12 novembre 1961 a Kindu caduti per la Pace

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Il 12 novembre di vent’anni fa, l’Italia si fermò per onorare 19 italiani: 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili. A Nassiriya, rimasero vittime di un vile attentato alla base Maestrale dell’Arma. Nel ventennale di quella strage, auspico che possa rimanere sempre viva la memoria di quegli Uomini che erano in Iraq per portare la Pace. Erano in quel travagliato paese sotto l’egida delle Nazioni Unite, dopo la risoluzione 1483 del 22 maggio 2003 approvata dal Consiglio di Sicurezza, che invitava tutti gli Stati a contribuire alla rinascita dell’Iraq, favorendo la sicurezza del popolo iracheno e lo sviluppo della nazione.

Nel ricordare quegli Uomini, oggi gradirei rinnovare la memoria di altri militari italiani caduti per la Pace, sulla via del Dovere. Anche loro furono vittime di un eccidio forse proprio il 12 novembre, ma del 1961. Anche loro operavano sotto l’egida dell’ONU, ma a Kindu, in Congo. Erano 13 aviatori, membri degli equipaggi dei due bimotori C-119 Lyra 5 e Lupo 33, effettivi alla 46ª Brigata aerea di Pisa.

Nel novembre 1961, i 13 militari dell’Aeronautica Militare operavano da oltre un anno nella missione ONUC (Operazione delle Nazioni Unite in Congo), stabilita con la risoluzione 143 del Consiglio di Sicurezza. Il Congo, dopo la proclamazione dell’indipendenza dal dominio coloniale belga il 30 giugno 1960, fu caratterizzato da una forte instabilità. La missione militare ONU, avviata il 15 luglio, aveva lo scopo di assicurare il ritiro delle forze belghe ed assistere il governo locale nell’instaurare una situazione ordinata. L’ONUC si occupava anche di garantire l’integrità territoriale e l’indipendenza del Paese con una provincia, il Katanga, che si era dichiarata indipendente, per cercare di impedire il verificarsi di una guerra civile.

Proprio come quest’anno, l’11 novembre 1961 era un sabato. Quella mattina i due aerei italiani decollarono dalla capitale Leopoldville (oggi Kinshasa), per portare rifornimenti al contingente militare del Malawi, che controllava un aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. La zona, da mesi, era sconvolta dal passaggio delle truppe della Repubblica libera del Congo dirette nel Katanga. Erano soldati indisciplinati, spesso ubriachi e dediti a saccheggi in danno delle popolazioni locali. Poche settimane prima, il 25 settembre, nel corso di scontri tra i locali, era rimasto ferito a morte, proprio a Kindu, Raffaele Soru, un caporale infermiere del Corpo militare della Croce Rossa Italiana.

Quell’ 11 novembre, gli aerei italiani dovevano fermarsi a Kindu solo per il tempo necessario a scaricare i rifornimenti. Gli equipaggi avrebbero approfittato della breve sosta per mangiare. I due C-119 atterrarono intorno alle 14:00. Da giorni in città vi era un’agitazione maggiore del solito: fra i duemila soldati del regime di stanza a Kindu si era sparsa la voce che fosse imminente un lancio di paracadutisti mercenari al soldo del regime indipendentista del Katanga. I due aerei italiani furono scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti. Questo scatenò la reazione incontrollata dei soldati di stanza a Kindu: diverse centinaia di congolesi si recarono all’aeroporto. In quel momento i tredici militari italiani erano alla mensa dell’ONU, una villetta distante un chilometro dalla pista. Intorno alle 16:15 i congolesi fecero irruzione nell’edificio, dove italiani e malawensi, quasi tutti disarmati, si erano barricati: un’ottantina di soldati congolesi sopraffecero rapidamente gli occupanti della palazzina e li malmenarono duramente. Si accanirono in particolare contro gli italiani scambiati per mercenari belgi al soldo dei katanghesi. Il Tenente medico Francesco Paolo Remotti provò a fuggire lanciandosi da una finestra, ma fu subito raggiunto dai congolesi, che lo uccisero. Verso le 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi, guidati dal comandante del presidio di Kindu. Il comandante malawense, maggiore Maud, provò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell’ONU. Intorno alle 17 i dodici italiani, costretti a portare con loro il cadavere di Remotti, furono con la forza rinchiusi in una prigione locale. Mentre il maggiore Maud e il suo vice discutevano se fosse meglio trattare il rilascio pacifico degli italiani o tentare un’azione per liberarli, quella notte giunsero all’aeroporto di Kindu alti funzionari dell’ONUC, per aprire una trattativa con i miliziani locali. Il tentativo purtroppo fallì. Appariva chiaro che gli ufficiali congolesi avessero perso il controllo sui loro uomini. Quella notte, diversi soldati locali entrarono nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani, uccidendoli tutti a colpi di mitra. I loro corpi senza vita furono abbandonati lì per diverse ore. In seguito il custode del carcere, temendone lo scempio, li trasportò nella foresta fuori città, seppellendoli in una fossa comune. I miliziani congolesi poi accusarono falsamente gli italiani di fornire le armi ai secessionisti del Katanga.

