GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 9

Macron 2.0 :più Francia e meno Europa

Domenica prossima la Francia andrà al voto di ballottaggio per eleggere il Presidente della Repubblica.

Il copione non presenta nessuna novità di rilievo, è lo stesso ormai da circa 20 anni. Due candidati che rappresentano le due anime di una nazione, da una parte il difensore dello stato di diritto e delle libertà individuali (Macron) e dall’altra il bieco nazionalista, nemico della repubblica, paladino delle forze conservatrici più oscure e convinto liberticida (la famiglia Le Pen).

Il risultato è scontato, come sempre; fronte comune contro la destra ed elezione del candidato opposto, anche se magari non sia proprio il modello ideale di leader che si vorrebbe avere.

Tutto a posto quindi, la Francia è un paese sovrano, democratico e libero che sceglie il proprio Presidente come desidera e su questo non si discute!

Quello che, invece, merita maggiore attenzione è il sensibile cambio di indirizzo che il programma politico annunciato da Macron, in caso (scontato) di rielezione, prevede di attuare.

La visione europeista che aveva caratterizzato il mandato dell’attuale Presidente volta a costruire sotto l’egida di Parigi un’Europa più unita, più forte, dotata degli strumenti necessari a sostenere una politica comunitaria più incisiva sulla scena mondiale, come un sistema di difesa comune (staccando la spina a una NATO in fase terminale), un’Europa green e inclusiva con a capo una Francia in grado di guidarla verso il conseguimento di questi obiettivi, è scomparsa lasciando il posto a un’altra visione più nazionalistica e più “francocentrica” si potrebbe dire.

Infatti, leggendo il programma politico per il nuovo mandato, si possono scorgere importanti cambiamenti di indirizzo volti a ripensare una Francia più attenta alle esigenze interne, con un approccio più nazionalista in termini di politica estera, meno disponibile ad affidare il proprio destino a organismi sovranazionali, meno convinta che un esercito europeo (ancorché guidato da Parigi) possa garantire la sicurezza dei propri interessi e soprattutto una Francia meno green e molto meno accogliente e inclusiva di quanto lo fosse stata prima.

L’intenzione di rafforzare il proprio strumento militare, non solo con l’incremento di risorse finanziarie, ma aumentando anche la percentuale di riservisti, sottolinea la volontà di Parigi di poter contare su uno dispositivo di ampliate capacità per poter effettuare scelte politiche più autonome bypassando i limiti imposti da alleanze scomode (NATO ad esempio) e quelli che nuove organizzazione potrebbero costituire (esercito europeo). Il tutto in linea con un rinnovato proposito di poter ricoprire quel ruolo da protagonista sulla scena mondiale che la Francia ritiene le spetti di diritto, ma che non viene condiviso né riconosciuto a livello internazionale. Prova di questo la mancanza di qualsiasi risultato che gli interventi del Presidente Macron hanno avuto su Putin all’inizio e nello svolgimento della crisi ucraina, a conferma che il ruolo riconosciuto alla Francia nell’arena geopolitica internazionale è di irrilevante valore.

È prevista, anche, una revisione in chiave restrittiva delle politiche di accettazione nei confronti del flusso di migranti che vede nell’Europa e nella Francia il luogo dove poter ricevere accoglienza, sicurezza e garanzia di diritti. Una considerazione più attenta delle necessità nazionali richiede la messa in atto, secondo il programma politico, di una maggiore severità nelle norme che regolano l’immigrazione consentendo “procedure di espulsione più rapide”, con il rifiuto della domanda d’asilo che “varrà come obbligo di abbandonare il territorio” francese, e di condizionare la concessione di permessi di soggiorno di lunga durata “a un vero processo di integrazione professionale di 4 anni o più”.

Quindi il tramonto di una società multiculturale aperta, inclusiva e progressista e la rinascita di una identità nazionale forte, precisa e caratterizzata da una necessaria integrazione come premessa fondamentale per poterne essere accettati.

