GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Repubblica ceca, l’impegno militare nel Sahel e in Iraq

EUROPA di

Lunedì 27 gennaio, il governo ha approvato un piano per dispiegare 60 truppe in Africa, per una missione antiterrorista.

Allo stesso tempo, il Primo ministro ha affermato che non ci sono piani immediati per il ritiro dei soldati cechi dall’Iraq.

Le truppe in Africa

Il piano del Ministero della Difesa per dispiegare fino a 60 truppe nell’ambito della missione antiterroristica francese in Africa è stato approvato dal governo ceco lunedì 27 gennaio. Il piano di schieramento delle forze ceche nella missione – previsto fino alla fine del 2022 – necessita ancora dell’approvazione parlamentare. Tuttavia, il governo ha affermato che il Mali, il Niger e il Ciad hanno approvato lo spiegamento di forze ceche, aggiungendo poi che i cechi aiuteranno le truppe locali a combattere i militanti islamici. Tale missione infatti, lavora nella regione del Sahel proprio per sradicare i militanti islamici presenti, nella quale il governo di Babis ha già circa 120 truppe, come parte di una missione di addestramento dell’Unione europea. Le forze ceche che andranno dispiegate stazioneranno principalmente in Mali, poiché le operazioni in Niger comporterebbero operazioni logistiche e transfrontaliere, secondo quanto ha affermato il Ministero della Difesa. Tuttavia, dato che il quartier generale dell’Operazione si trova in Ciad, le truppe ceche si collocheranno in parte anche lì. Secondo le stime del ministero della Difesa, il dispiegamento avrà un costo minimo di 598 milioni di corone ceche (ovvero 26,38 milioni di dollari USA).

L’operazione Barkhane e l’EUTM Mali

Le forze ceche amplieranno la cosiddetta operazione Barkhane, un’operazione d’oltremare francese in corso nella regione africana del Sahel, contribuendo alla creazione di una task force di paesi europei per assistere le forze francesi già presenti nella regione. L’operazione Barkhane è un’operazione anti-insurrezione iniziata il 1° agosto 2014 e costituita da una squadra francese di 4500 forze; la sede permanente è nella capitale del Ciad, N’Djamena, ma l’operazione coinvolge ben cinque paesi, quali Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger – i cosiddetti G5 Sahel. L’obiettivo è quello di aiutare i governi dei paesi a mantenere il controllo del loro territorio, impedendo alla regione di diventare un rifugio per i gruppi terroristici.

Le truppe del governo ceco presenti in Mali assumeranno nel corso di quest’anno la guida della missione di addestramento dell’Unione europea. L’European Union Training Mission in Mali è una basata strategia dell’Unione Europea e riguarda il settore militare così come quello politico e umanitario. L’EUTM Mali è composta da quasi 600 soldati provenienti da 25 paesi europei, tra cui 21 membri dell’UE e 4 Stati non membri. Tale missione nasce nel 2013 per rispondere all’esigenza di rafforzare le capacità delle forze armate maliani, con il risultato finale di essere forze armate autosufficienti in grado di contribuire alla difesa della loro popolazione e territorio.

I soldati cechi in Iraq

A seguito degli ultimi fatti accaduti in Iraq, il primo ministro Andrej Babiš e i funzionari del ministero della Difesa si sono attivati per calmare le preoccupazioni sulla sicurezza dei soldati cechi e degli ufficiali di polizia in servizio nel paese. Il capo dello staff generale ha affermato che sono state prese le giuste precauzioni affinché sia garantita la sicurezza della squadra ceca, composta da 40 membri, per poi aggiungere che, in caso di necessità, è in atto un piano di emergenza di evacuazione. La Repubblica Ceca dispone di 13 specialisti della guerra contro le armi chimiche, che aiutano i soldati iracheni nell’addestramento, rendendoli pronti affrontare le conseguenze di un attacco chimico alla base militare di Al-Taji in Iraq. Altri 24 agenti di polizia militare stanno aiutando polizia irachena nelle fasi di addestramento, e altri due gruppi di soldati della forza di schieramento del paese stanno sorvegliando l’ambasciata ceca a Baghdad e il consolato ceco a Irbil.

