GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

Monthly archive

Maggio 2015 - page 6

Ue: nuove proposte sulla sicurezza

EUROPA/POLITICA di

Al vaglio misure per aiutare gli Stati partner nella lotta al terrorismo e alla criminalità. All’orizzonte anche alcune manovre di bilancio per favorire i processi di pace in Africa.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
La Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue hanno recentemente diramato un comunicato in materia di sicurezza. Non è una novità: ma l’obiettivo stavolta è quello di aiutare i paesi partner e le organizzazioni regionali a prevenire crisi in materia di sicurezza utilizzando gli strumenti di cui l’Unione ed i singoli Stati Membri dispongono, sulla scorta delle lezioni apprese nei paesi terzi come le missioni di formazione in Mali o in Somalia o, più indietro nel tempo, in Bosnia e Congo (si pensi alle missioni sotto egida UE denominate “EUFOR Althea” ed “EUFOR RD Congo”, a cui hanno partecipato negli anni folti contingenti di militari e non provenienti dal nostro Paese).

La “comunicazione” congiunta, che suona come un’importante dichiarazione di intenti, svela quali siano ad oggi le criticità del sistema Europa in materia sicurezza e difesa ed illustra una serie di proposte anche economico – finanziarie per fronteggiare le minacce del terrorismo e della criminalità organizzata emergenti dentro i confini dell’Unione. Il tutto manifesta l’evidente intento di Junker e di Mogherini di attribuire una missione ancora più globale dell’Europa. Il documento è da ritenersi quale un vero e proprio libro bianco di livello strategico in materia di sicurezza; la stessa Mogherini ha dichiarato: “Con queste nuove proposte intendiamo aiutare i nostri partner ad affrontare le sfide connesse al terrorismo, ai conflitti, alla tratta di esseri umani e all’estremismo. Permettere ai partner di garantire la sicurezza e la stabilizzazione sul loro territorio non serve solo a favorire il loro sviluppo, ma è anche nell’interesse della stabilità internazionale, comprese la pace e la sicurezza in Europa”.

Alcuni manovre di bilancio illustrate nel documento per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato dalle Istituzioni UE sono:
– adattare il Fondo per la pace in Africa per ovviare alle sue limitazioni;
– creare un nuovo fondo che colleghi pace, sicurezza e sviluppo nell’ambito di uno o più strumenti già esistenti;
– creare un nuovo strumento finanziario destinato specificamente a sviluppare la capacità dei paesi partner in materia di sicurezza.

Materialmente, il supporto che la Commissione vorrebbe fornire potrebbe consistere nella fornitura di ambulanze e materiale di protezione o mezzi di comunicazione alle forze militari nei paesi in cui le missioni della politica di sicurezza e di difesa comune stanno già assicurando formazione e consulenza, ma dove la loro efficacia risente della mancanza dei mezzi essenziali.

Il tutto assume una maggiore rilevanza se si pensa che proprio domani, 7 maggio, un’importante Comitato del Consiglio dell’Unione Europea, il COSI – Standing Committee on Internal Security, si riunirà in maniera informale a Riga, in Lettonia (che è il paese attualmente reggente la Presidenza del Consiglio): in quella sede si discuterà principalmente di terrorismo, di foreign fighters, di confini, di immigrazione e dell’operato delle numerose agenzie europee operanti nel settore JHA (Justice and Home Affairs).

Questi eventi, questi “atteggiamenti”, devono indurci a pensare che l’Europa, e le sue numerose Istituzioni, con uno sguardo all’interno ed all’esterno dei suoi confini stanno cercando di assumere un ruolo di sempre maggior rilievo nella gestione civile delle crisi e dei risvolti ad esse interconnessi. L’Europa, in sintesi, pur non abbandonando i suoi primigeni obbiettivi strategici di natura politico-economica, sta operando finalmente in maniera sempre più incisiva anche negli equilibri e negli assetti internazionali, valicando – e anche di molto – i suoi confini geografici ed assurgendo ad organizzazione internazionale sempre più “completa”.

