GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Iran: nuova diplomazia, ma stesso obiettivo

La teocrazia iraniana ha da sempre perseguito un duplice obiettivo strategico: assumere una leadership regionale affermandosi come potenza dominante nel Medio Oriente; costringere gli USA ad abbandonare l’area e allo stesso tempo detronizzare Israele. Questa è stata e rimane la direttiva geostrategica che orienta la politica dell’Iran, ciò che invece ha subito una rimodulazione è stato l’approccio della diplomazia persiana nei confronti dei Paesi del Golfo e della Penisola Arabica.

Nei mesi scorsi, infatti, la diplomazia di Teheran ha adottato una differente e nuova modalità esecutiva che ha sensibilmente modificato la posizione del Paese nei confronti dei rapporti con gli altri Stati del Medio Oriente.

Se il risultato più sorprendente dal punto di vista della ricaduta mediatica può essere considerato il riavvicinamento tra Teheran e Riyad, avvenuto grazie alla intercessione di Pechino, non devono essere assolutamente sottovalutati gli altri passi che l’Iran ha mosso nel tentativo di riconfigurare la sua posizione nell’ambito regionale.

La ripresa di relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi, le ricerca di un dialogo con Abu Dhabi, l’inizio di negoziati con il Bahrain, rappresentano altrettante iniziative diplomatiche volte a presentare l’Iran non come un antagonista scomodo e un vicino ambizioso, ma come un possibile interlocutore di livello e come un partner per la condivisone di progetti che soddisfino interessi reciproci.

Oltre a questi passi l’Iran si è mosso in altre direzioni, dimostrando di voler normalizzare anche situazioni diplomatiche basate sulla adozione di prospettive differenti che in passato hanno opposto Teheran sia al Cairo sia all’Oman. Nel particolare, sono state intraprese significative iniziative per la normalizzazione dei rapporti con l’Egitto, che costituisce uno dei Paesi protagonisti dell’intero MENA e antagonista principale nel ruolo di Paese guida dell’area.

Ma l’azione diplomatica iraniana è stata caratterizzata da una visione a 360°, in quanto sono stati ripresi i colloqui con la Turchia e di conseguenza con la Russia e la Siria per cercare di arrivare a una soluzione che possa risolvere le problematiche che affliggono la regione siriano irachena salvaguardando gli specifici interessi di tutte le potenze coinvolte.

A coronamento di questa serie di iniziative diplomatiche di assoluta importanza, per dare rilievo al nuovo corso della geopolitica di Teheran nei confronti dei Paesi del Medio Oriente, l’Iran ha proposto l’istituzione di un forum regionale dal quale sono esclusi gli USA e Israele, ottenendo una reazione di principio, complessivamente positiva, che potrebbe aprire a nuove prospettive di sviluppo delle relazioni nell’area.

Ovviamente, questo nuovo orientamento strategico non ha risolto d’emblée i numerosi dossier che ancora caratterizzano i rapporti tra Teheran e le Capitali Arabe; infatti, rimane elevata la tensione con il Kuwait e anche con gli stessi Emirati e l’Arabia Saudita a causa di problematiche di particolare rilievo, come rivendicazioni territoriali o il supporto a fazioni contrapposte nell’ambito della crisi yemenita.

Il nuovo contesto diplomatico vede quindi l’Iran proporsi come partner disponibile al dialogo e non come minaccioso vicino pronto a “flettere i muscoli” per conseguire i propri obiettivi.

Tuttavia, rimane insita la diffidenza degli altri attori e la circospezione con la quale le iniziative di Teheran sono accolte, in quanto, nonostante il cambiamento di atteggiamento, rimane immutato l’obiettivo strategico iraniano che punta all’ acquisizione della leadership regionale.

Ma il punto di volta che sorregge il conseguimento di un tale obiettivo rimane quello della eliminazione della presenza USA nell’area.

Solo eliminando la presenza di Washington l’Iran può sperare di assumere quel ruolo di leadership che rappresenta il centro di gravità della strategia perseguita dalla teocrazia di Teheran.

L’eclisse dell’America, inoltre, renderebbe possibile, agli occhi dell’Iran, l’eliminazione del nemico atavico del regime: Israele.

