GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Marocco

Much Loved: Sesso è Potere

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by Marco Cacioppo

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Dei Paesi del Nord Africa il Marocco è sicuramente quello più occidentalizzato e apparentemente più permissivo, anche se poi, a scavare neanche tanto sotto la superficie, si svela una società conservatrice e poco incline a superare o riconoscere i propri tabù. La doppia faccia che caratterizza questo paese viene restituita perfettamente da un film molto audace che tratta il tema poco convenzionale – almeno a quelle latitudini – della prostituzione. Senza contare che il regista, Nabil Ayouch, pur vivendo a Parigi, ha origini marocchine e dopo aver fatto il film ha ricevuto minacce di morte, così come le attrici che, al contrario di lui, risiedono proprio nello stato monarchico. Much Loved è uno spaccato estremamente realista, spesso brutale, della vita di un gruppo di professioniste del sesso mostrate in quello che, plausibilmente, rappresenta l’avvicendarsi delle loro giornate tipo.

Non è tanto l’argomento che colpisce, in Much Loved, quanto ciò che Ayouch decide di mostrare e il coraggio da parte delle attrici di concedersi all’occhio della telecamera e allo sguardo incredulo dello spettatore, anche se a shockare veramente, più che le immagini comunque spinte ai limiti della pornografia, sono le parole. La crudezza dei termini ginecologici e la descrizione verbale delle pratiche sessuali a cui sono avvezze queste sboccatissime performer sono così esplicite che un po’ ci si imbarazza. E se già lascerebbero interdetti se provenienti da un film occidentale, figurarsi da uno in lingua araba. Il film si svolge a Marrakech, prevalentemente di notte, e ci conduce all’interno dei postriboli dove donne d’ogni età si concedono a uso e consumo di facoltosi businessmen sauditi dal portafoglio facile.

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Quello che però dev’essere chiaro, in Much Loved, è che il fenomeno della prostituzione così come ci viene mostrato da Ayouch non ha tanto a che fare con una condanna della società araba patriarcale e maschilista che sfrutta la donna, vittima e soggiogata al suo volere. In parte c’è anche questo aspetto, ma quel che rende il film interessante e a suo modo rivoluzionario è piuttosto il ruolo della donna marocchina che, ben consapevole delle debolezze dell’uomo, sacrifica ben volentieri il proprio corpo allo scopo di sfruttare il ricco portafoglio dei clienti che demandano i loro servigi. Perché in fondo è di denaro e di soddisfacimento del piacere che si sta parlando, al contempo due fini e due merci di scambio contrapposte, ma parte della stessa scacchiera. L’amore è importante ma viene dopo tutto il resto e se al momento del conto il denaro non c’è… va bene anche un carico di ortaggi. Basta sopravvivere.

C’è da dire anche che questa doppia natura che contraddistingue la società marocchina in senso lato, e quella araba per estensione, si riflette allo stesso modo anche nella duplice vita di queste avvenenti operatrici di strada, che quando non si spogliano per soldi vanno a pagare pegno, più che a far visita, alle famiglie nascoste sotto il chador. Che quasi sempre non lavorano e dipendono da loro per gli alimenti ma che, ricevuto ciò che gli spetta, disconoscono la figlia perché votatasi al peccato e in controtendenza con i precetti del buon costume. Ironia della sorte ed ennesima contraddizione. Il cerchio è chiuso.

Frontiera Melilla, per i siriani un nuovo muro prima dell’Europa – REPUBBLICA

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Taglieggiati per poter fare richiesta d’asilo, costretti a mescolarsi tra i frontalieri o a nascondersi in vani motore delle auto, ricattati e sempre a rischio di espulsione. Anche per molti africani il limbo sul confine Marocco-Algeria è diventato una prigione, cui ormai si preferisce il viaggio mortale attraverso la Libia

di GIULIA BERTOLUZZI

Nel 2015, i primi cento chilometri di muro tra l’Algeria e il Marocco sono stati costruiti e altri 500 sono in cantiere. Una nuova barriera fisica che non sembra però intaccare l’economia di frontiera. Lungo il confine, i commerci di benzina algerina di contrabbando continuano a lucrare, così come il passaggio di persone, dall’Africa Subsahariana e dalla Siria, che transitano in Marocco con il sogno di entrare in Europa.