Anche il settore dell’autonomia energetica è destinato ad essere stravolto dal nuovo programma, che prevede sì l’indipendenza dal gas e dal petrolio come obiettivo nell’immediato futuro (prima nazione ad attuarlo!!!!!), ma non con risorse green o rinnovabili ma con la costruzione di nuove centrali nucleari.

Altro calcio dato al concetto di un’Europa unita e comune viene dalle politiche agricole dove l’interesse è quello di rivedere il concetto di produzione in netto contrasto con la visione europea del Farm to Fork (F2F – è il piano decennale messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente) dove la autonomia alimentare viene messa al primo posto rispetto ad altri parametri, perché sono prevedibili delle “crisi alimentari profonde soprattutto fuori dal nostro continente e l’Europa non può permettersi di diminuire la produzione”.

Ovviamente il programma prevede anche aumenti alla ricerca indirizzata verso l’innovazione tecnologica puntando ai settori “del futuro”: aerospazio, semiconduttori, biomedicina, cloud sempre in un’ottica di rendere la Francia sempre meno dipendente da fattori esterni.

Il programma considera poi la necessità di adottare delle riforme interne di carattere sociale che ribaltano le scelte proposte nel precedente mandato affondate dalla rivolta dei gilet gialli.

Essendo una Paese sovrano, come detto, tutto questo è sacrosanto e rappresenta la visione politica di una élite che sta ai cittadini, attraverso l’espressione del loro diritto di voto, approvare o rigettare.

Tuttavia, questo programma offre una chiave di lettura abbastanza significativa sulle conseguenze che il conflitto russo ucraino ha scatenato e sul cambiamento di paradigma che tali conseguenze hanno imposto all’attenzione di un’Europa che, bruscamente, è stata risvegliata dal suo torpore fatto di eccessiva sicurezza e permeato da una visione intrisa di buone intenzioni e di pie illusioni.

La crisi conseguente allo svilupparsi del conflitto ucraino ha investito l’Europa facendo traballare le certezze che si consideravano acquisite e immutabili, conseguenza di un nuovo ordine mondiale che la fine della guerra fredda credevamo avesse creato.

Lo sviluppo di un’Unione Europea, effimera politicamente ma rilevante nel campo economico finanziario, alla quale devolvere sia la nostra sicurezza sia il nostro benessere sociale, la convinzione che un sistema basato sulla condivisione di un diritto internazionale e sul rispetto assoluto dei diritti della persona a scapito di quelli dello Stato, la capacità di poter offrire asilo e ospitalità a chiunque lo chiedesse senza porre alcun vincolo o nessuna regola, la spinta verso una società multiculturale dove rinunciare alle caratteristiche proprie della nostra cultura per non offendere le altre era ritenuto un dovere irrinunciabile, sono tutti concetti che la crisi ucraina ha spazzato via in un momento, riportandoci ad una realtà dura e difficile da comprendere che ha stimolato i fantasmi peggiori di un passato che consideravamo ormai dimenticato.

La risposta a questo è il programma politico che la Francia si appresta a validare e approvare, dove unità europea, condivisione, futuro green e inclusione sono concetti che cedono il passo a una visione più nazionale, dove l’interesse dei cittadini francesi e delle aspirazioni nazionali francesi hanno la preminenza su tutto il resto.

Nella nostra Unione Europea una visione politica di questo tipo, dove l’interesse nazionale viene anteposto a chiare lettere agli aspetti comunitari, non è una novità di adesso, basti pensare ai recenti contrasti politici che hanno animato i rapporti con Paesi come l’Ungheria e la Polonia.

