Pink Floyd, quarant’anni di The Wall

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Trenta novembre 1979, vede la luce The Wall, opera rock dei Pink Floyd, un album destinato ad un grande successo, interpretato in teatro e trasposto in un film di altrettanto successo e collocato da Rolling Stones al numero 83 fra i 500 album di sempre. Si tratta di uno degli LP che, forse più di altri nel suo genere ha influenzato una generazione e visto l’apice della carriera dei Pink Floyd, le cui musiche già avevano attraversato quasi venti anni in uno dei periodi più significativi e di evoluzione nella storia della musica.

Il genere dell’opera rock non era nuovo, risalendo ad oltre dieci anni prima, nato al Piper di Roma, dove Tito Schipa Junior, figlio del più famoso tenore, lanciò un esperimento con alternanza di musica e recitazione unendo tra loro brani di Bob Dylan. Negli anni altre opere rock seguirono. Tra le più importanti e significative troviamo quelle degli Who, con Peter Townsheed al massimo della sua forma: Tommy, del 1967, in cui predominano aspetti onirici nella vicenda del ragazzo che diviene cieco, sordo e muto; e Quadrophenia del 1972. Il rock, non più legato alla misura del 45 giri, ma ormai libero negli spazi temporali di un LP o di una musicassetta, ben poteva confrontarsi con le opere classiche. Altri esempi di opera rock, ancorchè più avvicinate al musical classico possono essere considerate Jesus Christ Superstar e Hair, entrambe di Andrew Lloyd Weber. Anche Elton John si è cimentato nel genere, con Captain Fantastic and the old dirty cowboy, e possiamo ricordare anche i Genesis di The Lamb lies down on Broadway, ultimo album di di Peter Gabriel con il gruppo.

The Wall è in ogni caso un album che segna un periodo non solo musicale, ma storico nel suo complesso. E’ la fine degli anni settanta, quelli della contestazione, del post Vietnam, la vigilia di un decennio caratterizzato da Ronald Reagan e Margareth Thatcher e terminato con il crollo di un altro muro, quello di Berlino. I Pink Floyd venivano da successi come Wish you where here e The dark side of the moon, album che erano rimasti a lungo nelle classifiche dei dischi più venduti.

La storia di Pink, la rockstar protagonista dell’Album, si snoda in un periodo che va ben oltre il collasso nervoso di una rock star che sembra essere un po’ l’immagine e l’emblema dei quattro componenti storici del gruppo (Waters, l’artefice del progetto, Gilmour, Mason e Wright che era però già ai margini della band), ma forse anche di Syd Barrett, originario membro che ne era fuoriuscito dopo i primi anni ma la cui presenza sembrava sempre aleggiare.

Di quel lavoro si ricordano sicuramente gli effetti speciali che intervallavano i brani; pianti di bambini elicotteri. La canzone simbolo, Another briock in the wall, con il suo ritmo martellante e il coro degli studenti che invita i professori a lasciarli in pace (Hey teachers leave those kids alone) perché non c’è bisogno di istruzione, sono state cantate e ricantate da tutte le generazioni che, da allora, si sono succedute sui banchi di scuola, forse inconsapevoli del significato del messaggio. La rigidità del sistema inglese, per Pink, rappresentava un nuovo mattone che si stava aggiungendo a quel muro che lui stava costruendo intorno a se stesso ma che, al termine dell’opera, cade lasciandolo libero. Un po’ proprio come il muro di Berlino.

La critica non è concorde se collocare questo album tra i migliori o i peggiori dei Pink Floyd. Sicuramente si avverte la mancanza delle tastiere di Wright che avevano caratterizzato, con i loro tappeti, i precedenti album, in particolare The dark side of the moon. Ciò che sicuramente è incontestabile è che l’album segnò la sua epoca e non solo. Ricordiamo anche, per comprendere la grandezza, che si trattava di un doppio non proprio economico per le tasche dei fan del gruppo che, in tutto il mondo, non esitarono a tassarsi pur di averlo. Impossibile anche solo immaginare quante volte sia stato ascoltato su stereo e giradischi o passato per radio; un’attività che oggi valutiamo in click, ma che fino agli anni duemila aveva un maggior valore, dato anche solo dal togliere il disco, pulirlo con il panno antistatico e metterlo sul piatto, ovvero riavvolgere la musicassetta.  Era poi un’epoca in cui l’immagine del cantante non aveva lo stesso valore di oggi; in non molti dischi le cover erano disegni, immagini e non le fotografie dei cantanti o delle band. Un particolare di non poco rilievo.

Inoltre al momento della sua uscita non era probabilmente neppure in programma il film che ne venne tratto, con le sue immagini oniriche e accattivanti e come protagonista l’allora poco conosciuto Bob Geldof. Era un’epoca in cui gli effetti speciali erano demandati ai concerti, e non certo ai video, e nel successivo tour i Pink Floyd dettero il meglio proprio in questi, probabilmente indispensabili per la riuscita del progetto, al punto che, dopo The Wall, non si esibirono più dal vivo, essendo forse impossibile ricreare quelle atmosfere.

Diciamo che quello dei Pink Floyd è un muro di cui possiamo ben essere felici di celebrare il compleanno, ricordando però che, al termine dell’opera, il protagonista lo abbatte e si espone al confronto con i propri simili.

 

Bookreporter Settembre

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