GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Gennaio 2016 - page 5

UE, presidenza Olanda: gli obiettivi

EUROPA di

L’Olanda ha intrapreso il suo turno alla Presidenza del Consiglio dell’UE.
Come forse tutti sapranno, ormai dal 1º gennaio scorso è cambiata la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Il Lussemburgo ha ceduto il testimone ai Paesi Bassi. Così come dichiarato dal paese dei tulipani e dei mulini a vento, “la Presidenza punterà a un’UE concentrata sulle questioni realmente importanti per i cittadini e le imprese, che sia capace di creare crescita e occupazione attraverso l’innovazione e che sia vicina alla società civile. La presidenza promuoverà iniziative a livello dell’Unione solo se le riterrà più efficaci rispetto a politiche a livello nazionale”.

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Nei prossimi sei mesi la Presidenza si concentrerà su quattro settori chiave:
– migrazione e sicurezza internazionale;
– finanze pubbliche sane e una zona euro solida;
– l’Europa come entità innovatrice e creatrice di posti di lavoro;
– una politica lungimirante in materia di clima ed energia.

I Paesi Bassi ricopriranno l’incarico fino al 30 giugno 2016, seguiti da Slovacchia e Malta.
Come detto, la Presidenza del Consiglio è assunta a turno dagli Stati membri dell’UE ogni sei mesi. Durante ciascun semestre, essa presiede le riunioni a tutti i livelli nell’ambito del Consiglio, contribuendo a garantire la continuità dei lavori dell’UE in seno a questa Istituzione.

Gli Stati membri che esercitano la presidenza collaborano strettamente a gruppi di tre, e vengono per questo chiamati trio. Tale sistema è stato introdotto dal trattato di Lisbona nel 2009. Il Trio fissa obiettivi a lungo termine e prepara un programma comune, in cui si stabiliscono i temi e le questioni principali che saranno trattati dal Consiglio per un periodo di 18 mesi. Sulla base di tale programma, ciascuno dei tre paesi prepara un proprio programma semestrale più dettagliato.

Il trio di presidenza attuale, come detto è formato dalle presidenze olandese, da quella slovacca e da quella maltese e, ad esempio, la Slovacchia sta già inviando i propri intendimenti generali in merito. Ogni presidenza ha il compito di portare avanti i lavori del Consiglio sulla normativa dell’Unione europea, garantendo la continuità dell’agenda dell’UE, il corretto svolgimento dei processi legislativi e la cooperazione tra gli Stati membri. A tal fine, la presidenza deve agire come un mediatore leale e neutrale.

La Presidenza ha inoltre l’onere della pianificazione e della conduzione delle sessioni del Consiglio e delle riunioni dei suoi organi preparatori, coordinando le sessioni delle varie formazioni del Consiglio per ciascun livello (ad eccezione del Consiglio “Affari esteri”) e le riunioni dei suoi organi preparatori, che comprendono i comitati permanenti, come il Comitato dei rappresentanti permanenti (più noto come COREPER), ed i gruppi e i comitati che si occupano di temi specifici.

Il tutto assicurando il regolare svolgimento dei dibattiti e la corretta applicazione del regolamento interno e dei metodi di lavoro del Consiglio, ed intervallando le riunioni formali con quelle informali, che si possono tenere a Bruxelles e nel paese che esercita la presidenza a rotazione.

Altro compito della presidenza di turno è quello di rappresentare il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell’UE, in particolare con la Commissione e il Parlamento europeo. Il suo ruolo è adoperarsi per raggiungere un accordo sui fascicoli legislativi attraverso i cosi detti “triloghi”, ossia riunioni informali di negoziazione e riunioni del comitato di conciliazione, in cui le tre principali Istituzioni europee concordano i testi legislativi e decidono compromessi sulle diverse istanze rappresentate.

La Presidenza lavora in stretto coordinamento con il presidente del Consiglio europeo (che ricordiamo è un organo di alto indirizzo polito ed è altra cosa dal Consiglio d’Europa) e con l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, carica ricoperta attualmente dall’on. Mogherini.

