GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Novembre 2015 - page 3

Francia in guerra: aperture da G20 e UE

Difesa/Medio oriente – Africa/Varie di

Dal G20 in Turchia e dal Consiglio Difesa dell’Unione Europea sono arrivati importanti segnali di una possibile cooperazione a livello internazionale nel contesto geopolitico siriano. Pur ancora con divergenze di carattere militare, soprattutto sull’impiego delle truppe di terra, e di carattere politico, il futuro di Assad divide ancora Stati Uniti e Russia, la collaborazione sul campo è di fatto già iniziata.

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Infatti, continuano i raid francesi su Raqqa, dove sono stati colpiti le roccaforti dello Stato Islamico. Anche se i ribelli laici siriani riferiscono che i jihadisti “fuggono come topi” e “si nascondono tra i civili”. Ed è proprio il possibile coinvolgimento dei civili a dividere l’opinione pubblica europea. Insomma, mentre lo stato di guerra proclamato dal presidente francese Hollande trova consensi sul fronte del controllo interno, lo stesso non si può dire su quello esterno.

Sempre in Siria, Stati Uniti e Russia sono di fatto già attivi nel fornire l’aiuto logistico alla Francia. Il colloquio telefonico tra Obama e Hollande ha stabilito già un piano di cooperazione, in cui sono coinvolte l’intelligence e le forze speciali americane. Mentre Mosca ha assicurato che l’incrociatore “Moskva” coopererà con le forze navali francesi.

Tornando al G20 di Antalya, il colloquio tra Obama e Putin prima e le aperture dei leader europei, Merkel e Cameron in testa, ad una necessaria collaborazione militare con il Cremlino contro l’Isis, segnano un parziale ricompattamento di Occidente e Russia. A questo, si aggiunge l’accusa del leader russo ad alcuni Paesi del G20, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, di avere finanziato, attraverso i privati, proprio il Daesh.

Svolta anche a livello europeo, dove il Consiglio di Difesa Ue ha detto sì all’unanimità all’assistenza militare alla Francia nella lotta all’Isis, così come richiesto dallo stesso Hollande. L’alto rappresentante Mogherini ha annunciato che, per la prima volta, si farà ricorso alla clausola di difesa collettiva prevista dall’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona: in pratica, i Paesi Ue hanno l’obbligo di fornire aiuto militare, anche bilaterale, allo Stato (in questo caso la Francia) che subisce un’aggressione militare.

Sul fronte italiano, infine, le parole del premier Renzi segnano un’apertura a metà. Il lavoro “soft power” perché “non si vince con le sole armi” rivelano la linea attendista di Roma. Fino a due settimane fa, l’intervento militare più papabile sembrava quello in Libia. Gli attentati di Parigi, però, hanno rovesciato le priorità geopolitiche internazionali. I leader europei propendono per l’interventismo. Il rischio è che una reazione militare dettata da due fatti, la caduta dell’aereo russo nel Sinai e l’azione terroristica in Francia, portino a non prevedere un piano di ricostruzione postbellica, come avvenuto in Libia nel 2011.

Giacomo Pratali

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France at war: G20 and EU openness

Defence/Europe/Middle East - Africa di

G20 in Turkey and the Eu Defense Ministers went along with a possible international cooperation in Syria. Although military, about deployment of ground troops, and political, the future of Assad, differences still divide the United States, Russia and European countries, military cooperation has already begun.

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Indeed, France continues to bomb Isis Raqqa strongholds. But, Syrian laic rebels reported that “jihadists ARE hiding among civilians”. And, just the possible civilians involvment is dividing European public opinion. So, while the state of war, declared by French President Hollande, finds consents concerning internal safety measures, the same can not be said on the outside ones.

Again in Syria, the United States and Russia are providing logistical help to France. Pphone conversation between Obama and Hollande has already established a cooperation plan, for which intelligence and special forces are involved. While Moscow has assured that “Moskva” missile cruiser will cooperate with French Navy.