Di conseguenza, se nei confronti dei Paesi del Medio Oriente la diplomazia iraniana ha adottato un atteggiamento decisamente più conciliante e meno aggressivo che nel passato, è nei confronti degli USA e di Israele che si concentra l’azione ostile e provocatoria dell’Iran.

Azione che alterna fasi dinamiche sia dirette, contro gli interessi commerciali nell’area (flusso attraverso il Golfo), sia indirette, con il continuo e massiccio supporto alle organizzazioni terroristiche di matrice islamica che conducono una sorta di proxy war contro gli interessi USA e che agiscono ai confini di Israele mantenendo elevato lo stato di tensione.

Ma quanto risulta efficace questa nuova impostazione diplomatico – strategica da parte di Teheran e come viene percepita dai vari Paesi nell’area mediorientale?

Certamente la fiducia negli USA come garante della sicurezza e dell’equilibrio nella regione ha subito un ridimensionamento notevole a causa di una linea politica priva di visione strategica adottata dalle amministrazioni americane che si sono succedute da Obama in poi (nessuna esclusa), linea che ha dimostrato l’incapacità di Washington di adattare la propria diplomazia a uno scenario i cui parametri sono in continuo mutamento. Le azioni volte a cercare di invertire questa tendenza poste in atto dalla attuale amministrazione, anche se si sono dimostrate poco efficaci e abbastanza maldestre, hanno avuto, almeno, il pregio di cercare di recuperare il terreno perduto.

La sensazione di insicurezza creatasi ha spinto i Governi dell’area a individuare delle alternative che possano colmare il vuoto lasciato dagli USA, offrendo la possibilità alla Cina di entrare quale attore di rilievo nell’area e concedendo alla Russia un rientro da protagonista nello scenario. Contestualmente, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza nelle capacità intrinseche di alcuni Paesi (Arabia Saudita, Egitto, Turchia) nel poter ricoprire un ruolo sempre più incisivo, ha fatto nascere il concetto di Media Potenza che sta cambiando gli assetti geostrategici generando nuovi centri di equilibrio regionale.

Nonostante la nuova impostazione diplomatica di Teheran possa essere considerata, pur con un certo ottimismo, di successo, rimane la diffidenza di fondo degli altri Paesi che temono che una volta eclissatasi la potenza USA l’aggressività dell’Iran non sia più contrastabile. La presenza della Cina, partner critico dal punto di vista commerciale ed economico, e di una Russia in difficoltà non sono considerate alternative affidabili per garantire la sicurezza e l’equilibrio.

Questa situazione genera, da un parte, un atteggiamento ambiguo nei confronti degli USA, contraddistinto da aperture caute e ricerca del massimo risultato ai fini del conseguimento dei propri interessi, cercando di evitare una situazione di completa dipendenza/sudditanza diplomatico politica alla strategia di Washington.

Dall’altra, un’azione abbastanza spregiudicata nell’intraprendere soluzioni alternative, ricercando partnership e collaborazioni dirette sia verso il Sud Emergente (Global South) sia verso l’Unione Europea, identificando in essa quelle realtà politiche in grado di formulare visioni strategiche di ampia portata.

Il successo della strategia iraniana non è affatto scontato; in primo luogo, le preoccupazioni degli altri Stati non sono state di certo ridimensionate da questo nuovo corso della diplomazia, in quanto gli artigli di Teheran sono sempre più affilati.

In secondo luogo, anche se gli USA hanno visto decadere la loro influenza regionale, rimangono comunque l’unica potenza che l’Iran considera con rispetto e teme e di conseguenza sono ancora un elemento critico nell’equilibrio della Regione.

In terzo luogo, inoltre, anche ammettendo la scomparsa della presenza USA, l’Iran si troverebbe a confrontarsi con una Cina decisamente in ascesa e desiderosa di imporre la propria leadership in quella regione che rappresenta il trait d’union tra l’Asia e il Mediterraneo, dove è puntata la direttrice strategica della Road and Belt Initiative di Pechino.

Infine, anche se Israele è attraversato e scosso da una crisi costituzionale senza precedenti e sembra aver perso la lucidità diplomatico politica che ne ha caratterizzato la storia, le sue potenzialità non possono essere sottovalutate e l’esito di un eventuale conflitto, oltre a non essere affatto scontato per Teheran, altererebbe drammaticamente l’assetto dell’intera regione e potrebbe trasformarsi in un clamoroso insuccesso per la teocrazia iraniana.