Nei confronti di quest’ultima istituzione, la Presidenza è chiamata a sostenerne i lavori e a svolgere determinate mansioni per conto dell’Alto Rappresentante, come rappresentare il Consiglio “Affari esteri” dinanzi al Parlamento europeo o presiedere il Consiglio “Affari esteri” quando quest’ultimo discute questioni di politica commerciale.
La Presidenza Olandese sta ovviamente cominciando a muovere i suoi primi passi già da questi giorni. Attivissimi e cliccatissimi sono i siti di riferimento.

Tra tutte le iniziative divulgate, oltre alla pubblicazione del calendario del semestre, spicca il primo programma culturale: l’apertura di un centro visitatori ad Amsterdam. Proprio ieri, lo scorso 4 gennaio, infatti, il ministro Olandese per gli Affari Esteri, Bert Koenders ha ufficialmente inaugurato “Il muro della vita” ad Amsterdam. Questa istallazione artistica interattiva, situata nei pressi del luogo che verrà dedicato agli eventi UE, è un luogo in cui i cittadini e gli artisti potranno scambiarsi idee sull’Europa in maniera libera e creativa, il tutto al fine di coinvolgere maggiormente i cittadini ed il pubblico circa il lavoro dell’Europa e , più nello specifico, della Presidenza Olandese nei vari settori d’intervento prefissati.

Seguiremo i lavori della presidenza passo per passo, specie nell’ambito di nostra competenza, con la speranza di veder risolti quanto prima i problemi attinenti la sicurezza interna e la migrazione.
Domenico Martinelli

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North Korea, and now?

Asia @en di

The day after the triumphant announcement of Pyongyang, which said it had successfully tested the first hydrogen bomb made in the nuclear facilities of North Korea, a demand bounces between the United Nations and the chancelleries of the major global powers: what to do now?

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For now, it must be said, skepticism prevails about the actual extent of the nuclear detonation obtained by the technicians of Pyongyang. The explosion occurred in the north of the country, near the Chinese border, was recorded by seismographs with a power between 4.8 and 5.1 on the Richter scale. According to South Korean experts, such a seismic response could correspond with a power of six kilotons, about a third of that given off by the bomb dropped on Hiroshima in 1945 and substantially incompatible with what would have been produced by a thermonuclear device, whose power is calculated generally in hundreds of kilotons. For comparison, the thermonuclear test conducted by the United States, in 1971, on the island of Amchitka in Alaska, produced an earthquake of magnitude 6.8, exponentially higher than that recorded yesterday.

It was an atomic bomb, therefore, and not an hydrogen one, that would require a technology that the regime of President Kim Yong-A probably still does not have. However, yesterday’s is the fourth test of North Korea, after those of 2006, 2009 and 2013; an explicit provocation against the American enemy, South Korea, Japan, Chinese ally, increasingly frustrated by the actions of the regime and, in general, of the international community. One answer seems inevitable, while studying new strategies to contain the North Korean threat in the medium term.

The Security Council of the United Nations immediately expressed its strong condemnation, saying that ” a clear threat to international peace and security continues to exist “, and announced new measures against Pyongyang for which is expected, in short, a resolution.

Among the most determined, the Japanese ambassador to the UN, Motohide Yoshikawa, who has called for a quick and vigorous resolution. ” The authority and credibility of the Security Council – he said – will be put in question if it does not take these measures.” It is not clear yet what kind of sanctions should be adopted and in what timeframe, while Russia pulls the brake, through his ambassador, not guaranteeing Moscow’s support for the adoption of additional sanctions. Indeed Pyongyang seems determined to go forward on the path of nuclear power, despite international condemnation and sanctions triggered by previous nuclear tests. Why should it be different this time?

A question that is not so relevant for the historical opponents of the regime. US, South Korea and Japan said they are prepared for a unified response against Pyongyang. President Obama has spoken with South Korean Prime Minister Park Geun-Hye and with Japanese Prime Minister Shinzo Abe and then he has declared that three leaders agreed to ” agreed to work together to forge a united and strong international response to North Korea’s latest reckless behaviour”. He was echoed by President Abe: ” We agreed that the provocative act by North Korea is unacceptable… We will deal with this situation in a firm manner through the cooperation with the United Nations Security Council “, but added that Japan intends, if it will consider it necessary, to take unilateral measures. Seoul has finally released an official statement, asking the international community to ensure that “North Korea pays the corresponding price ” for its nuclear tests. In parallel, it has restricted access to the industrial park in Kaesong, managed jointly by the North and South and announced the restoration of propaganda broadcasts across the North Korean borders, interrupted in 2015 to ease tensions with the neighbor.

