GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EUROPA - page 71

Crisi profughi: l’attività di Msf in Grecia

EUROPA di

La Grecia è il Paese europeo da cui transitano il maggior numero di migranti, in special modo profughi siriani e iracheni. Negli ultimi due mesi, essi hanno approfittato del lasciapassare dai confini turchi. Le isole del Mar Egeo costituiscono la prima tappa per raggiungere gli altri Paesi dell’Ue attraverso la rotta balcanica: 244 855 persone sono infatti transitate dalla Turchia alla Grecia da gennaio ad oggi. Per esaminare al meglio questa emergenza umanitaria, European Affairs ha intervistato Constance Theisen, Responsabile degli Affari Umanitari di Msf in Grecia. Tra i temi affrontati, le attività in loco della Ong, tra cui cure mediche e distribuzione di generi di prima necessità ai migranti.

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Quali funzioni svolge Msf in Grecia?

“Il nostro scopo in Grecia e lungo la rotta dei Balcani (infatti, siamo attivi anche in Serbia), è di cercare di aiutare i migranti e i rifugiati appena arrivati, dove ce n’è necessità:

– Isola di Lesbo: acqua e servizi igienico-sanitari nel campo di Kara Tepe e nel campo informale di Moria. Abbiamo messo a disposizione due squadre mediche per le cliniche mobili nei campi e nel porto Mitilene, dove la gente dorme all’aperto. Abbiamo predisposto anche un servizio di sostegno alla salute mentale attraverso uno psicologo. In più, essite un servizio navetta dal nord al sud dell’isola, in modo che le persone non debbano percorrere 65 chilometri a piedi sotto il sole;
– Isola di Kos: rifugio, acqua, servizi igienici e cliniche mobili nel campo dell’hotel Captain e ovunque nel centro abitato di Kos, dove la gente dorme all’aperto. È stato istituito un sostegno alla salute mentale tramite uno psicologo. È stata inoltre allestita la distribuzione di kit con coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche;
– Isole del Dodecanneso: una squadra medica è di base su una barca per cliniche mobili nelle isole di Simi, Leros, Tilos, Kalymnos. Esiste un centro di distribuzione di generi non alimentari: kit con coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche. Abbiamo istituito un supporto, in tutte le isole, di attivisti locali e mediante il ricovero (tende di reti ombra) per creare uno spazio in cui le persone possano dormire;
– Atene: abbiamo un progetto per aiutare le persone che hanno subito maltrattamenti (torture …) con un supporto medico e psicologico e un assistente sociale;
– Al confine settentrionale tra la Grecia e la Macedonia: lavoriamo al valico di Idomeni, dove la gente viaggerà fino alla destinazione finale attraverso la croce balcanica in Macedonia. Qui esiste un gruppo di medici per le consultazioni, uno psicologo e abbiamo installato servizi igienici e docce. Il nostro team distribuisce anche articoli non alimentari: it kcon coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche”.

 

La Grecia è divenuta a tutti gli effetti il punto principale di passaggio verso Germania, Svezia e Norvegia?

“La Grecia è divenuta la principale porta d’accesso all’Europa: 244855 persone sono arrivate finora (attraversando il tratto di mare dalla Turchia alle isole del Mar Egeo) contro i 119500 arrivi in Italia dall’inizio del 2015 (secondo le stime dell’Unhcr diffuse l’8 settembre 2015)”.

 

Qual è l’atteggiamento del governo greco nei confronti dei profughi?

“Il governo non ha dimostrato di possedere nessuna capacità di comando per rispondere alla crisi in modo costruttivo. L’unico modo per risolvere il problema di tante persone che arrivano sulle isole, costretti a dormire fuori per giorni prima che la polizia locale li registri e dare loro la carta necessaria per lasciare l’isola, è quello di avere più polizia di frontiera che operi nei campi di accoglienza/di transito in tutte le isole. Invece, le autorità greche hanno inviato più polizia antisommossa e non hanno messo in campo nessuna iniziativa per individuare spazi (campi, stadi …) in cui la ricezione a lungo termine possa essere organizzata. Essi hanno disatteso le proprie responsabilità: nessuna distribuzione di cibo organizzata nella maggior parte delle isole (Kos, Leros, Symi, Kalymnos) o insufficienti in tutti gli altri (Lesbo, per esempio). E hanno abusato dei migranti con un uso eccessivo della forza di polizia (la scorsa settimana, a Lesvos, il nostro team medico ha trattato oltre 10 persone che hanno riferito di essere stato picchiato da polizia)”.