Tuttavia, vedere che la Francia sta ripensando il suo futuro con una svolta di questo tipo (e la Germania sta tentennando verso l’adozione di simili strategie politiche) deve fare pensare se davvero siamo alla fine di un’ideale, quello dell’Unione Europea come entità politico economica in grado di avere un ruolo fondamentale nel contesto internazionale, oppure se questo passo non sia solamente la risposta ad una sensazione di paura e di disorientamento che il manifestarsi della crisi ucraina ha indotto nella nostra aspirazione di universalità, prodotto dalla nostra cultura e dalla nostra storia, dove l’Europa unita possa svolgere un ruolo determinate verso la costruzione di un mondo libero, democratico e aperto.

 

Crisi ucraina: le ultime dal fronte

Guerra in Ucraina di

 

Il Donbass sarà la parte di territorio ucraino dove si svolgeranno, presumibilmente, le ultime e più importanti battaglie del conflitto. Ancora una volta, come nel 2014, la presa o la resistenza di Mariupol sarà decisiva. Intanto gli ucraini ne smentiscono la presunta conquista del porto da parte dell’esercito russo. Tuttavia, questa volta la città sembra molto vicina alla capitolazione e i civili fuggono.

Oltre a Mariupol sono sotto attacco anche Kharkiv, Izium e Dnipro.

Stando all’Institute for the Study of War una battaglia importantissima per il futuro prossimo della guerra avrà luogo a Slovyansk. Sempre secondo il centro di ricerca: “Se le truppe che avanzano da Izium sono in grado di prendere la città, potrebbero scegliere di avanzare a est verso Severodonetsk per circondare un gruppo relativamente piccolo di forze ucraine, o dirigersi più a sud per circondare un contingente ucraino più grande”. Poi gli studiosi di affari militari aggiungono che questo nuovo fronte potrebbe anche non essere così favorevole ai russi in quanto sembra che le forze ucraine siano ben attrezzate per fronteggiare la “nuova invasione”. Di fatti, è dal 2014 che da Kiev stanno pianificando la difesa del territorio fortificando le città. Secondo i filorussi, ad esempio, la resistenza ucraina starebbe facendo saltare dighe per allagare le zone occupate dall’esercito di Mosca.

Anche il Presidente Volodymyr Zelensky ha ribadito la centralità strategica di Mariupol affermando che qualora cadesse il Cremlino avrebbe altre truppe da aggiungere all’offensiva nel Dobass. Ma per quanto concerne il presente il vicesindaco della città ha dichiarato: “I russi hanno occupato temporaneamente parte della città. I soldati ucraini continuano a difendere le parti centrali e meridionali della città, così come le aree industriali”. La situazione, quindi, non sembra delle migliori.

Dunque, all’interno di una situazione dove si continua a parlare di battaglie decisive, risulta evidente come la possibilità di un compromesso tra le parti sia ancora molto lontana. L’impressione, infatti, è che Putin non si siederà ad alcun tavolo prima di aver conquistato il Donbass e averlo collegato con la Crimea. Anche se qualora lo Zar del XXI secolo raggiungesse questo suo obiettivo e accettasse un compromesso col nemico si tratterebbe, molto probabilmente, non della fine del conflitto ma di un congelamento temporaneo della guerra. Magari in attesa di attendere tempi migliori per cercare di collegare i territori della Transnistria ai nuovi possedimenti ottenuti.

Zelenky, invece, forte degli aiuti militari europei e statunitensi sa che potrebbe non solo difendersi ma addirittura sconfiggere i russi sul campo. E se Kiev dovesse cacciare i russi dal Donbass Putin si potrebbe trovare costretto a dover rinunciare anche alla Crimea.

Ad ogni modo, dati gli sviluppi attuali una trattativa sembra un’ipotesi ancora molto remota. A confermare questa idea sono state anche le parole di ieri del Cancelliere austriaco, Karl Nehammer, in visita a Mosca che ha detto: “Non è stato un incontro amichevole” e che ha poi aggiunto che momentaneamente il Cremlino non vuol sentire parlare di compromessi.