Returning to the G20 in Antalya, the first meeting between Obama and Putin and the European leaders openings, as Merkel and Cameron, to a necessary military collaboration with the Kremlin against Isis, brought about a partial reconciliation among West and Russia. Moreover, there is Russian leader’s charget some G20 countries, as Saudi Arabia, Qatar and Turkey, to have privately funded Daesh.

There was also a turning point at European level, because the EU Council said unanimously yes to military help to France against ISIS, as required by the Hollande. The High Representative Mogherini announced that, for the first time, it’ll apply the mutual-defense clause, invoking article 42,7 of Lisbon Treaty. The EU countries must provide military aid to France to combat terrorism.

At last, Italian Prime Minister Renzi gave a partially opening to military operation in Libya because “you do not necessarily win with weapons”, he said. Until two weeks ago, the military intervention in Libya seemed the priority. The attacks in Paris, however, overturned international agenda. European leaders are inclining towards interventionism. The risk is that a military response caused by two event, the Russian plane crash and the terrorist action in France, do not contain a plan for post-conflict reconstruction, as happened in Libya in 2011.
Giacomo Pratali

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Mustang, Un inno alla vita e alla libertà

feed_corousel di

di Marco Cacioppo

Mentre la Turchia conservatrice esce vittoriosa dalle ultime elezioni, c’è chi come la regista Deniz Gamze Ergüven si fa portavoce di un messaggio progressista e bramoso di cambiamento, in nome di una libertà di espressione e modi di essere che il suo Paese conosce benissimo, ma che la direzione sempre più radicale della politica di Erdogan sembra reprimere.

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Fin dal titolo scelto per il suo esordio al lungometraggio, dopo il diploma alla Fémis di Parigi e due cortometraggi, la Ergüven reclama a squarciagola il superamento di certi tabù e vincoli culturali particolarmente restrittivi ma ancora in voga soprattutto nelle aree più provinciali e isolate della nazione, e che nulla hanno da invidiare alla tradizione più tipicamente islamista di alcuni Paesi mediorientali limitrofi. “Mustang”, infatti, è il nome con cui viene chiamata una particolare specie di cavalli selvatici, e ad avere un’indole selvaggia sono anche le cinque giovani protagoniste del film della Ergüven, che dopo l’incetta di premi ottenuti in giro per i festival di tutto il mondo, a cominciare da Cannes, si appresta a rappresentare la Francia – co-produttrice del film – all’edizione degli Oscar 2016 come miglior film straniero.

La cultura cui si oppone Mustang è quella dei matrimoni combinati, del ruolo subalterno della donna alla quale non è dato avere il pieno controllo sulla propria vita, e della repressione sessuale che significa impossibilità di esprimersi non solo attraverso l’interazione col prossimo, ma, in primis, con sé stessi e con il proprio corpo. Non è un caso, infatti, se il film si apra con le cinque sorelle protagoniste che scherzano in acqua con alcuni loro coetanei facendo il gioco della cavallina, e quindi presupponendo un contatto delle loro parti intime con la nuca dei ragazzi, prontamente condannato dalla frangia più oltranzista del paesino. La reazione dei famigliari – lo zio e la nonna, giacché i genitori delle sorelle non ci sono più – è delle più estreme. In un processo di segregazione sempre più soffocante, che ricorda le dinamiche di quel che accade nel film di Sofia Coppola Il giardino delle vergini suicide, alle ragazze viene impedito di uscire di casa, e più loro cercano di ribellarsi e imporre il proprio diritto alla libertà personale più l’abitazione in cui abitano si trasforma in un bunker.

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In realtà la Ergüven, con questo suo film, ci dice di essere critica ma ugualmente ottimista per il futuro. Il raggiungimento della libertà arriverà per tutte, anche se a caro prezzo: attraverso il compromesso, anticipando l’ingresso nell’età adulta, rinunciando alle proprie radici, finanche preferendo la morte come gesto estremo di rivalsa. Perché non c’è rivoluzione, e conseguente cambiamento, senza sacrificio.