Quindi, in sintesi, il nuovo corso della diplomazia dell’Iran rappresenta il tentativo di rendere meno ostili i Paesi dell’area mediorientale, mostrando una postura meno aggressiva e più incline a forme di collaborazione locale limitate, il cui fine ultimo è comunque quello di porre le condizioni per eliminare la presenza USA, che rappresenta l’ostacolo insormontabile per poter raggiungere quella leadership regionale che l’Iran insegue dalla rivoluzione del 1979.

La diplomazia persiana ha radici millenarie e l’Iran di oggi ha ereditato questa raffinatezza di pensiero, ma lo scenario non è solamente limitato allo scontro Iran vs. USA in quanto il palcoscenico adesso ospita nuovi protagonisti le cui aspirazioni geostrategiche sono altrettanto aggressive e di portata globale.

Ma questa complessa scenografia geopolitica è estremamente fluida e quindi c’è posto anche per altri protagonisti ed è qui che l’Europa potrebbe trovare le condizioni adatte a recitare un importante ruolo in questo Grande Gioco che è in atto per costruire il Nuovo Ordine Mondiale.

Cutuli (CESTI): Addio a Berlusconi, introdusse il modello USA nella TV italiana creando modello europeo di Network televisivo commerciale

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Nel giorno dei funerali di Silvio Berlusconi, il presidente del CESTI (Centro Studi sull’Internazionalizzazione), Carmelo Cutuli, ha espresso il suo profondo cordoglio e rivolto un commosso ricordo.
 
“Imprenditore – ha dichiarato Cutuli – che ha saputo introdurre il modello della TV commerciale americana in Italia, modernizzando il settore dell’intrattenimento e contribuendo in modo significativo all’evoluzione dei media e della comunicazione nel nostro Paese e in Europa. Silvio Berlusconi è stato un uomo di visione, capace di intravedere le potenzialità della televisione come strumento di comunicazione di massa e di intrattenimento. Grazie alla sua lungimiranza, ha saputo importare e adattare il modello della TV commerciale americana all’Italia, dando vita a un fenomeno senza precedenti che ha cambiato per sempre il panorama mediatico italiano ed europeo.”
 
“Dai grandi serial televisivi agli infomercial ispirati dal broadcasting a stelle e strisce, le televisioni di Berlusconi si sono evolute negli anni, diventando a loro volta un modello per i network commerciali europei e non solo. La sua formula vincente si è basata sulla capacità di comprendere e anticipare i bisogni e i desideri del pubblico, offrendo contenuti innovativi e coinvolgenti capaci di conquistare milioni di telespettatori. È innegabile che il successo delle televisioni di Berlusconi sia stato anche frutto di una strategia commerciale e di marketing capillare, che ha saputo sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove tecnologie e dei cambiamenti sociali. Attraverso la realizzazione di campagne pubblicitarie mirate e l’utilizzo di format di successo, Silvio Berlusconi ha creato un vero e proprio impero mediatico che ha influenzato non solo il settore dell’intrattenimento, ma anche la politica e la cultura del nostro Paese.”
 
Per quanto riguarda, nello specifico, il contributo alla politica del nostro Paese, Cutuli ha sottolineato: “In quanto politico, Silvio Berlusconi ha dimostrato una grande abilità nel saper comunicare con il popolo e nel trasmettere un’immagine di sé come leader carismatico e innovatore. La sua lunga carriera politica, contraddistinta da alti e bassi, è stata segnata dalla sua determinazione nel perseguire i suoi obiettivi e nel difendere le sue idee. Nonostante le numerose polemiche e le critiche che lo hanno accompagnato nel corso degli anni, Silvio Berlusconi è riuscito a lasciare un’impronta indelebile nella storia della politica italiana ed europea.”
 
Nel giorno delle esequie, il CESTI, si unisce al dolore della Famiglia Berlusconi e di tutti coloro che lo hanno conosciuto e stimato, esprimendo sentito cordoglio e vicinanza in questo momento di profondo dolore.

Giulio Andreotti a dieci anni dalla scomparsa: la Memoria degli Archivi, tracce di un patrimonio condiviso

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Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, protagonista indiscusso della politica italiana per oltre cinquant’anni. Per ricordare la sua figura, il 17 maggio si è svolto a Roma un convegno dal titolo “La Memoria degli Archivi – Giulio Andreotti a dieci anni dalla scomparsa: tracce di un patrimonio condiviso”.

