Macron 2.0 :più Francia e meno Europa

Domenica prossima la Francia andrà al voto di ballottaggio per eleggere il Presidente della Repubblica.

Il copione non presenta nessuna novità di rilievo, è lo stesso ormai da circa 20 anni. Due candidati che rappresentano le due anime di una nazione, da una parte il difensore dello stato di diritto e delle libertà individuali (Macron) e dall’altra il bieco nazionalista, nemico della repubblica, paladino delle forze conservatrici più oscure e convinto liberticida (la famiglia Le Pen).

Il risultato è scontato, come sempre; fronte comune contro la destra ed elezione del candidato opposto, anche se magari non sia proprio il modello ideale di leader che si vorrebbe avere.

Tutto a posto quindi, la Francia è un paese sovrano, democratico e libero che sceglie il proprio Presidente come desidera e su questo non si discute!

Quello che, invece, merita maggiore attenzione è il sensibile cambio di indirizzo che il programma politico annunciato da Macron, in caso (scontato) di rielezione, prevede di attuare.

La visione europeista che aveva caratterizzato il mandato dell’attuale Presidente volta a costruire sotto l’egida di Parigi un’Europa più unita, più forte, dotata degli strumenti necessari a sostenere una politica comunitaria più incisiva sulla scena mondiale, come un sistema di difesa comune (staccando la spina a una NATO in fase terminale), un’Europa green e inclusiva con a capo una Francia in grado di guidarla verso il conseguimento di questi obiettivi, è scomparsa lasciando il posto a un’altra visione più nazionalistica e più “francocentrica” si potrebbe dire.

Infatti, leggendo il programma politico per il nuovo mandato, si possono scorgere importanti cambiamenti di indirizzo volti a ripensare una Francia più attenta alle esigenze interne, con un approccio più nazionalista in termini di politica estera, meno disponibile ad affidare il proprio destino a organismi sovranazionali, meno convinta che un esercito europeo (ancorché guidato da Parigi) possa garantire la sicurezza dei propri interessi e soprattutto una Francia meno green e molto meno accogliente e inclusiva di quanto lo fosse stata prima.

L’intenzione di rafforzare il proprio strumento militare, non solo con l’incremento di risorse finanziarie, ma aumentando anche la percentuale di riservisti, sottolinea la volontà di Parigi di poter contare su uno dispositivo di ampliate capacità per poter effettuare scelte politiche più autonome bypassando i limiti imposti da alleanze scomode (NATO ad esempio) e quelli che nuove organizzazione potrebbero costituire (esercito europeo). Il tutto in linea con un rinnovato proposito di poter ricoprire quel ruolo da protagonista sulla scena mondiale che la Francia ritiene le spetti di diritto, ma che non viene condiviso né riconosciuto a livello internazionale. Prova di questo la mancanza di qualsiasi risultato che gli interventi del Presidente Macron hanno avuto su Putin all’inizio e nello svolgimento della crisi ucraina, a conferma che il ruolo riconosciuto alla Francia nell’arena geopolitica internazionale è di irrilevante valore.

È prevista, anche, una revisione in chiave restrittiva delle politiche di accettazione nei confronti del flusso di migranti che vede nell’Europa e nella Francia il luogo dove poter ricevere accoglienza, sicurezza e garanzia di diritti. Una considerazione più attenta delle necessità nazionali richiede la messa in atto, secondo il programma politico, di una maggiore severità nelle norme che regolano l’immigrazione consentendo “procedure di espulsione più rapide”, con il rifiuto della domanda d’asilo che “varrà come obbligo di abbandonare il territorio” francese, e di condizionare la concessione di permessi di soggiorno di lunga durata “a un vero processo di integrazione professionale di 4 anni o più”.

Quindi il tramonto di una società multiculturale aperta, inclusiva e progressista e la rinascita di una identità nazionale forte, precisa e caratterizzata da una necessaria integrazione come premessa fondamentale per poterne essere accettati.

Anche il settore dell’autonomia energetica è destinato ad essere stravolto dal nuovo programma, che prevede sì l’indipendenza dal gas e dal petrolio come obiettivo nell’immediato futuro (prima nazione ad attuarlo!!!!!), ma non con risorse green o rinnovabili ma con la costruzione di nuove centrali nucleari.

