GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Il manifesto di politica estera di Pechino

 

Mentre in Occidente ci auto illudiamo con una narrativa di “regime” unidirezionale e ingannevole che il conflitto ucraino rappresenti l’atto estremo dell’eterna lotta tra il Bene (noi Occidentali) e il Male (il resto del mondo che non la pensa come noi), non ci accorgiamo che la Cina sta ponendo le basi ideologiche del suo concetto di Ordine Mondiale in chiave dichiaratamente antioccidentale.

A un anno esatto di distanza dalla dichiarazione congiunta russo-cinese dove veniva affermato un nuovo paradigma del concetto di democrazia – uno Stato è democratico se si sente democratico – e una differente declinazione dell’idea dei diritti dell’individuo – finiscono dove inizia l’interesse dello Stato – la Cina ha emanato un nuovo documento particolarmente interessante.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica Cinese ha infatti emesso un documento intitolato “L’egemonia degli Stati Uniti e i suoi pericoli”.

Se il titolo non fosse abbastanza esplicito da chiarire il contenuto, basta dare un’occhiata all’indice: dopo una breve, ma significativa, introduzione dove gli Stati Uniti sono presentati come il peggiore dei mali, seguono cinque capitoli dedicati a tutti quei settori dove gli USA impongono la loro egemonia politica, militare, economica, tecnologica, culturale.

Il fine che il documento si propone di conseguire è rappresentato dalle ultime due righe dell’introduzione dove si cita testualmente:

This report, by presenting the relevant facts seeks to expose the U.S. abuse of hegemony in the political, military, economic, finance, technological and cultural fields, and to draw greater international attention to the perils of the U.S. practises to world peace and stability and the well-being of all people.

Un incipit che farebbe sembrare dei principianti l’Imperatore Palpatine o il Signore dei Sith, i super cattivi galattici che impersonano il male assoluto nella saga di Star Wars.

Nel corso dei vari capitoli il documento spiega come gli USA impongano la loro egemonia nei differenti settori a detrimento del bene universale e della pace dei popoli.

Senza andare nel particolare di quelle che sono, in realtà, dichiarazioni di una propaganda che affonda le sue radici in una retorica derivante da una visione social-comunista da Libretto Rosso, è opportuno notare come alcuni argomenti, quasi accennanti casualmente, definiscano, invece, la visione cinese che propaganda un nuovo ordine mondiale.

Il primo di questi concetti riguarda l’accusa di aver fabbricato una falsa narrativa della “democrazia verso l’autoritarismo” per incitare all’allontanamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto tra le varie nazioni. Anche l’idea USA della creazione di un “Summit per la democrazia” è un’iniziativa che viene aspramente criticata e accusata di causare la divisione nel mondo.

Il secondo concetto riguarda la sfera economico finanziaria, dove viene messo in discussione il sistema che regola la struttura globale ritenuto esclusivamente vantaggioso per il binomio USA – Occidente (probabilmente ci si dimentica due terzi del debito USA sono finanziati dalla Cina).

Il terzo elemento evidenzia un certo fastidio per il sistema di alleanze che gli USA hanno impostato nella gestione della loro visione diplomatico – strategica, percepito da Pechino come elemento coercitivo e destabilizzante perché escludente la sua partecipazione.

Il paragrafo finale delle conclusioni contiene una affermazione programmatica che invita le grandi nazioni a prendere l’iniziativa nel perseguire un Nuovo Modello di relazioni tra stato e stato basato sul dialogo e la partnership, e non il confronto e le alleanze; rimarca, inoltre, la posizione contraria della Cina verso qualsiasi forma di egemonia e di potere politico e sottolinea il rigetto di qualsiasi interferenza negli affari interni di altri paesi (concetti cari a Pechino per la risoluzione dei vari problemi come il Tibet, la minoranza uigura, Taiwan).

Non poteva mancare, a conclusione del tutto, l’invito agli USA a fare autocritica conducendo una seria introspezione al fine di esaminare con visione critica le loro malefatte, rifuggire dal loro comportamento arrogante e pregiudizievole e smettere di adottare comportamenti egemonici, prepotenti e bullizzanti!!!!!!  (“The United States must conduct serious soul-searching. It must critically examine what it has done, let go of its arrogance and prejudice, and quit its hegemonic, domineering and bullying practises”).

L’importanza del documento non risiede nelle affermazioni che vengono fatte o nella demonizzazione del comportamento degli Stati Uniti, ma nell’aspetto concettuale che esso si propone di realizzare.

Gli USA e i loro valori culturali (che in definitiva sono ampiamente condivisi dall’Occidente per intero) sono un pericolo per il mondo e contro questa visione la Cina si erge a baluardo proponendo un Nuovo Ordine.

Questo Nuovo Ordine non si basa sulla condivisione di quei concetti culturali e sociali che hanno ispirato l’Occidente come la democrazia, la libertà individuale, la libertà di espressione, la libertà di commercio e di movimento, ma un sistema dove tutti questi valori si fermano quando un superiore interesse da parte di un concetto di Stato astratto e imposto si inserisce e prevarica su tutto.

