GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Luglio 2015 - page 4

Hacking team: benvenuti nell’era della cyberwar

BreakingNews/INNOVAZIONE di

Quattrocentoventi Gigabyte di dati trafugati e pubblicati in rete, codici sorgente di software sofisticatissimi divenuti di pubblico dominio, decine di stati coinvolti, milioni di euro andati in fumo, gravi profili di violazione dei diritti umani, sicurezza nazionale dell’Italia a rischio, indagini della magistratura. E non è la trama di una fiction, ma la cronaca di una spy story che coinvolge una società italiana, la Hacking Team.

UN BUSINESS DI SUCCESSO

Fondata a Milano nel 2003 dal CEO David Vincenzetti, Hacking Team è diventata una delle più importanti aziende del mondo. La sua industry: intelligence offensiva. La killer application: Remote Control System (RCS)- Galileo, un malware in grado di installarsi su qualsiasi piattaforma collegata alla rete, pc, tablet o smartphone e prenderne segretamente possesso. Il sogno di ogni agenzia d’ intelligence che si rispetti. E, infatti, i clienti sono fioccati fin da subito. Polizia Postale e AISE in Italia, DEA americana, contatti con l’FBI e con i servizi di mezzo mondo: Turchia, Messico, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Marocco, Nigeria, Egitto, Corea del Sud e altri ancora. Via della Moscova, sede della HT, in questi anni è diventata l’ombelico del mondo dello spionaggio. Un’ eccellenza italiana, direbbero i fautori del politicamente corretto, che nel corso del tempo ha costruito un rapporto privilegiato con il Governo Italiano, che in più un occasione è intervenuto in aiuto della società quando questa ha avuto problemi. A partire dall’interessamento di alcuni investitori istituzionali, quali Innogest e FinLombardia Gestioni Sgr, che hanno erogato finanziamenti consistenti finanziamenti, sui quali vige un riserbo strettissimo.

ONG E ONU

Inevitabili, in un business di questo genere, i problemi. A cominciare da quelli con alcune organizzazioni internazionali, governative e non, che da diverso tempo puntano il dito contro i “prodotti” offerti dalla società italiana.

Human Rights Watch, Privacy International e CitizenLab da tempo sostengono che Galileo, commercializzato liberamente come un qualsiasi software, dovrebbe essere sottoposto alle stesse limitazioni vigenti per le armi. Ne dovrebbe essere quindi inibita la fornitura a regimi, quali quello del Sudan, che sono al bando da parte della comunità internazionale per la conclamata violazione dei diritti umani, portando anche ad un’inchiesta dell’ONU. E sembra certo che in più di un occasione RCS sia stato utilizzato per spiare giornalisti che conducevano inchieste contro i governi. Nonostante queste accuse l’HT è sempre riuscita a minimizzare, mantenendo un profilo basso, e a rimanere abbastanza lontano dalle luci della ribalta.

Altre difficoltà invece, sono arrivati dal fronte interno, e in particolare dal MISE che da tempo cerca di regolamentare il settore introducendo il principio, basato sulle direttive europee, di preventiva autorizzazione alla vendita di un software che avrebbe una caratteristica duale, civile e militare. Per tutelare il business, Vincenzetti ha fatto ricorso a tutti i suoi contatti istituzionali, trovando una sponda con Palazzo Chigi, il cui intervento ha consentito il rinnovo di contratti altrimenti destinati ad essere interrotti. Complice la Ragion di Stato, dato il larghissimo uso di Galileo da parte dell’intelligence nazionale, l’Italia ha “fatto sistema”, tanto per rimanere al politicamente corretto.