Seminario della Regione Siciliana: “La condizione di insularità tra Europa ed Italia”

EUROPA/Europe di

Domani mattina, 8 aprile, dalle 9 alle 10:30, presso la sede di Roma della Regione Siciliana si terrà il Seminario “La condizione di insularità tra Europa ed Italia”. Organizzato dal Vicepresidente ed Assessore all’economia, Gaetano Armao, l’incontro vedrà ospite l’eurodeputato francese, Younous Omarjee, Presidente della Commissione per lo sviluppo regionale (REGI) del Parlamento UE e relatore per la risoluzione sull’insularità di cui discuterà al Parlamento di Strasburgo tra alcune settimane.

La Regione Siciliana, con il patrocinio della Conferenza delle Regioni e Province Autonome, ha organizzato questo confronto del Presidente Omarjee con parlamentari regionali, nazionali ed europei dì Sicilia e Sardegna presso la Sede di Roma. L’incontro prevede interventi programmati di parlamentari, esponenti dei governi regionali ed esperti e studiosi della condizione d’insularità di Sicilia e Sardegna anche alla luce della recente approvazione del DDL Costituzionale “Modifiche dell’Art.119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle isole ed il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità”, approvato in prima lettura dai due rami del Parlamento italiano.

La condizione di insularità è entrata nellagenda politica nazionale, ma anche in quella europea, e si va avanti. Dopo il voto allunanimità della Camera sul ddl costituzionale puntiamo adesso alla risoluzione al Parlamento europeo sulle Isole europee, predisposta dal Presidente della Commissione parlamentare per lo sviluppo regionale (REGI), Younous Omarjee che verrà ad illustrarla a Roma, alla sede della Regione Siciliana, in un confronto con le delegazioni parlamentari regionali, nazionali ed europee di Sicilia e Sardegna, che interverranno al dibattito sia in presenza che in collegamento video”. Così il Vicepresidente ed Assessore all’Economia della Regione Siciliana, Gaetano Armao.

Garavini (IV): “Potenziare cooperazione tra paesi del Mediterraneo e del Mar Nero come leva per le sfide del futuro”

EUROPA/Europe di

“La ridefinizione in corso degli equilibri geopolitici mondiali passa anche da una rinnovata attenzione europea nei confronti dei suoi confini marittimi. Intendendo come mari europei non solo il Mediterraneo, ma anche il Mar Nero. Che proprio in queste settimane è tragicamente coinvolto nella guerra di aggressione del Cremlino contro l’Ucraina. Con il commercio marittimo di fatto bloccato e navi colpite dai missili russi. L’auspicio è che gli sconvolgimenti in corso terminino e si possa ripristinare la collaborazione tra gli Stati che si affacciano sui due mari”.

“Se il primo è da sempre considerato la nostra culla, il secondo è stato riconosciuto solo a partire dal 2007, con l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione. Il rapporto con quest’area, di sicuro interesse sociale, economico e politico per la Ue, è quindi ancora relativamente recente e tutto da definire. Costruire opportunità di integrazione e crescita tra le realtà dei due mari può diventare quindi una leva nel percorso verso la transizione ecologica, i temi legati alla sostenibilità, alla protezione dell’ambiente e ai cambiamenti climatici, che tutti siamo chiamati a promuovere. Proprio in ambito ambientale si concentrano infatti molte delle problematiche comuni tra Mar Mediterraneo e Mar Nero.”

Lo dichiara la senatrice Laura Garavini, Vicepresidente commissione Esteri, promotrice del convegno ‘Lo sviluppo delle relazioni tra le società civili del Mediterraneo e Mar Nero, obiettivo prezioso per costruire la Pace e lo Sviluppo quale efficace transizione ecologica’ martedì 12 aprile dalle ore 11.00 alle 13.00 presso la Sala Zuccari del Senato.

