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EST EUROPA - page 4

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

Guerra in Ucraina di

Massacro di Bucha: le autorità ucraine hanno accusato il Cremlino di crimini di guerra. Il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato che alla luce di quanto accaduto si allontanano sempre di più le possibilità di un accordo con Mosca. Dagli Stati Uniti Joe Biden ha rincarato la dose esprimendo la necessità che Putin sia processato come criminale di guerra e ha chiesto un inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia.
Sempre su Bucha Amnesty International ha chiesto una rapida inchiesta indipendente “che accerti le responsabilità e che vada poi a ingrossare la mole già notevole di prove di possibili crimini di guerra russi che sono all’esame del procuratore del Tribunale penale internazionale”. Una posizione simile è stata presa anche dalla presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, che ha dichiarato che l’Ue si è detta pronta ad inviare squadre investigative in Ucraina per indagare sull’accaduto. Il Cremlino, invece, nega e rimbalza le accuse agli Stati Uniti, rei, secondo il ministro degli esteri russo, di aver ordinato il massacro al fine di incolpare Mosca. I media russi hanno, infatti, definito le immagini e le testimonianze di Bucha “false provocazioni orchestrate dall’occidente”, sostenendo che i responsabili materiali della morte dei civili siano i nazisti.
Il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha detto: “gli orrori che abbiamo visto a Bucha sono solo la punta dell’iceberg di tutti i crimini che sono stati commessi dall’esercito russo”. Da Varsavia la sua omologa britannica, Liz Truss, ha aggiunto: “gli orrori di Bucha, Mariupol e altri luoghi richiedono gravi sanzioni da parte del G7 e dell’Ue”.
In tutto ciò la guerra procede imperterrita e stando agli analisti presto il fronte si dovrebbe spostare a est e a sud. Il governatore ucraino del Donbass ha rivelato che l’esercito russo starebbe preparando un “attacco massiccio” nella regione di Lugansk. A riportare le sue parole è stata l’agenzia di stampa France Presse: “Vediamo che equipaggiamenti arrivano da diverse direzioni che stanno portando uomini e carburante (…) Si capisce che stanno preparando un attacco massiccio”.
Per quanto concerne la questione “gas” l’Italia ha fatto intendere che sarebbe disposta un embargo totale nei confronti della Russia. Lo stop delle importazioni avrebbe il fine di privare Mosca di quelle risorse economiche con cui sta finanziando la guerra in corso. Tuttavia, in Europa, questa posizione non è unanime. Viktor Orbàn, neo-eletto Presidente d’Ungheria, ha detto che il suo Paese porrebbe il veto qualora l’Europa decidesse di imporre un embargo più stringente al Cremlino. Non tanto distante da Orban quanto espresso dal ministro delle finanze tedesco, Peter Altmaier che ha riferito: “al momento non è possibile tagliare le forniture di gas” e, sempre da Berlino, forti dubbi sono stati espressi anche dalla ministra degli esteri, Annalena Baerbock, che ha chiesto l’intensificazione delle sanzioni, maggiori aiuti per la difesa ucraina non proferendo però nessuna parola sul gas. Stando al Presidente della Germania, Olaf Scholz, una decisione a riguardo da parte del Bundestag verrà presa nei prossimi giorni. Dure le accuse della Polonia che ha accusato Berlino di essere finanziatrice di Mosca. Sulla stessa linea dei tedeschi anche l’Austria dove il ministro delle finanze di Vienna ha detto “non bisogna che l’Ue paghi più della Russia”. In Francia, invece, la tematica del Gas è diventata argomento di campagna elettorale. La socialista Anne Hidalgo ha chiesto di smettere di “pagare il gas della vergona” e il verde Yannick Jadot ha esposto la necessità dell’embargo definendo contradditorio l’indignarsi per la guerra in Ucraina e il finanziarla dando 800 milioni al giorno a Putin.