Tutta la rete è scandita da piccole porticine metalliche che i passeurs conoscono a menadito per connettere la città di Oujda in Marocco con quella di Maghnia in Algeria, i due grandi snodi per i migranti. Come spiega Mohamed Kerzazi dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani) di Oujda “il flusso è per lo più in direzione del Marocco, ma sempre più persone utilizzano il passaggio a ritroso, per tornare in Algeria e da lì dirigersi verso la Libia”.

In senso contrario, sempre più siriani entrano in Marocco illegalmente dall’Algeria. Entrambi i paesi hanno introdotto il visto obbligatorio per i siriani rispettivamente ad agosto e a gennaio di quest’anno, rendendo l’unica rotta possibile quella illegale. Abderazak Ouiam segretario della sezione Oujda di OMDH, ONG partner di UNHCR per la registrazione dei rifugiati, spiega che “la maggioranza arrivano dalla Turchia o dal Libano da dove prendono un volo per il Sudan, uno per la Mauritania e da lì si mettono in marcia per Mali e Algeria via terra e clandestinamente”. Anche le cifre parlano, in Marocco sono solo 834 i richiedenti asilo siriani, nella sola Melilla più di 2000.

“Con la mia famiglia, abbiamo provato in tutti i paesi. Siamo stati in Libano, Turchia, Egitto, Tunisia, Algeria e Marocco. Da nessuna parte abbiamo trovato un rifugio, un posto in cui poter vivere senza minacce o soprusi” racconta Lilia, giovane diciottenne damascena, di cui tutta la famiglia, compresa la figlia di due mesi, è in Europa, mentre lei da sola lotta per la liberazione del marito, in prigione per aver tentato d’immolarsi davanti al confine con Melilla.

La maggioranza dei siriani, stanchi di molte procedure e zero efficacia, si dirigono direttamente alle frontiere, bypassando le istituzioni e tentando l’ultima chance in Europa. Ma nonostante l’apertura di un nuovo ufficio UNHCR per richiedenti asilo sulla frontiera di Beni-Enzar, tutti i richiedenti sono obbligati a pagare il “biglietto” per riuscire ad arrivare fino all’ufficio. I militanti dell’AMDH di Nador da mesi denunciano la corruzione delle guardie di confine (sia marocchine che spagnole) che obbligano i siriani a pagare fino a 1200 euro per poter passare la frontiera e deporre la propria domanda d’asilo. La “difficoltà più grande è far passare i bambini”, spiega Omar Naji, AMDH, “perché se gli adulti riescono a nascondersi tra i lavoratori transfrontalieri marocchini, i bambini devono essere nascosti” e in tanti casi si traduce in una mazzetta più grande sia ai passeurs che alle autorità.

IMG_5555-23Per un migrante africano, avvicinarsi alla frontiera è diventato impossibile. Stéphane Julinet, giurista di GADEM (groupe anti raciste de défence des étrangers et migrants), spiega che “per 6 mesi, nessun africano è riuscito ad entrare a Ceuta o Melilla”, e dei pochi africani che ci sono riusciti, i rischi e i prezzi sono diventati insostenibili. Pagano fino a 3000 euro per essere nascosti nei posti più impensabili di macchine e camion: incastrati dentro i cruscotti e in anfratti sotto i sedili e comunque venendo intercettati e espulsi.

“Le grandi retate contro i migranti che avvenivano in tutto il paese si sarebbero dovute arrestare con la grande regolarizzazione del 2014 in cui 18.000 persone (tra cui anche europei e americani e i rifugiati siriani) ottennero il permesso di soggiorno” continua Stéphane.  Ma lungo tutti i confini settentrionali, la così chiamata “caccia al migrante” resta una prassi. Nei quartieri come Bukhalef a Tangeri, e nei boschi in cui i migranti subsahariani si rifugiano in tende di plastica intorno a Ceuta, a Melilla e nella città di Oujda, la polizia visita regolarmente per bruciare gli accampamenti e deportare in zone più interne del paese tutti gli uomini.

