“Venerdì 13” e la sfortuna

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“Venerdì 13” è sinonimo di sfortuna in tanti paesi. La giornata del venerdì e il numero 13 combinati insieme avrebbero un effetto avverso, innescando spesso la scaramanzia. La superstizione secondo cui questo giorno sarebbe nefasto è in voga in tante nazioni sia anglosassoni che latine. L’idea che la giornata sia portatrice di cattivi auspicii è talmente forte che il numero 13 è stato eliminato dalle file di sedili sugli aerei di linea.

Da dove deriva questa credenza popolare?

Da un punto di vista storico, l’unico episodio degno di nota avvenne proprio un venerdì di ottobre. Dopo sette secoli, ricordiamo ancora che venerdì 13 ottobre 1307 il re di Francia Filippo IV “Il bello” ordinò l’arresto dei cavalieri templari. Appartenevano ad un potente ordine religioso e militare, creato in Terra Santa nel 1120. I templari furono incarcerati con accuse gravi per l’epoca, ma l’obiettivo della corte di Francia era forse l’ingente patrimonio del sodalizio. L’ordine dei templari fu poi soppresso dal Papa, ma la fama di quei cavalieri è ancora viva. Esistono ancora oggi molte leggende che coinvolgono i templari. Esiste un legame tra i Templari e la superstizione del venerdì 13? Non saprei. La verità rimane spesso oscura, ma tenderei ad escludere una relazione tra venerdì 13 e i templari. Il motivo è semplice: esistono connessioni tra il venerdì e il 13 già prima del 1307.

Si pensi che già nella mitologia scandinava il 13 porta sfortuna: in origine c’erano 12 semidei. Quando poi arrivò il tredicesimo, Loki, gli uomini scoprirono la sua crudeltà. Da qui, in quelle terre, il 13 è divenuto segno di malaugurio.

Il legame tra il numero 13 e la sfortuna è documentato anche nell’Antica Grecia. Lo storico greco Diodoro Siculo (I secolo a. C.) narra che Filippo II (IV secolo a. C.), re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, fu ucciso da una guardia del corpo, dopo aver fatto inserire una sua statua accanto a quelle delle 12 divinità dell’Olimpo. La sua la morte sarebbe stata la conseguenza di questo “sgarbo” agli dei.

La diffidenza verso il 13 risalirebbe addirittura agli assiro-babilonesi, che, secondo antiche valutazioni astrologiche, ritenevano il 12 un numero sacro perché agevolmente divisibile. Proprio perché il 13 viene dopo il 12 avrebbe dato a questo numero la fama di porta sfortuna. In molte culture il numero 12 è storicamente associato alla completezza (ci sono 12 mesi e 12 segni zodiacali, 12 le fatiche di Ercole, come le divinità dell’Olimpo o le tribù di Israele, solo per fare alcuni esempi). Il 13, come numero successivo, ha una lunga storia quale segno di sfortuna.

Le attribuzioni nefaste del venerdì 13 troverebbero riscontro anche nella tradizione biblica: nell’Ultima Cena il tredicesimo commensale fu Giuda, l’apostolo traditore. Inoltre Gesù fu crocifisso di venerdì. Si narra che fosse un venerdì anche il giorno in cui Eva diede ad Adamo la fatidica mela, così come il giorno in cui Caino uccise suo fratello Abele.

Ovviamente una spiegazione razionale agli effetti del venerdì 13 non esiste. Questa chiara superstizione ha tuttavia conseguenze concrete: oltre la citata mancanza della fila 13 sugli aerei, negli Stati Uniti si evita di chiamare con il suo nome il 13° piano dei palazzi; si passa così dal 12° al 14° piano, come si nota anche negli ascensori.

La combinazione “venerdì 13” capita almeno una volta all’anno, con un massimo di tre. Il ospita due venerdì 13: uno a marzo e uno a novembre.

Nella nostra Italia, il 17 è ritenuto più “pericoloso” del 13. Nella smorfia napoletana il 17 equivale alla “disgrazia”. Già in Grecia il numero non era amato dai matematici perché intermedio al 16 e al 18, ideali nello studio dei quadrilateri. Anche nell’Antica Roma il 17 non era gradito: sulle tombe era scritto VIXI (“vissi”), anagramma di XVII. Opinione diametralmente opposta esiste in Israele, dove il 17 porta fortuna, perché, nella cabbala ebraica, il 17 è la somma di têt (9), waw (6) e bêth (2) che portano alla parola tôv “buono, bene”.

In tema di superstizione, Benedetto Croce, il filosofo morto a Napoli nel 1952, diceva: “non è vero, ma prendo le mie precauzioni”. Questa frase fu poi ripresa dal grande Eduardo che soleva dire “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”. Il fratello Peppino De Filippo scrisse una commedia in tre atti dal titolo “Non è vero, ma ci credo”.

Quando a Benedetto Croce fu ricordato che era solito eseguire gesti scaramantici (‘fare le corna’), pur non essendo superstizioso (come aveva affermato), il grande pensatore rispose: ‘Ma no! Io non ho detto questo. Ho detto, invece, che il dubbio se credere o non credere alla iettatura è superato dal fatto che il rimedio contro la iettatura l’abbiamo sempre a portata di mano […]’.

Pensando oggi a Venerdì 13, potremmo forse tutti seguire il suo consiglio, “facendo le corna”?

Bookreporter Settembre

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