Ucraina: Croce Rossa Italiana torna a Leopoli

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Partita stanotte da Roma per Leopoli la seconda missione di evacuazione di civili della Croce Rossa Italiana dall’Ucraina con l’obiettivo di portare in Italia, stavolta, circa cento persone fragili (bambini, anziani, diversamente abili ecc.). Il convoglio CRI composto da 18 mezzi, incluse ambulanze, pulmini, minibus, mezzi ad alto biocontenimento, macchine e furgoni per materiali vari, è partita da Roma alla volta di Leopoli, via Polonia, con 51 persone a bordo, tra cui volontari, staff, medici, infermieri OSS, operatori RFL. La missione giungerà a Leopoli lunedì 4 aprile presso le strutture della Croce Rossa Ucraina e, dopo aver effettuato un triage sanitario e i tamponi Covid, tornerà in Italia con il gruppo di persone fragili. Leggi Tutto

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Oggi si svolgono in Turchia le trattative tra la delegazione russa e ucraina. Evidente il tentativo del presidente della Turchia, Erdogan, di farsi mediatore tra le parti in conflitto per tornare ad essere accettato e “stimato” ai grandi tavoli dell’occidente. In ogni caso, continuano a pesare sui negoziati le parole degli scorsi giorni di Joe Biden in Polonia.

Sul fronte di guerra procede l’avanzata delle truppe di Mosca, nonostante le forze di Kiev siano riuscite a riconquistare alcuni territori. La situazione umanitaria di Mariupol come di tantissime altre città, invece, sta diventando sempre più tragica.

Tornando all’ennesimo round di trattative tra i due Stati belligeranti, le sensazioni, come al solito, non sono delle migliori. Le aperture che Zelensky aveva lasciato intendere sulla potenziale neutralità del Paese e la probabile soluzione alla questione della Crimea e del Donbass sono state smentite da un consigliere presidenziale ucraino, stando al quale Kiev non sarebbe disposta a fare nessuna concessione territoriale.

Volodymyr Zelensky ha anche avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio italiano nel tentativo di costituire e avere un gruppo di Paesi come garanzia per l’Ucraina. L’ambasciatore di Kiev in Italia ha riferito che Mario Draghi ha lanciato l’iniziativa “U24, United for peace” al fine di creare un gruppo di Stati pronti a intervenire militarmente entro 24 ore in caso di aggressione. Secondo il nostro Premier dovrebbero far parte di questo gruppo: i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Germania, il Canada, la Turchia e l’Italia.

Ieri il Wall Steet Journal ha parlato di un possibile avvelenamento nei confronti dell’oligarca, Roman Abramovich, e di altri negoziatori ucraini. Questi avrebbero sofferto di sintomi sospetti dopo un incontro con i russi avvenuto a Kiev all’inizio del mese. Dopo l’incontro nella capitale ucraina Abramovich, come gli altri membri della delegazione ucraina, avrebbero iniziato a lamentare: arrossamento degli occhi, lacrimazione costante e dolorosa e desquamazione del volto e delle mani. Il giornale ha però poi concluso il suo articolo scrivendo che nessuno sarebbe in pericolo di vita.

Ieri il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, in video collegamento col il Consiglio Comunale di Firenze, ha affermato: “Non abbiamo il numero esatto delle persone che hanno perso la vita, perché non possiamo raggiungere determinati luoghi delle città assediate e bombardate. Secondo le ultime stime si tratta di decine di persone addirittura di decine di migliaia. Per le strade ci sono cadaveri”. Stando al governo di Zelensky Kiev continuerebbe a essere uno dei principali obiettivi strategici di Mosca.

Dalle autorità ucraine arriva la notizia che Irpin, città a ovest della capitale, sarebbe stata riconquistata. Il sindaco, Oleksandr Markushyn, ha rilasciato: “Irpin è stata liberata. Sappiano che ci saranno altri attacchi alla nostra città e la difenderemo con coraggio”.

Da Kharkiv arrivano, invece, aggiornamenti drammatici, stando ai quali i bombardamenti russi avrebbero colpito 1.177 edifici, 53 asili nido, 69 scuole e 15 ospedali. Così il sindaco: “Da quando è iniziata la guerra non c’è stato un minuto, un secondo, di silenzio”.