After this phase of hot reactions and new sanctions organization, it will be necessary to understand how to deal with a country that has a nuclear arsenal consisting of twenty devices (atomic or hydrogen they may be) and that might be able today, or in the short term, to mount a nuclear warhead on a medium-range missile, capable of threatening the South, Japan, the US troops stationed in the area and, perhaps, even the western coasts of the United States.

UN sanctions never had appreciable effects and the strategy of “strategic patience”, adopted by the US, could be tinged with excessive optimism. The idea that the sanctions could oblige the North Korean regime to yield and accept nuclear disarmament looks less and less convincing. To date, the US has refused to negotiate, if not on their terms, with North Korea, then choosing a different strategy from the one adopted for Iran, which has led to the recent negotiations and the subsequent agreement with Tehran.

As argued recently by Stephen W. Bosworth, the first Obama’s special envoy for North Korea, ” Whatever risks might be associated with new talks, they are less than those that come with doing nothing.” Since no power seems really willing to challenge militarily a dangerous enemy as North Korea, the game will have to be played on the field of diplomacy, before Pyongyang’s arsenal will be strengthened further and its missiles pointing technology taken to an higher level.

The strategy of Kim Yong-A is clear: the nuclear arsenal is a life insurance for the country and its enemies have only to lose, in front of the prospect of a dramatic conflict. Whether they like it or not, they will have to accept to sit at the negotiating table and recognize to the Democratic People’s Republic of Korea the status of nuclear power. It is too early to say whether the facts will give him reason but the wind caused by the explosion, for now, seems to blow in his favor.

 

Luca Marchesini

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Corea del Nord, e ora?

Asia di

All’indomani dell’annuncio trionfale di Pyongyang, che ha dichiarato di aver testato con successo la prima bomba all’idrogeno realizzata negli impianti nucleari della Corea del Nord, una domanda rimbalza tra le Nazioni Unite e le cancellerie delle principali potenze globali: cosa fare ora?

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Per adesso, va detto, prevale lo scetticismo, sulla reale portata della detonazione nucleare ottenuta dai tecnici di Pyongyang. L’esplosione, avvenuta nel nord del paese, non distante dal confine con la Cina, è stata registrata dai sismografi con una potenza compresa tra 4.8 e  5.1 sulla scala Richter. Secondo gli esperti sudcoreani, una simile risposta sismica potrebbe equivalere ad una potenza di sei kilotoni, circa un terzo di quella sprigionata della bomba sganciata su Hiroshima nel 1945 e sostanzialmente incompatibile con quella che sarebbe stata prodotta da un ordigno termonucleare, la cui potenza si calcola generalmente in centinaia di kilotoni. Per fare un raffronto, il test termonucleare condotto dagli Stati uniti, nel 1971, sull’isola di Amchitka in Alaska, produsse un terremoto di magnitudo 6.8, esponenzialmente superiore a quello registrato nella giornata di ieri.

Si è forse trattato di una bomba atomica dunque, e non all’idrogeno, per la quale è richiesta una tecnologia di cui il regime del presidente Kim Yong-Un probabilmente ancora non dispone. Ad ogni modo, quello di ieri è il quarto test nordcoreano, dopo quelli del 2006, 2009 e 2013; una provocazione esplicita nei confronti nel nemico americano, della Corea del Sud, del Giappone, dell’alleato cinese, sempre più frustrato dalle iniziative del regime e, in generale, della comunità internazionale. Una risposta appare inevitabile, mentre si studiano nuove strategie per contenere la minaccia coreana nel medio termine.

Il Concilio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso immediatamente la sua ferma condanna, dichiarando che “continua ad esistere una chiara minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali” ed ha annunciato nuove misure contro Pyongyang per le quali si attende, a breve, una risoluzione.