E la Cina, con estrema scaltrezza non propone sé stessa come elemento guida di questo nuovo sistema di relazioni internazionali, ma elenca i mali che il sistema occidentale, tiranneggiato dagli USA, comporta e produce, proponendolo all’attenzione del resto del mondo come il pericolo da cui è necessario e fondamentale difendersi.

Il problema da affrontare non è costituito dalla retorica da Libretto Rosso che la propaganda cinese usa o la veridicità o meno delle sue affermazioni, ma risiede nei concetti politici che la Cina intende veicolare per impostare una nuova concezione di valori culturali.

Il sistema proposto è un chiaro e mirato attacco contro gli USA che sono individuati come l’ostacolo principale verso un’egemonia cinese, mentre considera l’Europa come un sistema in completo decadimento, disunito e privo di peso politico, la cui insignificante importanza globale non costituisce alcun problema per l’affermazione del sistema cinese.

La forza di questa linea strategica che la Cina persegue da tempo, deriva, non tanto dall’efficacia della critica dei valori occidentali e dalla proposta di valori culturali alternativi, ma dalla nostra mancanza di visione globale del contesto internazionale, persi come siamo nella nostra piccola gabbia dorata dalla quale non vogliamo uscire.

Purtroppo, l’Europa non ha una visione strategica globale ma si dibatte tra vecchi rancori (il deuteragonismo franco-tedesco nel voler dominare l’Unione Europea), l’incapacità di uscire dal passato (la crisi ucraina ne è un esempio), la tendenza a rimanere ancorati a un orizzonte limitato (assenza della percezione del lato Sud dell’Europa e del mondo) e questo la porta a essere vulnerabile nei confronti dell’evoluzione che caratterizza lo scenario internazionale.

L’Occidente europeo si è fatto trascinare in un conflitto provocato da interessi che non gli appartengono e alimentato da vecchi rancori, dove una retorica ormai appartenente al passato vagheggia vittorie impossibili e imposizione di trattati di Versailles irrealistici (l’Ucraina sta vincendo su Facebook ma perde sul terreno!!!!!!). La nostra società annaspa in una crisi sempre più profonda e l’unica reazione è quella di chiudere gli occhi di fronte alla realtà di un mondo in evoluzione e illuderci che la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), la rete 5G a basso costo, i finanziamenti ai progetti universitari, l’acquisto di proprietà ed esercizi commerciali da parte cinese, siano esclusivamente l’espressione di una benevola e innocua aspirazione a fare parte del nostro sistema e di interesse a condividere i nostri valori.

Non è così, e il documento del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese lo conferma senza ombra di dubbio.

Se non vogliamo essere schiacciati nel confronto per il Nuovo Ordine ed essere ridimensionati allo stato di colonie, dobbiamo aver il coraggio di guardare al di là del nostro piccolo orizzonte, utilizzare le capacità che l’Unione Europea ci consente di avere, se agiamo come un unico, solido, coeso organismo (lasciando perdere idiozie concettuali come i Paesi Frugali, quelli Virtuosi, i Quattro di Visegard e via dicendo) e quelle intrinseche che un istituzione di difesa collettiva e di integrazione come la NATO rende possibili, se trasforma la sua accezione di club in funzione anti Russia e si trasforma in un elemento di sviluppo dei valori e dei concetti condivisi da un Occidente unito e in grado di svolgere un ruolo da protagonista nel contesto internazionale.

I valori culturali che hanno disegnano e formato la nostra società sono senz’altro validi e meritano di essere proposti come un modello da seguire e da adottare e non dobbiamo vergognarci di sostenerli e di veicolarli, ma dobbiamo farlo senza l’arroganza che siano gli unici e che possano essere imposti come merce di scambio. Il modo migliore è dimostrare che la nostra società Occidentale non è decadente, immorale e pericolosa come la Cina la descrive ma, invece, rappresenta un modello i cui valori sono degni di essere accettati e condivisi anche dagli altri.

L’alternativa è di iniziare a imparare a usare le bacchette per mangiare!

Stati Uniti, nuovo record di contagi

AMERICHE/REGIONI di

Riprendono a salire le morti per Covid-19 negli USA; ogni giorno gli Stati, soprattutto quelli del Sud e della West Coast, registrano nuovi record di decessi. Si è interrotta quindi la recente tendenza per cui nonostante i contagi continuassero ad aumentare le morti rimanevano stabili, evidenziando tutti i limiti e le contraddizioni della politica del Presidente Trump, dalla comunità scientifica ritenuta insufficiente. La comunità nazionale già dalla scorsa settimana aveva previsto in un breve periodo l’aumento dei decessi, tra le voci di questo coro Catherine Troisi, epidemiologa della UTHealth School di Houston, aveva dichiarato ai media statunitensi che “anche se si potessero isolare i contagiati in una sola stanza, assisteremo ugualmente a un aumento dei decessi”.