 

Secondo il vostro punto di vista, quali sono le differenze con l’operato del governo italiano?

“Non posso parlare in maniera esaustiva del sistema italiano d’accoglienza, poiché non lo conosco così da vicino. Tuttavia, credo che l’Italia abbia messo in atto un sistema nazionale di accoglienza, in conformità con le norme dell’UE, fornendo due cose: all’arrivo uno screening medico e lo screening per le vulnerabilità a tutte le persone che arrivano; riparo (centri) e cibo in tutto il paese.

Invece, in Grecia:
– nessuno screening sanitario sistematico;
– nessuno screening per le vulnerabilità;
– nessun rifugio, eccetto in alcuni posti nelle isole di Lesbo e Chios;
– nessun approvvigionamento sistematico degli alimenti;
– nessun accesso ai servizi igienico-sanitari, tranne in alcuni posti nelle isole di Lesbo e Chios.

 

Quanto le rotte terrestri sono preferite a quelle marittime?

“La via utilizzata dai Siriani per raggiungere l’Unione europea è cambiata per una serie di motivi. La situazione attuale in Libia. Le restrizioni sui visti per i siriani in viaggio verso l’Egitto. Il soggiorno sempre più difficile in Giordania, Libano e Turchia, come riportato dall’Unhcr sull’accesso ai servizi di protezione e al mercato del lavoro locale. In Grecia, dal momento che i controlli negli aeroporti sono aumentati, sempre più persone scelgono la via di terra attraverso i Balcani per raggiungere la loro destinazione finale”.
Quali sono le vostre statistiche relative al 2015?

“ Gli interventi fino al 31 luglio sono stati:
– 3236 a Kos;
– 300 nelle vicine isole del Dodecaneso;
– 3000 a Idomeni.

I kit distribuiti fino al 31 luglio sono stati più di 20 000 in tutto il Paese”.

Giacomo Pratali

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Accoglienza ai rifugiati un’arma contro l’ISIS

EUROPA/POLITICA di

Fiumi di persone, famiglie intere percorrono a piedi il corridoio balcanico, chilometri infiniti da Salonicco alla frontiera Ungherese e poi la speranza di fermarsi in Germania, Austria o nei paesi del Nord come la Danimarca.

Un flusso di rifugiati che ha sorpreso l’opinione pubblica europea abituata alla tratta mediterranea con accesso a l’Italia ma sicuramente meno inattesi dalle istituzioni europee che conoscono da oltre un anno le condizioni dei campi profughi siriani al confine con la Turchia.

Il vero cambio di regia lo ha stimolato la politica estera della Turchia che ha assunto in questi anni di instabilità la delicata posizione di ago della bilancia nella geopolitica mondiale.

Stato di frontiera con la Siria da sempre nemica di Assad e delle popolazioni Curde che si dividono tra Siria, Iraq e Turchia dove alle ultime elezioni hanno conquistato una rappresentanza in parlamento grazie al 10% di preferenze votate. Una vera spina nel fianco del presidente Erdogan.

Dalle prime fasi della crisi Siriana le frontiere Turche sono state sigillate lasciando gli esuli nei campi profughi e osservando dal confine le battaglie ormai tristemente famose di Kobane.

Cosa è cambiato ? sicuramente la politica estera USA che in passato aveva chiesto alla Turchia un intervento senza però occuparsi di Assad e soprattutto senza colpire i curdi che stavano, unici e soli in quel momento, combattendo le forze dell’ISIS alle porte dei loro villaggi.

