L’isola e il tempo di Claudia Lanteri ci trasporta in un luogo che è più di un semplice spazio geografico: è un mondo a sé stante. Questa isola, mai nominata, sorge di fronte alla ‘Mpidusa, verso la fine degli anni Cinquanta. Qui pochi abitanti si conoscono da sempre, e la vita scorre tra la pesca, le coltivazioni di capperi e lenticchie, e la fatica quotidiana.
Tutto cambia quando un barchino approda con a bordo due persone: un uomo vivo e una donna morta. L’incendio che ha distrutto la loro barca a vela ha portato alla morte dei coniugi Domoculta e dei loro tre bambini. Il maresciallo Bonomo apre un’indagine, ma è il tredicenne Nonò a improvvisarsi detective. Nascosto negli angoli più improbabili, ascolta i discorsi, fiuta piste e mette insieme i tasselli. Ma la verità è più complessa di quanto sembri, e l’isola stessa, all’alba, sembra avvolta di fatemorgane.
Per comprendere i confini di questo mondo, bisogna allontanarsi e osservare i dettagli: la caserma, il porticciolo, la pergola di Tina. Questi luoghi scandiscono il tempo e il senso delle cose, e la storia deve essere narrata con calma e da principio, per chiunque passi e cerchi il filo che sfugge al disegno. Nonò continua a perlustrare l’isola, alla ricerca del punto in cui la barca si è inabissata. Quando finalmente raggiunge il luogo con l’aiuto del fratello Filippo, scopre un altro cadavere: quello del colpevole.
Ma chi crederà a Nonò, quando tutti pensano che abbia perso la ragione? La memoria del giovane narratore è frammentata, dolorosa e a tratti inattendibile. In questa potente e naturale scrittura letteraria, il tempo si morde la coda, definito ma anche mobile. Chi racconta rimane agganciato all’enigma irrisolto, con l’illusione di approdare a un finale diverso.