L’evento, moderato dal giornalista Massimo Franco, ha visto la partecipazione di illustri relatori, tra cui il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, i professori Antonio Varsori e Luca Micheletta, e Serena Andreotti, figlia di Giulio Andreotti.

Nel suo intervento introduttivo, Giorgio Mulè ha paragonato gli archivi storici ai “penati” eroici cantati da Virgilio nell’Eneide, custodi della memoria di un popolo. Un paragone calzante, considerata l’enorme mole di documenti che Andreotti ha lasciato e che sono ora consultabili nell’Archivio della Fondazione Luigi Sturzo.

Il professor Antonio Varsori ha sottolineato come negli archivi andreottiani si trovino fonti preziose per ricostruire un lungo periodo della storia italiana e comprendere appieno le scelte in politica estera di Andreotti, che consentirono all’Italia di uscire dall’isolamento diplomatico. Varsori ha inoltre raccontato un aneddoto rivelatore: nel 1987, alla caduta del governo Craxi, l’ambasciatore francese a Roma disse che l’Italia perdeva due veri statisti in politica estera, Andreotti e Craxi.

Il professor Luca Micheletta si è soffermato sul fitto carteggio intercorso tra Andreotti e Francesco Cossiga dal 1985 al 1992. Pur essendo entrambi esponenti della Democrazia Cristiana, emerge dalle lettere la diversità delle loro visioni sulla delicata fase di transizione che l’Italia stava attraversando, tra riforme istituzionali e partecipazione alla Guerra del Golfo.

Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Serena Andreotti. Attraverso fotografie proiettate sul maxischermo, ha ricordato momenti salienti della vita del padre: dai primi articoli per la rivista “Fucina” all’entrata nella FUCI, dai rapporti con Alcide De Gasperi e Paolo VI alle deleghe ricoperte come sottosegretario, fino ai 28 faldoni di documenti sul caso Moro. Serena Andreotti ha poi annunciato che l’intero archivio andreottiano è stato acquisito in copia da una fondazione americana, a dimostrazione dell’interesse storico del materiale.

Infine, Gianni Letta, ex direttore del Tempo, ha chiuso i lavori ricordando il suo stretto rapporto con Andreotti quando era al vertice del quotidiano.

L’incontro ha evidenziato come, a dieci anni dalla morte, la figura di Giulio Andreotti sia ancora di grandissima attualità e come il suo enorme archivio costituisca una miniera preziosa per comprenderne appieno il ruolo nella storia repubblicana. Come ha detto Mulè, “calata la polvere della cronaca, è giunta l’ora della Storia”. Ed è proprio dalla storia, e dalla memoria che ne conservano le tracce, che Andreotti continua a parlarci.

Insularità in Costituzione ma non nel DEF. Un passo indietro nel riconoscimento dei diritti delle isole?

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La Sicilia continua a battersi per affrontare i problemi legati al costo dei voli verso Roma, mentre il governo sembrerebbe aver già archiviato l’insularità, il principio recentemente inserito nella Costituzione italiana, considerato da molti come uno strumento cruciale per la rinascita della regione e un antidoto ai rischi derivanti dall’autonomia differenziata.

Il professore Gaetano Armao, delegato del rettore dell’Università di Palermo per le questioni dell’Insularità, in un suo recente post su facebook, ha sottolineato la mancanza di riferimenti alla nuova norma costituzionale nel recente Documento di Economia e Finanza (DEF). Armao, anche nella sua qualità di vicepresidente ed assessore all’Economia della Regione Siciliana nella passata legislatura del Governo regionale, è stato un protagonista della battaglia congiunta con la Sardegna per il riconoscimento del principio di insularità sia a livello nazionale che europeo.

Secondo Armao, il DEF non menziona la condizione di insularità, ora riconosciuta dall’art. 119, VI comma, della Costituzione, e non prevede alcun nuovo intervento per introdurre misure di riequilibrio a favore dei più di 6,5 milioni di italiani che vivono il divario insulare. L’intervento compensativo avrebbe potuto riguardare temi cruciali per la Sicilia, come il costo dei trasporti, delle esportazioni, del turismo, dello sport, dell’energia e degli investimenti per le infrastrutture.