Altro calcio dato al concetto di un’Europa unita e comune viene dalle politiche agricole dove l’interesse è quello di rivedere il concetto di produzione in netto contrasto con la visione europea del Farm to Fork (F2F – è il piano decennale messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente) dove la autonomia alimentare viene messa al primo posto rispetto ad altri parametri, perché sono prevedibili delle “crisi alimentari profonde soprattutto fuori dal nostro continente e l’Europa non può permettersi di diminuire la produzione”.

Ovviamente il programma prevede anche aumenti alla ricerca indirizzata verso l’innovazione tecnologica puntando ai settori “del futuro”: aerospazio, semiconduttori, biomedicina, cloud sempre in un’ottica di rendere la Francia sempre meno dipendente da fattori esterni.

Il programma considera poi la necessità di adottare delle riforme interne di carattere sociale che ribaltano le scelte proposte nel precedente mandato affondate dalla rivolta dei gilet gialli.

Essendo una Paese sovrano, come detto, tutto questo è sacrosanto e rappresenta la visione politica di una élite che sta ai cittadini, attraverso l’espressione del loro diritto di voto, approvare o rigettare.

Tuttavia, questo programma offre una chiave di lettura abbastanza significativa sulle conseguenze che il conflitto russo ucraino ha scatenato e sul cambiamento di paradigma che tali conseguenze hanno imposto all’attenzione di un’Europa che, bruscamente, è stata risvegliata dal suo torpore fatto di eccessiva sicurezza e permeato da una visione intrisa di buone intenzioni e di pie illusioni.

La crisi conseguente allo svilupparsi del conflitto ucraino ha investito l’Europa facendo traballare le certezze che si consideravano acquisite e immutabili, conseguenza di un nuovo ordine mondiale che la fine della guerra fredda credevamo avesse creato.

Lo sviluppo di un’Unione Europea, effimera politicamente ma rilevante nel campo economico finanziario, alla quale devolvere sia la nostra sicurezza sia il nostro benessere sociale, la convinzione che un sistema basato sulla condivisione di un diritto internazionale e sul rispetto assoluto dei diritti della persona a scapito di quelli dello Stato, la capacità di poter offrire asilo e ospitalità a chiunque lo chiedesse senza porre alcun vincolo o nessuna regola, la spinta verso una società multiculturale dove rinunciare alle caratteristiche proprie della nostra cultura per non offendere le altre era ritenuto un dovere irrinunciabile, sono tutti concetti che la crisi ucraina ha spazzato via in un momento, riportandoci ad una realtà dura e difficile da comprendere che ha stimolato i fantasmi peggiori di un passato che consideravamo ormai dimenticato.

La risposta a questo è il programma politico che la Francia si appresta a validare e approvare, dove unità europea, condivisione, futuro green e inclusione sono concetti che cedono il passo a una visione più nazionale, dove l’interesse dei cittadini francesi e delle aspirazioni nazionali francesi hanno la preminenza su tutto il resto.

Nella nostra Unione Europea una visione politica di questo tipo, dove l’interesse nazionale viene anteposto a chiare lettere agli aspetti comunitari, non è una novità di adesso, basti pensare ai recenti contrasti politici che hanno animato i rapporti con Paesi come l’Ungheria e la Polonia.

Tuttavia, vedere che la Francia sta ripensando il suo futuro con una svolta di questo tipo (e la Germania sta tentennando verso l’adozione di simili strategie politiche) deve fare pensare se davvero siamo alla fine di un’ideale, quello dell’Unione Europea come entità politico economica in grado di avere un ruolo fondamentale nel contesto internazionale, oppure se questo passo non sia solamente la risposta ad una sensazione di paura e di disorientamento che il manifestarsi della crisi ucraina ha indotto nella nostra aspirazione di universalità, prodotto dalla nostra cultura e dalla nostra storia, dove l’Europa unita possa svolgere un ruolo determinate verso la costruzione di un mondo libero, democratico e aperto.

 

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