Dall’avvento di Internet e, in particolare, dalla diffusione dei social, esistono nuove patologie una volta sconosciute all’Homo sapiens. Questi disturbi sono il risultato di un’esposizione continua e spesso distorta alla realtà, influenzata dalle dinamiche dei social media e dalla loro enfasi sull’immagine e sulla percezione sociale.
Tra le nuove patologie emergenti troviamo la FOMO (Fear of Missing Out), cioè la paura costante di essere esclusi da esperienze gratificanti che gli altri stanno vivendo come, ad esempio,. La vita di un gruppo o l’ultimo post di un influencer. A questa aggiungiamo la nomofobia, vale a dire la paura irrazionale di rimanere senza il proprio smartphone o senza connessione. Non ultima è la Sindrome del Like che è il frutto di una dipendenza dalla validazione sociale espressa attraverso i “mi piace” e i commenti sui propri post. Una forma ossessiva di dover essere accettati e apprezzati per quello che si vuol fare apparire.
Tuttavia, la forma probabilmente più grave, e inquietante per i suoi risvolti sociali, è la Sindrome da Snapchat.
Questa condizione, che prende il nome dalla popolare applicazione di social media, rappresenta una distorsione della percezione di sé alimentata dall’uso eccessivo di filtri e strumenti di modifica delle immagini. La dismorfia da Snapchat indica la tendenza di alcuni pazienti a ricorrere ossessivamente ad interventi di chirurgia estetica pur di assomigliare all’immagine di se stessi modificata dai filtri colorati di app come Snapchat.
In un’epoca in cui l’apparenza sembra avere un’importanza predominante, in cui diventare la star del momento sui social è il sogno che anni fa poteva essere quello di fare l’astronauta o diventare uno scienziato, le persone sono sempre più spinte a conformarsi a standard di bellezza irrealistici, spesso manipolati digitalmente.
Questo fenomeno non solo mette in luce il crescente impatto dei social media sulla nostra autostima e percezione di sé, ma rappresenta anche un simbolo del degrado a cui si può giungere quando l’ossessione per l’apparire prende il sopravvento.
Già nel 2018 veniva lanciato un allarme da psicologi e chirurghi plastici su come le app e i filtri possano essere dannosi per la nostra autostima e se possano portare a problemi come il disturbo di dismorfismo corporeo, un disturbo dell’immagine corporea “caratterizzato da preoccupazioni persistenti e intrusive con un immaginario o lieve difetto nella propria personalità. aspetto”, secondo l’Anxiety and Depression Association of America.
Alcuni medici segnalavano come i loro pazienti portassero persino selfie filtrati ai loro chirurghi plastici per illustrare ciò che stavano cercando di ottenere. Nacque all’epoca la definizione“Snapchat Dysmorphia”.
Alcuni sostengono addirittura che i filtri di Snapchat e altre simili applicazioni potrebbero farci dimenticare il nostro vero aspetto.
Tutto ciò, peraltro, è stato sottolineato come possa far perdere la prospettiva su come sei realmente. È stato fatto acutamente notare che, in passato, le foto alterate erano generalmente riservate a celebrità e modelle nelle pubblicità o nelle riviste, e sapevamo che queste immagini erano state modificate.
Oggi invece l’immagine della perfezione ad ogni costo è diventata un traguardo raggiungibile e, apparentemente, alla portata di tutti. I social, in questo senso, non sono esenti da colpe e, anzi, sembra che con i loro algoritmi contribuiscano addirittura a far crescere i livelli di ansia e depressione in chi, dopo aver visitato i profili di cotanta perfezione, non si sente all’altezza di chi ha scelto ocme proprio modello di vita.
Il fenomeno della dismorfia da Snapchat, come anche quello delle altre forme di dipendenza da Internet e social-addiction, rappresenta una delle molteplici conseguenze dell’uso eccessivo e distorto dei social media. L’ossessione per l’apparenza, la voglia di mettersi a fianco o di emulare un simbolo di immagine, spesso slegata dalla sostanza, alimentata dai filtri e dagli strumenti di modifica delle immagini, può portare a gravi conseguenze psicologiche, soprattutto nei giovani. È cruciale riconoscere questi pericoli e promuovere un uso più sano e consapevole delle tecnologie digitali, aiutando le nuove generazioni a sviluppare un’immagine di sé più realistica e positiva.
Scuola e famiglia come strumenti di contrasto? Teoricamente la soluzione potrebbe vederli come protagonisti magari collaborando insieme; ma siamo sicuri che molti giovani e giovanissimi vogliano essere curati?