compromesso che è sfociato nella suddivisione delle varie cariche istituzionali. Il mondo politico afghano risente ancora, infatti – quale retaggio della struttura tribale nella quale l’ organizzazione politico-sociale dell’universo afghano affonda le radici – dell’influenza dei cosiddetti “localpowerbroker”, personalità molto influenti a livello locale che considerano il governo centrale come un’antagonista. Per poter esercitare la propria autorità politica e istituzionale, il governo di Kabul deve necessariamente scendere a patti con loro, cosa che si traduce nelle proliferazione di pratiche clientelari e nepotistiche nell’assegnazione delle varie cariche e nell’avvio sempre più frequente di iniziative volte a reintegrare nella società i combattenti talebani. Tutto questo accade mentre il popolo lotta per garantirsi la sopravvivenza. L’Afghanistan è ancora uno dei Paesi più poveri al mondo. L’economia è sostenuta principalmente dai contributi offerti da finanziatori esteri mentre la maggior parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La disoccupazione colpisce circa il 35% della comunità afghana nonostante il miglioramento dei sistemi di trasporto e della produzione agricola che negli ultimi dieci anni hanno permesso di garantire ad un ulteriore 10% della popolazione una fonte di sostentamento. L’Afghanistan resta, ignorando i tentativi di conversione effettuati, il primo produttore al mondo di oppio dal quale l’insorgenza trae profitto per finanziare la sua attività. L’analfabetismo è ancora uno dei fenomeno più diffusi, in grado di coinvolgere circa il 70% della popolazione. La formazione scolastica femminile è ancora osteggiata dall’insorgenza talebana che prende di mira proprio le scuole femminili. Tribù e clan conservano rispetto allo stato centrale uno status privilegiato che rende la loro influenza superiore rispetto a quella del governo nazionale. Il codice d’onore del Pashtunwali e le leggi tribali hanno prevalenza sulle leggi scritte nazionali. La situazione femminile, dopo 15 anni di presenza occidentale, è migliorata solo nelle grandi città, mentre nelle campagne le donne continuano a portare il burka e ad essere sottomesse. Oggi, nonostante la fine di Isaf e l’avvio della missione “Resolute Support”, le ANDSF, Forze Speciali Afghane, non sono ancora in grado di mantenere un capillare controllo del territorio in modo autonomo. La loro struttura risulta indebolita da vari fattori, dalle diserzioni, dalla scarsa efficacia dovuta ad addestramenti superficiali, dalle logiche nepotistiche che regolano le assegnazioni dei ruoli e dal fatto che assetti aerei, reti di intelligence e supporto di fuoco dipendono ancora dalle forze di coalizione. Ampie zone del Paese infatti risultano ancora escluse dal controllo esercitato dal governo afghano, in particolare nelle province al confine con il Pakistan dove molto attivo è l’Hakkani Newtwork, termine con il quale viene indicato il gruppo di insurrezionalisti islamici molto vicino ai talebani guidati da Maula Jalaluddin Haqqani insieme al figlio Sirajuddin. Forti della debolezza mostrata dalle Forze Speciali Afghane i Talebani continuano ad attaccare, mentre l’Isis timidamente si affaccia. L’Afghanistan continua a rappresentare una realtà a se, autonoma ed estremamente caratterizzata rispetto alle altre anime che compongono il delicato mosaico denominato Medio Oriente. Per questo la distanza che separa l’Afghanistan dal teatro siro-iracheno, ed il modello statuale dei talebani rispetto a quello dell’Isis, rendono al momento piuttosto difficoltosa la penetrazione dello Stato Islamico all’interno delle complesse dinamiche afghane.