Questa tecnica s’iscrive all’interno della lotta contro la migrazione clandestina, capitolo importante del patto di mobilità firmato da Marocco e 9 stati europeigiugno 2013, “un capitolo molto strumentalizzato” spiega Elsa, volontaria a GADEM, “per cui sotto la bandiera della lotta alla tratta, le autorità marocchine giustificano tutte le azioni di frontiera. Un paragone naturale è quello dei bombardamenti europei ai trafficanti in Libia, in cui la guerra all’immigrazione clandestina viene fatta passare come una lotta contro i trafficanti”.  IMG_5555-19

Con la Spagna da un lato che blocca l’entrata e i flussi di finanziamenti europei per la gestione dei migranti dall’altro, il Marocco ha abilmente giocato le sue carte. Ha accettato di buona lena di diventare un guardiano delle frontiere europee, ma non senza ottenere buoni accordi a livello commerciale, politico e sociale.

Migliaia di africani si sono quindi ritrovati bloccati in Marocco da anni, senza soldi, lavoro, né alloggio, vivendo nei boschi alla mercé del freddo e della polizia. “Alcuni fratelli, non sapendo che altro fare” racconta Theo, giovane camerunense che ha tentato tre volte la traversata senza successo “mi hanno scritto che erano riusciti ad arrivare in Italia, passando dalla Libia”.

“Ormai sono tre mesi che gli africani hanno iniziato a partire verso la Libia” spiega Stéphane Julinet, “da Oujda verso l’Algeria, il Mali, il Niger e riattraversando il deserto verso la Libia”. Questo tragitto è il più pericoloso dell’intero viaggio. Stipati sui pick-up, senza spazio nemmeno per sedersi. “Se cadi sei morto” racconta Theo, “la macchina non si ferma e tu sei destinato a morire nel deserto. Ma qual è l’alternativa?”.

http://www.repubblica.it/esteri/2015/10/26/news/rotte_migranti_siriani_melilla_libia-125934068/?ref=search

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Libia: ad un passo dal governo di unità nazionale

Tobruk e gli altri gruppi del Paese firmano l’intesa. Adesso, c’è attesa presso le Nazioni Unite per decisione di Tripoli, attesa lunedì 6 luglio.

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Alle prime luci dell’alba di venerdì 3 luglio, Tobruk, Zintan, Misurata e i rappresentanti di altre fazioni hanno firmato l’accordo politico per “la creazione di un governo di unità nazionale libico”, riportano le Nazioni Unite. Dopo mesi di trattative, minacce di sanzioni da parte della comunità internazionale e l’incombere dello Stato Islamico e di una bancarotta finanziaria ormai annunciata, il delegato Onu Bernardino Leon raccoglie i primi frutti di questi colloqui di pace grazie alla quarta bozza messo sul tavolo delle trattative. Ora, l’attesa è tutta rivolta verso il Congresso Nazionale di Tripoli, il quale, lunedì 6 luglio, deciderà o meno di prendere parte a questo esecutivo di emergenza.

“La Libia ha bisogno di una larga intesa per avviare la ricostruzione nella sicurezza”. ha affermato il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. “Sottrarsi a questa responsabilità sarebbe grave. Nelle prossime ore l’Italia moltiplicherà gli sforzi per giungere rapidamente ad un approdo unitario sul testo dell’accordo politico presentato dalle Nazioni Unite”, ha concluso il rappresentante del governo italiano.

 

Giacomo Pratali

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Libia: ambasciate di Marocco e Corea del Sud nel mirino dei jihadisti

Nelle ultime ore, colpiti i due edifici. L’azione segue gli attentati delle scorse settimane contro i corpi diplomatici egiziani e algerini.

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Duplice attentato nelle ultime ore a Tripoli. All’ingresso dell’edificio dell’ambasciata del Marocco, in disuso da alcuni mesi, è stato fatto esplodere un ordigno che, però, non ha provocato nessuna vittima. In precedenza, era stata colpita anche la residenza della Corea del Sud. Alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco contro i rappresentanti di Seul: le vittime sarebbero due guardie. Questo tipo di azioni non sono una novità. Già nel recente passato, i corpi diplomatici egiziani e algerini sono finiti nel mirino dei jihadisti.

Anche se non vi è stata ancora alcuna rivendicazione, appare chiaro, tuttavia, che l’attentato contro la sede del Marocco, Paese ospitante dei negoziati Onu tra i due governi libici, miri a destabilizzare i già difficili tentativi di un accordo istituzionale tra Tobruk e Tripoli. Trattative che riprendono ad Algeri nella giornata di lunedì 13 aprile.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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