Domenico Martinelli

[/level-european-affairs]

Immigration: waiting for Un Security Council

Defence/Europe di

A new military plan seems in Mediterranean context after Eu choice to triple Triton funding.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
United Nations will call a straordinary Security Council on 18th May, following 1500 migrants died since the beginning of 2015 in the last two months. After the latest European Council, wherein “Triton” are been tripled, Eu is waiting for this assembly to enact a military action against pontoom coming from Libya. Summit will be opened by Federica Mogherini, Eu High Representative for Foreign Affairs and Security Policy.

Meanwhile, the number of landings is increasing day by day. Italy and Malta have received 300 and 98 migrants in the last two days. Moreover, Catania Public Prosecutor’s Office is inquiring into supposed shipwreck of 40 people, reported by some witness on board ship and Save The Children, happened on the night of Tuesday 5 May 2015.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Immigrazione: attesa per la riunione Onu del 18 maggio

Per l’Ue sarà decisivo il parere del Consiglio di Sicurezza sulle misure militari da adottare per arginare il fenomeno migratorio. Prodi bolla questa possibilità come “inappropriata e dannosa”. Intanto, si continuano a contare i morti nel Canale di Sicilia.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
I 1500 migranti morti dall’inizio del 2015 e i continui sbarchi sulle coste italiane e maltesi delle ultime ore hanno portato le Nazioni Unite a convocare un Consiglio di Sicurezza straordinario previsto per lunedì 18 maggio. Dopo il Consiglio Europeo del 23 aprile, in cui sono stati triplicati i fondi per “Triton”, l’Unione Europea attende questa riunione per mettere sul tavolo nuove misure militari per combattere alla radice questa ondata migratoria direttamente collegata al caos politico, istituzionale e sociale della Libia. Il vertice sarà aperto da Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue.

A confermare la necessità di una incombente discussione a livello internazionale sulla questione migratoria, ci sono i fatti. Nelle ultime 24 ore, Malta e Messina hanno accolto 98 e 300 migranti a testa dopo essere stati soccorsi dalle marine militari. Non solo. La Procura di Catania sta indagando sulla presunta strage, raccontata dai sopravvissuti e denunciata da Save The Children, di circa 40 persone annegate a largo delle coste siciliane nella notte tra il 4 e il 5 maggio, poco tempo prima che le autorità italiane prestassero i soccorsi.

A rigettare, però, la soluzione militare nei confronti della Libia per arginare il flusso migratorio previsto per i prossimi mesi, è l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi: “L’azione bellica – ha affermato nel corso dell’audizione presso la Commissione Esteri del Senato nella giornata di martedì – è inappropriata e dannosa, oltre che irrealistica. Adesso, la vera priorità è ripristinare la statualità in Libia”.

Intanto, l’Italia si sta muovendo in primis per cercare di arginare la situazione. Nell’incontro tra Antonello Cracolici, Presidente della Commissione Affari Istituzionali, ed Ezzedine al Awani, Ambasciatore libico in rappresentanza del governo di Tobruk, è stata prospettata una collaborazione tra il Paese nordafricano e la Sicilia in materia di sviluppo economico, immigrazione e protezione delle marinerie.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Ripensare l’Islam attraverso l’economia

L’emergere di un vecchio modo di pensare la finanza, in accordo con la legge del Profeta, rimodella l’homo economicus affiancando il suo operato ai precetti del Corano. Nonostante i dubbi sull’effettiva corrispondenza tra teoria e pratica, la guida dei principi religiosi e una combinazione di volontà politica (e favorevoli condizioni economiche) sembrano aver fatto breccia nel capitalismo occidentale.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]L’esplosione delle economie islamiche sembra solo apparentemente legata al sapiente uso che i governi fanno delle indispensabili risorse minerarie che giacciono nel sottosuolo, senza le quali (questo è quasi certo) nessuno avrebbe sentito la necessità di considerare tanto e tanto approfonditamente gli avvenimenti politici ed economici mediorientali. Un altro fattore, sicuramente più nascosto ma altrettanto importante, ha segnato i passi, da qualche decennio, della cavalcata delle economie degli emiri. Si tratta di un sistema di gestione del denaro in primis e dei flussi di capitali poi che fa combaciare etica ed economia e che, stando ai dati attuali sembra aver dato i suoi frutti. Sebbene, occorre precisarlo, non vi sia dietro nessuna teoria economica ma solo una rigorosa gestione ed interpretazione dell’uso e del significato del denaro e sebbene i tempi siano troppo poco maturi per poter tirare le somme, non si può non riconoscere che l’attenzione prestata a questo modello finanziario da privati ed istituzioni (vedi la BCE) sia importante e meritevole di attenzioni.