LA VIOLAZIONE

Niente in confronto, però, a quanto successo nel corso del mese di Luglio del 2015. Alle 3.15 del 3 Luglio, infatti, Vincenzetti veniva allertato di una violazione dei sistemi aziendali che hanno portato al “furto” di 420 GB di dati successivamente diffusi su Wikileaks. Migliaia di email, codici di programmazione e dati riservati portati all’attenzione del grande pubblico. Un tweet, diffuso dall’account di un certo Phineas Fisher, che proclama: ““Scriverò come Hacking Team è stato bucato solo quando avranno fallito il tentativo di capire cosa è successo e saranno fuori dal mercato”. Il caso diventa mondiale, il direttore dell’AISE parla di una grave danno alla sicurezza nazionale, la magistratura apre delle inchieste tutt’ora in corso. I problemi sono tanti, complessi e si intrecciano uno con l’altro. Innanzitutto, chi è l’autore del furto: un hacker isolato, un gruppo di attivisti, o un governo? Amico o nemico? Ex dipendenti passati alla concorrenza? E come è stata possibile una violazione di tale entità senza che l’HT riuscisse ad accorgersene per tempo? La difficoltà dell’impresa, lasciano intendere diverse fonti, fa ritenere possa essere stato un governo, ma quale?

Dal materiale messo in rete, intanto, emergono anche questioni alcune questioni di fondo che stanno facendo discutere tutta la comunità internazionale circa il confine fra diritti umani, lotta al terrorismo e sviluppo della tecnologia.

Il caso è complesso, e non passa giorno in cui non emergano i fatti e interrogativi nuovi, anzi sembra, a leggere le fonti che si trovano in rete, che qualcuno tragga vantaggio dalla confusione.

Al momento di sicuro c’è che la CyberSecurity è finalmente entrata nel cono di attenzione dell’opinione pubblica come una delle issue determinanti del dibattito sulla sicurezza internazionale.

European Affairs continuerà a seguire e dare conto della vicenda di HT e proporrà presto degli appronfodimenti ad hoc sul tema.

PR25-2015 – Europe’s MSG-4 weather satellite delivered into orbit

BreakingNews @en/Innovation di

The last weather satellite in Europe’s highly successful Meteosat Second Generation series lifted off on an Ariane 5 launcher at 21:42 GMT ( 23:42 CEST) on 15 July from Europe’s Spaceport in Kourou, French Guiana.

The two-satellite MSG system provides up-to-date weather coverage over Europe and Africa every 15 minutes and ‘rapid scan’ imagery over Europe every five minutes.

Some 40 minutes after launch, MSG-4 separated from Ariane 5 into the planned transfer orbit. Over the next 10 days, the satellite’s propulsion system will raise it into a geostationary orbit some 36 000 km above the equator, where its speed matches Earth’s rotation.

Once these initial efforts are completed by ESA’s European Space Operations Centre in Darmstadt, Germany, MSG-4 will be handed over to the satellite’s owner, the European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites – EUMETSAT – to commission the payload.

ESA’s Director General, Johann-Dietrich Woerner, commented, “After just two weeks as the new DG for ESA, it has been a pleasure not only to witness the launch of this satellite, but also observe the continued cooperation between ESA and EUMETSAT.

“Tonight’s launch allows the continuation of high-quality observations of weather from space, including rapid detection and warning of extreme weather situations – imperative for keeping European citizens safe.”

After commissioning, MSG-4 will become Meteosat-11 and be ‘stored’ until it replaces one of its predecessors. It will then ensure the continuity of the data until the first Meteosat Third Generation (MTG) satellites enter service, expected in 2019 and 2021.

“We have learnt a lot from the long-term storage of satellites, which we can use for other operational systems such as the Sentinels,” noted Volker Liebig, Director of ESA’s Earth Observation Programmes.

“The excellent health of the Meteosat satellites in orbit means the launch of MSG-4 comes five years later than expected.”

ESA’s contribution to weather and climate watch is not limited to the Meteosat series of satellites – it has also developed the Meteorological Operational satellites MetOp, also operated by EUMETSAT.