Dopo alcune dimostrazioni di forza e di immobilità generale tese soprattutto a dimostrare l’importanza strategica della Turchia nell’area gli USA hanno evidentemente dato il via libera anche su questi due punti così delicati. Visto anche l’intervento della Russia in favore di Assad che in caso di epilogo favorevole darebbe a Putin il controllo dell’area.

Da qui il via libera ai profughi siriani, confini aperti e via libera verso l’Europa che ora deve fare i connti con dei flussi che possono arrivare fino ad un milione di persone, tanti sono quelli ammassati nei campi fino ad ora.

Accoglierli sarebbe la scelta giusta anche perché lasciando la Siria mettono in seria difficolta lo Stato Islamico che si trova ora senza personale specializzato per far funzionare le infrastrutture, centrali elettriche, gasdotti, raffinerie, ospedali.

Proprio con questa chiave di lettura si devono leggere i minacciosi messaggi  che l’ISIS ha lanciato in rete in questi giorni definendo la fuga “ un grave peccato che merita una pena esemplare”.

Per questo motivo l’accoglienza dei profughi siriani e libici oltre che doverosa per chi fugge dalle guerre e dalle carestie, humus ideale per il fiorire di estremismi religiosi, potrebbe essere motivo di destabilizzazione dei programmi di crescita dei terroristi dell’ISIS.

Isis, un prodotto politico

EUROPA/POLITICA di

Istanbul, meta dei profughi di Kobane  vivono per strada. I rifugiati di Aleppo:” Assad diffonde immagini e informazioni false per conservare il potere”.

Mustafa è originario di Aleppo. Da oltre tre anni vive in Turchia a Istanbul. Come lui, tanti altri, costretti a fuggire per cercare altrove la speranza di una esistenza pacifica capace di restituire la speranza. Sono numerosi i profughi che nella capitale turca vivono per strada. Famiglie con bimbi, che mangiano e giocano sui marciapiedi, in cerca di comprensione e di qualche moneta. Quasi tutti reggono un cartello “We are from Syria. Can you help us? Thank you”. “Non mentono. Sono davvero siriani. La maggior parte di loro proviene da Kobane – spiega Mustafa, che per vivere approccia i turisti per vendere loro le gite in barca sul Bosforo. “Ne arrivano sempre di più. Io sono fuggito da Aleppo perchè vivere era diventato impossibile. Aleppo è divisa in due: da una parte c’è il Governo, dall’altra gli oppositori. Non puoi sentirti al sicuro in nessuna delle due. Se passi da una all’altra, puoi solo pregare che per te sia stata la scelta giusta”.

Mentre l’Europa decide di aprire le porte alle migliaia di profughi che chiedono assistenza e da più parti si alzano voci decise a contrastare il governo totalitario di Baghar al Assad, Mustafa racconta la sua verità. “Assad diffonde immagini e informazioni non vere al solo scopo di conservare il suo potere. Ma non è la verità quella che filtra in Occidente. Si tratta solo di un gioco politico. Isis ha iniziato a commettere brutalità nel momento in cui l’America stava tentando di rovesciare il governo Assad. Prima di allora, centinaia di uomini erano stati inviati dalla Siria in altri Stati per addestrarsi alla guerra. Poi sono stati richiamati e da quel momento Isis ha iniziato a formarsi. Isis è un prodotto politico, tutto quello che sta succedendo è soltanto una guerra di potere. Sa cosa ha detto il governo siriano dopo la morte di quel bambino annegato mentre con la famiglia scappava da Bodrum? Ha detto “Cercavano la libertà? Eccola, la libertà”. Mustafa trattiene a stento lo sdegno misto ad impotenza. “Non so cosa si possa fare per risolvere tutto ciò. So soltanto che si tratta di cose che noi non riusciremo mai a capire fino in fondo”. Anche Philippe, nome francese e cognome italiano (che evito di scrivere), è fuggito da Aleppo. Parla italiano, in onore delle sue origini, datate di un paio di generazioni, e dei viaggi compiuti nello Stivale. E’ un artigiano che vive della sua creatività nel Gran Bazar di Istanbul. “Vivo qui da tre anni. Ma non è facile. Il Governo turco mi fa pagare tre volte tanto rispetto ad un cittadino turco. Parlo delle tasse per il negozio e di tutto il resto. Tornerei a casa, ma non posso”.