A Mariupol, dove 160mila persone continuano a rimanere intrappolate senza sufficienti viveri alimentari a disposizione, si sta assistendo ad una vera e propria catastrofe umanitaria. Dall’inizio del conflitto vi sarebbero stati più di 5mila morti.

Le fonti ucraine riportano, inoltre, che l’esercito russo avrebbe colpito un deposito di carburante nella città nord-occidentale di Lutsk. Il capo dell’amministrazione militare locale, Yuriy Pohuliaiko, ha riferito che l’attacco sarebbe partito dalla vicina Bielorussia. Sconosciuto il numero delle vittime. Questo raid, ha detto la deputata ucraina, Lesia Vasylenko, farebbe parte di una nuova strategia russa per eliminare le riserve di petrolio del Paese.

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, da Varsavia si è rivolto all’ “occidente libero”: <<Siamo al vostro fianco>> ma soprattutto ha definito Vladimir Putin “un macellaio che non può rimanere al potere” esortando il popolo russo a ribellarsi al tiranno, sostenendo, di fatti, un cambio di regime politico al Cremlino. Dichiarazioni che hanno suscitato una dura reazione di Mosca: <<non decidi chi ci governa>>. Subito dopo, non senza difficoltà, è arrivata la smentita della Casa Bianca: <<non chiediamo il cambio di regime>>. Tuttavia, nonostante il passo indietro degli Usa resta l’uscita a vuoto del suo Presidente che, rivolgendosi direttamente ai russi e definendo Putin un dittatore, ha alzato il livello della tensione, creando non pochi problemi a un’Europa che sta facendo di tutto per mantenere la crisi all’intero di una dimensione diplomatica.

Biden, inoltre, esortando ancora “il mondo libero” a rimanere unito per resistere “all’oscurità dell’autocrazia”, ha ribadito la “sacralità” dell’articolo 5 della Nato che stipula l’assistenza, anche con l’impiego delle forze militari, in caso di un attacco armato contro uno Stato membro ed ha aggiunto, per la grande soddisfazione del Governo polacco, che il fianco orientale europeo sarà rinforzato.

In risposta a Biden sono arrivate le parole del Vice-Presidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitrij Medvedev, che ha dichiarato che il Cremlino non ha alcuna mira espansionistica e che soprattutto non vuole nessun conflitto nucleare, in quanto anche a Mosca sono pienamente consapevoli che una tale eventualità metterebbe a repentaglio l’intera esistenza della civiltà. Dopo di che ha aggiunto, forse con un eccesso di realismo politico, che, paradossalmente, la creazione delle armi nucleari ha evitato un’enorme quantità di conflitti nel ventesimo e nel ventunesimo secolo ma che tuttavia, all’interno di questo “equilibrio di potenze” la minaccia esisterà sempre.

Intanto, sembra che l’intenzione di Mosca sia sempre di più quella di limitare il proprio obiettivo militare alla sola annessione del Donbass. Rimane, però, lo scetticismo degli analisti, i quali non si spiegano il perché il Cremlino non abbia organizzato un’offensiva molto più limitata. L’impressione è che Putin abbia sottovalutato le capacità militari ucraine e che non prevedendo la strenua resistenza delle città del Paese, Mariupol su tutte.

In ogni caso, la guerra continua e si allarga sempre di più sul fronte ovest. Leopoli continua ad essere oggetto di innumerevoli raid missilistici. Slavutich, città dove risiedono i lavoratori della centrale nucleare di Chernobyl, è caduta in mano russa. Stando a Oleksandr Pavlyuk, governatore della regione di Kiev, le truppe di Putin avrebbero occupato l’ospedale della città e rapito il sindaco, per poi rilasciarlo dopo le proteste della popolazione.

Dal nord dell’Ucraina giungono voci che Chernihiv sarebbe rimasta completamente distrutta con la perdita di almeno 200 civili. Secondo le autorità di Kiev si sono registrati duri bombardamenti anche sui villaggi di Tarasivka, Trebukhiv e Shevchenkove.