Per diversi giorni non si seppe nulla della sorte degli aviatori. Lo stesso comando ONU temporeggiò per evitare di scatenare una rappresaglia contro gli italiani, senza sapere che questi erano già stati uccisi. Solo alcune settimane dopo, l’eccidio il custode del carcere raccontò le circostanze dell’eccidio, contattando le autorità ONU per predisporre il recupero delle salme.

Nel febbraio del 1962 un convoglio della Croce Rossa austriaca, scortato da un contingente di caschi blu etiopi e accompagnato da due ufficiali della 46ª Aerobrigata, rinvenne la fossa comune dove erano stati seppelliti gli italiani. Erano nel cimitero di Tokolote, un villaggio ai margini della foresta. I cadaveri furono facilmente identificati, perché erano stati protetti da una grossa crosta di argilla, che ne agevolò la conservazione. Le salme furono riesumate il 23 febbraio 1962. Arrivarono poi all’aeroporto di Pisa l’11 marzo. All’indomani furono celebrati i funerali solenni, alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni.

Non dobbiamo dimenticare i loro nomi:

  • Maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, 43 anni, da Bologna;
  • Capitano pilota Giorgio Gonelli, 31 anni, da Ferrara;
  • Tenente medico Francesco Paolo Remotti, 29 anni, da Roma;
  • Sottotenente pilota Onorio De Luca, 25 anni, da Treppo Grande (UD);
  • Sottotenente pilota Giulio Garbati, 22 anni, di Roma;
  • Maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, 42 anni, da Palermo;
  • Maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, 42 anni, da Montefalco (PG);
  • Sergente maggiore montatore Silvestro Possenti, 40 anni, da Fabriano (AN);
  • Sergente maggiore marconista Antonio Mamone, 28 anni, da Isola di Capo Rizzuto (KR);
  • Sergente maggiore montatore Nicola Stigliani, 30 anni, da Potenza;
  • Sergente maggiore elettromeccanico di bordo Armando Fausto Fabi, 30 anni, da Giuliano di Roma (FR);
  • Sergente elettromeccanico di bordo Martano Marcacci, 27 anni, da Collesalvetti (LI);
  • Sergente marconista Francesco Paga, 31 anni, da Pietrelcina (BN).

Le loro salme sono tumulate nella Cappella Sacrario ai Caduti di Kindu presso l’aeroporto di Pisa.

Le circostanze esatte dell’eccidio sono ancora oggi poco chiare. A lungo, varie voci hanno sostenuto che il massacro fosse avvenuto con la partecipazione o comunque davanti alla popolazione locale. Si è persino detto che i corpi degli avieri italiani fossero stati mutilati. La ricostruzione dei fatti in seguito al ritrovamento delle salme ha smentito buona parte di questi dettagli.

Nel 1994, alla loro memoria fu concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare. La motivazione evidenzia che ognuno di quei militari “nel quadro della partecipazione italiana all’intervento di intermediazione delle Forze dell’ONU nell’Ex-Congo, consapevole dei pericoli cui andava incontro, ma fiducioso nei simboli dell’Organismo internazionale e convinto della necessità di anteporre la costruzione della nascente Nazione all’incolumità personale, sopraffatto da un’orda di soldati sfuggiti al controllo delle forze regolari, percosso gravemente sotto la minaccia delle armi, interveniva in difesa dei suoi uomini/colleghi, protestando la nazionalità italiana e la neutralità delle parti. Preso in ostaggio e fatto oggetto di nuove continue violenze, veniva barbaramente trucidato, offrendo la propria vita per la pacificazione dei popoli e destando vivissima commozione nel mondo intero. Luminoso esempio di estrema abnegazione e di silenzioso fino al martirio”.

Nel 2007, un monumento ai caduti di Kindu è stato inaugurato presso l’ingresso dell’aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci”, a Fiumicino.

Sono trascorsi oltre sessant’anni da quell’eccidio, come venti da Nassiriya. La memoria continua, da parte delle Istituzioni militari italiane, ci insegna che i decenni sono solo un attimo sulla via del Dovere.

Bookreporter Settembre

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