 

Monia Savioli

Il problema delle migrazioni: presto a Malta vertice europeo.

BreakingNews/EUROPA/POLITICA di

Ormai, com’è noto, l’Europa ha preso realmente coscienza del problema delle migrazioni. Questo sia da un punto di vista politico e strategico, che da un punto di vista umanitario, organizzativo e gestionale. Purtroppo, il più delle volte si scrive del fenomeno nelle pagine di cronaca oltre che su quelle di politica internazionale . Sui riflessi che vengono prodotti da questo fenomeno, comunque, si è scritta una mole inimmaginabile di testi e articoli ed ancora altro si scriverà.

Quello che finalmente sorprende è proprio un interesse diffuso e concreto da parte di tutte le istituzioni europee, che finalmente si affidano più ai fatti che alle parole e che continuamente, seppur in maniera e con metodi diversi, stanno affrontando il problema.

Una delle istituzioni europee che si occupa di asilo e di immigrazione è l’EASO, l’European Asylum Support Office, il cui motto è, per l’appunto, “Support is our mission”. Di questa Agenzia europea, che opera nel settore Justice and Home Affairs abbiamo già parlato, qui su europeanaffairs.media.

Il ruolo dell’Agenzia, e l’approccio critico e costruttivo ai problemi che affliggono il mediterraneo ed il Vecchio continente in questi giorni, saranno oggetto di una conferenza ufficiale che si terrà a La Valletta, il prossimo 23 settembre. All’evento parteciperanno, ovviamente, personalità politiche e tecnici, oltre che i Key Leaders del settore migrazione: tra essi Mattias Reute, capo della Direzione Generale “Migration & Home Affairs” della Commissione Europea, e, molto probabilmente anche qualche qualificato rappresentante dell’UNHCR.

Inoltre presenzieranno alcuni autorevoli rappresentanti di alcune differenti istituzioni nazionali degli Stati Membri che si occupano di asilo, migrazione e rifugiati oltre che delle Agenzie Europee che trattano immigrazione o materie continue, come FRONTEX.

Oltre all’analisi della situazione attuale, ed alla proposta di studio di nuove strategie europee condivise, i delegati cercheranno di individuare concretamente le modalità di incentivare ed incrementare la cooperazione e la reciprocità degli aiuti e del supporto tecnico tra gli Stati Membri nella delicata materia dell’asilo e di riflettere sulle possibili sinergie da istituire con le istituzioni dei Paesi Terzi, non UE, dove i fenomeni migratori prendono spesso il via.

Non da meno, verrà studiato quale potrebbe essere il futuro dell’Agenzia, come la stessa potrà allargare le sue competenze e le sue prerogative e quali potrebbero essere le imminenti prospettive ed opportunità.

Europeanaffairs.media seguirà i lavori di questo vertice, importantissimo in questo momento, nella speranza che il “supporto” fornito dall’EASO e dall’Europa, divenga anche strumento di risoluzione dei problemi e, soprattutto, di solidarietà.

 

 

Ucraina, Kiev: almeno un morto e 90 feriti

BreakingNews/EUROPA di

Almeno un morto e circa 90 feriti, soprattutto poliziotti e volontari della Guardia Nazionale Ucraina, dopo una serie di ordigni fatti esplodere nella piazza antistante al Parlamento di Kiev da parte di manifestanti della destra nazionalista, in particolare riconducibili al partito Svoboda. La protesta è divampata a seguito dell’approvazione della prima bozza della riforma costituzionale sul decentramento istituzionale che, in linea con gli accordi di Minsk 2, prevede lo statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk.