Il primo ministro Babiš ha dichiarato in una conferenza stampa a Praga che il contingente ceco in Iraq è al sicuro e per questo motivo, al momento non ci sono piani per il suo ritiro.

“I soldati e gli ufficiali di polizia che abbiamo in Iraq sono al sicuro. Il ministero della Difesa ceco e l’esercito stanno consultando questioni di sicurezza e futuri passi da vicino con la leadership della NATO e nelle circostanze attuali non stiamo prendendo in considerazione un ritiro”. Il capo delle operazioni delle forze armate ceche, Josef Kopecký, ha confermato che i soldati cechi che erano proprio accanto all’ambasciata americana a Baghdad sono stati trasferiti in un altro sito in Iraq per motivi di sicurezza, ed ha poi aggiunto che “date le misure di sicurezza adottate, non è possibile chiedere un ritiro o una ricollocazione immediati”. Infine, il Ministero degli Esteri ceco ha ribadito l’avvertimento ai cittadini cechi in merito ai viaggi in Iraq e ha esteso il suo avvertimento anche all’Iran.

Anti-terrorismo, Internet al fianco dei Governi

AMERICHE/EUROPA/INNOVAZIONE/SICUREZZA di

Il G7 appena conclusosi ad Ischia e tenutosi sotto la presidenza italiana negli scorsi mesi in varie città del nostro paese ha preso importanti decisioni sulla lotta al terrorismo. Un interessante sviluppo si ha avuto in materia di contrasto alla proliferazione online di contenuti legati al jihadismo.

Il G7, infatti, rilevando che “Daesh e Al-Qaida continuano a sfruttare Internet per diffondere i propri messaggi propagandistici, reclutare operativi, incitare alla violenza e fomentare attacchi” e che, in particolare, lo Stato Islamico “mentre soffre una serie di sconfitte sul campo di battaglia, sta sfruttando la rete per istigare i simpatizzanti a condurre attacchi terroristici nei nostri paesi e in tutto il mondo” ha evidenziato la necessità di una fitta cooperazione tra le autorità nazionali di sicurezza e i Communication Service Providers e le compagnie di Social Media.

Tale cooperazione potrà fare affidamento oltre che sugli accordi bilaterali anche su organi già esistenti quali il Global Internet Forum to Counter Terrorism formato da Facebook, Twitter, Microsoft e Youtube, lo Shared Industry Hash Database, sistema di condivisione di hash, vere e proprie firme digitali per identificare gli autori di contenuti, l’EU Internet Forum e il Civil Society Empowerment Programme.

L’intesa si ispira al concetto di Partnership Pubblico-Privata (PPP) e si fonda sui seguenti pilastri:

  1. Prevenire la diffusione di contenuti di matrice terroristica sulla rete anche attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale
  2. Fare rapporto alle autorità di sicurezza in caso di necessità
  3. Creare un dialogo strutturato a cadenza regolare tra Stati e compagnie tech
  4. Coinvolgere altre compagnie tech nell’intesa per aumentare il raggio d’azione, in particolare per quanto riguarda il Database di Hash.

Sul tema è intervenuto anche il Ministro degli Interni Marco Minniti che ha dichiarato: “Oggi trasmettiamo un messaggio forte alle opinioni pubbliche del mondo: è possibile avere un principio di sicurezza che non pregiudichi la libertà grazie a delle innovazioni che i grandi provider hanno già messo in atto e che noi implementeremo”.

L’intesa raggiunta è la prima iniziativa internazionale multilaterale a coinvolgere le compagnie tech e rappresenta un primo passo per un approccio integrato pubblico-privato per il monitoraggio e il contrasto dei contenuti terroristici sul Web.