Difatti ieri è arrivata puntuale la conferma; nuovo record di casi totali, oltre i 76.000, e nuovo picco di contagi anche in Texas, con quasi 15.000 nuovi casi di contagio.I decessi in questa settimana hanno toccato una media di 900 casi, un aumento allarmante rispetto alla media di 500 morti giornaliere che si è registrata verso fine giugno. Ad oggi più di 136.000 cittadini statunitensi sono deceduti a causa del virus, di cui una larga parte durante i primi mesi quando la media di decessi si attestava sui 2.000 casi giornalieri a livello nazionale, con epicentri nelle grandi metropoli americane come New York. Leggi Tutto

Partenariato strategico Cina-Iran: non una novità

MEDIO ORIENTE di

L’ampio partenariato tra i due Paesi spianerebbe la strada a miliardi di investimenti cinesi, complicando tutti gli sforzi del presidente Trump di isolare Teheran e le sue ambizioni nucleari e militari. La cooperazione militare tra Cina e Iran non è però una novità.

Secondo il Wall Street Journal, l’Iran e la Cina avrebbero raggiunto un importante accordo militare e commerciale. L’intesa lascerebbe spazio a investimenti cinesi per circa 400 miliardi di dollari nei settori chiave dell’energia e delle infrastrutture della Repubblica islamica nei prossimi 25 anni. L’intelligence statunitense è preoccupata che l’accordo possa prevedere l’installazione di basi militari cinesi nel paese mediorientale: se così fosse la geopolitica dell’intera regione subirà un cambiamento radicale.

La bozza dell’accordo, come riporta la testata giornalistica americana, parla di una forte espansione cinese in Iran (dalle banche, alle Tlc, dalle ferrovie ai porti); in cambio Teheran dovrebbe fornire una quantità regolare di petrolio a Pechino nel prossimo quarto di secolo.

L’intesa prevedrebbe anche un approfondimento della cooperazione militare tra i due Paesi, con addestramento ed esercitazioni congiunte, ricerca e sviluppo nel settore e condivisione dell’intelligence. Questa “collaborazione militare” avrebbe l’obiettivo di contrastare il terrorismo internazionale, traffico di droga e di essere umani e crimini transazionali.

L’accordo sarebbe stato promosso dal presidente cinese, Xi Jinping, durante la sua visita nella capitale iraniana nel 2016, per poi essere approvato dal presidente iraniano, Hassan Rouhani nelle ultime settimane. Tuttavia, non è stato ancora presentato al Parlamento iraniano, sebbene i funzionari di Teheran abbiano più volte dichiarato che con la Cina esiste un progetto in sospeso. Questa  alleanza arriva in un periodo alquanto difficile per l’Iran, sia a causa delle sanzioni statunitensi  che della pandemia di coronavirus.

Per entrambi i Paesi, si tratta di una mossa strategica di grande importanza, non solo per espandere i propri interessi nella regione, ma anche per contrastare la politica di Washington. Il progetto con l’Iran mostra come la Cina, a differenza di altri Paesi, ritiene di essere in grado di sfidare gli Stati Uniti. Dall’altra parte, la Repubblica islamica, abituata ad intese di solo carattere commerciale con i Paesi europei, per la prima volta, stringe un’alleanza con una grande potenza mondiale.

Tra i vari investimenti nel settore delle infrastrutture, molta importanza acquista l’eventuale costruzione di un porto a Jask, appena fuori dal Golfo di Hormuz. Un porto cinese a Jask consentirebbe a Pechino di avere una posizione strategica in una tratta nella quale transita gran parte del petrolio mondiale. Tale ipotesi preoccupa molto la Casa Bianca che considera il passaggio di fondamentale importanza strategica.

L’accordo in sé rappresenta un duro colpo per l’amministrazione guidata da Donald Trump e la sua politica aggressiva nei confronti della Repubblica islamica da quando ha abbandonato l’accordo nucleare raggiunto nel 2015 dal suo predecessore Barack Obama e dai leader di altre sei nazioni dopo oltre due anni di estenuanti negoziati. Le rinnovate sanzioni statunitensi sono riuscite a soffocare l’economia iraniana e spingere Teheran tra le braccia di Pechino.

