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Libano

Disinnescare il fronte libanese

Quando a Ottobre dello scorso anno Hamas perpetrò il suo attacco terroristico nella striscia di Gaza ottenne, immediatamente, il pieno supporto mediatico delle milizie filoiraniane di Hezbollah.

Tuttavia, anche se nei mesi successivi Hezbollah ha intensificato le sue attività offensive lungo la linea di confine, costringendo Israele ad evacuare diverse decine di migliaia di residenti dai paesi in prossimità dell’area, l’intensità delle operazioni non si è tradotta in uno scontro diretto e nell’apertura di un secondo fronte per Israele.

Nonostante l’incremento delle attività da parte di Hezbollah e la conseguente crescita della risposta israeliana, a sette mesi dall’inizio del conflitto a Gaza rimane ancora un’incognita come possa evolversi la situazione nel settore nord di Israele lungo il confine con il Libano.

Ciò che appare evidente, comunque, è che la precaria situazione di equilibrio preesistente al 7 Ottobre non possa essere più ripristinata e che una nuova soluzione debba essere ricercata. Il punto nodale della questione è se tale soluzione possa essere il frutto di accordi politico diplomatici o il risultato dell’uso della forza.

Allo stato attuale, anche se il rischio di una possibile escalation rimane alto, l’atteggiamento dei principali protagonisti induce a ritenere che si voglia evitare una guerra su larga scala.

Da una parte l’Iran non ritiene di essere ancora pronto a un confronto diretto con Israele e preferisce risparmiare il potenziale di Hezbollah evitando di vedere vanificati gli investimenti fatti nell’area per sostenere una delle risorse strategicamente più importanti nell’ambito della  visione politica in chiave antisraeliana.

Dall’altra parte Israele non intende, almeno per ora, aprire un secondo fronte che comporterebbe un riposizionamento delle forze privando le operazioni a Gaza del necessario supporto specifico.

Gli USA rappresentano il terzo protagonista in quanto una escalation nel Libano comprometterebbe la posizione di Washington nell’intero Medioriente, vanificando gli sforzi diplomatico politici messi in atto dall’amministrazione Biden per avvalorare il ruolo di garante dell’equilibrio nell’area.

Quindi, quali possono essere gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione USA per evitare che l’attuale situazione di attrito si trasformi in un conflitto aperto?

Da un punto di vista diplomatico l’azione che Washington sta sviluppando si articola in due direzioni.

Innanzitutto, la ricerca di un dialogo con la fazione politica di Hezbollah che si basa sulla proposta di un soddisfacente accordo che possa portare a un cessate il fuoco. I termini dell’accordo prevedono i seguenti punti:

  • costituzione di una zona cuscinetto lungo il confine dell’ampiezza di sette chilometri che comporta il ritiro delle forze di Hezbollah;
  • riduzione delle attività aeree di Israele nel Libano meridionale;
  • spiegamento di una forza libanese per il controllo degli accordi a Sud del Litani;
  • avvio di negoziati bilaterali per la definizione delle aree di confine lungo la Blue Line, il cui possesso è oggetto di contesa.

Per supportare tale linea di azione l’Amministrazione USA propone, inoltre:

  • la possibilità di supportare Sleiman Franhgieh il candidato sostenuto da Hezbollah nell’elezione al la carica di presidente del Libano vacante da due anni;
  • l’offerta di supportare economicamente lo sviluppo del Sud del Libano e di concorrere nel pagamento del personale delle Forze Armate Libanesi.

Successivamente, un’intensificazione delle azioni tese a coinvolgere i Paesi dell’area nella ricerca di una soluzione mediata che scongiuri il pericolo di una escalation che avrebbe dannose ricadute su tutta l’area stessa rischiando di compromettere il conseguimento di una situazione di stabilità.

Da un punto di vista politico l’Amministrazione Biden, invece persegue i seguenti obiettivi:

  • supportare Israele sia a livello politico, consentendo al Governo di Netanyahu di resistere alle pressioni interne offrendo la possibilità del raggiungimento di una accordo, che anche se non pienamente soddisfacente, consenta almeno la ripresa di una certa normalità permettendo il ritorno dei circa 80.000 sfollati; sia a livello militare rendendo possibile il consolidamento delle posizioni e il ripristino di un elevato livello di efficienza in termini di materiali e scorte quale deterrente per un eventuale ripresa delle attività da parte di Hezbollah;
  • rafforzare la posizione di Washington nell’area riducendo l’attrito con l’Iran, rinsaldando il ruolo di mediatore preferenziale e di potenza in grado di pervenire alla definizione di una situazione di equilibrio nell’area mediorientale e di garantirne la continuità.