Additionally, the ESA-developed Sentinel-4 and -5 missions dedicated to monitoring the composition of the atmosphere for Europe’s Copernicus programme will be carried on the MTG and MetOp Second Generation satellites, respectiv

Srebrenica: un massacro che compie vent’anni

EUROPA/POLITICA/Varie di

I Balcani sono più di un’espressione geografica, molto di più. Lingue, religioni, simpatie, tradimenti, massacri, contaminazioni e scambi culturali; gli autoctoni e gli arrivati da lontano; il latino, il cirillico e l’ellenico.Un ventennio, al giudizio di popolazioni che si rinfacciano ancora oggi l’epoca bizantina e i 500 anni di dominazione ottomana, quanta peso storico porta? Un peso inquietante, un macigno se si chiama Srebrenica.

Il premier serbo Vucic è stato contestato con rabbia determinata, lancio di pietre e altri oggetti alla celebrazione dei vent’anni dal massacro. A poco servono le annotazioni bosniache su”disturbatori venuti da fuori”. A che servono, se non a mettere una pezza a un sentore incontrollabile, all’odio che trova a tutt’oggi terreno fertile nell’oblio, nell’impunità, nella latitanza pluriennale dei responsabili, dell’una e dell’altra parte, di quei giorni feroci?

“Sono passati 20 anni dal terribile crimine commesso e non ci sono parole per esprimere rimorso e dolore per le vittime, così come rabbia e rancore verso coloro che hanno commesso questo crimine mostruoso. La Serbia condanna in modo chiaro e senza ambiguità questo crimine orribile” ha scritto Vucic in una nota “ed è disgustata da quanti vi hanno preso parte e continuerà a portarli davanti alla giustizia. La mia mano resta tesa verso la riconciliazione”.

Apprezzabile la partecipazione conciliatoria e l’esperienza diplomatica a 360° del premier serbo da quando è stato eletto, ma manca la definizione di “genocidio” ne dizionario politico serbo di quanto accadde nella guerra di Bosnia. Lo dice Obama, lo dice anche il Presidente Mattarella : “fu genocidio”, dichiarano.

“ Per genocidio s’intendono gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, secondo la definizione adottata dall’ONU.

Allora, mettiamo insieme quello che di significativo abbiamo per accettare o meno una definizione che poco cambia nel bilancio della storia, ma tanto disturba nella presa delle responsabilità: “Uccidere 50mila musulmani in più non porterebbe a niente. Recupereremo in seguito. La nostra vera priorità è sbarazzarci della popolazione musulmana”, scriveva Ratko Mladic, il boia di Srebrenica nei suoi diari segreti. “I musulmani sono il nemico comune nostro e dei croati, dobbiamo cacciarli in un angolo dal quale non possano più muoversi”.

Le 3500 pagine raccolte in 18 quaderni sono la prova più schiacciante degli intenti sciovinisti di quella elite militare e paramilitare serba che pretese di fornire una sorta di “soluzione finale” adoperandosi in una pulizia etnica bella e buona nel triennio 1992-1995.

Nella cittadina bosniaca di Srebrenica, oltre 8 mila uomini , bambini, giovani e anziani musulmani , venivano uccisi a colpi di mitraglia e poi nascosti in fosse comuni scavate dalle milizie serbo-bosniache del generale Ratko Mladić quel 11 luglio 1995. Un massacro passato alla storia come la più grave carneficina in Europa dai tempi della Seconda Guerra mondiale.Secondo i dati ufficiali, i morti fuorono 8372, secondo altre fonti si tratterebbe di circa 10mila persone.

Cosa significa un ventennio dal massacro di Srebrenica? Significa l’identificazione in corso di morti ancora senza nome.

Nigeria and Cameroon: over 70 killed

Middle East - Africa di

Boko Haram have still signed other slaughters. About 200 victims since beginning of July. The Jihadist organization have also offered the 200 Chibok students kidnapped in April 2014 in return for sixteen detained militants.

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Boko Haram is continuing to claim victims. Over 70 killed in the last days in State of Borno and in Fotokol, Cameroon, Terroristic organization is revealing its vitality after the African countries alliance in the last months.