Lorenzo Termine

Attentato a San Pietroburgo: la Russia di Putin ancora sotto attacco

BreakingNews/Defence di

Fumo, fuoco, una carrozza della metropolitana di San Pietroburgo sventrata da una bomba. Uno scenario drammatico: almeno 11 vittime, 45 feriti di cui 14 in condizioni molto gravi. Il terrorismo colpisce ancora. La Russia è di nuovo ferita da un attentato. L’esplosione avviene circa alle 14.45 ora locale del 3 aprile 2017, quando un’esplosione coinvolge il terzo vagone di una metro della linea blu in direzione dell’Istituto di Tecnologia, ma il macchinista decide di proseguire la sua corsa fino alla fermata successiva, permettendo così il soccorso immediato di molti dei feriti. Le autorità locali decidono per l’immediata chiusura dell’intera rete di trasporto sotterraneo della città. La decisione si rivela quanto più sensata, considerato che durante l’ispezione effettuata in tutte le stazioni, in un’altra viene rinvenuto un secondo ordigno esplosivo.

Questo drammatico evento si colloca in un quadro molto complesso: secondo i quotidiani russi, i servizi segreti erano a conoscenza di un piano d’azione da parte dell’ISIS proprio con obiettivo San Pietroburgo. Le notizie erano state riportate da un uomo che era rientrato sin Russia dalla Siria dove operava come foreign fighter per lo Stato Islamico ed arrestato immediatamente, ma purtroppo non era in un grado della gerarchia molto alto, tale da essere a conoscenza dei dettagli di questo folle piano omicida. Purtroppo tutti gli sforzi messi in campo dai Servizi Segreti sono stati vani. A causa dell’impossibilità di risalire all’identità reale di alcuni soggetti che avevano acquistato delle schede telefoniche non c’è stata la possibilità di rintracciarli. Le ricerche stavano proseguendo con urgenza, ma i terroristi non hanno dato il tempo necessario, colpendo in tempi molto più brevi di quelli che ci si potessero aspettare.

L’attentato è avvenuto in un giorno particolare: la visita di  Vladimir Putin nella grande città baltica. L’obiettivo  – secondo le fonti estremiste cecene – sarebbe stato proprio lo stesso Putin, visto come grande nemico, sia dalle milizie dell’ISIS, sia dai Ceceni che spesso diventano braccio armato di Daesh come forza esterna estremamente specializzata. L’attentatore infatti – come comunicato dalle fonti di intelligence sovietica – sarebbe stato identificato: si tratta di un ragazzo di 22 anni, originario del Kirghizistan e residente da 6 anni a San Pietroburgo. Secondo le fonti, sarebbe stato da sempre in contatto con i combattenti ceceni in Siria.

L’attentato a San Pietroburgo di matrice fondamentalista islamica si inserisce in un quadro già drammatico che aveva visto una lunga scia di sangue a partire dal 1999 quando l’allora Primo Ministro Vladimir Putin aveva lanciato una campagna contro il governo separatista della regione della Russia Meridionale: la Cecenia.  Da quel momento iniziano gli attacchi armati: nel 2002 la polizia fece irruzione in un teatro di Mosca per porre fine a una presa di ostaggi e il bilancio finale fu di 120 ostaggi uccisi. Nel 2004 ricordiamo il massacro di Beslan in cui persero la vita oltre 330 persone di cui la metà erano bambini. Seguendo questo triste filo rosso arriviamo al 2010 quando due donne kamikaze di origine cecena si fecero esplodere nella metropolitana di Mosca mietendo 38 vittime e numerosi feriti.

La Duma ha annunciato di non voler  – almeno per il momento – apportare modifiche all’attuale legge antiterrorismo, ma ONG , associazioni che operano sul territorio, molti membri della stampa internazionale sono convinti che qualcosa all’atto pratico succederà. Non si sa se in termini legislativi o di operazioni militari, ma quasi tutti gli attori in gioco credono che Putin inizierà a valutare l’idea di utilizzare drastiche contro misure.