Ovviamente quanto proposto dall’Amministrazione Biden risulta essere una soluzione ottimale ma non perfetta e perché questa ipotesi articolata possa aver successo è necessario che vengano superate le perplessità e le differenze di vedute che contraddistinguono le relative posizioni degli altri protagonisti.

Hezbollah, in primis, ha l’interesse che la situazione non si trasformi in un conflitto aperto in quanto il suo potenziale militare verrebbe seriamente compromesso riducendo le sue capacità di svolgere una pressione costante nello scenario interno libanese. La possibilità di conquistare la carica di presidente del Libano aumenterebbe il prestigio del gruppo e sarebbe un ulteriore passo verso il controllo politico del Paese.

Contestualmente, esistono delle difficoltà ad accettare l’offerta di finanziare la ricostruzione del Sud del Paese da parte USA in quanto diminuirebbe il prestigio dell’organizzazione e la priverebbe della possibilità di gestire gli eventuali fondi per fini propri.

Lo stesso vale per l’offerta fatta per il pagamento degli stipendi alle Forze Armate Libanesi che diminuirebbe la possibilità di estendere il controllo sui militari per indebolire lo Stato.

Da ultimo, la creazione della zona cuscinetto con il ritiro delle forze pregiudicherebbe la narrative di Hezbollah che si basa sull’identificazione del movimento quale difensore dell’integrità del suolo libanese occupato da Israele.

Per quanto riguarda Israele, il Premier Netanyahu è sottoposto a una serie di pressioni politiche difficilmente conciliabili.

L’ala estrema della sua coalizione di governo insiste per evitare concessioni che non siano basate sulla ricerca di soluzioni di forza come premessa per uno scontro che ritengono comunque inevitabile, anche se non imminente.

Le persone che sono state evacuate dalla zona insistono perché si giunga a una soluzione che consenta il ritorno a una situazioni di normalità in una cornice di sicurezza.

Dal punto di vista militare il problema più grosso è rappresentato dalla possibilità di garantire il mantenimento degli accordi per il cessate il fuoco. In questo caso Israele insiste per la possibilità di monitorare il confine con i suoi sistemi di informazione e sicurezza; e per la riconfigurazione della missione di UNIFIL che si è dimostrata un fallimento completo (avvalorando l’ennesima ipocrisia delle Nazioni Unite nella gestione delle crisi) non essendo stata in grado di portare a termine la missione assegnata (disarmare le milizie e controllare la zona cuscinetto).

L’azione diplomatico politica di Washington è diretta a negoziare un cessate il fuoco a Gaza e, contestualmente, a evitare una escalation sul confine libanese che aprirebbe prospettive drammatiche.

L’ipotesi di soluzione individuata rimane al momento di dubbia applicabilità dati i constraints che condizionano la posizione di Hezbollah e di Israele, di conseguenza l’Amministrazione Biden deve riconfigurare la sua visione nell’individuare sia ulteriori eventuali proposte sia soprattutto utilizzare le sue risorse diplomatico politiche per smussare le posizioni dei due protagonisti determinando la possibilità di far convergere le posizioni verso una soluzione negoziale.

Il compito non risulta assolutamente facile in quanto le variabili in gioco sono numerose e particolarmente complicate, inoltre l’Amministrazione Biden non può contare sul sostegno di attori esterni (le Nazioni Unite sono completamente assenti e brillano per una passività imbarazzante, l’Unione Europea ricopre il suo ruolo di grande assente trastullandosi con la riedizione della Guerra Fredda e la Cina non ha ancora deciso se e come deve impegnarsi per svolgere il ruolo di grande Potenza che reclama di diritto) e soprattutto si avvicina un impegno elettorale che impone il conseguimento di un qualche risultato da poter sbandierare per invogliare l’elettorato.

La possibilità di un conflitto che nessuno vuole esiste ed è concreta, ma la volontà di evitare un ulteriore tragedia può spingere i vari protagonisti ad accettare una soluzione che, se non perfetta, rappresenta un punto di inizio per ulteriori sviluppi successivi, di conseguenza si può solo condividere la determinazione di Washington nel cercare di perseguire questa soluzione attraverso la diplomazia.