After the condemnation of the United Nations, President Buhari has removed the leaders of the Armed Forces, following criticism received. However, after the bloody actions of this July, which weaked many Muslim religion victims, it’s clear that Boko Haram is judging as a “traitor” the new head of state elected in March because it’s a moderate Muslim. And it justifies last slaughters in Nigeria, Cameroon and Chad.

Meanwhile, on 8th July, a NGO’s representative have reported an exchange proposed by Boko Haram to the Nigerian government. The terrorist organization would release 200 Chibok students, abducted in April 2014, in exchange for sixteen jihadists captured by the army.
Giacomo Pratali

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Nigeria e Camerun: oltre 70 morti

Medio oriente – Africa di

Proseguono le stragi firmate Boko Haram. L’organizzazione jihadista avrebbe tuttavia chiesto al governo presieduto da Buhari di scambiare le 200 studentesse di Chibok, rapite lo scorso anno, con alcuni leader catturati dall’esercito.

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Continua l’offensiva di Boko Haram in Nigeria e nei Paesi limitrofi. I villaggi dello Stato di Borno e Fotokol, Camerun, sono stati presi d’assalto dalle milizie jihadiste negli ultimi giorni, causando oltre 70 morti. Un’azione di forza atta a dimostrare ancora di più la forza della cellula terroristica affiliata al Califfato, nonostante gli Stati della zona abbiano cercato di reagire nei mesi scorsi.

Dopo la secca condanna delle Nazioni Unite, critiche anche nei confronti dell’immobilismo Nigeria, Ciad, Niger e Camerun, il presidente Buhari ha rimosso i vertici delle Forze Armate, a seguito delle aspre contestazioni ricevute in patria. Tuttavia, dopo le cruenti azioni di questo luglio, causa di numerose vittime di religione musulmana, appare sempre più evidente che Boko Haram giudichi come “traditore” il comportamento del Capo dello Stato eletto a marzo, anch’egli di fede islamica. E questo giustifica, in parte, il ritorno ad un modo di agire così cruento.

Intanto, l’8 luglio scorso, un rappresentante di un’organizzazione non governativa avrebbe riferito di uno scambio proposto da Boko Haram al governo nigeriano. L’organizzazione terroristica, infatti, avrebbe riferito di essere disposta a liberare le 200 studentesse di Chibok, rapite nell’aprile 2014, in cambio di sedici leader jihadisti catturati dall’esercito di Lagos. Una trattativa ancora in fase di stallo, ma già iniziata lo scorso dall’ex presidente Goodluck: l’accordo non fu trovato perché l’esecutivo sarebbe stato in possesso solo di quattro dei sedici prigionieri rivendicati.
Giacomo Pratali

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Iran nuclear deal: pros and cons

After 16 days of negotiations, yesterday the US, EU, Russia, Great Britain and China, and Iran reached historical deal on the nuclear program in Vienna. A pact that works for reduction of he production of uranium in Teheran for the next 10 years. And, at the same time, it stops sanctions and trade sanctions.

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Although this is the formal end to decades of conflict with the West, especially during the Presidency of George W. Bush, the Israel’s contrary reaction and the contemporart and inconsistent alliance between Washington and Sunni’s countries, like Saudi Arabia, could be a warning for the International Community.

Inspired by the cartel the previous April 3, the agreement includes four key points. The cut of 98% of the stocks of enriched uranium. The use of centrifuges reduced to two-thirds. The possibility, not automatic,of Alea inspections on Iran’s nuclear facilities, after approval of the court arbitrary composed by the same countries that have signed the agreement. The gradual reduction of the arms embargo within the next five years. The UN resolution is expected next week, when it meets the Security Council.

The heart of the matter between the US and Iran is mainly the use of enriched uranium for civilian and not military. But also there’s the will to create a diplomat axiswith the biggest Shiite state in the Middle East, able to support the Assad regime in Syria or Hezbollah in Lebanon and decisive in the reconquest of the north-western territories in Iraq, now under the Caliphate.