La collaborazione militare tra Iran e Cina non è cosa nuova. All’inizio degli anni Novanta intensi rapporti erano in atto tra i due Paesi. Durante la guerra tra Iran e Iraq, la Cina fornì all’Iran il 22% del totale delle importazioni iraniani di armi, e nel 1989 divenne il suo maggiore fornitore. Inoltre la Cina partecipò attivamente agli sforzi iraniani, esplicitamente dichiarati, di acquisire armi nucleari in passato. Dopo un primo “accordo iniziale di cooperazione sino-iraniano”, nel gennaio del 1990 i due paesi raggiunsero un’intesa decennale in materia di cooperazione scientifica e trasferimento di tecnologia militare. Nel settembre del 1992 il presidente Rafsanjani si recò in Pakistan e quindi in Cina, dove firmò un altro accordo di cooperazione nucleare. Nel febbraio del 1993 la Cina acconsentì a costruire in Iran due reattori nucleari 300-MW. In ossequio a tali accordi, la Cina trasferì informazioni e tecnologia nucleare all’Iran, addestrando inoltre ingegneri e scienziati. Nel 1995, dietro forte pressione statunitense la Cina fu costretta a “sospendere” la vendita dei due reattori. Pechino è stato anche fornitore di missili e tecnologia missilistica all’Iran, come i Silkworm (via Corea del Nord).

Iran: per Rouhani un “anno difficile”

MEDIO ORIENTE di

Secondo il presidente iraniano la pandemia di Covid-19 ha accentuato le difficoltà create dalle sanzioni americane. Ad Abu Dhabi colloquio tra USA ed EAU per la stabilità della regione.

Domenica scorsa, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha dichiarato che il suo paese sta affrontando il periodo più duro degli ultimi anni a causa delle sanzioni statunitensi e della pandemia di coronavirus.

La scorsa settimana il rial iraniano è sceso al suo valore più basso rispetto al dollaro Usa, mentre l’economia del paese mediorientale continua ad essere colpita dalla pandemia che ha aggravato la già difficile situazione causata dalle sanzioni imposte da Washington nel 2018.

“Viviamo un anno difficile a causa delle sanzioni economiche imposte dal nostro nemico e dalla pandemia”, ha affermato Rouhani in un discorso televisivo. “La pressione economica, iniziata nel 2018, è aumentata, e oggi è il periodo più duro per il nostro paese”, ha continuato il presidente iraniano.

L’Iran ha visto un forte aumento del numero di contagiati e di decessi da coronavirus nelle ultime settimana, in parte causate anche dalla revoca a metà aprile delle misure restrittive per arginare la diffusione del virus. Il bilancio delle vittime ha superato la quota di cento al giorno, per la prima volta dopo due mesi.

Circa 2.490 nuovi casi sono stati registrati nelle ultime 24 ore, portando il totale ad oltre 222.670 contagi. Secondo la portavoce del ministero della Salute, Sima Sadat, i morti avrebbero raggiunto la cifra di 10.508.

Il presidente Rouhani ha detto che indossare la mascherina diventerà obbligatorio per le prossime due settimane in alcune parti del paese considerate ad alto rischio. Funzionari iraniani hanno avvertito che le restrizioni precedentemente revocate potrebbero essere reintrodotte qualora non venga rispettato il distanziamento sociale e le altre misure di sicurezza. Il paese ha lanciato la campagna “#Iwearmask” per motivare il pubblico riluttante a utilizzare i dispositivi sanitari di sicurezza. Il viceministro della Salute, Iraj Harirchi, ha supplicato i suoi concittadini di prendere sul serio la malattia ed evitare qualsiasi comportamento che possa mettere a repentaglio la propia salute o quella degli altri. Secondo lo stesso Harichi, in Iran “ogni 33 secondi una persona viene infettata dal coronovirus, e ogni 13 minuti muore un contagiato”.

Incontro tra USA ed EAU

Sempre ieri, lo sceicco Abdullah bin Zayed al Nahyan, ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, ha incontrato Brian Hook, il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Iran e consulente politico presso il Segretario di Stato, per discutere le questioni regionali di interesse comune e i modi per rafforzare la cooperazione bilaterale tra i due Stati. Al centro degli argomenti trattati la minaccia alla sicurezza posta dall’Iran e gli sforzi congiunti per creare una regione mediorientale più stabile e sicuro.

Mandato di arresto per Trump

Il procuratore di Teheran, Ali Qasi Mehr, citato dall’agenzia di stampa statale IRNA, ha affermato che 36 funzionari politici e militari statunitensi “coinvolti nell’assassinio” del generale Qasem Soleimani “sono stati indagati e nei loro confronti è stato emesso un mandato di arresto”. In cima alla lista ci sarebbe il presidente Donald Trump. Lo stesso procuratore avrebbe richiesto all’agenzia internazionale di polizia Interpol di emettere i mandati di arresto nei confronti di Trump e degli indagati, ma l’Interpol avrebbe chiarito che la sua costituzione impedisce  di “intraprendere qualsiasi intervento o attività di carattere politico, militare, religioso o razziale”. L’organizzazione di polizia internazionale ha dichiarato di non aver ricevuto nessun tipo di richiesta dall’Iran, e che non sarebbe in grado di ottemperare a una richiesta del genere qualora le venisse recapitata.

Di Mario Savina

 

 

La “propulsione al plasma”: la sfida tra Wuhan e Boston sulla costruzione di aerei a zero emissioni.