Tra i più decisi, l’ambasciatore giapponese all’ONU, Motohide Yoshikawa, che ha invocato una risoluzione rapida e vigorosa. “L’autorità e la credibilità del Consiglio – ha detto – sarebbero messe in discussione se non prendesse queste misure”. Non è però ancora chiaro quale tipo di sanzioni dovrebbero essere adottate ed in quali tempi, mentre la Russia tira il freno, per bocca del suo ambasciatore, non garantendo al momento il sostegno di Mosca all’adozione di ulteriori sanzioni. In effetti Pyongyang sembra determinata ad andare avanti sulla strada del nucleare, nonostante le condanne internazionali e le sanzioni innescate dai precedenti test atomici. Perché dovrebbe essere diverso questa volta?

Un dubbio che non viene coltivato dagli avversari storici del regime. Stati uniti, Corea del Sud e Giappone  hanno dichiarato di essere pronti ad una risposta unitaria nei confronti di Pyongyang. Il presidente Obama ha parlato sia con il premier Sudcoreano Park Geun-Hye che con il primo ministro giapponese Shinzo Abe ed ha poi dichiarato che tre leader hanno deciso di “lavorare insieme per forgiare una risposta forte e internazionale all’incosciente comportamento della Corea del Nord”. Gli ha fatto eco il Presidente Abe: “siamo d’accordo che la provocazione della Corea del Nord è inaccettabile… ci occuperemo della situazione in modo fermo, cooperando con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, aggiungendo però che il Giappone è intenzionato, se lo riterrà necessario, ad intraprendere misure unilaterali. Seul ha infine rilasciato un comunicato ufficiale, chiedendo alla comunità internazionale di “assicurare che la Corea del Nord paghi un prezzo adeguato” per i suoi test nucleari. Parallelamente, ha ristretto gli accessi al parco industriale di Kaesong, gestito congiuntamente dal Nord e dal Sud ed ha annunciato il ripristino delle trasmissioni propagandistiche verso il territorio nordcoreano, interrotte nel 2015 per allentare la tensione con il vicino.

Superata la fase delle reazioni a caldo, organizzato un nuovo pacchetto di sanzioni, resterà da capire cosa fare con un paese che dispone di un arsenale nucleare composto da una ventina di ordigni (atomici o all’idrogeno che siano) e che potrebbe essere in grado oggi, o nel breve termine, di montare una testata nucleare su un missile a medio raggio, capace di minacciare il Sud, il Giappone, le truppe americane stanziate nell’area e, forse, anche le coste occidentali degli Stati Uniti.

Le sanzioni Onu non hanno mai avuto effetti apprezzabili e la strategia della “pazienza strategica”, adottata dall’amministrazione americana, potrebbe essere venata di eccessivo ottimismo. L’idea cioè che bastino le sanzioni a far intraprendere al regime nordcoreano la strada della resa e del disarmo nucleare appare sempre meno convincente. Fino ad oggi, gli USA hanno rifiutato di negoziare, se non alle loro condizioni, con la Corea del Nord, scegliendo dunque una strategia diversa da quella adottata per l’Iran, che ha portato ad i recenti negoziati e al successivo accordo con Theran.

Come sostenuto recentemente da Stephen W. Bosworth, il primo inviato speciale di Obama per la Corea del Nord, “quali che siano i rischi associati a nuovi colloqui, saranno sempre minori di quelli provocati dal non fare nulla”. Poiché nessuna potenza sembra realmente intenzionata a sfidare sul piano militare un nemico temibile con la Corea del Nord, la partita dovrà necessariamente essere giocata sul campo della diplomazia, prima che l’arsenale di Pyongyang si rafforzi ulteriormente e la tecnologia di puntamento dei suoi missili sia portata ad un livello superiore.

La strategia di Kim Yong–Un è chiara: l’ arsenale nucleare è un assicurazione sulla vita del paese e i suoi nemici hanno solo da perdere, di fronte alla prospettiva drammatica di un conflitto. Che lo vogliano o meno, dovranno accettare di sedere al tavolo delle trattative riconoscendo alla Repubblica Democratica Popolare di Corea lo status di potenza nucleare. E’ presto per dire se i fatti gli daranno ragione ma il vento provocato dall’esplosione, per ora, sembra soffiare a suo favore.