Un primo passo, in questo senso, è stato fatto sicuramente dalle famiglie che hanno dato il permesso alle attrici, quasi tutte non professioniste, e alcune delle quali minorenni, di recitare in Mustang, un potente e gioioso inno alla vita carico di una tensione erotica destabilizzante. Soprattutto se messa in relazione con località ortodosse come quella di Inébolu, a 600 km da Istanbul, dove il film è stato girato.

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Libia: “Impossibile soluzione politica rapida”

Medio oriente – Africa di

La profanazione del cimitero italiano a Tripoli e il presunto confinamento di alcune imbarcazioni italiane nelle acque territoriali libiche. In questo scorcio di novembre, i rapporti diplomatici tra Italia e Libia hanno subito un brusco raffreddamento. Per trattare questi temi, European Affairs ha intervistato la dottoressa Giovanna Ortu, Presidente dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, espulsa da Gheddafi, assieme ad altri 20mila connazionali, nel 1970.

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Dopo la devastazione del cimitero italiano in Libia, qual è stata la posizione assunta dal governo italiano? Avete ricevuto sostegno?

“Sono andata dal sottosegretario agli Esteri Mario Giro, con il quale avevo in programma un appuntamento già prima che accadesse questo episodio: ho trovato molta disponibilità ma anche preoccupazione circa il contesto creatosi in quel Paese. Nel frattempo, c’è stato anche il fallimento del mediatore ONU Bernardino Leon. La situazione tra le diverse fazioni si è ormai troppo incartata. Secondo me, il prolungarsi di questa dualità tra Tripoli e Tobruk ha aumentato le frizioni: se l’accordo, invece, fosse stato raggiunto prima, non ci sarebbe stato il tempo per i gheddafiani di riprendersi e per le altre organizzazioni di radicarsi sul territorio”.

 

Non è la prima volta che il cimitero italiano in Libia è stato vittima di azioni simili. L’ultimo caso risale al gennaio 2014. Crede che questi episodi siano mossi da un sentimento antitaliano o siano gesti politici premeditati?

“A mio parere, non sono fatti mossi da sentimento antitaliano. I fatti criminosi accaduti fino agli anni 2000, che poi ci indussero a restaurarlo nel 2004, sono collegabili alla microcriminalità. Anche l’episodio del gennaio 2014 o altri più recenti sono dello stesso tenore. Tuttavia, non posso giudicare se l’ultimo fatto sia di stampo politico. Quello che è certo è che già da diverso tempo la nostra associazione temeva che le devastazioni e i furti presso il sacrario italiano in Libia potessero divenire oggetto di strumentalizzazione politica”.

 

Il recente incidente diplomatico tra Italia e Libia è una chiara strategia internazionale atta a volere escludere il nostro Paese dal ruolo guida di un’eventuale azione militare sotto l’egida dell’Onu?

“In questo momento, noto una grande dicotomia tra il sentimento del popolo libico e chi intende speculare sulle divisioni interne per mettere in crisi i rapporti tra Italia e Libia che, in fondo, si erano rimessi sulla giusta strada nella fase finale della dittatura di Gheddafi. Mi chiedo: quanto tempo ci vorrà per ritornare a quella identità di sentimenti e vedute che ha caratterizzato gli ultimi 100 anni dei rapporti tra italiani e libici?
Tornando all’incidente diplomatico di qualche giorno fa, ritengo che, mentre tutti lodano Berlusconi per il trattato firmato con Gheddafi nel 2008 che sembrava così a favore dell’Italia, gli altri partner europei si siano ingelositi di quel rapporto tra Italia e Libia, dato che questo Paese è ricco dal punto di vista energetico e fonte di enormi commesse per il settore delle grandi opere. Quel trattato aveva tolto una fetta troppo grossa agli altri Stati europei. Comunque, non avrei mai creduto che i Paesi occidentali si lanciassero in una guerra, come accaduto nel 2011, senza avere un piano istituzionale ed economico postbellico”.

 

Lei che conosce il contesto sociale libico, crede che vi siano margini per la creazione di un governo di unità nazionale? Ormai la presenza dello Stato Islamico è radicalizzata: davvero questa organizzazione rispecchia la cultura religiosa del popolo libico?