Sin dal primo volo aereo più di 100 anni fa, gli aeroplani sono stati azionati utilizzando superfici mobili come eliche e turbine. La maggior parte è stata alimentata dalla combustione di combustibili fossili. L’Electroaerodynamics, in cui le forze elettriche accelerano gli ioni in un fluido, viene proposta come metodo alternativo di propulsione di aeroplani — senza parti in movimento, quasi silenziosamente e senza emissioni di combustione. Tuttavia, nessun aereo con un tale sistema di propulsione a stato solido, è riuscito a spiccare il volo. La rivista Nature nel suo studio “Flight of an aeroplane with solid-state propulsion” dimostra come un sistema di propulsione a stato solido può sostenere il volo a motore, progettando e pilotando un aereo più pesante dell’aria a propulsione elettro-aerodinamica.

Leggi la pubblicazione originale sulla rivista scientifica Nature: Flight of an aeroplane with solid-state propulsion.

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USA-Iran: petrolio e Venezuela fanno risalire la tensione

MEDIO ORIENTE di

Tra Iran e USA risale la tensione. Questa volta il motivo è il petrolio inviato da Teheran con destinazione Caracas. Una mossa vista come una provocazione per Washington.

Le cinque petroliere inviate dall’Iran con 1,5 milioni di litri di benzina stanno arrivando in Venezuela, violando l’embargo imposto dall’amministrazione a stelle e striscie, con lo scopo di aiutare  il Paese ad alleviare la carenza di carburante che ha sofferto in questi mesi, aggravata anche dall’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di coronavirus. Fortuna, il nome della prima nave entrata in acque territoriali venezuelane, è arrivata nella mattinata di lunedì nei pressi della raffineria di El Palito, sulla costa centrale del Paese sudamericano. Le altre si stanno avvicinando alle strutture di Puerto La Cruz, a nord ovest, e Amuay, sul lato occidentale. L’operazione ha causato un aumento della tensione tra i due Paese “alleati” e gli Stati Uniti di Trump.

Il ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino Lopez, ha annunciato che le navi iraniane sarebbero state scortate da elicotteri e aerei delle forze armate fino a raggiungere i porti. Il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, il numero due del partito chavista Diosdado Cabello, e altri leader politici e militari hanno ringraziato il sostegno alle autorità iraniane e attribuiscono il risultato alla “diplomazia pacifica” condotta da Nicolas Maduro.

L’alleanza politica tra Teheran e Caracas risale ai tempi dell’amicizia tra gli ex presidenti di entrambe le nazioni, Hugo Chavez e Mahmud Ahmadineyad. Maduro aveva annunciato a inizi gennaio la sua solidarietà alle Repubblica islamica dopo che un attacco missilistico portato a segno dagli statunitensi aveva assassinato il leader della Guardia Rivoluzionaria iraniana Qasem Soleimani a Baghdad. Uno dei principali attori in campo della gestione ufficiale venezuelana per ottenere questo importante contributo petrolifero è stato l’attuale vicepresidente dell’Economia, Tareck El Aissami, venezuelano ma di origine libanese.

I settori radicalizzati dell’opposizione venezuelana al governo speravano che Trump avrebbe impedito il passaggio delle navi per colpire maggiormente Maduro in un momento di totale collasso dei servizi pubblici e dell’economia generale del Paese: non è successo, nonostante il dispiegamento militare statunitense nell’area dovuto alla battaglia sempre più intensa contro il narcotraffico. Da Teheran, invece, il Presidente Hassan Rouhani aveva avvertito gli Stati Uniti che un atto ostile nei confronti della flotta iraniana avrebbe avuto conseguenze gravi.

Da diversi mesi il governo Maduro sta lavorando con i tecnici di Petroleos de Venezuela (PDVSA), la compagnia petrolifera statale che prima della crisi era tra le principali esportatrici di benzina al mondo, per riparare le raffinerie di El Patito e Cardòn gravemente danneggiate. Per gestire al meglio il ripristino delle industrie, il Venezuela è stato assistito da tecnici iraniani arrivati nel Paese nelle ultime settimane. Sebbene i lavori di riparazione siano a buon punto, alcuni problemi tecnici  ne hanno ritardato la riapertura.

Il Venezuela, così come lo stesso Iran, è colpito da drastiche sanzioni decretate dagli Stati Uniti. Quelle contro la Repubblica islamica erano state parzialmente eliminate dall’amministrazione Obama per poi essere ripristinate dall’attuale Presidente Trump. Con l’embargo al Paese sudamericano, invece, si vuole mettere con le spalle al muro il governo di Maduro, considerato illegittimo e colpevole di abusi contro i diritti umani. Gli Stati Uniti continuano ufficialmente a riconoscere Juan Guaidò come rappresentante legittimo di Caracas. In preda a penurie di benzina, e di elettricità, il Venezuela aveva potuto contare fino a un paio di mesi fa sui fornitori russi della Rosneft, ma dopo le sanzioni inflitte alle filiali dell’azienda russa da parte di Washington il Cremlino sembra abbia affievolito il proprio sostegno al leader venezuelano.