Armao ha sottolineato che questi costi, solo per i siciliani, valgono 6 miliardi di euro all’anno. Tuttavia, nel DEF sono presenti solo alcuni riferimenti indiretti all’insularità, come il piano per il digitale delle isole minori e l’azzeramento dello stanziamento di 50 milioni di euro che aveva ottenuto la Sicilia mentre nulla è previsto ai sensi del rinnovato articolo 119 che prevede competenze specifiche per alleviare la condizione dell’insularità.

Armao tiene però a precisare che la sua critica non è di natura politica, ma un richiamo al rispetto della Costituzione che rischierebbe, se continuasse la disapplicazione della riforma costituzionale, di vanificare gli sforzi sinora fatti per superare l’isolamento delle isole e per affrontare i problemi legati all’insularità.

Autonomia Differenziata ed Equità Territoriale, se ne è parlato a Napoli

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Si è tenuto ieri a Napoli il convegno “Autonomia Differenziata ed Equità Territoriale”, organizzato dal parlamentare europeo e segretario nazionale del Movimento Equità Territoriale Piernicola Pedicini.
L’evento ha visto la partecipazione di numerosi parlamentari europei del Gruppo EFA/ALE (Alleanza Libera Europea) provenienti da tutta Europa, politici, esperti e intellettuali che si sono confrontati sul progetto di legge dell’autonomia differenziata.

Il convegno, tenutosi presso il Circolo Rari Nantes di Napoli, ha visto la partecipazione di importanti personalità del mondo accademico e politico.

Tra gli intervenuti: Jordi Solé, presidente del gruppo EFA/ALE al Parlamento Europeo; François Alfonsi, Parlamentare UE EFA/ALE; Adriano Giannola, Presidente SVIMEZ; Lorenzo Chieffi, Docente di Diritto Costituzionale; Pino Aprile, Scrittore e Fondatore del Movimento Equità Territoriale.

L’incontro è stato un’occasione per fare il punto sulla questione dell’autonomia differenziata e per confrontarsi sui possibili effetti che questa misura potrebbe avere sul Mezzogiorno d’Italia. L’evento ha dimostrato l’importanza del dibattito pubblico e della partecipazione delle diverse voci della società civile per trovare le soluzioni migliori per il paese.

Nel corso del dibattito, è inoltre intervenuto Paolo Pantani, sostenitore della proposta di legge di iniziativa popolare
di modifica Costituzionale in materia di riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia e per l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. “Come valdese e occitano – ha affermato Pantani – sono fiero delle mie radici e della mia identità etnica, linguistica e religiosa. L’autonomia differenziata potrebbe avere un impatto significativo sull’intera Italia, dando alle regioni maggiori poteri di controllo esclusivo su alcune aree politiche, il che potrebbe minacciare l’unità nazionale e la ripartizione equa del debito pubblico, oltre a causare problemi pratici in caso di disastri naturali e altre emergenze nazionali. Per questi motivi, vorrei esortare tutti a unirsi a me nella raccolta di firme per sostenere una proposta di legge di iniziativa popolare che modificherebbe la Costituzione italiana in materia di autonomia regionale. Inoltre, potremmo utilizzare le delibere dei comuni come leva di volontà popolare per manifestare la nostra opposizione a questa proposta di legge. E’ importante agire per proteggere il nostro futuro e mantenere l’unità del nostro paese, quindi vi invito a unirvi a me in questa causa.”

Il convegno si è concluso con i saluti istituzionali della presidente del Movimento Equità Territoriale Rossella Solombrino, che ha ringraziato i partecipanti e sottolineato l’importanza del dibattito sul tema dell’autonomia differenziata.

Convegno alla Camera dei Deputati “Children and war”

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Lo scorso 4 Aprile, presso la Sala della Regina di Montecitorio si è svolto il convegno “Children and war”, che ha visto la partecipazione del Presidente della Camera Lorenzo Fontana e altri relatori.

Durante l’evento sono stati affrontati i temi della guerra e del suo impatto sui minori, con l’intervento della deputata Simona Loizzo, del parroco della Basilica San Marco Evangelista al Campidoglio monsignor Renzo Giuliano, della responsabile relazioni istituzionali Save the children Italia, Fosca Nomis e dell’artista Patrizia Lo Feudo.