La Turchia che cambia fra Hdp e liberazione di Ocalan

Medio oriente – Africa di

La folla acclamava festante i candidati del partito curdo HDP guidato dal suo presidente Salahattin Demirtas quando il 5 giugno scorso si sono presentati agli abitanti di Diyarbakir, città della Turchia meridionale. Poi, ad un tratto lo scoppio. Una detonazione principale e tre minori che hanno provocato morti e soprattutto feriti. “Gli occhi bruciano, l’aria è irrespirabile, corrode la gola – scrive pochi minuti dopo la fuga Fulgida Barattoni, presidente di IPB-Italia, presente al comizio dopo la mattinata trascorsa in compagnia di Demirtas ed altre associazioni e sindacati nell’ambito dell’evento dedicato alle componenti della società civile. “La pelle delle braccia “brucia”, c’è tanto fumo. Scendiamo dal palco attorniati da un cordone di sicurezza che gradualmente diventa sempre più debole. Un altro scoppio, altro fumo, feriti a terra. Tutti su buttano sul terreno, il mio gruppo salta un muro di 4 metri. Sotto c’è un prato ma io ho i tacchi alti. Vanno veloci e non posso perdere il gruppo ed essere inghiottita dalla folla. Tolgo le scarpe e mi butto su una siepe per attutire la caduta. Mi afferro alla punta di un albero e mi butto. Corro per raggiungere il gruppo mentre altro fumo denso di gas acido si spande. Non riesco a tenere gli occhi aperti. Ci confondiamo alla folla che scappa mentre le ambulanze vanno e vengono. Sono tutta sporca e la pelle brucia”. Attimi intensi, drammatici, pieni di tensione, paura. L’attentato non è stato rivendicato ma imputato allo scoppio di un generatore . Le elezioni si sono svolte due giorni dopo decretando il successo della minoranza curda che è riuscita a superare la soglia sbarramento del 10% delle preferenze imposta dal governo Erdogan entrando per la prima volta in Parlamento. Una vittoria significativa che si riflette sul movimento che invoca la liberazione di Ocalan, vera anima del partito. Dal carcere di Imrali nel mar di Marmara, dove è detenuto dal 2002 (ed in isolamento fino al 2013), quando la pena di morte alla quale era stato condannato nel 1999, anno dell’ arresto avvenuto a Nairobi, è stata tramutata in ergastolo, Ocalan non ha mai smesso di sostenere la lotta per l’affermazione del popolo curdo, condensata nell’ideologia e nella lotta condotta dal PKK, il partito dei lavoratori curdi, di cui è stato fondatore. L’Hdp, il partito democratico del popolo guidato da Demirtas, rappresenta una nuova corrente del partito che affonda le radici nell’ideologia di sinistra e propone un processo pacifico di affermazione della minoranza curda. Trattative in tal senso erano state già avviate da Ocalan con l’ex premier Erdogan, al fine di intraprendere un percorso di pace, ancora in corso, in grado di chiudere il conflitto in corso da 30 anni che ha provocato ben 40.000 morti. Dal settembre 2012 la liberazione di Ocalan è sostenuta dalla comunità internazionale curda con il sostegno di vari movimenti di solidarietà europei. La campagna di raccolta firme organizzata ha permesso di consegnare il 13 febbraio 2015 ben 10.328.623 firme al Consiglio d’Europa a Strasburgo raccolte nei vari paesi. Per comprendere i sentimenti del popolo curdo nei confronti di Ocalan, basta leggere quando riportato dal sito www.retekurdistan.it. ” Nonostante le gravi condizioni di isolamento – si legge – la sua capacità di vedere in avanti e di prendere decisioni che rafforzano la posizione del popolo curdo e l’amicizia tra i popoli hanno ulteriormente rafforzato l’accettazione del popolo curdo che ha abbracciato Öcalan come proprio leader. La sua rigida carcerazione non ha impedito al suo prestigio e alla sua statura di crescere e di guadagnare forza. Il motivo è così semplice, e deve essere ricercato nella sua leadership messa alla prova nel corso degli anni, nonostante le gravi e mutevoli condizioni politiche. Il fatto che Öcalan e il movimento di liberazione siano stati in grado di condurre il popolo curdo dal punto della “non esistenza” e da ostacoli che mettevano in pericolo la vita fino alla ricerca di un modo alternativo di vivere, è ciò che ha reso la fiducia in lui incrollabile. Le sbarre della prigione- conclude l’autore – non sono mai diventate per lui un ostacolo per superare la colonizzazione e aumentare le richieste di libertà. Ha ispirato e continua ad ispirare la domanda di libertà del popolo curdo. Öcalan è il simbolo della lotta del popolo curdo contro la negazione e il colonialismo, e la maggior parte dei curdi lo vede come la garanzia della pace e della democrazia

EUROPOL supported spanish police against cyber criminal

Breaking News Tv/Defence/Europe di

Europol has supported Spanish police* in an operation codenamed Walker, to take down a serious cybercriminal group during a coordinated action in Barcelona. With on-the-spot support from Europol, the action in Spain on 6 July resulted in the arrest of nine suspects, the dismantling of a sophisticated illegal call centre, six house searches and the seizure of numerous pieces of evidence; over 100 mobiles phones and stolen SIM cards, more than EUR 10 000 in cash, credit cards, computer equipment and other devices were taken away for further forensic examination.

The aim of this investigation was to target the cybercriminals and their accomplices who were involved in large scale telecommunication fraud as well as channelling and cashing-out the proceeds of their crimes. The criminals made fraudulent phone calls to premium service numbers set up and managed by other members of the criminal group based outside the EU. Each cybercriminal had their specialty and the group was involved in receiving mobile phones stolen from tourists in Spain, then harvesting and misusing the foreign mobile numbers (until they were blocked by the telecom operators in their countries), before then sending the money earned abroad.

Law enforcement analysed thousands of financial transactions to reconstruct the money flows and destinations across several jurisdictions. The criminal group relied on a network of accomplices who operated the destination bank accounts.

This was a very active criminal group and the damage caused by them is estimated to be at least EUR 2 million, affecting victims in various countries.

This international revenue share fraud (IRSF) is an insidious form of organised criminal activity that generates significant profits for the criminal groups and undermines the legal economy. The global estimated illegal income from this type of crime is more than EUR 45 million. Cooperation between law enforcement authorities, Europol and the telecommunication companies was crucial for the success of this operation, which represents a milestone in this specific area of digital crime.