 

Luca Marchesini

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Libano, per l’ospedale pubblico di Tiro nuovi materiali ospedalieri dall’Italia

Difesa/Medio oriente – Africa di

Tiro, questa mattina è stata finalizzata la consegna di materiali sanitari all’ospedale pubblico di Tiro. I materiali sono stati trasportati in Libano dalla Brigata Taurinense e raccolti grazie all’attività di varie associazioni di volontariato in Italia che comprendono l’Azienda ospedaliera “Maggiore della carità “ di Novara, il corpo nazionale di soccorso la onlus “Rock no War” e altre.

Sono stati consegnati al direttore dell’ospedale due apparati per la dialisi e quindici letti degenza completi di materassi e cuscini e due defibrillatori che sono stati donati dall’azienda Ospedaliera “Maggiore della carità”

L’ospedale pubblico di Tiro risiede nel quartiere di El Buss che è anche uno dei tre campi profughi palestinesi nel Sector West di competenza italiana.

I campo profughi sono considerati dallo stato Libanese zone di extraterritorialità nazionale, al loro interno le Forze Armate Libanesi o di polizia non possono entrare e l’ordine è mantenuto dalle organizzazioni di autotutela interna.

Per questa ragione in conformità con il mandato delle Nazioni Unite che non permette alle forze UNIFIL di entrare nei campi profughi il materiale è stato consegnato presso la sede della Croce Rossa Libanese che ha ospitato la cerimonia.

L’ospedale è per le popolazioni del quartiere e quelle limitrofe una struttura di grande importanza con circa 20.000 ricoveri annui e con la capacità di prestare le cure per ogni tipo di emergenza ed è frequentato principalmente dalle persone povere, dai profughi palestinesi e dai rifugiati siriani.

Grazie a queste donazioni l’ospedale potrà aumentare la capacità di accoglienza e dare un servizio migliore all’area circostante cosa che altrimenti non avrebbe potuto fare con le proprie forze.

Alla breve cerimonia di consegna dei materiali hanno partecipato il comandante del contingente ITALBAT colonnello Massimiliano Quarto, il direttore dell’Ospedale pubblico di Tiro dottor Ghassan Kutish e il dottor Nassaif Ibrahim che hanno espressa la grande gratitudine e apprezzamento per il lavoro svolto da UNIFIL nella regione.

“Vogliamo ringraziare il lavoro degli italiani nella zona che hanno saputo avvicinarsi con grande umanità al nostro paese” ha voluto dichiarare il dottor Ibrahim ai nostri microfoni confermando la grande capacità degli uomini e delle donne del contingente italiano di svolgere il proprio lavoro con professionalità ma allo stesso tempo con grande umanità.

 

 

[youtube]https://youtu.be/IwvRgNk8QEY[/youtube]

 

Libia: nuovo governo o Califfato?

Medio oriente – Africa di

Sarebbero almeno 50 le vittime dell’attentato, messo a segno attraverso camion kamikaze, avvenuto la mattina del 7 gennaio nei pressi del campo d’addestramento della polizia di Tripoli a Zlitan. Anche se non c’è stata ancora nessuna rivendicazione, l’attacco sarebbe stato portato a termine da parte dei miliziani del Daesh.

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Un inizio d’anno nel segno della violenza, dunque, in Libia. Questa fase di stallo, di formazione del nuovo governo nazionale, sta giocando a favore dello Stato Islamico. E, in questo senso, appare flebile la condanna del delegato ONU Martin Kobler sui fatti di Zlitan,

Infatti, non solo l’Ovest, ma soprattutto l’Est del Paese è sotto attacco. Su tutti, il raid firmato dai militanti dello Stato Islamico nei pressi del porto petrolifero di Sidra, dove martedì 5 gennaio altri kamikaze hanno tentato di aprirsi un varco per conquistare lo strategico terminal. Adesso, gli uomini del Califfato si trovano a soli 50 chilometri da quest’area strategica. Mentre, come riportato dalle Nazioni Unite, l’ISIS controlla circa 300 chilometri di costa libica con 2000/3000 uomini.

L’obiettivo, sulla falsariga di quanto già accaduto in Iraq e Siria, è chiaro. Appropriarsi delle aree energetiche strategicamente più importanti e conquistare sempre più terreno in vista dell’annunciata missione internazionale conseguente all’accordo tra le fazioni libiche.