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Un ritorno alle proteste di piazza nella capitale, dunque, ad un anno e mezzo dagli scontri di Maidan. Se gli accordi di Minsk 2 finora non erano stati rispettati per il susseguirsi degli scontri nel Donbass e il continuo rimbalzo di accuse tra Kiev e Mosca, adesso sono i gruppi nazisti a non volere cedere sul piano delle autonomie. La stessa parte politica che, negli ultimi mesi, ha visto arruolare il maggiore numero di volontari tra le brigate che combattono contro i separatisti filorussi.

Oltre alla questione dei jihadisti loro alleati in questa guerra civile, oltre alla crisi economica ucraina ormai endemica testimoniata da un debito pubblico fuori controllo, si pone il problema della collocazione nella società civile di alcuni soggetti politici sorti in difesa dei confini ucraini. La questione, infatti, non è più solo porre fine al conflitto interno al Paese e a quello internazionale che coinvolge Nato e Russia, ma il ritorno alla normalità di uno Stato che rischia di rimanere irrimediabilmente segnato al proprio interno: la destra nazista e miliziani islamisti potrebbero costituire un problema reale a due passi dall’Europa.
Giacomo Pratali

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Bielorussia: il doppio gioco di Lukashenko

EUROPA di

Rilasciati sei oppositori politici a pochi mesi dalle Presidenziali. Lukashenko tenta un timido riavvicinamento a Bruxelles, ma, temendo il ripetersi dei fatti di Maidan in casa propria, rafforza l’alleanza di tipo militare con Mosca.

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Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha decretato il rilascio di sei oppositori politici, tra cui Mykalai Statkevich, candidato alle Presidenziali del 2010: “Non pensavo che Lukashenko avrebbe avuto il coraggio di liberarmi prima delle elezioni (il prossimo 20 novembre, ndr) – afferma l’ormai ex detenuto -. Forse non avevano più soldi per il carcere. Ora per loro la situazione è ottimale. L’opposizione è in una situazione di stallo. Non può boicottare la consultazione e non è in grado di sostenere nemmeno un proprio candidato. Ecco perché mi hanno rilasciato”.

Oltre alle accuse in merito alla pesante situazione economica dello Stato ex sovietico, questi sei oppositori, così come gran parte degli attivisti presenti in Bielorussia, hanno sempre accusato Lukashenko di un eccessivo avvicinamento alla Russia e di un altrettanto forte allontamento rispetto a Bruxelles e alle democrazie europee.

La notizia del rilascio è stato accolto come “un grande passo in avanti” dall’alto rappresentante Ue Federica Mogherini, questa notizia potrebbe comportare “il miglioramento delle relazioni tra la Bielorussia e l’Unione Europea va nella auspicata direzione di un rafforzamento della tutela di diritti umani e libertà civili nel Paese. La liberazione dei sei prigionieri – osserva ancora Della Vedova – viene incontro alle aspettative che, sia bilateralmente che nel più ampio quadro del dialogo fra UE e Minsk, erano state a più riprese manifestate alle Autorità bielorusse”, afferma il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto Della Vedova.

Considerato l’ultimo dittatore europeo, Lukashenko, in carica dal 1994, ha sempre mosso le proprie pedine in base alle convenienze politiche del momento. Come nel 1997, anno dell’accordo di “Unione Statale” con la Russia. Come oggi, con la decisione del rilascio dei sei detenuti come ramoscello d’ulivo verso Bruxelles, affinché ammorbidisca le sanzioni contro i patrimoni degli oligarchi bielorussi decretate nel 2004.

Di primaria importanza per la Bielorussia, inoltre, è anche la questione ucraina. Aldilà dell’accordo tra Ucraina, Russia, Germania e Francia sancito proprio nella capitale Minsk, Lukashenko teme in patria un possibile Maidan 2, anche in virtù della diffidenza di cui gode presso tutte le cancellerie europee. Conscio di questo rischio, il Presidente bielorusso ha messo nero su bianco, lo scorso 19 agosto, l’accordo con Putin che sancisce lo sviluppo di un comune spazio di difesa aerea a corto raggio.
Giacomo Pratali

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Cyberattacco alla Dixons Carphone: 2,4 mln di clienti colpiti

Difesa/EUROPA/INNOVAZIONE di

Colpito uno dei più importanti retailer del Regno Unito. L’obiettivo erano informazioni e dati sensibili privati. Dopo avere adottato le necessarie misure di sicurezza, l’azienda si è scusata con la clientela.