Il convegno ha rappresentato un’importante occasione per approfondire un tema di grande attualità e fornire spunti per riflessioni e azioni a livello nazionale e internazionale. La partecipazione del Presidente della Camera e degli altri relatori ha conferito al convegno un alto valore istituzionale, testimoniando l’impegno delle istituzioni nel promuovere la tutela dei diritti dei bambini e dei minori.

 

L’Impero su cui non tramonta mai il sole

La geopolitica dell’impero di Roma venne regolata da un criterio semplice ma efficace: divide et impera!

E il successo di tale formula fu così elevato che, nel corso dei secoli, tale pratica venne adottata da molte altre potenze che giocarono un ruolo fondamentale nella costruzione dell’ordine internazionale. Quindi non c’è da meravigliarsi se anche la Cina abbia fatta sua questa formula diplomatica, adeguandola alla sua visione pragmatica di sviluppo delle relazioni internazionali basata sulla formulazione di accordi bilaterali asimmetrici.

La diplomazia cinese, infatti, ha adottato lo stesso concetto sia nel campo delle relazioni internazionali di carattere collettivo, sia in quello delle relazioni con i singoli Stati, impostando una linea diplomatica che, nel primo caso, si propone come alternativa ai valori occidentali, ricalcandone le linee concettuali generali, mentre nel secondo caso, quando si tratta dei singoli Stati, tende a impostare un rapporto bilaterale dove il membro privilegiato del rapporto è la Cina stessa.

Se gli USA hanno dato vita al Summit for Democracy, la Cina presiede l’International Forum on Democracy: Shared Human Values; quando l’Occidente si riunisce a Davos per il World Economic Forum, Pechino mette in campo il suo China Development Forum e presiede la Boao Forum for Asia Annual Conference.

In pratica, la Cina propone una versione alternativa a ciò che viene ritenuto, a torto o a ragione, l’imposizione di un modello univoco, con l’intento di presentare la propria visione di un ordine internazionale che propone valori morali e culturali simili a quelli occidentali, ma declinati in modo differente.

Tale innovazione concettuale sembra suscitare interesse anche in alcuni Paesi della Vecchia Europa, soprattutto quelli, come la Spagna, il cui retaggio storico li indirizza a sviluppare i propri interessi secondo una visione legata più verso il Nuovo Mondo che nella direzione del fronte orientale.

Ed è proprio da questo Paese che riparte l’azione cinese volta a rinforzare la politica del bilateralismo delle relazioni che ha come obiettivo l’Europa.

Infatti, il Primo Ministro spagnolo, Pedro Sànchez è il primo leader occidentale che ha ricevuto un invito per un incontro da Xi Jinping dopo il vertice di Mosca di quest’ultimo con, il quasi alleato, Putin.

I motivi alla base dell’incontro sono principalmente due, uno formale, quello di sottolineare il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatico ispano cinesi al fine di rilanciare e rafforzare i rapporti economico finanziari tra i due Paesi, già evidenziato con la partecipazione spagnola alla recente edizione del Boao Forum, e un altro, molto più sostanziale, che guarda con interesse al prossimo ruolo che la Spagna ricoprirà in luglio, quando assumerà il turno di presidenza dell’Unione Europea.

Su quest’ultimo fattore sono puntati gli interessi di Pechino in quanto Madrid è l’unico membro della NATO e dell’Unione Europea che abbia, seppure con delle riserve, considerato con favore la proposta cinese per la soluzione della crisi ucraina. Inoltre, anche se parte attiva dell’Alleanza e dell’Unione Madrid vive, comunque, l’esperienza del confronto con l’Orso Russo ovattata dalla sua condizione di retrovie strategiche lontane e, quindi, nella considerazione di Pechino potrebbe rappresentare un elemento su cui fare leva per supportare la visione di una Cina neutrale, equidistante e desiderosa di risolvere la crisi ucraina.

L’applicazione del citato concetto del divide et impera è, quantomai, attuale se consideriamo la non casualità della linea cinese che, oltre al ruolo che la Spagna è in procinto di assumere, combina altre due considerazioni importanti: la prima è la posizione particolare di Madrid che rappresenta l’ala geografica della NATO e dell’Unione che sta perdendo terreno a favore di un baricentro sempre più orientato all’area baltico-orientale; la seconda è la vocazione secolare che lega e attrae gli interessi spagnoli verso il loro vecchio impero nelle America Centro Meridionale e nel Pacifico.