Attentato a Londra: dopo 12 anni torna l’incubo terrorismo

BreakingNews/EUROPA di

Ancora si cerca di capire la verità e le dinamiche esatte dei fatti avvenuti a Londra nel primo pomeriggio del 22 marzo 2017. Un’altra auto sulla folla, ancora terrore, stavolta siamo a Londra dove a distanza di 12 anni torna il terrore. Altra coincidenza: l’anniversario dell’attentato del 22 marzo 2016 a Bruxelles. Torna l’incubo del terrorismo. L’attacco si è svolto in due fasi praticamente parallele: l’assalitore si è lanciato a tutta velocità con un suv attraversando il ponte di Westminster accanendosi sulla folla e mietendo numerosi feriti. In una seconda fase l’uomo è sceso dalla sua vettura ed ha accoltellato un agente che si trovava nel cortile del Parlamento di Londra. L’obiettivo dell’uomo sembrava quello di entrare proprio all’interno dell’edificio dove si trovava anche il Primo Ministro Theresa May.
La premier britannica è stata immediatamente fatta evacuare dall’edifico a bordo di una macchina molto veloce, come previsto dalla prassi di sicurezza in questi casi.

Sin dalle prime indiscrezioni Scotland Yard ha parlato subito di un attacco terroristico, anche se al momento attuale non ci sono ancora state rivendicazioni palesi di nessuna natura. in un primo momento alcuni media britannici e mediorentali avevano attribuito la responsabilità dell’accaduto all’Imam di Clapton, noto come radicalizzato e come “predicatore d’odio”. La notizia è stata smentita dopo poco in quanto le fonti governative hanno confermato che il sospettato si trova ancora in carcere.

Le vittime al momento sono quattro tra cui l’assalitore, un agente ed una donna. Ci sono più di una ventina di feriti e qualcuno in gravi condizioni, tra questi due sono italiani: una donna di Roma, ricoverata in condizioni diverse rispetto alle altre vittime,  ed una ragazza di Bologna che ha riportato solo delle lievi ferite.


Molti sono ancora i dubbi da sciogliere: il terrorista, a quanto pare dai tratti asiatici e la barba, fa parte di un gruppo di schegge impazzite legate all’integralismo musulmano oppure i motivi sono altri? Come abbiamo anticipato non ci sono ancora certezze su chi fosse davvero l’uomo che ha fatto cadere Londra e mezza Europa di nuovo nel terrore. Secondo alcune testate viene riportata una reazione “particolare” da parte dell’emittente Al Jazeera che avrebbe reagito con delle faccine sorridenti sui social, ma a parte questo dettaglio non trascurabile, Daesh non ha ancora rivendicato ufficialmente l’attentato terroristico.

Nella confusione e nel panico generale sono state necessarie alcune ore per ricostruire esattamente l’accaduto, dare un volto all’attentatore e capire che si trattava di un’unica azione e non di due in contemporanea, come si è parlato in un primo momento. Molte testimonianze dei presenti sono state raccolte, insieme a qualche “coraggioso” che ha ripreso con il cellulare alcuni momenti di questo efferato gesto.

E in attesa che venga diffusa l’identità dell’assalitore il premier Teresa May ha parlato alla nazione. “Il nostro livello di sicurezza è stato rafforzato”, definendo “l’attacco terroristico come un atto disgustoso e odioso”, visto che “è stato colpito il cuore della nostra capitale”. “Ogni tentativo di sconfiggere i nostri valori è destinato al fallimento”, ha concluso.

Credits photo: Twitter

Aereo Parigi – Il Cairo scomparso: cronaca di un’ennesima mattinata buia francese

BreakingNews/EUROPA di

La Francia si sveglia alle 6.45 con le prime voci che un aereo della compagnia Egypt Air, partito da Parigi Charles De Gaulle nella notte di mercoledì e diretto a Il Cairo, sarebbe scomparso dai radar .

A darne notizia è la stessa compagnia aerea che comunica via Twitter. I passeggeri sarebbero poco più di una cinquantina, per la maggior parte cittadini egiziani: secondo Sky  News arabia  ci sarebbero anche un cittadino saudita, un irakeno e si conterebbero circa 15 passeggeri di nazionalità francese.