Secondo i dati stilati dall’ultimo aggiornamento dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, il numero dei civili morti dall’inizio del conflitto sarebbe almeno di 1.104 tra i quali 96 bambini. E in un contesto simile risuonano e arrivano al cuore le ultime parole di Papa Francesco: <<Speriamo e preghiamo perché questa guerra, vergognosa per tutti noi, per tutta l’umanità, finisca al più presto: è inaccettabile (…) Ogni giorno di più aggiunge altri morti e distruzioni>>.

 

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

Guerra in Ucraina di

Ieri la Nato ha dichiarato che sosterrà in modo intenso il diritto di autodeterminazione del popolo ucraino e, dunque, che si adopererà al fine di assisterla militarmente nella sua resistenza alla Russia. Nato, Usa, Ue e G7 continuano a pressare la Cina al fine di farla uscire da questa situazione di stallo e farle prendere una posizione netta nei confronti del conflitto in corso. Anche il Cremlino sta facendo altrettanto. La prossima settimana il Ministro degli Esteri russo, Sergej Vicktorovic Lavrov, sarà a Pechino.

Nel suo discorso il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, più che parlare di pace ha tracciato una linea rossa che, se verrà oltrepassata da Mosca, porterà l’Alleanza Atlantica ad intervenire militarmente contro Putin. “La Nato interverrà in caso di uso di armi chimiche della Russia”. Tuttavia, a ben guardare questa linea più che essere rossa sembrerebbe di colore più chiaro, rosa, in quanto Biden ha poi specificato che un eventuale intervento militare dell’Occidente dipenderà non tanto dal fatto se il Cremlino userà le armi chimiche ma da come le utilizzerà. L’impressione è quella che l’Alleanza Atlantica interverrà solamente qualora il Cremlino utilizzerà armi chimiche oltre i confini dell’Ucraina.

Intanto un comunicato della Nato ha emesso: “In risposta alle azioni della Russia, abbiamo attivato i piani di difesa della Nato, dispiegato elementi della Forza di risposta della Nato e collocato 40.000 soldati sul nostro fianco orientale, insieme a significative risorse aree e navali, sotto il comando diretto della Nato supportato dagli schieramenti nazionali degli alleati”.

Dunque, il modus operandi dell’Alleanza Atlantica continua a muoversi all’interno di una logica preventiva nella prospettiva di una realtà strategica più pericolosa. “Rafforzeremo, inoltre, in modo significativo, la nostra posizione di deterrenza e difesa a lungo termine e svilupperemo ulteriormente l’intera gamma di forze e capacità necessarie per mantenere una deterrenza e una difesa credibili. Questi passaggi saranno supportati da esercitazioni potenziate con una maggiore attenzione alla difesa collettiva e all’interoperabilità”.

In questo contesto anche il governo spagnolo di Pedro Sanchez ha annunciato l’invio di nuovi armamenti all’Alleanza e il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg, si è detto certo della vittoria ucraina.

Tuttavia, tornando sul fronte l’assedio su Mariupol si fa sempre più stringente e le condizioni dei suoi civili sempre più precarie.

L’agenzia per l’infanzia dell’Onu ha rilevato: “Un mese di guerra in Ucraina ha portato allo sfollamento di oltre metà della popolazione infantile del Paese”. Stando ai dati dell’Unicef 4,3 milioni di bambini sui 7,5 milioni totali presenti in Ucraina sono fuggiti dalle loro case, e tra questi 1,8 sono andati via dal Paese mentre 2,5 sono sfollati all’interno del territorio ucraino.

Sempre dal campo di guerra, giunge la notizia che le forze armate di Kiev abbiano distrutto, con missili balistici, una nave russa che era in procinto di portare rifornimenti alle truppe in servizio a Berdyansk sul Mar D’Azov.

Il Ministero della Difesa ucraino ha riferito alla Reuters che le sue truppe hanno respinto le forze russe da alcune zone subito adiacenti alla capitale. Stando al Vice Primo Ministro del governo di Kiev, il Cremlino non starebbe rispettando gli accordi stipulati sui corridoi umanitari e i suoi militari, di fatti, starebbero continuando ad impedire le evacuazioni dei civili da Mariupol.