In quest’area geografica la penetrazione diplomatica cinese ha già iniziato a conseguire diversi successi di rilievo, con il corteggiamento del Brasile nell’ambito dell’impulso dato al partenariato del BRIC, riorientando il supporto diplomatico di alcuni Paesi a suo favore nella disputa con Taiwan (l’Honduras è l’ultima recente dimostrazione dell’efficacia dell’azione di Pechino), oltre all’attrazione che il nuovo modello di ordine mondiale esercita su Stati di non cristallina impronta democratica. La possibilità di sfruttare positivamente la valenza un protagonista fondamentale nelle relazioni con quella parte dell’Emisfero Sud come Madrid, amplierebbe le chances di successo di Pechino nel suo programma di estensione globale della sua influenza anche nell’America del Sud.

Un ultimo criterio da considerare per comprendere la via cinese della diplomazia nei confronti dei barbari europei (che è la denominazione usata da secoli dalla Cina nel definire quelli che non sono figli del cielo come loro) e che indica quanto poco elevata sia la considerazione politica di cui gode la nostra Unione Europea a Pechino, è quello che deriva dall’attenzione rivolta ai vertici europei, che sono ammessi ai meeting con la Cina solo se accompagnati dai rappresentanti di Paesi considerati come interlocutori autorevoli.

In quest’ottica vanno interpretate sia le visita che il Presidente Macron effettuerà ad aprile in Cina, sia quella effettuata dal Cancelliere Scholz nello scorso fine anno, alle quali sono stati ammessi, nel primo caso la Presidente della Commissione Europea (che questa volta potrà contare su un posto a tavola seduta)e nel secondo caso il Presidente del Consiglio Europeo.

La considerazione che viene riservata a Francia e a Germania da Pechino non consiste però nella riconosciuta egemonia alla guida dell’Unione, come i due Paesi ancora si illudono di avere, ma probabilmente risiede nella loro importanza ai fini economico-commerciali che il binomio può avere per gli interessi della Cina ai fini di un’affermazione nel cuore economico del continente. E il fatto che questi due Paesi effettuino le visite accompagnando, di fatto, i vertici dell’Unione, sottolinea la scarsa considerazione che Pechino ha dell’Unione Europea, vista non come una organizzazione autonoma e comunitaria interprete di un sentimento condiviso di valori e cultura, ma considerata alla stregua di un’appendice locale e di contorno alle due economie principali.

Questa interpretazione assume maggior peso se si considera che l’invito ricevuto da Madrid non implica anche l’aggiunta di un qualsiasi rappresentante dell’Unione e che, dall’altra parte Sànchez si è ben guardato dal coinvolgere la stessa Unione per l’evento.

La Spagna è vista da Pechino come un interlocutore, sì utile in un contesto europeo di cui fa parte marginalmente, ma principalmente favorevole a supportare la politica verso l’America del Sud. Quindi niente connessioni con l’Unione Europea nella visita di Stato.

La Cina, come detto inizialmente, ha dato nuova vita al principio del divide et impera di latina memoria, dimostrando di essere una grande Potenza Planetaria, le cui ambizioni non sono quelle di costruire un impero territoriale come in Occidente siamo siano soliti considerare, abbinando al concetto di imperium il dominio fisico e materiale di una regione. L’impero di Pechino è un impero basato sullo sviluppo di relazioni commerciali, economiche e finanziarie bilaterali e asimmetriche dove l’interesse cinese si combina, da una posizione di forza, con quello del partner di turno e dove, però, le regole del gioco sono quelle dettate da Pechino.

Considerando la proattività del leader cinese e il progredire della espansione dell’influenza che la Cina sta proiettando nel contesto geopolitico globale Xi Jinping potrà con orgoglio affermare al prossimo Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese che la sua illuminata presidenza ha donato alla Cina un impero su cui non tramonta mai il sole!!!!

Nasce l’Osservatorio Sardegna-Sicilia per monitorare l’attuazione del principio di insularità

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Il principio di insularità è da tempo un tema centrale per le regioni italiane che abbracciano le isole. In particolare, la Sardegna e la Sicilia si sono unite per creare un nuovo organismo che mira a monitorare l’attuazione di questo principio, a partire dal DDL sul regionalismo differenziato. L’Osservatorio Sardegna-Sicilia rappresenta una tappa fondamentale per l’elaborazione di proposte concrete da sottoporre ai governi regionali e al governo nazionale.