L’evento, promosso in collaborazione con i partners dell’Osservatorio Euro Mediterraneo Mar Mero, si aprirà con i saluti della senatrice Laura Garavini. A seguire gli interventi di Roberto Russo, Presidente del network internazionale Fispmed coordinatore Osservatorio; Vincenzo Pepe, Presidente Fare Ambiente; Anna Rea, Progetto Sud; Paolo Pantani, Vicepresidente Regione Mezzogiorno Mediterraneo Eumed. Concluderà l’onorevole Gennaro Migliore, Presidente dell’Assemblea Parlamentare Euromediterranea. Modera Antonio Passaro, Direttore rivista Lavoro Europeo.

È possibile accreditarsi inviando una mail abarbara.laurenzi@senato.it. Ingresso consentito solo fino a raggiungimento posti. Per gli uomini sono richieste giacca e cravatta. Sarà possibile seguire l’evento anche online, in diretta streaming su webtv.senato.it

Difesa Europea? No grazie!

Defence/Difesa/EUROPA/Europe/SICUREZZA di

L’attuale crisi ucraina, in virtù dello sconvolgimento geopolitico che ha provocato, ha dato l’avvio a una molteplicità di riflessioni, di idee e di propositi da parte del mondo occidentale, e dell’Europa in particolare, volte a individuare nuove soluzioni per evitare il ripetersi di eventi simili e per continuare a garantire un futuro di sicurezza e stabilità all’Occidente stesso e al mondo intero.

Tra i tanti argomenti, oggetto di analisi e di discussione, è tornata alla ribalta l’idea di una Difesa Comune Europea (che indicheremo per comodità con la sigla DCE) sostenuta da più parti come una necessità ormai impellente e una soluzione taumaturgica per i nostri problemi di dipendenza dagli USA non più derogabile.

Il Presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea all’inizio del conflitto si è infatti espresso in tal senso, supportando la causa della creazione di un definitivo strumento di difesa comunitario, cioè delle Forze Armate della Unione Europea.

Sin qui nulla di strano in quanto il Presidente di tale organismo – sul cui valore concettuale si potrebbero esprimere seri dubbi – è logico che si faccia portavoce di una svolta in questo senso, affermando che sia necessaria e ineluttabile.

Quest’idea di uno strumento militare europeo non è certo una novità; sino dagli albori del concetto di Europa si è accarezzato il sogno di una difesa comune (immediatamente affossato dall’orgoglio francese) e nel tempo si sono fatti timidi tentativi di pervenire a questo risultato, per la verità coronati da scarso successo.

L’istituzione dell’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Difesa quale preludio per la costruzione di un modello di difesa, allo stato dei fatti non può essere considerato un successo in quanto le varie personalità che hanno ricoperto tale incarico (tralasciando ogni commento sulla Mogherini per amor di patria!) non hanno certamente avuto un ruolo preminente nel contesto geopolitico internazionale, venendo by-passate regolarmente o nella migliore delle ipotesi ignorate come se fossero trasparenti. Prova ne è l’assoluta inconsistenza che Josep Barroso, attuale Alto Rappresentante, ha svolto nel contesto della crisi ucraina.

Il progetto di DCE rimane, comunque, un argomento che ogni tanto viene rispolverato e che serve a qualche politico nostrano o europeo per proporsi sulla scena, ovviamente supportato dal vertice militare di turno che mai e poi mai si azzarderebbe a suggerire che l’idea, così come la propongono, è irrealizzabile. Infatti, il progetto concettualmente è valido, ma è la sua realizzazione che presenta una serie di problematiche da risolvere che impongono delle scelte politiche allo stato attuale assolutamente utopistiche.

Analizzando il concetto di DCE ci si trova di fronte immediatamente a un dilemma di importanza critica: un sistema di difesa comune che garantisce l’Europa già esiste ed è la NATO, quindi se vogliamo crearne un altro come si rapporterebbero i due sistemi tra loro?

Esaminando il rapporto che si verrebbe a creare tra i due sistemi si possono individuare le seguenti principali ipotesi di soluzione.