In poco meno di un’ora il governo francese presieduto da Valls ha indetto una cellula di crisi a disposizione delle famiglie dei passeggeri e per cercare di far luce su cosa sia accaduto al largo dell’Egeo.

Le notizie che seguono sono piuttosto vaghe, il velivolo  si sarebbe schiantato nel mare della Grecia nei pressi dell’isola di Karpathos. Verso le 7.20 il governo greco ha dato la sua disponibilità immediata per aiutare le ricerche dell’aereo, e nel frattempo il premier francese rilascia le sue prime dichiarazioni alla stampa in cui dice di “non scartare nessuna ipotesi”.

Dalle 8.30 inizia il vertice di sicurezza interministeriale a Parigi voluto dallo stesso Valls, Jean-Marc Ayrault (Affari esteri), Bernard Cazeneuve (Ministro interno), Jean-Yves Le Drian (Difesa), Ségolène Royal (Sviluppo) ed il segreatrio di stato per i trasoporti Alain Vidalies, secondo fonti precisate dall’Eliseo.

Al momento nessuno ancora si sbilancia nell’azzardare ipotesi, che al momento sarebbero prive di verifiche certe. Il Governo egiziano parla di un’esplosione in volo, a confermare questa tesi – secondo il quotidiano Le Parisien, sarebbe stato il comandante di una nave mercantile che si trovava al largo delle coste greche e sostiene di aver visto “una fiamma nel cielo” proprio nell’orario in cui effettivamente dovrebbe essere avvenuto lo schianto/esplosione.

Come riporta il quotidiano francese, secondo gli esperti, Il fatto che i piloti non abbiano avuto il tempo di inviare un messaggio, lascia supporre che sia stato un evento improvviso : “se l’equipaggio non ha inviato nessun messaggio di allarme è simbolico del fatto che sia stato un evento molto, molto brutale” spiega Jean Paul Troadec, in passato capo della Commissione di Inchiesta e di Analisi (BEA) in Francia, e prosegue “un problema tecnico,  di norma un incendio, un problema di panne dei motori non provoca un incidente immediatamente e l’equipaggio ha un minimo tempo per reagire”  –  dichiara lo stesso alla radio Europa 1.

Lo spettro del terrorismo torna a visitare l’Europa a distanza di poco meno di due mesi dagli attentati di Bruxelles, la Francia già agitata dai movimenti della Nuit Debut e dei suoi manifestanti, non può allentare nemmeno per un istante il cordone di sicurezza sulla vicenda terrore.

da Parigi Laura La Portella

UNIFIL Libano, cambio di comando per la missione italiana

Difesa/Medio oriente – Africa di

La Brigata Sassari subentra alla Brigata Taurinense nell’Operazione Leonte al confine sud del paese.

I compiti della missione e le regole di ingaggio non cambiano ma proseguono con lo stesso livello di professionalità e impegno profuso negli anni dai contingenti italiani nell’ambito della missione ONU denominata UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon).

20160418 ToA JTFL Sector West-269Al comando della Brigata Sassari il Generale di Brigata Arturo Nitti che subentra al Generale Franco Federici comandante della Brigata Taurinense.

Anche se la Brigata “Sassari” è alla sua prima missione in Libano con i colori delle Nazioni Unite ha una grande esperienza sul campo, presente negli anni sui diversi scenari operativi internazionali ha accumulato una grande esperienza operativa che sarà utile in un contesto come quello libanese che vive da anni una situazione di tregua con il vicino Israele ma che necessità di un altissimo livello di professionalità e attenzione per non far infiammare nuovamente il conflitto.

La situazione internazionale non aiuta il mantenimento della stabilità, il Libano soffre al nord di infiltrazioni da parte dell’ISIS, come dimostrano i recenti arresti da parte delle autorità nazionali, oltre alla crisi umanitaria provocata dal sempre crescente numero di profughi siriani ospitati anche nei campi profughi presenti nella zona di competenza della missione UNIFIL.