“Sono molto pessimista per una soluzione positiva nel breve termine. Infatti, anche le analisi moderatamente ottimistiche fatte da esperti di geopolitica sono state smentite dai fatti. La Libia che conosco è quella di molti decenni fa. Tuttavia, nelle tre volte che ho avuto occasioni di tornare a Tripoli, i giovani incontrati erano pieni di sentimenti ma poco alfabetizzati e a contatto con il mondo esterno attraverso la televisione italiana. Quello che mi aveva colpito era stato il trovare donne che lavoravano nelle istituzioni e nei ministeri a volto scoperto. Però, non è possibile uscire da 40 anni di dittatura indenne. La popolazione, vulnerabile, è stata vittima di organizzazioni come il Daesh, insediatesi nel tessuto sociale libico”.
Giacomo Pratali

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Libya: “Short-term outcome is impossible”

Europe/Middle East - Africa di

Italian cemetery profanation in Tripoli and supposed Libyan territorial waters violation from Italian ships. This November, diplomatic relations between Italy and Libya have risked to break off. For these issues, European Affairs interviewed Dr. Giovanna Ortu, President of Association of Italians Repatriated from Libya, expelled by Gaddafi, along with other 20 thousand compatriots, in 1970.

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Dr. Ortu, after Italian cemetery profanation, what was the position taken by the Italian Government? Did you receive support?

“I went to the Undersecretary for Foreign Affairs Mario Giro, with whom I had already scheduled an appointment before it happened this episode: he was very helpful, but also worried about Libyan context. Meanwhile, there was also UN mediator Bernardino Leon failure. The situation between different factions has become too complicated. In my opinion, this long-time duality between Tripoli and Tobruk increased the infighting: if the agreement was reached before, Gaddafi followers could not reorganize themselves and Islamic State could not take root “.

 

It is not the first time that the Italian cemetery in Libya was victim of similar actions. The last one was in January 2014. From your viewpoint, are these event advanced by anti-Italian reasons? Otherwise, by political factors?

“In my opinion, they are not advanced by anti-Italian reasons. The criminal acts happened up to 2000, which then led us to restore it in 2004, can be connected to petty crime. Even the incident in January 2014, or other latest ones, are of the same standard. However, I can not judge if the last one is politically motivated. Surely, our association feared for a long time that these desecrations could politically exploit. ”
In your opinion, is recent diplomatic incident between Italy and Libya an international strategy to exclude Rome from the leading role of a possible military action under the aegis of the UN?

“At the moment, there is a big difference between Libyan population feeling and those who speculate on the internal divisions to undermine relations between two countries. I think that agreement signed by Berlusconi and Gaddafi in 2008, in favor of Italy, caused a reaction of other European partners. Indeed, this country has several oil reserves and needed infrastructure works. That treaty had taken a slice too big to other European states. However, I would never have believed that Western countries to embark on a war, as happened in 2011, without having an institutional level, and the postwar economic “.
You know Libyan social context very well: is still possible to create a national unity government? Islamic State is always more rooted: can this organization really reflect Libyan religious context?

“I am very negative about a short-term positive outcome. Even more optimistic analysis made by geopolitical experts was failed. The Libya that I know is of many years ago. However, I’ve had opportunities to go to Tripoli three times. There I met young people were full of feeling but unschooled. However, I found women who worked in institution and with uncovered face. I think that it’s very difficult back to normal after a 40 years dictatorship. So, this weak population has been victim of Daesh propaganda. ”
Giacomo Pratali

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Francia attacca IS. USA-Russia cooperano?

Varie di

L’aviazione francese ha intensificato i bombardamenti su Raqqa all’indomani dell’attacco terroristico a Parigi. Nel G20 in Turchia, il bilaterale tra Obama e Putin lascia intravedere degli spiragli su una comune strategia in Siria.