Solo apparentemente qualcosa di lontano dall’economia capitalista, si rivela al contrario un diverso e probabilmente più accorto modello di gestione finanziaria. L’attenzione al benessere della comunità propria del Corano e alla percezione comunitaria dei fedeli da cui deriva l’utilizzo consapevole del denaro, sembra essere la guida fondante e l’elemento pregnante della finanza islamica, tanto che i precetti religiosi del Profeta devono esserne continuo richiamo e regola. La sua natura è legata sostanzialmente alla stretta osservanza di poche ma ferme regole: dettami religiosi provenienti direttamente dal Corano o dalla Sunna, disposizioni legali che si sono rese necessarie vanno a colmare le ovvie lacune presenti nel testo sacro e principi giurisprudenziali interpretativi legati alle scuole di pensiero. Unico dubbio, ma non per questo di poco conto, è come possano coesistere tanti diversi livelli di interpretazione in una così sensibile materia.
Chiarire un equivoco di fondo è d’obbligo: si crede che abolire gli interessi sui prestiti di denaro sia la premessa base per chiunque voglia adottare il sistema della finanza islamica. In poche parole, basandosi su principi di carità e cooperazione, spesso si è portati ad identificare questo genere di attività economiche come totalmente mancanti dell’obiettivo della ricerca di utili, perché in accordo con la legge del profeta. In realtà, questo modo di intender la finanza islamica è errato, in quanto non rappresenta la differenza tra attività caritatevoli e commerciali: d’accordo con la Shari’ah l’applicazione del tasso d’interesse è da ritenersi esclusa su operazioni di carattere caritatevole, ma assolutamente il contrario avviene riguardo le transazioni commerciali. Le operazioni finanziarie, proprio in ragione della loro diversa natura, sono libere da questo vincolo: “”The principle is that the person extending money to another person must decide whether he wishes to help the opposite party or he wants to share his profits. If he wants to help the borrower, he must rescind from any claim to any additional amount. His principal will be secured and guaranteed, but no return over and above the principal amount is legitimate. But if he is advancing money to share the profits earned by the other party, he can claim a stipulated proportion of profit actually earned by him, and must share his loss also, if he suffers a loss.” (Mufti Muhammad Taqui Usmani, An introduction to Islamic Finance). L’errore potrebbe essere chiarito in questi termini: la dipendenza dell’economia capitalistica da una mancanza di regole rispetto all’arricchimento giudicato eccessivo e dannoso a volte per la comunità che l’investitore o l’operatore trae, viene ad essere limitato nella finanza islamica da una serie di principi religiosi (la pervasività della religione si dimostra anche in questi particolari, nulla di cui meravigliarsi).

A “ripensare” l’economia hanno dimostrato di essere in tanti. In effetti a giudicare da un primo approccio sembra che questo genere di teoria d’impiego del denaro sia sotto una sorveglianza religiosa speciale, in qualche modo simile a quella che noi definiremmo “responsabilità sociale d’impresa”, con le dovute differenze. Il numero di banche che operano attraverso i principi della Finanza Islamica e che ne hanno introdotto gli strumenti finanziari sono cresciute molto negli ultimi anni, così come è cresciuta l’ importanza dei fondi di investimento sovrani. A differenza dell’economia “capitalistica” nella finanza islamica il denaro non possiede un valore intrinseco: eccetto in determinati casi, esso è legato al bene oggetto della transazione, o al profitto generato attraverso lo scambio di divise con differente valore relativo. Stando alla teoria, ogni transazione è consentita solamente nel caso in cui questa generi o abbia come partenza risorse o beni. A giudicare dalle crisi che si sono susseguite ed alla sempre maggiore dipendenza dalle monete cosiddette elettroniche, oltre che da flussi di denaro che generano profitti pur essendo inesistenti, forse potremmo imparare molto dalla Finanza Islamica.