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Il 3 agosto scorso i tecnici della Dixons Carphone, uno dei maggiori retailer del Regno Unito in prodotti di telefonia mobile, hanno rilevato un data breach nei propri sistemi e il conseguente furto di dati personali e sensibili di circa 2,4 milioni di clienti. Fra questi, circa 90.000 corrono il rischio che siano stati violati i propri codici di accesso a carte di credito e conti correnti online.

La notizia è stata divulgata soltanto alcuni giorni dopo con le parole del CEO Sebastian James che, porgendo le scuse di rito alla clientela, ha assicurato che l’azienda si è immediatamente adoperata mettendo in atto tutte le azioni all’uopo necessarie e adottando misure di sicurezza addizionali. Nel frattempo i siti colpiti dall’attacco, OneStopPhoneShop.com, e2save.com e Mobiles.co.uk, sono stati messi offline così come sono stati sospesi i servizi ID Mobile, TalkTalkMobile e TalkMobile.

La Dixons Carphone assicura che, in virtù del proprio modus operandi per divisioni separate, l’attacco è stato circoscritto a questi obiettivi. Si sarebbe trattato di un attacco complesso, iniziato circa due settimane prima della violazione effettiva. Disorientati i clienti, che avendo avuto notizia da parte della società della problematica di venerdì, hanno avuto difficoltà e disagi nel contattare le banche nel weekend.

La Dixons Carphone, nata nel 2014 dalla fusione fra Dixons Retailer e Carphone Warehouse, nel mese di Luglio aveva registrato una crescita di ricavi del 21%, e un aumento netto delle vendite nelle controllate irlandesi dell’8%.

Quotata alla City ha però scontato l’attacco con una flessione dell’1,7% del valore azionario e i problemi potrebbero non essere finiti. L’ente regolatore britannico, l’Information Commissioner’s Office, ha aperto un’inchiesta e, se riscontrasse che la società non ha posto in essere adeguate misure di prevenzione, potrebbe comminare una sanzione di 500.000,00 sterline.

A differenza del caso italiano Hacking Team, la vicenda britannica si configura come un fenomeno di cyber crime, il cui fine non è porre in essere un’azione diretta contro la sicurezza di uno stato, ma furto di informazioni contro i privati. Il mercato, sostengono gli esperti, è ricco. I dati di accesso a conti correnti e carte di credito valgono da 5 a 10 Sterline l’uno, mentre un set completo di dati personali può valere anche il doppio.
Leonardo Pizzuti

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Accademia della Crusca: cyberattacco a ritmo di rap

Difesa/EUROPA di

Attacco informatico alla storica istituzione per la salvaguardia della lingua italiana, nata nel ‘500. Le indagini della Digos non hanno ancora chiarito se sia stato opera di simpatizzanti dello Stato Islamico.

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“Quando America e Iran uccidono i musulmani, in Iraq, Palestina, Afganistan e Vietnam nessuno sente il latrato dei media. Ma quando lo Stato Islamico arriva per difenderci… Tu incontri le alleanze. E ti troverai di fronte i kamikaze. Io difendo la mia religione, i miei fratelli e le mie sorelle. Perché i nostri governi sono i veri terroristi. Con il suo supporto o il suo silenzio. Questa guerra è appena cominciata e noi vinceremo a Dio piacendo.”

Con questo rap intitolato “Are you human ?”, sabato 8 Agosto è stato attaccato il sito dell’Accademia della Crusca. Il Presidente dell’antica istituzione, Claudio Marazzini, ha dichiarato di essere venuto a conoscenza dell’attacco grazie ad una telefonata di un giornalista de La Nazione, che lo ha avvisato. Dopo aver ripristinato il sito, l’attacco è stato reiterato e la pagina è riapparsa la domenica.