Durante la cerimonia di cambio di comando il Generale Portolano, Capo missione e comandante delle forze UNIFIL ha indicato come fondamentale il ruolo degli italiano come ambasciatori di pace e sottolinea come la missione conclusa dalla “Taurinense” sia stata “caratterizzata dalla condivisione di un progetto comune realizzato attraverso il dialogo con la popolazione e le sue istituzioni e” continua il Generale “come Il consenso sia stato alla base di ogni attività condotta dagli alpini del contingente italiano grazie ai quali è stata incrementata l’efficacia delle attività operative per il mantenimento della stabilità dell’area e la fiducia della popolazione libanese nei confronti di Unifil. “

IMG_9791L’attività di peacekeeping nella missione Leonte è il pilastro fondamentale della missione, la raccolta di consenso da aprte della popolazione permette una operatività sul territorio fondamentale per il mantenimento della pace.

La missione LEONTE è caratterizzata da un mix di attività cinetiche come il pattugliamento del territorio e il controllo di mezzi e persone con l’obiettivo di impedire il movimento di armi e incidenti lungo la Blue Line.

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I curdi all’Europa: riabilitate Ocalan e il Pkk

Medio oriente – Africa di

Un duplice richiamo alla Turchia, affinchè modifichi l’atteggiamento assunto sino ad ora e all’Europa, per invitarla a considerare la questione curda come politica e non terroristica. Il rapporto fra Turchia ed etnia curda è tornato alla ribalta nelle due giornate organizzate a Bruxelles nell’ambito della 12a conferenza internazionale dal titolo “Vecchia crisi-nuove soluzioni. L’Europa, la Turchia, il Medio Oriente e i Curdi” organizzata dalla Turkey Civic Commission in collaborazione con il Kurdish Institute of Brussels nella sede del Parlamento Europeo, a Bruxelles, il 26 e 27 gennaio scorso.

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Il documento di sintesi proposto al termine della due giorni in cui si sono confrontati i vari protagonisti, dal Premio Nobel iraniano Shirin Ebadi, al leader dell’Hdp curdo e membro del parlamento turco Selahattin Demirtas, ha posto l’accento su responsabilità vecchie e future. E, soprattutto, sulla questione curda, ancora drammaticamente aperta unitamente a quella degli orrori causati dalle orde del Califfato.

Il dopo elezioni di giugno in Turchia, si legge nel documento, ha riproposto gli stessi abusi inferti ai diritti umani dei curdi negli anni ’90. Un ritorno al passato sottolineato dall’introduzione di coprifuoco illegali, privazione di acqua, cibo, elettricità e medicine e dall’uccisione di civili scomodi. “Queste misure – si sottolinea nel documento – mostrano un completo disprezzo della volontà democratica del popolo”. L’appello lanciato a “movimenti sociali, sindacati, associazioni professionali, organizzazioni non governative, alleate di governo e governative, istituzioni” riguarda la chiusura delle ostilità fra curdi e turchi, riaccesasi nell’estate scorsa, attraverso la fine di assedi e coprifuoco, l’esclusione di civili e aree residenziali dagli scontri fra forze turche e membri del partito dei lavoratori di Ocalan, il PKK, il rientro di quanti sono stati costretti a fuggire e la condanna dei colpevoli delle violazioni perpetrate a danno dei diritti umani.

La fine del conflitto fra turchi e curdi può tradursi, secondo la risoluzione individuata dalla conferenza, in “un impatto positivo sulla lotta nella regione contro i gruppi jihadisti, come ISIS”. “La Turchia – si legge nel documento – deve smettere di appoggiare i gruppi jihadisti in Siria e deve impegnarsi ad essere un efficace membro della coalizione internazionale contro ISIS. Deve abbandonare le politiche anticurde e lavorare al fianco dei curdi e dell’opposizione democratica siriana per arrivare ad una soluzione politica”. L’Europa viene chiamata in causa e spronata a considerare la questione curda da un punto di vista che escluda la matrice terrorista con cui l’opera del PKK e del suo leader Ocalan è stata bollata.