Francesco Danzi

[/level-european-affairs]

Tories o Lab? Il Regno Unito all’ultimo dilemma

EUROPA/POLITICA di

Due giorni al voto per i cittadini del Regno Unito e il mistero s’infittisce. Mai come a questo giro di elezioni generali si è raggiunto tale grado di imprevedibilità. Votare o non votare Tory? Votare o non votare Labour? A proposito, ci risiamo con i testardi scozzesi!

[subscriptionform]

[level-european-affairs]

Quinta potenza economica mondiale, il Regno si interroga sulle priorità che la politica dovrà inserire e affrontare nella prossima agenda quinquiennale. Al civico 10 di Downing Street continuerà ad avere le chiavi il conservatore Cameron o il laburista Miliband? Una cosa è certa, sta per finire l’era del monopolio di governo anche a Londra. I due leader dovranno provvedere ad alleanze estese per poter garantire la governabilità. Quasi una “normalità” per il resto d’Europa, Germania in primis con un modello di alleanze che “funziona” e Italia con qualche “problemino” in più, ma totalmente una novità per i britannici i quali si vedono alternare i governi laburisti o conservatori dal lontano 1922. Una simile situazione era venuta a crearsi già nel 2010 con i Lib Dem di Nick Clegg, con i quali Cameron mise su la coalizione.

Sistema elettorale e composizione del Parlamento

First past the post- così è chiamato il sistema maggioritario uninominale a norma del quale il territorio del Regno Unito è diviso in 650 circoscrizioni elettorali. La suddivisione delle circoscrizioni è divisa in questo modo: 523 in Inghilterra; 59 in Scozia; 40 in Galles; 18 in Irlanda del Nord. Da ciascuna circoscrizione verrà espresso un rappresentante da mandare alla Camera dei Comuni che assieme alla Camera dei Lord, composta da membri nominati, andrà a comporre il futuro Parlamento. La maggioranza assoluta è quantificata in 326 seggi. Un numero però improbabile da raggiungere da entrambi i partiti.

David Cameron ha dalla sua il cosiddetto” establishment” anche e soprattutto per la ripresa veloce del Regno Unito nell’economia dopo il fermo imposto dalla crisi globale. Culla del capitalismo liberale, il Regno Unito ha dato un forte segnale di rilancio, ma i frutti di questa ripresa, ad oggi, si segnalano a livello macro, la classe media deve ancora attendere le future buste paga per poterla verificare su di se.

Ed Miliband, dopo aver vinto al fratello David la leadership del Partito Laburista, Ed “il nerd” o Ed “il rosso” per i conservatori, sta guadagnando punti nei sondaggi in maniera decisiva e costante. Partito sfavorito all’inizio della campagna elettorale, ha saputo giocare molto sull’immagine, puntando all’autoironia, valore aggiunto come sempre nell’animo inglese.

I Lib Dem di Nick Clegg, voto di protesta nel 2010, oggi hanno perso la loro genuinità e vengono visti come parte del sistema. Lo Ukip di Nigel Farage, dopo l’exploit delle elezioni europee di un anno fa rimane l’anima indomata del panorama politico britanico, ma la sua portata antieuropeista e populista non si prevede possa essere determinante il 7 maggio prossimo. Infine troviamo  verdi che, con l’aiuto delle spinte da sinistra, puntano a qualche seggio.

Chi confonde le acque di tories e lab è l’SNP, il Partito Nazionale Scozzese con a capo il Primo Ministro donna, Nicola Sturgeon. Dopo aver perso il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito a settembre 2014 la popolarità della Sturgeon non è che aumentata. Una ventata di parole “di sinistra” e di grinta che fanno  la differenza. Escludendo ogni punto d’incontro con Cameron, si presume che l’SNP possa coalizzarsi con i laburisti di Miliband in caso di vittoria di questi, ma solo due giorni fa, lo stesso Miliband ha negato questa possibilità. Partendo dal presupposto che nessuno dei leader ha mai parlato o reso esplicite le possibili alleanze, pare inverosimile la chiusura totale della possibilità di alleanze tra questi due partiti.