Il manifesto, con le classiche immagini che richiamano allo Stato Islamico, era a firma di Phenomen DZ, riportando due link: il primo ad una pagina Facebook che risultava però irraggiungibile. Il secondo ad un account twitter @phenodz. Altre firme di gruppi hacker erano riportate.

Phenomen DZ risulta aver condotto una lunga serie di attacchi informatici in diversi paesi, fra cui Francia Belgio e Russia. Questi i fatti di cronaca, fra i quali si registrano anche le indagini a cura della Digos. Non è ancora chiaro se l’attacco sia veramente opera di soggetti isolati o gruppi che supportano lo Stato Islamico oppure no.

Un altro interrogativo concerne l’obiettivo in sé: la Crusca è una delle più antiche istituzioni europee, nata in Toscana nel 1538, dunque in pieno Rinascimento, per salvaguardare la lingua. Il nome rimanda proprio all’obiettivo di discernere la crusca dalla farina, garantendo la purezza della lingua. Dopo alterne vicende, con l’Unità d’Italia diviene depositaria del compito di stabilire una sorta di “canone” linguistico per l’italiano moderno.

Composta da accademici di varia estrazione e provenienza, svolge un prezioso ruolo culturale di interesse pubblico. Tuttavia (purtroppo), non sembra avere un ruolo simbolico così forte, come potrebbe essere per l’Academie Francaise, tale da giustificare un attacco teso a colpire il governo e al paese.

Questa considerazione apre la strada ad altri filoni di indagine, non necessariamente collegati al terrorismo e all’Isis, che potrebbe essere stato utilizzato come paravento. Di sicuro non è un fenomeno da sottovalutare, rappresentando una goccia nel mare agli attacchi informatici che quotidianamente assediano i siti delle istituzioni, con lo scopo di screditare e colpire l’Italia.

Toccherà agli inquirenti stabilire la gravità di questo attacco.
Leonardo Pizzuti

 

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La Difesa italiana nel contesto globale

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Intensificare lo sforzo della Difesa italiana per mantenere stabilità nelle aree di crisi, facendo i conti con i nuovi tagli imposti al settore e massimizzando i benefit delle cooperazioni internazionali.

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E’ questo il nuovo indirizzo della politica militare nazionale, inserita in un sistema di relazioni globali che da un lato garantiscono il supporto di sinergie operative e tecnologiche, dall’altro esigono risposte efficienti alle nuove sfide poste dal contesto geopolitico mondiale. Mentre l’America ci chiede formalmente di impegnarci ad arginare il problema dell’Ucraina e distendere i rapporti con la Russia, l’Europa ci affida un ruolo preponderante nella risoluzione della crisi mediterranea che la minaccia da vicino.

Ciò significa instaurare un dialogo “super partes” con i Paesi del medio oriente, rinsaldare i rapporti fondamentali con l’Egitto, appianare la questione libica, monitorare le rotte dei migranti e assumerci la responsabilità di stabilizzare l’intera area. Significa, soprattutto, acquisire una leadership che garantisca l’efficacia di strumenti collettivi quali l’Unione Europea e l’Alleanza atlantica per il rafforzamento della Politica Comune di Sicurezza e Difesa, promuovere la condivisione delle risorse tra i Paesi membri, anche in termini di misure fiscali che favoriscano incentivi al comparto militare.

Come da direttive del Libro Bianco presentato dal Ministro Pinotti, l’Italia punta a preferire le partnership multilaterali a quelle bilaterali, in assoluta controtendenza rispetto al passato, allo scopo di valorizzare il legame transatlantico alla luce dell’intesa tra la dimensione europea della Difesa e la NATO. Individuate quindi nelle regioni euro-atlantica e mediterranea le aree d’intervento prioritarie su cui concentrare gli sforzi, la presenza dei nostri militari impegnati in operazioni marginali è stata considerevolmente ridotta.