Yemen: hope for truce

Middle East - Africa di

The President grants the UN requests. The peace movement has connected to certain guarantees. More than a million are the refugees after three months of conflict.

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The Yemeni government announced its agreement to the truce requested by the United Nations. A temporary peace which looks converge the Houthi movement. A choice which, as admitted by a Yemeni spokesperson, will be constrained by clear guarantees.

The first is the release of prisoners, including the Minister of Defense, from Houtii. The second, however, is that the same Shiites leave the four occupied provinces.

This is a small step forward in a geopolitical context so hot. The United Nations, as well as many non-governmental organizations, have recently reported crimes against the Yemeni population.

The numbers have not mince words. More than 1500 civilians killed, over a million refugees. And the same refugee camps targeted by the Sunni coalition led by Saudi Arabia and supported by the United States. So, the peace is essential to bring aid to the displaced and to create humanitarian corridors.
Giacomo Pratali

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Yemen: sì del governo alla tregua

Medio oriente – Africa di

Il Presidente accoglie le richieste dell’Onu. La pace con il movimento Houtii è comunque legata ad alcune garanzie. Sono più di un milione i profughi dopo tre mesi di conflitto.

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Il governo yemenita ha comunicato il proprio assenso alla tregua chiesta dalle Nazioni Unite. Una pace provvisoria, su cui sembra concordare la parte antagonista alla coalizione saudita che da tre mesi sta bombardando il Paese, il movimento Houtii. Una decisione che, come ammesso da un portavoce dell’esecutivo, sarà vincolata rispetto ad alcune garanzie.

Due in particolare. La prima è il rilascio dei prigionieri, in special modo del Ministro della Difesa, da parte degli Houtii. La seconda, invece, è che lo stesso movimento d’ispirazione sciita lasci le quattro province occupate.

Una squarcio di sereno, dunque, in un contesto geopolitico caldo come quello dello Yemen. Dalle stesse Nazioni Unite, così come da molte organizzazioni non governative, sono arrivate continue denunce sugli orrori a cui è stata sottoposta la popolazione yemenita.

I numeri parlano chiaro. Più di 1500 morti tra i civili, oltre un milione di profughi. E gli stessi centri d’accoglienza presi di mira dai caccia della coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dagli Stati Uniti. Ecco, quindi, che la tregua, seppure flebile, appare indispensabile per portare aiuto agli sfollati, creando corridoi umanitari.

 

Giacomo Pratali

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Cina: al via joint venture per costruzione sedili di aeromobili

Asia/ECONOMIA/INNOVAZIONE di

E’ stata costituita una joint venture, con sede a Hong Kong, tra la società di consulenza italiana facente capo a  Fredrik Meloni e il gruppo di investitori di Chongqing per la costituzione di un impianto produttivo di sedili di aeromobili presso la nuova zona di sviluppo di Liang Jiang. Si tratterà del primo impianto industriale di questo tipo in Cina, che consentirà alla joint venture di produrre sedili secondo i più elevati standard internazionali in tema di sicurezza. Passo successivo alla costituzione della jv sarà l’insediamento della nuova società presso la zona industriale della AIIG nella nuova zona di sviluppo di Liang Jiang.

Turchia: Nuovo Pignone si aggiudica contratto da 70 mln per gasdotto Tanap

BreakingNews/ECONOMIA/Energia/EUROPA di

L’azienda fiorentina Nuovo Pignone, capofila della divisione Oil and Gas della multinazionale americana General Electric, si è aggiudicata un contratto da 70 milioni di euro per la fornitura delle prime due stazioni di compressione del Tanap, il gasdotto trans-anatolico che con i suoi 1.850 chilometri di tubature porterà il gas del Caspio fino in Europa tramite la connessione con il Tap.

Questo contratto  segna un nuovo importante successo dell’Italia in un settore, quello energetico, su cui la Turchia sta investendo ingenti capitali, con l’obiettivo di trasformare il Paese nel principale snodo di transito di gas naturale nel Mediterraneo.

China, the Stock Market falls down

Asia @en/BreakingNews @en di

Almost 35% of the values lost since June, about 3000 billion dollars. Yesterday, the Shanghai Composite 5.9%. More than the Greek crisis, the International Community is watching to The dramatic sell-off in China’s main stock market . Shanghai and Shenzhen grew about 150% since June 2015. Then, the bubble.

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After this opening, other 500 listed companies in China have suspended their negotiations, bringing the total to 1,476 titles still, more than 50% of the total. The China Securities Regulatory Commission, the agency in charge of monitoring stock market, talks about”panic among investors.” Meanwhile, this fall is compared to Wall Street in 1929. The effects are in underway. Yesterday, Nikkei lost 3,1%, Hong Kong closed down 5,8%.

Communist Party is the real loser. Its promises of growth have not been kept. And the creation of a dedicated fund of $ 19 billion has been useless. The government would want to relieve the real economy as stock market losses hit consumer spending. CITIC Securities International, Chinese broker company, has clamored for cutting interest rates to limit the damage to the outbreak of this stock market bubble.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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