Di Mario Savina

Il Senato USA approva il veto di Trump sull’Iran

MEDIO ORIENTE di

Una risoluzione del Congresso che cercava di limitare il potere presidenziale per attaccare la Repubblica islamica rimane paralizzata. 

Dopo il veto imposto mercoledì scorso da Donald Trump sulla risoluzione del Congresso che aveva limitato la sua capacità di usare la forza militare in Iran senza l’approvazione del Campidoglio, il Presidente degli Stati Uniti ha segnato una grande vittoria nella giornata di ieri grazie all’aiuto del Senato – a maggioranza repubblicana – che non è riuscito a bloccare quel veto. Il risultato del voto è stato di 49 voti contrari  e 44 a favore della risoluzione, quindi ben  lontano dai due terzi necessari per  scavalcare il veto presidenziale. L’iniziativa è stata promossa dai democratici e mirava a ridurre le tensioni politiche e militari tra Iran e USA. La risoluzione fallita chiedeva al Presidente di non mobilitare le forze armate  statunitensi contro la Repubblica islamica dell’Iran a meno che non fosse esplicitamente  autorizzato da una dichiarazione di guerra o da un’autorizzazione specifica per l’uso della forza militare.

Nei mesi di gennaio e febbraio, la Camera dei Rappresentati e il Senato avevano approvato una risoluzione che limitava la capacità del Presidente di usare la forza militare  in Iran senza l’esplicita approvazione  del Congresso. L’iniziativa legislativa è arrivata dopo il raid che ha portato all’omicidio del generale iraniano Qasem Soleimani. Trump ha quindi definito l’iniziativa “offensiva” e “parte di una strategia “ da parte dei democratici nella lotta per le elezioni presidenziali.

Soleimani, comandante dell’élite Al Quds della Guardia rivoluzionaria iraniana, l’unità responsabile delle operazioni all’estero, è stato ucciso il 3 gennaio in un attacco di droni, nei pressi dell’aeroporto della capitale irachena Baghdad, effettuato dall’esercito americano per ordine dello stesso Presidente. La morte dell’architetto dell’intelligence  e delle forze militari iraniane negli ultimi vent’anni ha inferto un duro colpo a Teheran, che ha promesso vendetta e scatenato drammaticamente la tensione nella regione. L’Iran ha risposto giorni dopo la morte di Soleimani con un attacco missilistico contro due basi militari statunitensi in Iraq.

La decisione adottata a febbraio dal Senato, ricordiamo a maggioranza repubblicana, rappresentava un severo rimprovero per Trump che aveva dato il via libera all’attacco contro Soleimani senza consultare il Congresso, creando un pericoloso precedente che avrebbe significato troppa autonomia da parte del Presidente in alcune decisioni che potrebbero portare alla guerra.

Finora, Trump ha posto il veto per due volte alla restrizioni del Congresso sulle sue iniziative militari. Il precedente è stato contro una risoluzione per porre fine al sostegno degli Stati Uniti all’offensiva dell’Arabia Saudita nello Yemen.

Di Mario Savina

L’ISIS approfitta dell’emergenza sanitaria per guadagnare terreno

MEDIO ORIENTE di
Con i soldati iracheni mobilitati contro l’emergenza Covid19 e il ritiro di alcune truppe della coalizione, i jihadisti intensificano i loro attacchi.

In piena pandemia l’Iraq ha messo in campo una parte del proprio esercito per sostenere le misure adottate contro il coronavirus e ha sospeso i programmi di addestramento anti-jihadisti ricevuti dalla coalizione internazionale. Molti membri di quest’ultima hanno ritirato le truppe impegnate in questa missione. Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno ritirato i propri militari da due basi a causa degli attacchi delle milizie filo-iraniane. Gli osservatori avvertono che lo Stato Islamico (ISIS) sta cercando di sfruttare questa crisi sanitaria per guadagnare terreno.

“Il coronavirus ha fortemente influenzato le operazioni contro l’ISIS, poiché la maggior parte delle truppe irachene si sono trasferite dalle valli e dai deserti ai centri urbani per imporre e gestire il coprifuoco”, secondo Hisham al Hashemi, consigliere del governo di Baghdad nella lotta ai gruppi terroristici. Tuttavia, Al Hashemi sottolinea che la riduzione delle forze straniere era già iniziata prima della diffusione del Covid19 e che i militanti dello Stato Islamico avevano ricominciato l’avanzata già dallo scorso anno.

In concomitanza con il declino delle attività di controinsurrezione, l’organizzazione jihadista è stata particolarmente attiva nel mese di marzo. A Khanaqin,  nel Governatorato di Diyala e vicino al confine iraniano, ha attaccato diversi basi delle forze di sicurezza causando alcune vittime. Ha anche attaccato con mortai in alcuni quartieri delle città di Tuz Khurmatu e Amirli (entrambe nel Governatorato di Saladino), cosa che non accadeva da un paio d’anni. Il timore è quello di un inizio di un nuovo ciclo di omicidi di leader locali con lo scopo di intimidire la popolazione.