“L’Unione europea – viene sottolineato – non deve limitarsi a semplici richieste di un cessate il fuoco, ma deve anche essere proattiva nel definire il percorso verso una soluzione pacifica. A questo fine, il PKK, quale parte attiva della soluzione, non deve più considerato come organizzazione terroristica”. Fra le altre richieste individuate anche il rinnovo della Costituzione turca votata nel 1980 a seguito del colpo di Stato militare, la garanzia dei diritti legati alla libertà di pensiero e di espressione, la liberazione dei civili imprigionati e la realizzazione di un corridoio umanitario al confine tra Turchia e Siria.

 

Monia Savioli

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Daesh: da Parigi a Maiduguri

EUROPA/Medio oriente – Africa di

L’attacco terroristico a Parigi del 13 novembre ha reso evidente come lo Stato Islamico sia un pericolo anche dentro i confini occidentali. Aldilà di Siria e Iraq, dove ha sede il Califfato, è l’Africa il luogo più colpito dal terrorismo islamico. I fatti degli ultimi quindici giorni ne sono l’ulteriore riprova.

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Sono oltre 83 gli attentati in tutto il mondo dal giugno 2014 ad oggi, riporta il quotidiano francese Le Monde. Oltre 1600 le vittime. Raqqa (Siria) e Maiduguri (Nigeria) le città più colpite. Dal marzo 2015, data dell’affiliazione del gruppo nigeriano Boko Haram al Califfato, le azioni terroristiche nel continente africano sono aumentate a dismisura. Così come le varie sigle che, dal Mali all’Egitto, colpiscono in nome dell’Isis.

Dopo i 129 morti di Parigi, altri se ne sono aggiunti da novembre ad oggi:

Mali: Oltre 20 le persone uccise a seguito di un raid compiuto da un commando jihadista lo scorso 20 novembre all’hotel Radisson di Bamako. Un blitz delle forze speciali francesi e statunitensi ha permesso la liberazione dei circa 150 ostaggi sopravvissuti. Dopo l’arresto di due sospettati, la risposta delle cellule terroristiche locali non si è fatta attendere con l’attacco alla base ONU di Kidal nel nord del Paese, in cui sono morte 3 persone.

Egitto: Due azioni terroristiche. La prima, il 24 novembre, quando un doppio attacco kamikaze, compiuto in un hotel del Sinai del Nord che ospitava alcuni presidenti di seggio, ha portato all’uccisione di 4 persone. La seconda, il 28 novembre, a Giza, quando alcuni terroristi hanno sparato contro un checkpoint, uccidendo 4 poliziotti.

Nigeria: Prima una stazione dei camion, poi una processione sciita. Sono questi i due obiettivi presi di mira dai miliziani di Boko Haram nello Stato di Borno, vicino alla capitale Maiduguri. Rispettivamente oltre 35 e 32 i morti.

Camerun: Quattro differenti azioni kamikaze da parte di altrettante ragazze hanno portato all’uccisione di almeno 5 persone a Fotokol lo scorso 21 novembre.

Tunisia: 13 morti a seguito di un attacco bomba contro l’autobus della guardia presidenziale avvenuto lo scorso 24 novembre a Tunisi. Così come nelle azioni al Museo del Bardo e nella spiaggia di Sousse dello scorso giugno, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato.

 

Giacomo Pratali

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Vertice NATO Firenze sulla lotta al terrorismo

BreakingNews di

Giovedì 26 e venerdì 27 novembre, presso Palazzo Vecchio a Firenze, si terrà il seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell’Assemblea Parlamentare della NATO, promosso dal presidente della Delegazione italiana all’Assemblea NATO, Andrea Manciulli. A seguito dei fatti di Parigi, è stato stravolto il programma originario. Il tema del terrorismo e della sicurezza saranno al centro dell’agenda. Spazio anche a questioni come il finanziamento delle organizzazioni jihadiste, la Libia, le prospettive energetiche e i riflessi economici nei rapporti di interscambio nell’area Mena.