Libano, bombe Israele vicino a base italiana dell’Onu

MEDIO ORIENTE di

L”artiglieria israeliana ha effettuato poco fa tre bombardamenti di artiglieria contro località nel sud del Libano, situate nei pressi della base italiana della missione Onu (Unifil) nel sud del Libano, senza
fare vittime o danni materiali al compound militare.
Lo riferiscono testimoni oculari vicini alla base di Shamaa, quartier generale del contingente italiano che in Libano conta più di un migliaio di soldatesse e soldati. Le fonti affermano che l’artiglieria israeliana ha preso di mira la zona di Tayr Harfa, Jebbine e Yarin a tre chilometri di distanza dalla base di Shamaa.

La Francia dei Cedri a un mese dal disastro di Beirut

MEDIO ORIENTE di

E’ passato appena un mese dal 4 agosto 2020, data in cui 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio abbandonate all’interno dell’area portuale di Beirut sono esplose causando un impatto così violento da essere registrato persino dall’isola di Cipro, a circa 240 chilometri dalla capitale del Libano. Il bilancio è disastroso, in termini di vite si contano più di 200 morti e migliaia di feriti, e inoltre, come se non bastasse, l’esplosione dell’area portuale, centro economico della città, ha peggiorato ulteriormente la situazione economica del Paese, ufficialmente in crisi dagli inizi di marzo, quando il premier Diab aveva dichiarato default, ma la cui precarietà ha radici ben più lontane. E da qui nell’arco di questo mese la classe politica ha quindi ceduto alle forti pressioni del popolo libanese, comportando così le dimissioni in blocco del governo alcuni giorni dopo l’esplosione; infatti il 10 agosto lo stesso Hassan Diab, primo ministro in carica da appena sette mesi, ha rassegnato le dimissioni dell’esecutivo di fronte al Presidente Michel Aoun, aggravando ulteriormente l’instabilità del Paese, che oramai non riesce più a garantire ai propri cittadini servizi essenziali come l’alimentazione, una carenza peraltro esacerbata dal disastro che ha distrutto circa l’85% delle scorte nazionali di cereali. Leggi Tutto

Hezbollah e la lotta al coronavirus

MEDIO ORIENTE di
Il partito della milizia sciita libanese annuncia la mobilitazione di migliaia di volontari con il tentativo di riconquistare la legittimità persa negli ultimi mesi.

Hezbollah ha dichiarato guerra al coronavirus in Libano. Un esercito di 25.000 persone in prima linea e quattro ospedali privati per vincere la battaglia contro il virus, una priorità dichiarata dal partito della milizia sciita libanese. La terminologia bellicosa permea i discorsi televisivi del segretario generale del partito, lo sceicco Hasan Nasralà, che non si riferisce alla milizia meglio equipaggiata della regione, ma al reggimento di medici, infermieri e volontari mobilitati nel Paese levantino. E’ la penultima mutazione di un movimento, denominato di resistenza islamica, in costante metamorfosi nell’ultimo decennio.

Hezbollah è passato dallo scontro con Israele, il nemico sionista, alla lotta contro i “tafkiris in Libano e Siria” – dal 2012 circa 10.000 miliziani libanesi  hanno combattuto nel Paese vicino a fianco di truppe fedeli a Bachar al-Assad e al sostegno di Teheran -, fino a trovarsi oggi ad affrontare la questione pandemia. A livello nazionale, ha cessato di essere un partito di opposizione  per entrare a far parte del governo appena creato, un governo fragile che ha preso vita insieme agli alleati sciiti di Amal e alla forza cristiana incarnata dal Movimento patriottico libero. Nella distribuzione dei ministeri, il partito islamista ha preteso quello della salute.

“La paura del virus ha riportato i libanesi nelle tradizionali strutture di solidarietà basate sul partito e sulla confessione, oggi in competizione per servire le proprie basi sociali”, ha affermato Maha Yahia, direttrice del Carniege Center for the Middle East, a Beirut. Le persone hanno perso la fiducia nelle istituzioni statali in cui il potere politico-economico è distribuito sulla base delle 18 religioni ufficiali. “Tra le parti, Hezbollah è semplicemente quello che offre il piano più completo avendo a disposizione più risorse”, sottolinea la Yahia. La milizia ha deciso di trasferire la sua capacità di mobilitazione militare sul piano sociale. Nei sobborghi di Dahie, periferia a sud di Beirut e feudo di Hezbollah, si trova l’ospedale Saint George Hospital, che il partito della milizia ha messo a disposizione come centro nevralgico per la cura dei pazienti infetti dal Covid-19: 1000 tamponi e 80 posti letto, 16 dei quali con respiratori, in un quartiere dove la popolazione è di 800 mila abitanti, secondo le informazioni che ha dato alla stampa il direttore del centro ospedaliero Hasan Oleik.