Gli stessi propagandisti dell’ISIS si sono vantati delle loro intenzioni, come ha evidenziato nel suo blog Aymenn al Tamimi, ricercatore alla George Washington University. Al Tamini, che analizza dettagliatamente le pubblicazioni del gruppo, osserva un incoraggiamento verso i seguaci e sostenitori “a non mostrare misericordia nell’organizzazione di evasioni da prigioni e nel lancio di attacchi”. Secondo il ricercatore, l’ISIS “vede la pandemia come un’opportunità per sfruttare le divisioni e le debolezze dei suoi nemici; e allo stesso tempo, fornisce consigli utili sulla salute dei propri membri al fine di evitare il contagio.

Sebbene Daesh affermi di aver intensificato il numero di attacchi, in realtà non vi è stato alcun aumento significativo. Gli attacchi sono passati dalle centinaia lanciati nel 2014, quando il governo iracheno ha richiesto assistenza internazionale per fermare l’avanzata dei jihadisti, a una decina a settimana nell’ultimo periodo. Inoltre, con il supporto della coalizione si è riusciti a recuperare il territorio conquistato dall’ISIS precedentemente.

La maggior parte degli analisti concorda sul fatto che la minaccia non è la stessa. “C’è una ripresa dell’ISIS in alcune zone del’Iraq e della Siria,  ma è improbabile che possa lanciare una campagna territoriale come quella del 2014; è possibile inquadrarla come un’insurrezione di basso livello in particolare aree vulnerabili come Diyala”, sottolinea Hafsa Halawa, ricercatrice presso il Middle East Institute, in un recente seminario online, aggiungendo che “quello che abbiamo visto nel lavoro degli ultimi anni sul campo è che la popolazione è contro il settarismo”.

Secondo Farhad Alaaldin, presidente del Consiglio Consultivo iracheno (un’ong che fornice consulenza al governo iracheno), le operazioni dell’ISIS “sono limitate alla terra di nessuno rimasta tra le forze irachene  e i Peshmerga (truppe curde), che vanno da una dozzina di chilometri in alcune aree a poche centinaia di metri in altre”. Secondo Alaaldin, “il problema  non è l’assenza  delle forze statunitensi sul campo, dal momento che crede che l’Iraq abbia abbastanza truppe da combattimento, ma la condivisione delle informazioni e il supporto logistico, che deve continuare ed essere rafforzato”.

Il portavoce dell’esercito statunitense, il Colonnello Myles B. Caggins, sottolinea come le misure adottate dalla coalizione internazionale in seguito all’emergenza coronavirus possano comportare una diminuzione del sostegno alle forze irachene. Consapevoli della battaglia politica a Baghdad sulla presenza delle truppe straniere, i militari insistono sul fatto che il successo contro Daesh dipende dalla cooperazione tra le truppe locali e la coalizione.

Di Mario Savina

Libia: Segretario Generale ONU alla ricerca di un nuovo inviato speciale dopo la bocciatura di Washington

AFRICA di

Dopo le dimissioni di Ghassan Salamè del 2 marzo scorso, ad oggi il ruolo di inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia resta ancora vacante. Infatti, fonti diplomatiche riferiscono che la nomina del suo successore, avanzata dal Segretario Generale Antonio Guterres, è stata respinta in questi giorni dagli Stati Uniti.

Ghassan Salamè è stato il sesto inviato speciale ONU in Libia al vertice della missione UNSMIL, succeduto nel giugno 2017 al tedesco Martin Kobler. Dopo 3 anni dall’assunzione del mandato, la sera del 2 marzo scorso, ha reso noto tramite un tweet che le sue condizioni di salute non gli consentivano di portare a termine il suo mandato, viste le difficoltà riscontrate nel favorire il dialogo tra le due fazioni in conflitto.

 

Il successore di Salamè proposto dal Segretario Generale è stato Ramtane Lamamra, ex ministro degli Esteri algerino, nonché membro della Commissione per la pace e la sicurezza presso l’Unione Africana.     In questi giorni la nomina di Lamamra ha ottenuto il consenso di 14 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, eccetto quello degli Stati Uniti, che hanno quindi bloccato la nomina.

 

La testata algerina TSA, dichiara che sarebbero stati Egitto, Emirati Arabi Uniti e Marocco a fare pressioni su Washington in tal senso, forti della contrarietà dello stesso Khalifa Haftar alla nomina algerina, considerata troppo vicina al governo di Tripoli (Gna).

 

Nell’annunciare il ritiro della propria candidatura Lamamra ha affermato:“I gave my agreement in principle… (but)… consultations carried out by Mr. Guterres since then do not seem likely to result in the unanimity of the Security Council.

 

 

Mercoledì 8 aprile nel corso di una riunione ristretta sulla Libia, è stato riferito al Consiglio di Sicurezza che il Segretario Generale Guterres è alla ricerca di un nuovo candidato.