Battaglia di seggi, battaglia di news. Lo schieramento dei grandi quotidiani, The Guardian e Financial Times in testa, rispettivamente per i laburisti e i conservatori è altrettanto un aspetto fondamentale. Il potere mediatico anglosassone determina più di una manciata di voti e si svolge ad altissimi livelli. Una copertura invidiabile dell’argomento su tutti i fronti, la City della finanza, le città operaie, le periferie del Regno vengono battute come in un trekking mainstream delle intenzioni di voto.

In sintonia con le ventate dal basso nel mondo occidentale, anche nel Regno Unito si continua ad auspicare una politica inclusiva con pressioni dal basso e sopratutto dai “giovani disillusi”, vedendo in questi il veicolo tramite il quale attingere a una nuova politica, più vera, più reale, più tangibile, fuori dall’establishment.

Europa: Should I stay or should I go?

Pochissima Europa in questa campagna elettorale da tutte le forze politiche coinvolte. David Cameron, in caso di vittoria indirà un referendum se rimanere o meno nell’UE. Miliband non lo farà. Stranota la posizione dell’UKIP, altre invece sono le priorità del SNP. Non è un mistero lo scetticismo britannico nei confronti dell’Europa unita, ma in caso di vittoria di Cameron e di eventuale uscita del Regno Unito dall’UE a indebolirsi sarà quest’ultima,  in caso contrario con presumibile rafforzamento del SNP a dover fare i conti con l’indebolimento interno sarà lo stesso Regno Unito.

Appuntamento, il 7 maggio dalle 7.00, Greenwich Mean Time.

[/level-european-affairs]

Sabiena Stefanaj

Kuwait, Un donors’ conference: 80 countries helped Syrian population

Middle East - Africa di

They donated 3,8 billion dollars. This aid will help several million people displaced from the beginning of civil war.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
More than 80 countries decided to donate 3,8 billion dollars at a donors’ conference in Kuwait on Tuesday. The United Nation event served the purpose to find capitals to aid about 11 million Syrian people displaced from the beginning of civil war. Moreover, Lebanon, Jordan, Iraq and Turkey received financial resources to help their populations. Eu committed around 1 billion euro.

Syria has become “the largest displacement crisis in the world” and “12.2 million people needed of aid”, said Un Office for the Coordination of Humanitarian Affairs. A rising geopolitic and humanitarian emergency, which incited Un Secretary General Ban Ki-Moon to call a donors conference for three consecutive years since 2013.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Nelle miniere di Trepča, 600 metri sotto terra

feed_corousel di

Immaginatevi di sentirvi risucchiati verso il centro della terra, vi è mai capitata come sensazione? Lo stomaco raggiunge la gola in un balzo, sotto i piedi è come se si aprisse una voragine e nel frattempo una mosca immaginaria inizia a ronzare in circolo dentro la vostra testa.

Ci è capitato oggi, nelle miniere di Trepča, il complesso minerario più grande di tutta Europa ricchissimo in piombo e zinco. La proprietà delle miniere è contesa tra Serbia e Kosovo in una battaglia simbolica quanto politica che è finita sui tavoli negoziali a Bruxelles, diventando di fatto una delle priorità assolute nelle trattative Pristina-Belgrado portate avanti dall’Unione Europea.

Trepča si trova a Mitrovica, una città di confine divisa in due dal fiume Ibar: a nord la parte serba, a sud quella a maggioranza albanese. Un ponte divide due mondi paralleli e solo pochi fanno abitualmente avanti e indietro tra nord e sud. I pochi che per lavoro sono obbligati ad attraversare quotidianamente le due parti si riconoscono dalle loro macchine, tutte senza targa. Le ultime due guerre hanno fomentato un odio che non è ancora assopito, e in città la battaglia si consuma in piazze intitolate a partigiani di ciascuna parte, monumenti e bandiere, serbe e albanesi, che colorano diversamente le due sponde del fiume.

Arrivando da Belgrado in minibus, non appena valicato il “confine”, che per i serbi è un semplice posto di blocco, per le strade ci è capitato di vedere cartelloni enormi con scritte “Questa è Serbia” e gigantografie di Putin appese a ristoranti o stampate nei teloni posteriori dei camion.