Oltre ai circa 120 parlamentari dei Paesi Nato e degli Stati della sponda sud del Mediterraneo presenti, interverranno alcune tra le più importanti cariche istituzionali italiane: Pietro Grasso, Presidente del Senato; Laura Boldrini, Presidente della Camera; Angelino Alfano, Ministro dell’Interno; Paolo Gentiloni, Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale; Roberta Pinotti, Ministro della Difesa; Marco Minniti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e il gen. Claudio Graziano, Capo di Stato maggiore della difesa. Attesa anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione.

Proprio a seguito degli attacchi nella capitale francese, a Firenze sono state implementate le misure di sicurezza. Tiratori scelti e unità cinofile sono già attive nel capoluogo toscano e pronti a garantire la sicurezza delle circa 40 delegazioni Nato presenti in città.

Nella giornata di mercoledì 25 novembre, verso le 17,30, si terrà infine una manifestazione di protesta organizzata da“Assemblea fiorentina contro il vertice Nato”. Sel, Rifondazione Comunista, i No Tav e altri movimenti formeranno un corteo che si snoderà lungo le vie del centro storico della città.

Thailandia-Giappone: intesa sul terrorismo

Asia di

Lunedì 16 novembre, nell’ambito dei colloqui bilaterali al margine del Asia-Pacific Economic Cooperation Forum di Manila, il Ministro degli Esteri thailandese Don Pramudwinai e il suo collega giapponese Fumio Kishida hanno raggiunto un accordo preliminare di cooperazione sul fronte della lotta al terrorismo internazionale. L’intesa giunge in risposta agli attentati che hanno insanguinato Parigi nella notte di venerdì scorso e all’attacco subito dalla capitale tailandese nell’agosto di quest’anno, costato la vita a 20 persone.

 

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“La comunità internazionale – ha detto Kishida – dovrebbe essere unita nel condannare risolutamente gli atti di terrorismo”. I due ministri hanno dunque promesso una più stretta cooperazione tra i rispettivi paesi nella lotta alla minaccia terrorista.

4500 imprese e società giapponesi operano in Thailandia e sono oltre 60 mila i cittadini nipponici che vivono e lavorano nel paese. Il Ministro degli esteri Kishida ha dunque chiesto al governo thailandese di fare il possibile per garantire la sicurezza dei suoi concittadini e per proteggere gli investimenti nipponici. Al contempo, ha confermato il supporto del suo governo per lo sviluppo di nuove infrastrutture nel paese del sud-est asiatico, a partire dalla rete ferroviaria.

Il colloquio ha toccato anche il tema del Mar Cinese Meridionale e delle tensioni che coinvolgono le potenze dell’area, per il controllo delle vie di comunicazione marittime. Keshida auspica che l’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del sud-Est Asiatico, lanci un appello congiunto in occasione del prossimo vertice di Kuala Lumpur, per chiedere maggiore stabilità nella regione ed il rispetto dello stato di diritto.

Il Giappone, infatti, è direttamente interessato alla disputa. Benché non abbia rivendicazioni sul fronte territoriale, ritiene cruciale per la sua economia la libera navigazione lungo le acque del Mar Cinese Meridionale e sta esercitando pressione sui paesi del sud-est asiatico per creare un fronte congiunto che possa limitare l’espansionismo cinese. Un obiettivo difficile da raggiungere poiché Pechino agisce parallelamente, sul fronte diplomatico, per rafforzare le proprie posizioni e disinnescare le rivendicazioni dei paesi dell’ASEAN.

Anche le borse asiatiche hanno inizialmente subito gli effetti degli attentati di Parigi, con perdite consistenti all’apertura dei mercati, lunedì scorso. La paura, sulle piazze finanziarie, è durata poco e già da martedì i principali listini del continente sono tornati in territorio positivo, con guadagni superiori al punto percentuale, dopo che le borse europee e americane avevano fatto segnare un primo rimbalzo.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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