L’esecutivo libanese ha stabilito l’ospedale universitario Rafik Hariri come centro nevralgico per il trattamento degli infetti, con una capacità di 128 posti letto. Con 541 positivi e 19 decessi (dati risalenti alla settimana passata), gli esperti hanno già annunciato che il settore della sanità pubblica libanese non sarà in grado di far fronte a un aumento del numero degli infetti.

Nel seminterrato di una moschea di Dahie si può apprezzare la complessa rete sociale di Hezbollah: dozzine di volontari muniti di mascherine e guanti impacchettano diversi prodotti alimentari nelle scatole che poi distribuiranno alle famiglie più svantaggiate. Hanno a disposizione un budget di 1,8 milioni di euro “tra fondi propri e donazioni di affiliati”, affermano fonti del partito.

La pandemia di coronavirus arriva in piena crisi economica. Prima che il virus si diffondesse, la Banca Mondiale aveva avvertito che metà dei 4,5 milioni di libanesi sarebbe finita al di sotto della soglia di povertà. Dal 17 ottobre, giorno in cui le proteste antigovernative hanno iniziato a chiedere la caduta in blocco dei partiti tradizionali, oltre 220.000 persone hanno perso il lavoro. Ora questi stessi partiti stanno cercando di sfruttare questa minaccia sanitaria. Questo è il motivo per cui è stata lanciata una campagna strada per strada distribuendo aiuti economici e alimentari. I leader promettono donazioni milionarie agli ospedali seguendo la mappa demografica-confessionale, mentre il governo ha dovuto annunciare il primo default dovuto al proprio debito statale nella sua storia.

Di Mario Savina

Libano: nove mesi di trattative per formare un governo di unità.

MEDIO ORIENTE/Policy/Politics di

Circa nove mesi sono durati i negoziati che hanno dato vita al nuovo governo in Libano, annunciato dal Primo Ministro Saad Hariri nel pomeriggio di giovedì scorso. L’esecutivo sarà formato da trenta ministri. Prima ancora di terminare il suo discorso al palazzo presidenziale di Baabda, il frastuono dei fuochi d’artificio e gli spari in aria assordavano Beirut. Scommettendo in un governo di unità, diversi leader politici hanno usato negli ultimi mesi diversi trucchi politici per superare le insidie e formare un nuovo esecutivo a colpi di concessioni da una parte e dall’altra. Tra i nuovi ministri ci sono quattro donne, una delle quali, Raya Al Hassan, responsabile dell’Interno. È la prima volta che una donna occupa tale carica nel paese.

Hariri ha riferito che il governo “lavorerà al servizio del paese” per “affrontare le sfide sociali ed economiche”, sollecitando in più occasioni la “cooperazione tra le parti”. La ripresa economica, con la situazione dei rifugiati siriani, è in cima all’agenda del nuovo governo, in attesa che le elezioni politiche volgessero al termine. La coalizione degli sciiti Hezbollah e del partito cristiano Movimento Patriottico Libero, guidata dal Presidente Miche Auron, è uscita rafforzata dalle urne come blocco maggioritario. All’opposizione, il partito Il Futuro di Hariri ha ricevuto un duro colpo, perdendo dodici dei trentatre seggi che aveva nel 2009, a dimostrazione della crescente frammentazione nel blocco sunnita. Tuttavia, l’alleato partito cristiano Forze Libanesi, guidato da Samir Geagea, è riuscito a raddoppiare il numero di seggi compensando la perdita del partito amico.