Prima ipotesi: la DCE deve prendere il posto della NATO.

Seconda ipotesi: la NATO e la DCE sono entrambe necessarie e quindi devono coesistere.

Terza ipotesi: la DCE diviene l’unica organizzazione militare di appartenenza per tutti i Paesi dell’Unione Europea, trasformandosi in una istituzione comunitaria a tutti gli effetti.

Indubbiamente non si tratta di quesiti di facile soluzione anche perché le tre ipotesi indicano concettualmente strade diverse per pervenire a strutture diverse.

Nel primo caso, la DCE deve essere considerata come l’organizzazione che l’Europa adotta per sostituire la NATO. Benissimo, giusto, ottima soluzione, siamo di nuovo padroni del nostro destino! Ma in questo caso dovremmo dare soluzione ad alcuni aspetti: la NATO si scioglie e la DCE viene costituita. In questo caso i Paesi europei membri della NATO ma non dell’Unione Europea che fine fanno? Li arruoliamo oppure no? Ma, se la DCE deve diventare una alleanza come la NATO, che vantaggio ne traiamo come Europa a sostituire uno strumento organizzato, rodato e ben strutturato come la NATO con qualche cosa da costruire ex novo? Inoltre, chi dei Paesi EU prenderà il posto degli USA, non solo come leadership politica (dove Francia e Germania già ipotizzano di fare la parte del leone) ma, soprattutto, come grande finanziatore? Infine, la struttura di Comando e Controllo che la NATO ha costruito e che, nel nostro piccolo, abbiamo contribuito a finanziare, dove finisce?

Quindi se si deve avere una copia carbone sbiadita e sgualcita della NATO, addirittura in forma ridotta, allora tanto vale che l’Europa si tenga la NATO e abbandoni l’utopia DCE.

Nel secondo caso, dove DCE e NATO sono entrambe necessarie si aprono una serie di problematiche.

Primo, la DCE sarà una struttura basata su quali forze e quali risorse? Rifuggirei dalla soluzione piuttosto naïve di usare le stesse forze e risorse per ogni occasione facendogli cambiare cappello e scudetto. La sua organizzazione di Comando, Controllo, Comunicazioni Computer e Intelligence (C4I) sarà un duplicato di quella NATO? La DCE sarà un’alleanza o un’istituzione autonoma? Quali saranno i compiti dell’una e quelli dell’altra?

A fattore comune con la precedente ipotesi rimane la questione della leadership finanziaria e politica, al momento senza soluzioni plausibili e credibili.

Tuttavia, nonostante questa ipotesi, alla luce olistica e assolutamente Politically Correct del rispetto dei concetti di pluralità e di inclusività, appaia senza dubbio affascinante, da un punto di vista meramente pratico si concretizza come una soluzione con aree di sovrapposizione e di possibile contrasto, tra l’altro considerato che molti Paesi appartengono sia all’una sia all’altra delle organizzazioni, ma alcuni solo ad una o solo all’altra e che tutti hanno interessi e obiettivi nazionali differenti, e spesso in contrasto, tra loro.

Infine come contribuente sarei costretto a pagare per tre volte le spese militari (Difesa nazionale, NATO e DCE!) per far sì che tre organismi teoricamente differenti, ma che a turno impiegano le stesse risorse, si occupino della mia sicurezza!

L’ultima ipotesi è quella più affascinante ma anche la più utopistica, al momento almeno.

La realizzazione del progetto di DCE quale istituzione permanente dell’UE, infatti, dovrebbe risolvere alcuni fondamentali problemi.

Innanzitutto l’UE è, solamente, un’unione economica tra più stati, priva quindi di quelle caratteristiche che invece sono necessarie per essere riconosciuti a livello internazionale come Stato o come Federazione di Stati.