Additionally, beyond this agreement, there’s the oil question. Iran is the fourth largest producer in the world and, with the end of the embargo, will increase its production. The effect could be the oil drum’s fall in price on the International Markets. Moreover, until the seventies, Europe was the first foreign market for Teheran.

US President Obama said: “No deal means a greater chance of more war in the Middle East. America negotiated from a position of strength and principle and stopped the spread of nuclear weapons. The comprehensive, long-term deal, demonstrated that American diplomacy can bring meaningful change”. And warned Congress he would veto any legislation that prevented its successful implementation.

Iranian President Hassan Rouhani talks about “historic deal which opened a new chapter in Iran’s relations with the world”. Eu High Representative Mogherini thinks that the deal is ‘a sign of hope for the entire world’. While is a “sigh of relief for the entire world” in Russian President Putin’s opinion.
The chorus, however, was not unanimous at all the International Community. Predictably, Israel’s response was not long in coming: “The agreement is a historical mistake. “The world is a much more dangerous place today than it was yesterday. The leading international powers have bet our collective future on a deal with the foremost sponsor of international terrorism. “In the coming decade, the deal will reward Iran, the terrorist regime in Tehran, with hundreds of billions of dollars. This cash bonanza will fuel Iran’s terrorism worldwide, its aggression in the region and its efforts to destroy Israel, which are ongoing”. Whereas an official of the government of Saudi Arabia denounced the possibility that Iran could “devastate the Middle East”.

The contradictions within the deal, as the contemporary US alliance with Saudi coalition in Yemen against Houtii (Shiite’s faction supported by Tehran), could bring a long-term strategy. The chance given by the United States and its allies to Iran is directed to the Iranian civil society. The opening to the outside could bring the Shiites and the Sunnis to talks again. This could be an effective weapon against the expansionism of the Islamic State.

Not only abroad. Much of the criticism have come from the United States’s press. Bret Stephen (Wall Street Journal) said that “the agreement will be disastrous” and “unlikely Iran’s foreign policy will change”. Indeed, the deal could backfire on Washington.

 

Giacomo Pratali

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Accordo nucleare Iran: i dubbi e i sospiri di sollievo

A Vienna, Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna, Cina, Russia firmano lo storico accordo con l’Iran. L’utilizzo per scopi civili e non militari dell’uranio arricchito da parte di Teheran fa da contraltare alla fine delle sanzioni e dell’embargo. Le reazioni di Israele e dell’Arabia Saudita, nonché le critiche provenienti dalla stampa statunitense, lasciano perplessità sui futuri sviluppi geopolitici nel Medio Oriente.

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Dopo 16 giorni di negoziati, ieri a Vienna è stata raggiunta la storica intesa tra Usa, Ue, Gran Bretagna Russia e Cina, e l’Iran sul programma nucleare. Un accordo di portata storica, come definito dalle parti in causa. Un’intesa che da una parte punta alla riduzione della produzione di uranio di Teheran per i prossimi 10 anni. Dall’altra, pone fine alle sanzioni e all’embargo per quanto riguarda il commercio. Sebbene ponga, in modo formale, fine a decenni di conflitto con l’Occidente, il cui apice c’è stato durante l’amministrazione di George W. Bush, le reazioni negative da parte di Israele e le contraddizioni con le alleanze di Washington con partner del Medio Oriente, Arabia Saudita su tutti, suonano come un campanello d’allarme per la comunità internazionale.

Prendendo spunto dall’intesa dello scorso 3 aprile, l’accordo messo nero su bianco dal ‘5+1’ consta di quattro punti fondamentale. Il taglio del 98% delle scorte di uranio arricchito. L’utilizzo delle centrifughe ridotto a due terzi. La possibilità, non automatica, degli ispettori di Alea di effettuare ispezioni presso gli impianti nucleari iraniani, dietro il consenso del tribunale arbitrario formato dagli stessi Paesi che hanno sottoscritto l’accordo. La graduale riduzione dell’embargo sulle armi entro i prossimi cinque anni. La risoluzione Onu in materia è prevista la prossima settimana, quando si riunirà il Consiglio di Sicurezza.