L’osservatorio vedrà protagonisti gli atenei di Palermo, Cagliari e Sassari, oltre alle organizzazioni di categoria a livello regionale e nazionale. Il suo compito sarà quello di verificare e analizzare passo dopo passo il percorso avviato con la riforma costituzionale, fotografando l’evoluzione delle politiche nazionali e formulando proposte e chiedendo i necessari aggiustamenti.

A presentare il Comitato promotore del nuovo organismo, a Roma, sono stati Michele Cossa, del Comitato promotore per l’inserimento del principio di insularità in Costituzione, Gaetano Armao, UNIPA, Presidente dall’Associazione per l’insularità, Giannina Usai, Segretario regionale ANCIM (Associazione nazionale dei Comuni delle isole minori), oltre ad alcuni parlamentari eletti nelle Isola, sindaci delle isole minori e ai rappresentanti delle Organizzazioni di categoria.

L’obiettivo è quello di dare concretezza al principio di insularità, che finora è stato trascurato dalle politiche nazionali, come dimostrato dai modesti stanziamenti previsti nell’ultima legge finanziaria nazionale e dalla nulla considerazione delle isole nella Relazione sulla politica di coesione.

I temi che attengono al gap insulare sono molti e riguardano la continuità territoriale, la perequazione infrastrutturale, il sostegno alla competitività (fiscalità di sviluppo), le azioni specifiche dell’Unione europea per le isole e l’energia digitale. Per questo, le regioni non insulari che abbracciano isole e arcipelaghi come la Toscana, la Campania, il Lazio e la Puglia, devono sentirsi protagoniste di questo processo.

L’Osservatorio Sardegna-Sicilia rappresenta una sfida importante e un’occasione per tutte le regioni italiane che hanno a cuore lo sviluppo delle isole. Si tratta di un progetto ambizioso, ma anche di una grande opportunità per le comunità che vivono sulle isole del Mediterraneo di mandare avanti progetti di sviluppo e migliorare la loro qualità della vita.

Autonomia differenziata: non solo Nord e Sud, ci sono le isole

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Il 30 marzo 2023 si terrà una conferenza stampa presso la sala stampa della Camera dei Deputati a Roma, dedicata alle questioni dell’insularità e dell’autonomia differenziata. Il tema della conferenza è “Autonomia differenziata: non solo Nord e Sud, ci sono le isole”. L’obiettivo della conferenza è quello di lanciare un percorso per la costituzione di un osservatorio congiunto, Regione Siciliana e Regione Autonoma di Sardegna, per monitorare l’attuazione del principio costituzionale di insularità.

Parteciperanno alla conferenza: Gaetano Armao, presidente dell’Associazione per l’insularità dell’Università di Palermo, Michele Cossa, membro del comitato promotore per l’inserimento del principio di insularità nella Costituzione, Giannina Usai, segretario regionale dell’Associazione nazionale dei Comuni delle isole minori (ANCIM), parlamentari eletti nelle Isole, sindaci delle isole minori e rappresentanti delle organizzazioni di categoria.

L’autonomia differenziata è un principio che consente alle regioni italiane di avere poteri legislativi e amministrativi più estesi, sulla base delle loro specificità e delle loro esigenze.

Tuttavia, l’autonomia differenziata non riguarda solo le regioni italiane, ma anche le isole minori, che sono soggette a particolari difficoltà e sfide. Infatti, le isole sono spesso caratterizzate da problemi di accessibilità, di isolamento geografico, di ridotta dimensione territoriale e di minore sviluppo economico rispetto alle altre regioni.

In questo contesto, l’istituzione di un osservatorio per monitorare l’attuazione del principio costituzionale di insularità rappresenta un passo importante per garantire alle isole la giusta attenzione e i giusti investimenti per il loro sviluppo. L’osservatorio sarà formato da rappresentanti delle istituzioni, degli enti locali, delle università e delle organizzazioni di categoria delle Isole.

La conferenza stampa rappresenta quindi un importante momento di dibattito e di confronto sulle questioni dell’autonomia differenziata e dell’insularità. Si tratta di un tema di grande attualità e di grande importanza per il futuro delle isole e per il loro sviluppo sostenibile.

Redazione
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