Su questo fronte, come rivelato dal quotidiano britannico Mirror, la missione ONU, a guida italiana, dovrebbe contare su 6000 unità. Corpi speciali di Stati Uniti e Regno Unito sono già presenti snel nord della Libia, così come quelli francesi arrivati nel Fezzan. L’ok alla missione, tuttavia, passerà dalla formazione del nuovo governo di Tripoli. Nel frattempo, il Daesh sta sempre più allargando la sua area di influenza oltre la roccaforte Sirte.
Giacomo Pratali

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Arabia Saudita- Iran: Farnesina, forte preoccupazione per crescenti tensioni

Varie di

La Farnesina esprime forte preoccupazione per le crescenti tensioni politiche e diplomatiche in Medio Oriente, che rischiano di esacerbare in maniera insostenibile le divisioni all’interno del mondo islamico e di compromettere gli sforzi diplomatici in corso per la risoluzione delle gravi crisi in corso nell’area.

L’Italia incoraggia Arabia Saudita e Iran a fare tutto quanto possibile per ridurre le tensioni e non imboccare una escalation pericolosa per tutti, ricordando come la ricerca di soluzioni alle complesse crisi in Medio Oriente – in primo luogo quelle in Siria e in Yemen – non possa prescindere dalla volontà di dialogo e dalla visione strategica di tutte le parti, in particolare dei principali Paesi della regione.

Il primo passo verso la necessaria riduzione delle tensioni seguite all’esecuzione dell’Imam Nimr al-Nimr e ai successivi incidenti che hanno coinvolto sedi diplomatiche  è, per l’Italia, il riconoscimento che il nemico comune da combattere sia il terrorismo fondamentalista. La mancanza di unità da parte dei Paesi impegnati nella lotta contro il terrorismo costituisce un grave ostacolo per il raggiungimento dell’obiettivo di eliminare questa minaccia alla pace e alla civiltà.

Nigeria, Chibok girls: trattative con Boko Haram?

BreakingNews di

Il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha annunciato ai media di voler negoziare con Boko Haram il rilascio delle 200 studentesse rapite (“Chibok girls”) nel 2014: “Se può essere stabilito un leader credibile e ci dicono dove si trovano le ragazze, siamo pronti a negoziare con loro senza precondizioni”, ha riferito alla stampa.

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Nel frattempo, il 2015 si è concluso con altre 80 vittime di attacchi terroristici avvenuti nello Stato di Borno, soprattutto nella capitale Maiduguri. Lo scorso 28 dicembre, l’organizzazione affiliata al Califfato ha attaccato moschee, mercati e stazioni servendosi di ragazze kamikaze. Sono solo gli ultimi episodi di un dicembre segnato da un cruento ritorno alla violenza, nonostante le vittorie ottenute dagli eserciti nigeriano e camerunense contro le milizie jihadiste.

Allargando l’orizzonte, le statistiche riguardo Boko Haram sono chiare. Soprattutto in merito alla sua drammatica efficacia d’azione. Dal 2014, almeno 5600 civili sono stati uccisi, mentre oltre 2000 donne e bambine sono state ridotte in schiavitù o addestrate. Infine, come riportato dall’UNICEF, oltre un milione di bambini, tra Nigeria, Camerun, Ciad e Niger, ha abbandonato la scuola.
Giacomo Pratali

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Nigeria, Chibok girls: talks with Boko Haram?

BreakingNews @en di

Nigerian President Muhammadu Buhari informed media he wants to negotiate with Boko Haram to Chibok girls’ release, after their kindapping in 2014: “If there is a plausible leader who tell us where are the girls, we’ll be ready to negotiate with them without preconditions, ” he told press.

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Meanwhile, the 2015 finished with other 80 killed. Last December 28, Boko Haram attacked on mosques, markets and bus stations through several young female suicide bomber. Terrorist attacks especially happened in Borno State and followed many others occured during December.

Statistics about Boko Haram are clear. Since 2014, at least 5600 civilians were killed, while over 2000 women and girls were kidnapped: they were reduced to slavery or enlisted. And, as reported by UNICEF, over 1 million children abandoned school among Nigeria, Camerun, Chad and Niger.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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