Punti che mirano al nocciolo della disputa tra Usa e Iran: l’utilizzo dell’uranio arricchito per usi civili e non militari. Ma che hanno anche l’intento di creare un corridoio diplomatico privilegiato con il più grande Stato sciita del Medio Oriente, capace di sostenere il regime di Assad in Siria o gli Hezbollah in Libano e determinante nella riconquista dei territori nord-occidentali iracheni, finiti sotto l’ombra del Califfato.

In più, questa intesa consente di aprire un vaso di pandora enorme dal punto di vista del commercio. Basti pensare al petrolio. L’Iran è il quarto produttore al mondo e, con la fine dell’embargo, è pronto ad aumentare la produzione di greggio, con una conseguente diminuzione del prezzo al barile sui mercati internazionali. Inoltre, fino agli anni Settanta, l’Europa era il primo mercato estero per Teheran.

Sono questi aspetti geopolitici ed economici a spingere le dichiarazioni entusiaste dei protagonisti dell’accordo di Vienna. Il presidente Usa Obama ha affermato che “grazie all’accordo, la comunità internazionale potrà verificare che l’Iran non sviluppi l’arma atomica. È un accordo che non si basa sulla fiducia ma sulla verifica”. E si è detto pronto a porre il veto, presso il Congresso, nel caso in cui i repubblicani “si opponessero all’attuazione della legge”, ha ammonito il capo della Casa Bianca.

“Penso che questo sia un momento storico: l’accordo non è perfetto ma è il migliore che potevamo raggiungere”, ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Zarif. Mentre il presidente Rohani ha incalzato dicendo che “nessuno può dire che l’Iran si è arreso. L’accordo è una vittoria legale, tecnica e politica per l’Iran, che non sarà più considerato una minaccia mondiale”.

Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea, parte attiva dei negoziati, parla di “nuovo capitolo nelle relazioni internazionali”, mentre per il presidente russo Putin “il mondo tira un grosso sospiro di sollievo”.

Il coro, però, non è stato unanime presso tutta la comunità internazionale. Come prevedibile, la reazione di Israele non si è fatta attendere: “ È un errore di portata storica – ha tuonato il presidente Netanyahu al telefono con Obama-. Questo accordo minaccia la sicurezza di Israele e il mondo intero. Quanto avete concordato con l’Iran gli consentirà di avere armi nucleari entro 10-15 anni se rispetteranno l’accordo. Altrimenti, anche in minor tempo”. Mentre un funzionario del governo dell’Arabia Saudita denuncia la possibilità che l’Iran possa “devastare la regione”.

Le contraddizioni in seno all’accordo, come la contemporanea alleanza degli Stati Uniti con la coalizione saudita nello Yemen contro gli Houtii (fazione sciita appoggiata da Teheran), portano dietro di sè una strategia di ben più ampio respiro. La chance data dagli Stati Uniti e i suoi alleati più che all’Iran è diretta alla società civile iraniana. L’apertura verso l’esterno e un’auspicabile e sempre più progressiva responsabilizzazione della classe politica dirigente, potrebbe portare al ritorno al dialogo e alla distensione tra gli sciiti e i sunniti del Medio Oriente. Questo nuovo equilibrio potrebbe essere un’arma efficace contro l’espansionismo dello Stato Islamico.

I critici sull’accordo non mancano, come detto. Negli Stati Uniti, aldilà del Partito Repubblicano, è stata parte della stampa stessa a sollevare ben più di un’ombra. Sul Wall Street Journal, ad esempio, l’editoriale di Bret Stephens tuona dicendo che “l’accordo fa acqua da tutte le parti” e che difficilmente la politica estera iraniana cambierà. Anzi, l’intesa di Vienna potrebbe rivelarsi un boomerang per gli Stati Uniti.