La religione guida la vita politica in Libano chiedendo una divisione salomonica  di potere tra cristiani e musulmani (sunniti e sciiti). All’interno delle quote concordate  ad ogni religione, i posti ministeriali devono essere distribuiti secondo la rappresentazione geografica di ciascuna  delle diciotto confessioni del paese. Una premessa che ha creato non poche dispute, con il partito druso ad essere il primo ostacolo nella formazione di questo governo. Successivamente è scoppiata una faida religiosa tra Il Futuro di Hariri ed Hezbollah sulla concessione di un seggio all’opposizione sunnita, e, infine, la lotta per la distribuzione dei portafogli. Hariri è arrivato alla fine a prendere in considerazione la creazione di un esecutivo con trentadue ministri, per una paese con una popolazione di 4,5 milioni di abitanti. Nell’accordo finale, Hezbollah aggiunge due portafogli, Salute e Sport e gioventù, e uno dei suoi deputati ottiene l’incarico al Ministero di Stato per gli Affari Parlamentari. Da parte sua,  Aoun ha ottenuto due posti chiave, Difesa ed Esteri. Sul blocco opposto, Hariri nomina i ministri degli Interni e delle telecomunicazioni, mentre il suo alleato di Forze Libanesi ha ceduto il Ministero della Cultura per occupare quello del Lavoro e degli affari sociali.

Aiuti economici bloccati. Secondo gli esperti, le pressioni esterne per l’urgente necessità di gestire un’economia sull’orlo della bancarotta hanno portato allo sblocco della situazione politica. La formazione del governo è requisito fondamentale per l’erogazione di oltre 8 miliardi di euro di investimenti promessi nel corso della Conferenza di Cedre – 350 da parte della Banca Mondiale –  che si è tenuta a Parigi lo scorso aprile per sostenere lo sviluppo del Libano. Mentre Hariri si è impegnato a governare con un esecutivo di unità, la frammentazione tra i partiti e l’attuale riparto di poteri continua a contrariare gli alleati internazionali come gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Francia, la Gran Bretagna e l’Arabia Saudita, che hanno già minacciato di paralizzare tutti gli aiuti alle Forze Armate Libanesi qualora il partito della milizia sciita Hezbollah non venga estromesso dal governo. Gli Stati Uniti considerano Hezbollah come gruppo terroristico, mentre l’UE fa lo stesso con l’ala armata del partito.

Paralisi politica. Alla fine del 2017, Hariri aveva dovuto dimettersi da Riad inaspettatamente durante un viaggio controverso nel quale era stato temporaneamente trattenuto. Il principe ereditario Salman Bin Mohamed, aveva rimproverato il suo alleato di eccessivo permissivismo nei confronti di Hezbollah. È stato l’intervento  del presidente francese, Emmanuel Macron, a permettere il ritorno del primo ministro a Beirut. Nel 2016, un’altra paralisi politica in chiave regionale è stata risolta quando un accordo siglato tra Teheran e Riad, padrini rispettivamente di Hezbollah e Hariri, metteva fine ad un vuoto presidenziale dovuto alla mancanza del quorum. La situazione  regionale, con la vicina Siria come epicentro, ha paralizzato la vita politica, legislativa ed economica del paese. Il Libano ha dovuto fare i conti con l’arrivo di un milione e mezzo di rifugiati siriani e il rapido declino economico collegato al calo delle entrate dal turismo e delle rimesse, fino ad accumulare un debito estero pari al 150% del PIL. La scarsa partecipazione dell’elettorato (49,2%) nelle ultime elezioni ha dimostrato lo scetticismo dei cittadini che oggi protestano contro l’aumento delle tasse e la corruzione cronica, attribuite alla casta politica del paese.

 

Di Mario Savina

MIBIL: Ministro della difesa libanese Yacoub Sarraf in visita al comando generale.

MEDIO ORIENTE di

Il 10 ottobre scorso, il ministro della difesa libanese Yacoub Sarraf, accompagnato dall’ambasciatore Italiano in Libano Massimo Marotti, è andato in visita presso il comando della MIBIL, in Al Samaya, Sud del Libano. L’acronimo MIBIL sta per missione italiana bilaterale in Libano. Inquadrata in ambito ONU, dal 2015 si propone di supportare il Libano che, alla luce del conflitto siriano, è affetto da numerosi disagi sociali ed economici. A seguito  delle gravi ripercussioni sui fronti della stabilità e della sicurezza l’Italia ha avviato delle attività bilaterali nel settore della formazione del personale militare libanese(LAF).