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Lo stato di guerra proclamato dal presidente francese Francoise Hollande ha già avuto un seguito. Non solo entro i confini nazionali. L’aviazione d’oltralpe, infatti, ha intensificato, nella notte del 15 novembre, i bombardamenti sulle postazioni strategiche in Siria. Il Ministero della Difesa ha dichiarato che sono 12 gli aerei totali impiegati, i quali hanno intensificato i raid presso Raqqa, capitale dello Stato Islamico, e preso di mira un centro di comando e un campo di addestramento.

Gli attacchi di Parigi hanno quindi portato ad una immediata reazione da parte dell’Eliseo. E, soprattutto, il governo non è spaventato dal fatto che, proprio i raid delle settimane scorse in Siria, sono stati una delle cause di quanto successo il 13 novembre. Gli attacchi aerei di queste ore sono, inoltre, il frutto della collaborazione tra Francia e Stati Uniti, già presenti sia sul territorio siriano sia su quello iracheni, che hanno fornito un supporto logistico e di intelligence.

Proprio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha intrattenuto un proficuo colloquio con il suo omologo russo Vladimir Putin nel corso del G20 di Antalya (Turchia). Negli oltre 30 minuti di faccia a faccia, alla luce degli attentati di Parigi, si sono riavvicinati, tanto che la Casa Bianca ha definito la discussione come costruttiva.

Al netto della questione ucraina e dei confini NATO in Europa, quanto avvenuto a Parigi potrebbe aprire lo scenario di una cooperazione militare in Siria, al fine di “risolvere il conflitto nel Paese”, si legge nella nota diffusa dopo il vertice. Pur con la questione del sostegno ad Assad ancora in ballo, la strategia del terrore dello Stato Islamico potrebbe avere un effetto contrario e ricompattare Occidente e Russia in nome della lotta al Califfato.
Giacomo Pratali

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France bombs IS. G-20: US-Russia deal?

Europe/Middle East - Africa di

France drops bombs on Raqqa after Paris attacks. During the G20, Obama and Putin talk about a common strategy in Syria.

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France have reacted to act of war of the Islamic State, as defined by French President Francoise Hollande. Not only within national borders. French aviation have intensified, durinf the night of November 15, the bombings on strategic locations in Syria. Ministry of Defence said that 12 aircrafts have been employed to attack Raqqa, the capital of Islamic State, and targeted a command center and a training camp.

So, Paris attacks led to an immediate reaction from the Elysee. And, above all, the government is not scared by the fact that just recent raids in Syria have caused bloody reaction on November 13. This military action is in cooperation with the US, already operating in Syria and Iraq, which have provided logistical and intelligence supports.

During the G20 in Turkey yesterday, Barack Obama and Vladimir Putin agreed on the need for “a Syrian-led and Syrian-owned political transition”, as reported by the White House. Even if the Cremlin “don’t think that West had a unique point of view” and “differences on tactics still remain,” this meeting has been positive to partially reconnect two United States and Russia on Daesh front.7

Despite Ukrainian crisis and NATO expansion, Paris attacks could bring the Us and Russia to military cooperate in Syria, in order to find a”peaceful conflict resolution,” G20 statement reported. Isis strategy could bring to adverse effect, uniting West and Russia against Caliphate.

The strategy of terror of the Islamic State could have an adverse effect and reassemble the West and Russia in the name of fighting Caliphate.
Giacomo Pratali

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Leader Isis in Libia ucciso da F-15 Usa

Abu Nabil al Anbari, leader dell’Isis in Libia, considerato il regista delle stragi al Museo Bardo e nelle spiagge di Sousse a Tunisi, è stato colpito nei pressi di Derna, nella notte tra il 13 e 14 novembre, da due droni F-15 americani. Secondo il Pentagono, esiste la ragionevole certezza che l’uomo sia rimasto ucciso nel corso del raid.

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L’azione statunitense, avvenuta in contemporanea con gli attacchi terroristici parigini, segue quella in Siria del 12 novembre in cui è stato eliminato il boia Jihadi John.