Giacomo Pratali

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Immigration: 150,000 arrivals in 2015

Europe di

Italy has received 7,000 migrants more than 2014. Greece 76,000. Despite Frontex operation, number of deaths in the Mediterranean has risen to 1,900. The Iom report helps us to understand this crisis.

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More than 700 immigrants landed on the Sicily shores weekend are just the latest wake-up call to a crisis for Italy and Greece. The figures released by the International Organization for Migration (IOM), in cooperation with the Italian Ministry of the Interior, certify a tragic exodus which will grow in the coming months.

The arrival in Europe of 150,000 migrants is a substantial number, but cannot be described as “an invasion,” considering that Europe is home to over 500 million people, according to Soda. “Lebanon, a country of 4 million people, is hosting 1.5 million Syrian refugees and Turkey is hosting about 2 million”, Oim report said.

According to the survey, migrants arrived in Europe by sea in 2015 are more than 150,000: 74,000 and in Italy (around 7000 more than a year) and almost 76000 in Greece (six times more than 2014). “Over 1,900 migrants have lost their lives in the Mediterranean so far this year, over twice the number during the same period in 2014. But the number of fatalities has started to decrease since May. This is probably due to the large presence of European Union (EU) / Frontex ships in international waters. The enhancement of the EU’s Operation Triton has enabled maritime forces to save more migrants lives in the Channel of Sicily. For Italy, the main countries of origin during the first half of 2015 were: Eritrea (18,676), Nigeria (7,897), Somalia (6,334), Syria (4,271), Gambia (3,593), and Sudan (3,589). These nationalities were also among the top 10 at this time last year. ”, Oim underlined.

Beyond Italy, the dinamic routes explaine the exponential growth of the immigration, especially Syrians and Iraqis, in Greece Islands: “One major difference has been a significant drop in the number of Syrian nationals arriving in Italy. (There were about 12,000 during the same period in 2014.) Syrians are now primarily using the Eastern Mediterranean route through Turkey and Greece. An estimated 22,582 Syrian nationals reached Greece between January and May 2015”.

Resuming on the Italian istance, Federico Soda, Director of the IOM Coordination Office for the Mediterranean in Rome, confirmed that immigration is an European issue: “Italy is affected by mixed migration flows, which require different operational responses. The country is experiencing the arrival of not only a significant number of asylum-seekers, but also a large proportion of job-seeking migrants. Irrespective of nationality, both types must be individually screened to determine their status. The boats transporting men, women, and children attempting to reach Europe also often carry vulnerable people, such as victims of trafficking and violence, unaccompanied children, and pregnant women”, he ended.
Giacomo Pratali

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Immigrazione: 150mila sbarchi nel 2015

EUROPA di

In Italia sono arrivati 7000 migranti in più rispetto al 2014. In Grecia siamo arrivati a quasi 76mila. Il numero dei morti nel Mediterraneo è salito a 1900, nonostante Frontex sia riuscita ad arginare, in parte, l’emergenza. L’Oim certifica questa emergenza attraverso i numeri.

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Gli oltre 700 migranti sbarcati sulle coste della Sicilia nell’ultimo weekend sono solo l’ultimo campanello d’allarme di una crisi che riguarda l’Italia e la Grecia. I dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), in collaborazione con il Ministero degli Interni italiano, certificano un tragico esodo in continua evoluzione e un numero di morti destinato a crescere nei prossimi mesi.

I numeri diffusi da Oim parlano chiaro, tuttavia l’organizzazione non governativa precisa che “L’arrivo di 150.000 migranti in Europa è sicuramente un dato significativo ma assolutamente non eccezionale, considerando che gli europei sono complessivamente più di 500 milioni. Secondo l’OIM, non bisogna considerare questo fenomeno come “un’invasione”, soprattutto se si prende in considerazione ciò che accade al di fuori dei confini dell’Unione Europea”.