Ad accogliere Yacoub Sarraf c’era il comandante Stefano Giribono, in carica dal 15 settembre scorso. Durante la riunione gli sono state fornite tutte le informazioni riguardanti la MIBIL, da come è nata, passando per l’organizzazione e arrivando ai risultati ed agli obbiettivi futuri. I dati forniti riguardo i corsi di addestramento parlano di 700 unità formate, tra ufficiali, sottoufficiali e militari di truppa, tra il 2016 ed il 2017, con un numero che arriverà a toccare le 1000 unità nelle previsioni per la fine dell’anno solare. Il ministro ha poi assistito simultaneamente ad una dimostrazione pratica del corso mirato a formare le unità cinofile effettive alla guardia presidenziale libanese.

Una volta concluso l’incontro Yacoub Sarraf ha speso parole d’elogio per l’organizzazione della missione, definendosi molto soddisfatto: “Ringrazio davvero per il contributo offerto. Oggi ho avuto la prova di una grande cooperazione. In particolare, in questo contesto di minaccia terroristica, l’Italia non contribuisce solo con UNIFIL, ma anche con la MIBIL che garantisce un ulteriore incremento dell’efficienza delle LAF”. Le autorità si sono poi spostate verso la base “Millevoi” di Shama, sede del Comando del Contingente italiano in Libano, dove il ministro ha firmato l’albo d’onore.

La European Union Delegation visita la base avanzata italiana di UNIFIL

Difesa di

Si è svolta oggi, sul confine tra Libano e Israele, la visita della European Union Delegation (EUDel) presso la base 1-31 di UNIFIL al confine con Israele

Guidata dalla Signora Julia Koch, vice capo della Missione EUDel presso le Nazioni Unite, la delegazione è stata accolta dal Generale di Brigata Francesco Olla, Comandante della Joint Task Force – Lebanon, e ha avuto occasione di assistere a un briefing informativo che ha illustrato la storia e caratteristiche della linea di demarcazione tra i due paesi

Il Generale Olla, a capo del contingente italiano con l’Operazione “Leonte XXII”, ha colto l’occasione per incontrare, nella stessa sede, i comandanti dei Battle Group alle dipendenze, per la periodica azione di comando e controllo nel complesso contesto di una Grande Unità composta da dodici nazioni.

Al Batt Commanders meeting, hanno partecipato anche i rappresentanti del DPCA (DePartment of Civil Affairs) dell’UNIFIL HQ, con i quali è stato affrontato la tematica di “genere” nelle Peace-Keeping Operations.

La base avanzata, sotto il controllo di un plotone del Reggimento “Lancieri di Montebello” (8°), è l’avamposto del contingente italiano in Libano nell’ambito della missione UNIFIL, con l’incarico di monitorare senza sosta la Blue Line, come sancito dalla Risoluzione n.1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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Libano: Military Adviser delle Nazioni Unite in visita alla base avanzata italiana

Middle East - Africa di

Shama (Libano) 12 maggio 2017 – Giovedì 11 maggio si è conclusa la visita ad una delle basi avanzate del contingente italiano in Libano con la missione UNIFIL da parte del Ten. Gen. Carlos Humberto Loitey (Uruguay), Military Adviser (MilAd) per le Nazioni Unite e responsabile del SottoSegretariato Generale.

Il Ten. Gen. Carlos Humberto Loitey, che ricopre l’incarico dal 22 novembre 2016, è deputato alla supervisione e all’assistenza di alcuni organi delle Nazioni Unite quali il Segretariato Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Department of Political Affairs e il Department of Peacekeeping Operations (DPKO) ed è dirigente esecutivo e politico delle missioni militari di mantenimento della pace, fra cui UNIFIL. Il Comandante della Missione, il generale dell’esercito irlandese Micheal Beary e il Comandante della Joint Task Force – Lebanon, il Generale di Brigata Francesco Olla, hanno accolto il Military Adviser presso la base “UN-P 1-31”, l’avamposto dei “caschi blu” italiani che senza sosta monitora la zona di confine tra Libano e Israele attraverso attività di pattugliamento motorizzato e appiedato lungo la cosiddetta Blue Line, la linea di demarcazione dettata dalle Nazioni Unite il 7 giugno del 2000.

Nella base avanzata, dove attualmente è stanziato un plotone dei “Lancieri di Montebello”, il MilAd ha avuto occasione di approfondire, attraverso un briefing informativo, le tematiche connesse sia alla definizione esatta della citata Blue Line da parte delle Autorità Libanesi e Israeliane sia alle attività previste dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1701 che il contingente italiano svolge dal 2006 con l’Operazione “LEONTE”.