Anche la lingua è una barriera non indifferente e sebbene ambo le parti non si distinguano poi più di tanto in quanto al bere fiumi di alcool tutto il giorno, bisogna stare ben attenti a che formula usare quando si brinda.

Così come Mitrovica, anche il complesso di Trepča è diviso, alcune parti addirittura con la Croazia. L’estrazione di minerali avviene in entrambe le parti, ma le raffinerie sono tutte a nord, in quella serba, sebbene la gigantesca ciminiera che sovrasta l’intera città sia spenta da diversi anni.

Stamattina, con gli occhi stropicciati dal sonno, ci siamo avviate verso sud per incontrare i minatori albanesi. Al valico della cancellata della miniera ci aspettava Mostafa, il portavoce del complesso di Trepča, che ci ha subito accompagnato a curiosare in giro per gli edifici e a fare alcune interviste, tra cui anche un rappresentante sindacale che ci ha parlato degli ultimi scioperi di gennaio, non contro l’amministrazione della miniera, ma contro la sua privatizzazione. Da che mondo e mondo, ci spiegava, le miniere sono tutte nazionalizzate, ed è nell’interesse dei minatori mantenerle pubbliche a tutti gli effetti, in modo che la sovranità del Kosovo sul complesso venga riconosciuto una volta per tutte. 3500 persone lavorano per mantenere la miniera attiva tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24 e alcuni di loro lavorano fino a 1100 metri di profondità.

Ma non si va a parlare con i minatori senza scendere in miniera. Così, munite di caschetti, torcia, stivaloni e divise da lavoro, siamo scese anche noi. Una affagottata a mo’ di omino michelin, l’altra che sembrava “appena uscita da un campo di concentramento” e l’altra ancora con uno stivale bucato, che da lì a poco avrebbe regalato grandi emozioni, ci siamo schiacciate dentro il gabbione-ascensore insieme a Mostafa, due minatori e il nostro Luli, l’interprete.

“Pronte alla discesa?”, Mostafa caccia un urlo all’uomo provvidenza, ovvero colui che passa otto ore della sua giornata dentro un gabbiotto a tirar su e giù i minatori dagli inferi.

Click, la gabbia inizia a cigolare, appena il tempo di accendere le lampade e…broooooooom! Veniamo tutti risucchiati.

Ci vogliono tre, forse cinque minuti ad arrivare alla nostra destinazione. Dopo i primi momenti di sconcerto si chiacchiera, qualcuno sfumacchia, finché finalmente non raggiungiamo i -600. Fuori dalla gabbia ci imbattiamo in uno dei carrelloni e varchiamo il portone d’accesso ai tunnel.

Meraviglia!

Tunnel dai soffitti altissimi illuminati solo dalle torce si spalancano davanti ai nostri occhi stupefatti. Prima un tratto di con rotaie e terra battuta, poi pantano e mano a mano quasi esclusivamente tratti completamente allagati.La luce fa brillare i minerali nel buio. Ad un certo punto ci travolge una zaffata di aria calda e l’umidità si fa davvero alta, per la gioia delle nostre reflex che si appannano in continuazione. Incontriamo due minatori che con un trivellatore – svedese, i migliori a quanto pare – bucano grandi X rosse segnate su una parete immensa. Lavorano con a disposizione un solo fascio di luce che proviene dal macchinario. Poi mano a mano incontriamo nuovi fasci di luci piccoli, altri minatori e altre macchine che per un momento illuminano un tratto di strada.

Ovunque nei tunnel ci sono segnali per non perdersi: bulloni montati al contrario negli innesti delle tubature dell’aria, frecce disegnate con gessi, lettere in vernice rossa…ma per chi lavora lì da una vita praticamente non ce n’è bisogno. Conoscono tutte le “vie” sotterranee a memoria, dal livello -60 al -1100 e potrebbero percorrerle a occhi chiusi.