Secondo il report, i migranti arrivati in Europa via mare nel 2015 sono stati oltre 150mila: 74mila in Italia (circa 7000 in più rispetto ad un anno) e quasi 76mila in Grecia (sei volte in più rispetto al 2014). Ma è il numero dei morti, 1900, ad essere più che raddoppiato rispetto al 2014. Cifra che è tuttavia diminuita da maggio 2015 in poi, grazie all’intervento sistematico di Frontex nel Canale di Sicilia. La provenienza dei migranti per l’Italia è: Eritrea (18,676), Nigeria (7,897), Somalia (6,334), Siria (4,271), Gambia (3,593) e Sudan (3,589).

Rispetto all’Italia, è il caso della Grecia a destare più scalpore. Perchè, se il bel Paese storicamente è abituato a ricevere un importante flusso migratorio, lo Stato ellenico vive questa notevole ondata migratoria come una novità e il contesto di crisi economica non facilita l’accoglienza dei migranti. Un aumento, soprattutto attinente ai profughi siriani ed iracheni, spiegabile con la maggiore praticabilità della tratta dalle coste della Turchia alle isole del Mar Egeo, piuttosto che la rotta che porti prima in Libia e poi in Italia attraverso un ben più lungo transito in mare aperto.

I numeri relativi ad Atene parlano chiaro: “Secondo i dati della Guardia Costiera greca – recita ancora la nota dell’Oim -, i migranti che hanno solcato il Mar Egeo nei primi 6 mesi del 2015 sono stati circa 69.000. Nel corso del mese appena conclusosi, si stima che siano arrivate circa 900 persone al giorno. In sette giorni, dal 1 al 8 luglio 2015, i migranti che hanno attraversato l’Egeo sono stati 7.202. I principali paesi d’origine sono Siria e Afghanistan”.

L’Oim è presente nei punti di sbarco sia in Italia sia in Grecia. Ciò permette a questa organizzazione di fotografare in modo lucido il quadro generale: “Le rotte cambiano, così come la composizione dei flussi, ma i numeri continuano a salire”, afferma Federico Soda, Direttore dell’Ufficio di coordinamento dell’OIM per il Mediterraneo.

Un sforzo davvero europeo quindi è auspicabile: “L’emergenza è umanitaria a causa delle drammatiche condizioni in cui si vengono a trovare i migranti – continua Soda – e sarebbe certamente più gestibile se tutti i paesi coinvolti collaborassero di più tra di loro e dessero risposte più esaurienti e strutturate. Non esiste una soluzione facile e immediata per questo fenomeno, perché è il frutto di circostanze politiche, sociali ed economiche”, conclude il rappresentanti di Oim.
Giacomo Pratali

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Libya: the agreement is incomplete

First step towards the establishment of an executive of national unity. The Tobruk government and representatives of other factions have officialized their agreement after months of deals. But United Nations and Leon are waiting Tripoli choice.

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Yes the agreement for the government of national unity of Libya Sunday 12th July. To Skhirat (Morocco) the Tobruk government and delegates of Zintan, Misrata and other factions have signed the pact along the lines of the last 3rd July. One step forward, after long work of UN mediator Bernardino Leon. But an incomplete agreement because of it’s without Tripoli government’s approval.

However, reactions were positive. “An important first step towards peace”, Leon and Tobruk representatives said. Also Italian Ministry of Foreign Affairs Gentiloni has the same viewpoint: “The signing gives us grounds for hope and encourages us to continue with our negotiating efforts. It is now up to Tripoli to make a significant and responsible gesture by signing up to the agreement proposed by the UN Special Representative, Bernardino Leon, with the full support of Italy also”.

Meanwhile, on the domestic front, Derna, a port city of Cyrenaica, has been “lost from the Islamic State”, as admitted in a video by an Islamist militant. While the Us is thinking to positionate its drones to monitor Islamic State in Libya, in according with North African countries. In the last days, Us President Obama and Gb Prime Minister Cameron reiterated that it’s possibile to defeat Daesh not with ground forces, although with pilotless aircrafts.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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