Karim Khan, Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale (CPI), ha ordinato la realizzazione di una coalizione di Paesi per effettuare indagini sui crimini di guerra che si starebbero compiendo on Ucraina. “Le cose possono peggiorare se la comunità internazionale non agisce ora”, ha riferito Khan.

Sul fronte orientale ieri la Cina si è di nuovo astenuta al voto dell’Onu di condanna alla guerra russa.

Zelnsky parla al Parlamento. Nel suo discorso: tanto sentimento ma poca politica

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Ucraina. Bambini in fuga

 

Ucraina: 1 bambino su 5 ha dovuto lasciare il Paese, 6 milioni sono intrappolati all’interno, in grave pericolo a causa dell’aumento degli attacchi a strutture civili. Colpiti oltre 460 scuole e 43 ospedali.                       
Fino a sei milioni di bambini sono intrappolati all’interno dell’Ucraina e sono in grave pericolo a causa dei crescenti attacchi a scuole e ospedali. Molti di loro sono al riparo all’interno di edifici che rischiano di essere attaccati da un momento all’altro, Leggi Tutto

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

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Continuano incessanti i bombardamenti su Kiev. Mariupol stretta d’assedio sembra oramai prossima alla resa, Odessa si prepara. Intanto l’intervento di Volodymyr Zelensky alla Knsset, il parlamento israeliano, ha suscitato numerose polemiche in quanto gli israeliani non hanno accettato il fatto che il presidente ucraino abbia paragonato la guerra che sta vivendo il suo Paese alla Shoah. Domani ad attendere il numero uno di Kiev sarà invece il parlamento italiano.

Da segnalare anche il vertice tra Mario Draghi, Joe Biden ed altri importantissimi leader europei. Il presidente americano sarà, inoltre, in Polonia venerdì.

L’Ucraina ha rifiutato l’ultimatum russo di Mariupol. Il Cremlino avrebbe offerto un passaggio ai civili in caso di resa. Tuttavia, nonostante la città, al cui interno sono intrappolate 300mila persone, sia vicina alla capitolazione, Zelensky ha fermamente rifiutato la proposta russa. Stando alle fonti ucraine il 90% di Mariupol sarebbe oramai andato distrutto.

Non accennano a diminuire gli attacchi anche sulle altre città d’Ucraina. Forti esplosioni sono state registrate soprattutto nella capitale, dove le autorità hanno riferito che sono state bombardate numerose abitazioni e un intero centro commerciale. Il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, data la situazione, ha imposto un coprifuoco fino a mercoledì 23 marzo.

Ieri, durante il suo intervento alla Knesett, Zelensky ha fatto richieste molto specifiche alle autorità israeliane: l’imposizione di sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi per difendersi dall’invasione, citando il sistema di difesa anti-missile Iron Drone. “Avete il sistema di difesa anti-missile più potente al mondo. Sapete cosa significa ricevere una minaccia dal cielo e come difendere gli interessi dello Stato e dei cittadini”. Ed ha anche aggiunto che Israele dovrebbe compiere una scelta in quanto quello che Mosca vuole fare con gli ucraini è quello che i nazisti fecero agli ebrei durante la Shoah. Parole queste che dai media israeliani e dalla maggior parte dei deputati e ministri sono state considerate un paragone oltraggioso.

In ogni caso anche da Israele non giungono notizie positive sulle trattative in corso. Il primo ministro, Naftali Bennett, ha dichiarato infatti che nonostante ci siano stati progressi nei colloqui sul cessate il fuoco, tra Russia e Ucraina nel complessivo continuano ad esserci divari molto grandi. Tuttavia, Bennett ha anche aggiunto che farà tutto ciò che gli compete per cercare di colmare questo divario e porre fine alla guerra. Oggi vi è stata inoltre una videoconferenza tra Mario Draghi, Joe Biden, Emmanule Macron, Olaf Scholz e Borsi Johnson. Sul tavolo dell’incontro la preparazione dei prossimi vertici Nato, il G7 e il Consiglio Europeo

Ma l’ONU, così, serve ancora?