Delle oltre trenta missioni sparse in tutti i continenti, dunque, ne restano attive ventiquattro, in ambito ONU, NATO e UE. Tra queste, strategiche le missioni UNIFIL e MIBIL in Libano, volte a supportare la popolazione e le condizioni socio-economiche del Paese a seguito del conflitto siriano; la Risolute Support in Afghanistan, successiva ad ISAF e incentrata sull’addestramento delle milizie afghane; la KFOR in Kosovo, che garantisce il supporto alle organizzazioni umanitarie per l’assistenza ai profughi; le missioni European Union Training Mission in Mali, contro i gruppi terroristici locali, e in Somalia, dove l’Italia partecipa alla strategia europea per la sicurezza nel Corno d’Africa; l’operazione Prima Parthica in Iraq, di contrasto all’Isis, e infine la MIL in Libia, successiva alla guerra civile scaturita dalla caduta di Gheddafi.
Viviana Passalacqua
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Libia: pronto il piano d’intervento

Appello dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti dopo le stragi di Sirte per mano dei miliziani. In attesa dell’auspicata adesione di Tripoli al governo di unità nazionale, emergono alcuni dettagli sul piano d’azione a guida italiana in Libia: costruzione e protezione delle infrastrutture, missione di peace-keeping dei caschi blu, addestramento delle truppe regolari.

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Oltre 200 morti e almeno 500 feriti a seguito degli scontri avvenuti nell’ultima settimana a Sirte. Il susseguirsi delle stragi per mano dei miliziani affiliati all’Isis ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e orrore. Crimini, come la crocifissione di 12 miliziani salafiti o i 22 pazienti di un ospedale morti a seguito di un incendio appiccato dai jihadisti, che hanno fatto gridare al “genocidio” il governo di Tobruk.

“Siamo profondamente preoccupati dalle notizie che parlano di bombardamenti indiscriminati su quartieri della città densamente popolati e atti di violenza commessi al fine di terrorizzare gli abitanti – afferma il comunicato congiunto dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti -. Facciamo appello a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace affinché uniscano le proprie forze per combattere la minaccia posta da gruppi terroristici transnazionali che sfruttano la Libia per i loro scopi”, conclude la nota.

La necessità del governo di unità nazionale, auspicata dalla comunità internazionale, è quanto mai di attualità. Le Nazioni Unite attendono con ansia la decisione di Tripoli, dopo l’accordo tra le restanti fazioni del Paese. C’è un piano da attuare per frenare l’avanzata dell’Isis in Libia.

Già da mesi, si mormora di un intervento militare a guida italiana e sotto l’egida dell’Onu. Un piano d’azione già redatto dalla Farnesina e su cui sta lavorando alacremente lo stesso Bernardino Leon, ancora più indispensabile dopo la conquista di Sirte, le stragi a ripetizione e l’emergenza migratoria.

Come emerso nelle ultime ore, questo piano d’azione riguarda la fase successiva alla costituzione del governo di unità nazionale. In primis, tale esecutivo dovrebbe fare richiesta ufficiale di aiuti internazionale. Così, potrebbe scaturire il sostegno finanziario, ma soprattutto militare, indispensabile per stabilizzare la Libia e contrastare lo Stato Islamico.

Oltre che ai sussidi per la costruzione di infrastrutture come strade e aeroporti, oltre alla protezione degli impianti petroliferi e gasiferi, il clou di questo piano sarebbe l’intervento sul campo dei caschi blu Onu come forza di peace-keeping e l’addestramento delle truppe dell’esercito regolare libico.

L’abbattimento dei flussi migratori verso Italia e Grecia e la sconfitta dell’Isis passano, perciò, attraverso una stabilizzazione istituzionale, politica ed economica della Libia, come spiegato dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni: “L’accordo per un governo nazionale in Libia resta la sola possibilità affinché con il supporto della comunità internazionale si possa far fronte alla violenza estremista e al peggioramento quotidiano della situazione umanitaria ed economica del Paese”. Tripoli, dunque, deve sbrigarsi. Il tempo, oramai, stringe.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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