Di conseguenza manca di quegli organi che sono fondamentali per identificare una qualsiasi forma di governo, non esistono, infatti, il potere legislativo, quello esecutivo e quello giuridico; non esistono un Presidente o un Primo Ministro che siano responsabili della formulazione di programma politico; non ci sono né un Ministro degli Esteri né uno della Difesa e, quindi, non esistono una politica estera comune né tantomeno una politica di difesa comune.

E in questo contesto, piuttosto lacunoso, vorremmo costituire una Difesa Comune Europea?

Se si parla di DCE non significa solamente assemblare delle unità militari e pretendere che il gioco sia fatto. Se si vuole parlare di Difesa in termini realistici e seri e non come boutade politica si deve considerare tutto ciò che significa costruire un sistema di Difesa.

Innanzitutto, come detto, ci vuole una struttura statuale, che provveda a dare gli indirizzi strategico – politici, poi ci vuole un dicastero, quindi una struttura militare vera e propria con gli Stati Maggiori affiancata da una struttura tecnico logistico amministrativa. Alla fine, ma proprio alla fine si può pensare allo strumento militare vero e proprio!

Ora di tutto questo non esiste nulla, e tantomeno esiste un progetto anche lontano o visionario per creare tali condizioni.

Supponendo, comunque, di trovare risorse e mezzi e di voler creare la struttura di questa DCE, nella presente situazione di un’Unione Europea così come adesso è strutturata, quali soluzioni dovrebbero essere adottate in merito ai seguenti punti (tanto per citare quelli più evidenti):

  • da chi dipenderebbe la DCE? Dal Presidente della Commissione Europea o all’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Difesa, oppure da un Ministro della Difesa a turno semestrale tra i Paesi membri?
  • chi avrebbe il compito di sancire l’impiego delle risorse della DCE? Il Parlamento Europeo?
  • potrebbero le risorse della DCE essere usate contro un Paese Membro? E, se sì, sulla base di quale autorità?
  • da quali entrate sarebbe garantito il bilancio destinato alla Difesa?
  • chi comanderebbe la struttura militare?

E andando un po’ più nel tecnico ci sarebbero da considerare problematiche quali la dottrina, la logistica, il contesto giuridico normativo di riferimento (a chi si presta il giuramento di fedeltà?), i regolamenti, la composizione della struttura organica, la struttura di comando, le acquisizioni logistiche ecc. ecc. ecc..

Per concludere, il progetto di una DCE è sicuramente un’idea affascinante dai risvolti potenzialmente validi, ma non è applicabile a quest’Europa che attualmente non è altro se non una grande unione di carattere puramente economico commerciale.

Lo sviluppo di progetti comuni che intensifichino e incrementino la collaborazione e la cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione nel settore della Difesa è corretto e giusto e rappresenta una modalità per evitare duplicazioni e sprechi, per creare economie e sinergie, ma allo stato attuale rimane la sola opzione reale e credibile di difesa europea.

Pretendere di dover costituire adesso una vera DCE significa, nella migliore delle ipotesi, essere realmente dei radical-chic privi di qualsiasi considerazione della realtà.

Una DCE costituita come una alleanza priva di una leadership forte e riconosciuta al livello internazionale (ruolo che né la Francia e neppure la Germania posso sperare di avere) senza un importante paese finanziatore, sarebbe nient’altro che una copia scialba e sbiadita della NATO e non avrebbe alcun senso.

Affiancare alla NATO una DCE traballante e fatta con le stesse risorse (cambio di cappello e di distintivo) è una soluzione semplicemente ridicola e fatta in cattiva fede!

Costituire una struttura indipendente ex novo abbandonando la NATO nella situazione attuale è politicamente ed economicamente non possibile.

Alla fine, la soluzione che i Paesi dell’UE possono realisticamente adottare è quella di investire, seriamente, le proprie risorse e le proprie energie nel mantenere e alimentare la NATO, ovvero l’organizzazione che nel bene e nel male ci ha garantito settant’anni di pace e di stabilità.

 

Maurizio Iacono
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