Il conflitto che sta sconvolgendo l’Ucraina ha messo in evidenza un vuoto pauroso nel panorama delle istituzioni internazionali che a vario titolo sono coinvolte nella risoluzione della crisi. Questo vuoto è dato dall’assenza di quella che dovrebbe essere l’istituzione primaria per il mantenimento della pace, cioè dell’ONU!

Questo organismo internazionale creato per “prevenire la guerra, per condannare la guerra, per fermare la guerra!” come ribadito dell’ambasciatrice USA presso le Nazioni Unite, Linda Thomas Green-Field, allo stato attuale dei fatti ha fallito ancora il suo compito dimostrando di essere incapace di assolvere la missione per la quale sono state decise la sua costituzione e il suo sviluppo.

Pur non essendo una novità, in quanto la storia dell’Organizzazione è segnata da clamorosi insuccessi, anche in questa occasione la vacuità delle azioni operate ha evidenziato la reale impotenza dell’ONU a ricoprire con successo il ruolo per il quale è nato e dovrebbe operare.

L’ONU ha, infatti, dimostrato ancora una volta che da solo non è in grado di imporre nulla ed è completamente inerme nei confronti di una crisi come quella che attualmente scuote il nostro continente, soprattutto quando uno dei protagonisti principali risulta essere uno dei cinque Paesi che nel Consiglio di Sicurezza hanno il diritto di veto.

La scorsa settimana – dopo quasi 20 giorni dall’inizio del conflitto – l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato in favore di una risoluzione che chiedesse l’immediata fine delle operazioni in Ucraina.

L’esito della votazione, che ha ottenuto 141 voti a favore, 4 voti contrari e 35 astensioni, ha rappresentato una dimostrazione di supporto all’Ucraina condivisa ed estesa – ma non generale come ci si sarebbe potuto aspettare -, che si è tradotta in una dichiarazione di intenti non cogente e assolutamente simbolica. In sintesi, assolutamente inutile per il paese attaccato e moralmente ambigua per il ruolo che l’ONU dovrebbe interpretare

Il valore formale della votazione dell’Assemblea Generale risulta ulteriormente sminuito se si considera che solo alcuni giorni prima il Consiglio di Sicurezza, organo molto più importante e rilevante a livello diplomatico, aveva veicolato un differente e ben più pesante messaggio.

Infatti, in tale sede il Segretario Generale non aveva potuto emanare una risoluzione che imponesse l’immediata cessazione delle ostilità e il ritiro delle truppe russe, in quanto, benché sostenuta da 11 voti favorevoli, la mozione era stata bloccata dal “no” del rappresentante russo, che, come membro permanente del Consiglio, aveva esercitato il suo diritto di veto secondo quanto previsto dalla procedura dell’Organizzazione.

Considerazioni di opportunità politica hanno impedito ai Paesi membri di sfidare il veto e, quindi, hanno consentito la limitazione delle prerogative del Segretario Generale.

L’utilizzazione di questo diritto da parte di uno dei cinque membri permanenti al fine di supportare gli interessi specifici delle proprie politiche estere è una delle caratteristiche che hanno da sempre contraddistinto l’attività dell’Organizzazione; tuttavia, è opportuno notare come questa procedura negativa si sia intensificata negli ultimi anni, rendendo poco o nulla incisive le attività dell’ONU nell’ambito della gestione delle varie crisi internazionali, non ultima l’annessione della Crimea nel 2014.

L’irrilevanza nell’ambito del palcoscenico delle relazioni internazionali che contraddistingue da diversi anni l’Organizzazione è conseguenza di questa peculiarità organizzativa che, creando le premesse per un’impasse decisionale nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, ne vanifica la funzione.

Le proposte per la soluzione di questa criticità sono state diverse, da un allargamento dei membri con diritto di veto a una differente ripartizione dei posti nel Consiglio di Sicurezza, sino all’abolizione del concetto stesso di veto, ma tutte sono naufragate nell’impossibilità di trovare un accorso che potesse essere accettato da tutti i Paesi, in quanto la percezione comune è stata quella di evitare una qualsiasi compromissione della possibilità di tutelare gli interessi nazionali ritenuti indispensabili.