A capo delle tre cellule del Daesh presenti in Libia, Wisam al Zubaidi (il vero nome di al Anbari) è stato capo operativo dell’Isis in Iraq nel 2014. Nello stesso anno, il leader Abu Bakr al Baghdadi, suo compagno di prigione in Iraq nel 2003, lo invia nel Paese nordafricano per sviluppare una rete di gruppi affiliati allo Stato Islamico.
Giacomo Pratali

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Head Libyan Isis presumed killed by US F-15

Abu Nabil al Anbari, leader of Isis in Libya, considered organizer of Bardo Museum attack in Tunis, was shot, in the night between November 13 and 14 by two Us American F-15 aircraft. Pentagon, believe to kill him. The US action, which happened simultaneously with attacks in Paris, following Jihadi John killing in Syria on November 12.

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Daesh in Libya Chief, Wisam to Zubaidi (the real name of al Anbari) was Islamic State commander in Iraq in 2014. In the same year, leader Abu Bakr al Baghdadi, his prison mate in Iraq in 2003, send him in the North African country to affiliate Libyan jihadist group to Caliphate.
Giacomo Pratali

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Porte aperte sul baratro

BreakingNews/Varie di

La capitale francese torna ad essere suo malgrado protagonista dell’ennesimo violento attacco terroristico rivendicato da Isis.Non uno ma sette in contemporanea, orchestrati a dovere in luoghi certo pubblici ma avvertiti generalmente come sicuri, quali ristoranti e teatri, per paralizzare Parigi e diffondere il terrore tramite il numero delle vittime, 128 accertate, e dei feriti, 250 di cui 99 in gravi condizioni.

Al bilancio vanno aggiunti i quattro terroristi che hanno seminato morti e terrore nella sala concerto del teatro Bataclan, tre dei quali si sono fatti esplodere. Lo scorso gennaio, esattamente il 7, la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo è stata attaccata da due uomini muniti di Kalasnihinov, che hanno assassinato 12 persone ferendone altre 11.

Il giorno successivo un altro terrorista, Amedy Coulibaly, ha sparato ad una poliziotta, uccidendola. Poi, il 9 gennaio si è barricato in un negozio di alimentari kosher dove ha mietuto altre 4 vittime, prima di essere ucciso come i fratelli Kouachi, identificati quali autori della strage compiuta nella sede del periodico, dalle forze di polizia francesi. Il 2015 era appena iniziato e già si stava annunciando come un anno difficile e complicato.

All’epoca si parlò di profonda ferita per la Francia. Ora, a dieci mesi di distanza, quella ferita si può definire, in proporzione, un lieve graffio. Isis, con orgoglio, rivendica gli attentati, ne promette altri almeno fino a quando la Francia continuerà i raid aerei contro il Califfato in Siria, e mette in guardia la comunità mondiale, identificando prossimi obbiettivi, da Roma, resa ancora più appetibile dal mese prossimo con l’inizio del Giubileo, a Londra, fino a Whashington. La Francia dichiara tre giorni di lutto e annuncia una reazione “spietata contro le barbarie dello Stato Islamico”.

La comunità internazionale si stringe attorno alla capitale francese e promette supporto. Questo è il momento dei proclami, dei messaggi di cordoglio, dei commenti e delle convinzioni per ripetere, ancora una volta, quello che già da mesi è noto a tutti. Resta da chiedersi quanti altri dovranno morire ora per riuscire a invertire i rapporti di forza.

Quelli attuali propongono un rapporto impari, fatto di tante nazioni ufficialmente riconosciute e caratterizzate da precise identità politiche e sociali tenute sotto scacco da una entità autoproclamata che basa la sua esistenza sulla condivisione di un credo religioso portato all’estremismo, dietro cui si trincera per giustificare ogni nefandezza.

Una entità estremamente ramificata, cresciuta come una metastasi silente, che dispone di denaro, armi, mezzi, appoggi e sembra immune ad attacchi e infiltrazioni. Questo è ciò che Isis sta facendo credere, riuscendo perfettamente nel suo intento. Le porte si stanno spalancando di fronte ad un baratro in cui si fondono e confondono gli scenari bellici, in cui le cinture di esplosivo fanno coppia con la guerra del terrore divulgata attraverso il web. Forse ora, è davvero arrivato il momento di fare ordine.

Monia Savioli
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