E’ un mondo a parte, ci spiega un minatore piuttosto su con l’età, un signore con le rughe che ricoprono gran parte del viso e due occhi belli che raccontano tanto. Mentre lo intervistiamo cerca di farci capire quanto l’essere minatori sia una fierezza, della solidarietà sul lavoro e tra le famiglie, di quanto la vita dell’uno dipenda dalla collaborazione e dalle competenze di quella dell’altro.

Rimaniamo in tutto un’ora e mezza sottoterra, raccogliendo molto materiale, che se pazientate, vedrete rimaneggiato e pubblicato in diverse lingue tra qualche tempo.

Una volta riportate alla luce del giorno dall’uomo della provvidenza e la sua gabbia, ci fermiamo con i nostri compagni di esplorazione appena fuori dalla miniera e ci scattiamo una bella foto ricordo. Siamo sudate, luride e anche un po’ maleodoranti, ma molto, molto felici di aver fatto quest’esperienza.

PlayPlay

“Expo e i Territori”: l’Italia chiama gli “aussies”

EUROPA di

Il console italiano Cerbo espone un’iniziativa che, attraverso itinerari personalizzati, mira a fare scoprire realtà regionali come Abruzzo, Calabria, Sicilia e Veneto.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
“Expo e i Territori”. È questa l’iniziativa presentata a Melbourne dal console italiano Marco Maria Cerbo davanti a 50 osservatori, tra giornalisti e tour operator. L’obiettivo è quello di far scoprire agli australiani i paesaggi, le bellezze artistiche e i costumi regionali, partendo da una vetrina d’importanza globale come l’evento milanese.

Sotto la lente d’ingrandimento sono state messe Abruzzo, Calabria, Sicilia e Veneto, da cui il visitatore potrà partire per costruire un itinerario personalizzato. Un turismo da incrementare, ma che parte già da una buona base. Infatti, anche a causa della forte presenza italo-australiana, circa un milione di “aussies” ogni anno decide di visitare il Bel Paese.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Siria: Amnesty International denuncia l’utilizzo dei barili-bomba

Medio oriente – Africa di

Il report di maggio pubblicato dalla Omg accusa il presidente al Assad di mettere sotto bersaglio la popolazione di Aleppo, costretta a rifugiarsi sotto terra.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
“Terrore allo stato puro e sofferenze insopportabili costringono molti abitanti di Aleppo a vivere sotto terra per sfuggire agli incessanti bombardamenti aerei delle forze governative contro i quartieri occupati dall’opposizione”. Questo descrive il rapporto di maggio sulla Siria pubblicato da Amnesty International dal titolo “Morte ovunque: crimini di guerra e altre violazioni dei diritti umani ad Aleppo”.

Il report si sofferma in particolare sull’utilizzo dei barili-bomba da parte delle forze governative nei confronti dei civili, come spiegato da Philip Luther, Direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. : “Le atrocità dilaganti, soprattutto raid aerei feroci e disumani su zone residenziali da parte delle forze governative, hanno reso sempre più insopportabile la vita per la popolazione di Aleppo. Questi attacchi continui e riprovevoli sulle aree civili fanno parte di una strategia politica che intende colpire di proposito e senza sosta i civili con attacchi che costituiscono crimini di guerra e contro l’umanità”.

Nonostante l’utilizzo dei barili-bomba contro la popolazione sia stato negato dal presidente siriano Bashar al Assad a febbraio 2015, nel corso di un’intervista rilasciata alla Bbc, i numeri dell’inchiesta condotta da Amnesty International parlano chiaro: Gli attacchi coi barili-bomba – barili di petrolio, taniche di benzina, o bombole del gas imbottiti di esplosivo, olio combustibile e frammenti metallici gettati da elicotteri – hanno ucciso più di 3000 civili nel governatorato di Aleppo l’anno scorso e più di 11.000 persone in tutta la Siria dal 2012”.

E ancora: “Nell’aprile 2015 sono stati registrati non meno di 85 attacchi che hanno causato la morte di almeno 110 civili. Il governo, tuttavia, non ha ammesso neanche una vittima civile e, in un’intervista del febbraio 2015, il presidente Bashar al-Assad ha negato categoricamente che le sue forze abbiano mai usato i barili-bomba”, segnala Amnesty International.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Giacomo Pratali
0 £0.00
Vai a Inizio
×