Ma questa non è stata la sola causa della perdita di credibilità che sta condizionando l’ONU, svuotando di significato le sue istituzioni e privando di efficacia le sue azioni.

Purtroppo, non è solo l’Assemblea Generale che attraversa un momento di crisi, ma anche le molteplici Agenzie Specializzate, che sono state costituite come parte operativa dell’Organizzazione (tra cui l’UNESCO, la FAO, il WFP, il WHO, l’IMF), hanno dimostrato una flessione notevole nella percezione generale sia della loro utilità sia delle loro capacità intrinseche di esprimere valori fondamentali riconosciuti e universalmente condivisi.

La perdita di consenso globale e la diminuzione dell’efficacia organizzativa sono state determinate da differenti fattori di carattere tecnico specifico come la crescente complessità delle problematiche mondiali, l’evoluzione delle situazioni geopolitiche di riferimento nelle quali le Agenzie dovrebbero svolgere la loro opera, l’estensione temporale delle attività connesse alla risoluzione di problematiche specifiche, la crescita esponenziale dei fondi necessari alla realizzazione dei progetti. Tutte queste condizioni, avendo come risultato il mancato conseguimento degli obiettivi fondamentali stabiliti dalle Agenzie, determinando la scarsa incisività nella risoluzione delle problematiche, evidenziando l’impiego di fondi e risorse secondo criteri di dubbia efficacia, hanno avuto come conseguenza il declino dell’efficienza dell’Organizzazione in generale e la perdita di fiducia che globalmente i Paesi riponevano nell’ONU.

A questo declino non è estraneo, inoltre, un fenomeno che ha percorso trasversalmente l’Organizzazione stessa, che è quello della percezione dell’incapacità nel fornire soluzioni di successo alle varie problematiche, dell’inadeguatezza di gran parte del personale a ricoprire ruoli e funzioni e della corruzione che spesso ha caratterizzato le attività messe in atto nelle operazioni internazionali, nell’assunzione del personale e nella scelta dei dirigenti.

A questo punto si impone la necessità di operare una riflessione profonda sulla opportunità di rivitalizzare un’organizzazione, la cui importanza originale rimane immutata e oltremodo critica in un mondo che attraversa un’evoluzione caratterizzata da conflitti e da attriti internazionali sempre più frequenti e pericolosi, ma che è cresciuta in maniera esagerata, con ramificazioni che si estendono ai campi più disparati e che ha visto la sua credibilità offuscata dalla applicazione di criteri organizzativi e gestionali stabiliti in una condizione geopolitica che ormai non esiste più.

Il fatto che nell’ambito dell’Assemblea Generale, durante la votazione per la risoluzione sulla crisi in Ucraina, come detto in apertura, ben 35 Paesi si siano astenuti (circa un quarto degli Stati Membri!) dovrebbe stimolare una revisione critica che dia una risposta alle seguenti domande.

Il ruolo dell’ONU di organizzazione mondiale che ha come scopo il mantenimento della pace e il prevalere del diritto nei rapporti internazionali è ancora un valore fondamentale condiviso e perseguito dalla Comunità Internazionale?

Il concetto di universalità dei principi che hanno ispirato l’ONU e che ne guidano le sue azioni deve essere ancora il presupposto fondamentale dell’Organizzazione?

Se la risposata a queste domande, come fermamente credo debba essere, è sì, allora la Comunità Internazionale deve procedere a una rifondazione dell’ONU, provvedendo a individuare e stabilire nuovi criteri e nuove modalità operative al fine di consentire che le funzioni di garante della pace e custode del diritto internazionale che, a suo tempo, sono state individuate come i pilastri costitutivi di questa organizzazione, possano ritornare a essere assolte con successo nell’ambito di un rinnovato consenso globale di tutti gli Stati Membri.

 

 

 

Maurizio Iacono
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