Unifil, cambio di comando ITALBAT, subentra il Colonnello Colizza

Asia/Difesa di

Al Mansouri (Libano) 02 maggio 2017 – Ha avuto luogo questa mattina, presso la base italiana di   Al Mansouri, la cerimonia di avvicendamento del comando di ITALBATT, l’unità di manovra del Contingente Italiano della missione UNIFIL, tra il Colonnello Angelo DI DOMENICO, cedente, e il Colonnello Massimo CROCCO BARISANO COLIZZA, subentrante.

Il passaggio della bandiera ONU che sancisce il Traferimento di AutoritàIl passaggio della bandiera delle Nazioni Unite alla presenza del Gen.B. Francesco OLLA, Comandante della Joint Task Force – Lebanon Sector West su base Brigata Meccanizzata “Granatieri di Sardegna”, e degli stendardi dei Reggimenti “Genova Cavalleria” (4°) e “Lancieri di Montebello” (8°), ha sancito ufficialmente l’inizio dell’operazione “Leonte XXII” per il “Montebello”.

La cedente Task Force “Genova” nel corso dell’ultimo mese ha condotto un corso di lingua italiana a favore delle giovani studentesse dell’Istituto Femminile di Tiro e uno di Information Communication Technology a favore di circa 10 donne in collaborazione con il Social Development Centre che opera nell’area a Sud del Litani. I progetti di formazione, oltre a aver contribuito ad infondere una conoscenza di base delle materie trattate, hanno volutamente coinvolto l’importante dimensione femminile nell’ottica di una prospettiva di gender, aspetto fondamentale nella condotta delle operazioni internazionali delle Nazioni Unite.

Le “redini” della Task Force ITALBATT passano, quindi a reggimento “Lancieri di Montebello” (8°), con le unità operative del proprio Gruppo Squadroni Esplorante – che esprimono nell’ambito della stessa operazione anche la riserva tattica di settore alle dirette dipendenze del Generale Comandante il Sector West – e un Battaglione del 1° reggimento “Granatieri di Sardegna”, entrambi di stanza a Roma.

I compiti operativi che i “Verdi Lancieri” saranno chiamati ad assolvere nella propria area di operazione sono definiti dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che vedono, tra i suoi obiettivi principali, la cessazione delle ostilità attraverso un costante monitoraggio della Blue Line; il supporto alla popolazione locale, attraverso la funzione operativa di cooperazione civile-militare (CIMIC); il supporto alle Forze Armate libanesi dislocate nel Libano del Sud, attraverso il coordinamento, la pianificazione e l’esecuzione di attività addestrative e operative congiunte.

I “Lancieri di Montebello” e i Granatieri continueranno ad assicurare le attività di alta rappresentanza e cerimoniale di stato nella città di Roma, così come le attività operative nell’ambito dell’Operazione “Strade Sicure” in Roma Capitale.

Granatieri al comando del contingente italiano in Libano

Varie di

Shama (Libano) 27 aprile 2017 – Avvenuto oggi il passaggio di responsabilità del comando del contingente italiano che opera nell’ambito della missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), la forza di interposizione delle Nazioni Unite nel Sud del Libano.

Il Comando dell’ operazione “Leonte” passa alla Brigata “Granatieri di Sardegna”, subentrata questa notte alla Brigata “Pozzuolo del Friuli”.

La cerimonia del TOA (Transfer of Authority) si è svolta presso la “Millevoi” di Shama alla presenza del Comandante del COI (Comando Operativo di Vertice Interforze), Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, del Comandante della Missione UNIFIL, il generale dell’esercito irlandese Micheal Beary, nonché di numerose autorità politiche e locali del Libano del Sud.

Nel corso della cerimonia, il generale Micheal Beary ha ringraziato il personale della Brigata “Pozzuolo del Friuli” per il prezioso contributo fornito in questi sei mesi e per l’importante ruolo ricoperto nell’ambito delle attività previste della Risoluzione delle Nazioni Unite n°1701.

La Brigata “Granatieri di Sardegna”, la più antica dell’Esercito Italiano, ha già condotto l’operazione nella terra dei cedri nel 2014 con “Leonte XV”, rilevando, come allora, il Comando della Joint Task Force dalla Brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli” che in sei mesi, tra l’altro ha svolto oltre 37.500 attività operative diurne e notturne, 4 mila attività operative congiunte con le Forze Armate Libanesi e completato 58 progetti di cooperazione civile e militare.

Redazione
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