Attualmente la missione di sostegno ONU in Libia (UNSMIL) è retta in via temporanea da Stephanie Turco Williams, diplomatica statunitense, vice dell’ex capo missione Salamè. Prima della sua nomina, ha ricoperto il ruolo di Incaricato d’affari presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tripoli (Libia External Office) e quello di vice-capo delle missioni statunitensi in Iraq, Giordania e Bahrein.

Gotico Americano di Arianna Farinelli, una foto della crisi identitaria degli Stati Uniti

BIOGRAFIE/BOOKREPORTER di
“Ci accoglie tra le ovattate moquette dell’élite occidentale, poi spalanca sotto i nostri piedi la voragine delle ipocrisie che la mettono in pericolo.”

Gotico Americano, questo è il titolo del romanzo d’esordio di Arianna Farinelli, uscito nelle librerie questa settimana. Edito dalla Bompiani, il racconto fa parte della collana Munizioni (a cura di Roberto Saviano), espressione tramite cui, in senso metaforico, si vuole accostare la serie di racconti a degli strumenti d’interpretazione per difendersi dalla realtà di oggi.

Lungo la linea tra narrativa e saggistica, l’autrice intende descrivere e criticare la realtà americana in cui lei stessa vive, ossia il panorama urbano di una grande metropoli come New York segnata da due eventi, il primo la crisi economica del 2008 e il secondo l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti nel 2016.

Proprio da questo avvenimento ha inizio la trama; la protagonista, Bruna, una professoressa di Scienze Politiche presso l’università di New York, riflette sulla sua vita e quella dei propri cari, a partire dal marito Tom i cui genitori sono figli di immigrati italiani che, una volta conseguito l’american dream, sono entrati nel tessuto americano borghese e conservatore, e con i quali Bruna ha un pessimo rapporto. Così la vita della professoressa s’intreccia con quella dell’altro protagonista del libro, Yunus, un suo alunno afro-americano con cui lei ha ritrovato la passione. La vita del ragazzo certamente non è facile e alcuni eventi, come la morte in carcere del padre, lo hanno portato a provare un forte senso di estraniazione verso la società di oggi; Bruna prova a capire questo rancore ma Yunus trova progressivamente riparo nella religione islamica poiché è l’unica capace di rispondere alle sue domande.

L’intento di Arianna Farinelli è quello di scattare una sorta d’istantanea della Grande Mela, città in cui si intrecciano vite differenti fra loro, ma che hanno come comune denominatore la disillusione verso la vita, l’insofferenza per i ruoli che essa ci impone e la crisi identitaria che ne scaturisce; è questo il filo rosso della narrazione, a cui fa da sfondo l’America post crisi, una società che sembra aver perso i valori che l’hanno resa grande e che, alla globalizzazione, epoca contraddistinta dall’intensificazione delle relazioni sociali e dall’avvicinamento dei modelli culurali, risponde in maniera divisiva, inconsapevole dell’ineluttabilità.

Gotico Americano è un romanzo che affronta a viso aperto le questioni politiche e sociologiche del tempo, ed è proprio dalla lente con cui l’autrice analizza gli Stati Uniti di oggi, che prende significato il titolo. American Gothic come il quadro di Grant Wood in cui viene rappresentata una coppia di fronte a una fattoria americana, presumibilmente la propria casa, con lui che impugna un forcone quasi a proteggerla; questi individui così austeri vogliono salvaguardare un qualcosa che ormai è diventato passato, come la loro posizione nella società di oggi, inconsapevoli che presto diverranno, spiega Arianna Farinelli durante la presentazione del libro, “la più grande delle minoranze”.

Nel romanzo il piano personale dei protagonisti si mescola a quello collettivo, in quanto legati da una forte crisi d’identità, perché in fondo non c’è salvezza dell’individuo che prescinda dalla comunità in cui si vive, anche in una grande metropoli come New York. Certi aspetti del libro, ci tiene a precisare Farinelli, rispecchiano fedelmente la realtà, come il carcere dove ingiustamente muore il padre di Yunus, Rikers Island ora prossimo alla chiusura; la scrittrice riprende delle storie veramente vissute come quella di Kalief Browder, ragazzo che appena sedicenne si tolse la vita una volta uscito dal carcere a causa delle numerose violenze di cui era stata vittima in quei tre anni di incarcerazione senza processo; o come la radicalizzazione di Yunus stesso, che per molti aspetti richiama le storie di quei tanti ragazzi che sentendosi emarginati sono arrivati, come il protagonista, a compiere la più tragica delle scelte, partire per combattere con il Califfato Islamico.

Di cosa abbiamo bisogno allora per affrontare queste situazioni? Risponde Bruna, di amore incondizionato per il prossimo, ma anche della consapevolezza che la propria libertà non può neppure iniziare se coloro che ci stanno accanto non sono liberi, poiché la libertà altrui è una responsabilità comune.

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Andrea Elifani
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