GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Settembre 2015 - page 3

Terrorismo in Turchia: il cordoglio della Nato

BreakingNews di

L’ultimo degli attentati consumati in Turchia è datato un mese fa. Era il 10 agosto quando una raffica di esplosioni e scontri a fuoco ha provocato a Istanbul e nella provincia sudorientale di Sirnak alcuni morti fra poliziotti e militari. La paternità degli attacchi è stata attribuita ai seguaci del partito di opposizione curda PKK e ad alcuni esponenti del gruppo di estrema sinistra Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo Dhkp-c che hanno preso di mira, quale ultimo obiettivo, il consolato Usa di Istanbul provocando uno scontro a fuoco con la polizia, terminato senza alcuna perdita. E’ alle vittime di quella mattinata di terrore che è rivolto il messaggio di cordoglio diffuso dal Segretario Generale della Nato, Jeans Stoltenberg, che ha espresso parole di condanna contro gli attacchi terroristici più recenti e solidarietà per il popolo ed il governo turco. Parole simili erano state pronunciate anche a luglio, a seguito dell’esplosione che a Suruc, località ai confini con la Siria, aveva provocato 28 vittime, uccise mentre si trovavano al centro culturale della città per definire il supporto alla ricostruzione della città di Kobane. In quel caso, fra i possibili mandanti dell’attentato, erano stati identificati i terroristi dell’Isis. La rottura della tregua annunciata nel 2013 dal leader storico del PKK, Ocalan, si è definitivamente interrotta, come si legge nel comunicato lanciato dal Partito dei Lavoratori Curdi nel luglio scorso, “dopo gli intensi bombardamenti aerei da parte dell’esercito di occupazione turco”. L’annuncio è bastato ad Ankara e al leader dell’Akp, Recep Tayyip Erdogan, a sostenere con forza la necessità di tornare di nuovo alle urne dopo il trionfo che le forze politiche curde dell’Hdp, guidato da Selahattin Demirtaş, hanno ottenuto nel giugno scorso, superando la soglia del 10% imposta da Erdogan ed entrando, per la prima volta, in Parlamento. La stessa paternità degli attacchi terroristi di inizio agosto attribuiti al PKK sarebbe incerta al punto da ritenerla strumentale alla richiesta di elezioni anticipate lanciata da Erdogan ed ora accolta. La data delle nuove votazioni è stata fissata al 1° novembre. Nel frattempo si è formato un governo esecutivo ad interim che non esclude eccessive intromissioni, mancando precedenti, da parte di Erdogan.

Monia Savioli

Crisi profughi: l’attività di Msf in Grecia

EUROPA di

La Grecia è il Paese europeo da cui transitano il maggior numero di migranti, in special modo profughi siriani e iracheni. Negli ultimi due mesi, essi hanno approfittato del lasciapassare dai confini turchi. Le isole del Mar Egeo costituiscono la prima tappa per raggiungere gli altri Paesi dell’Ue attraverso la rotta balcanica: 244 855 persone sono infatti transitate dalla Turchia alla Grecia da gennaio ad oggi. Per esaminare al meglio questa emergenza umanitaria, European Affairs ha intervistato Constance Theisen, Responsabile degli Affari Umanitari di Msf in Grecia. Tra i temi affrontati, le attività in loco della Ong, tra cui cure mediche e distribuzione di generi di prima necessità ai migranti.

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Quali funzioni svolge Msf in Grecia?

“Il nostro scopo in Grecia e lungo la rotta dei Balcani (infatti, siamo attivi anche in Serbia), è di cercare di aiutare i migranti e i rifugiati appena arrivati, dove ce n’è necessità:

– Isola di Lesbo: acqua e servizi igienico-sanitari nel campo di Kara Tepe e nel campo informale di Moria. Abbiamo messo a disposizione due squadre mediche per le cliniche mobili nei campi e nel porto Mitilene, dove la gente dorme all’aperto. Abbiamo predisposto anche un servizio di sostegno alla salute mentale attraverso uno psicologo. In più, essite un servizio navetta dal nord al sud dell’isola, in modo che le persone non debbano percorrere 65 chilometri a piedi sotto il sole;
– Isola di Kos: rifugio, acqua, servizi igienici e cliniche mobili nel campo dell’hotel Captain e ovunque nel centro abitato di Kos, dove la gente dorme all’aperto. È stato istituito un sostegno alla salute mentale tramite uno psicologo. È stata inoltre allestita la distribuzione di kit con coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche;
– Isole del Dodecanneso: una squadra medica è di base su una barca per cliniche mobili nelle isole di Simi, Leros, Tilos, Kalymnos. Esiste un centro di distribuzione di generi non alimentari: kit con coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche. Abbiamo istituito un supporto, in tutte le isole, di attivisti locali e mediante il ricovero (tende di reti ombra) per creare uno spazio in cui le persone possano dormire;
– Atene: abbiamo un progetto per aiutare le persone che hanno subito maltrattamenti (torture …) con un supporto medico e psicologico e un assistente sociale;
– Al confine settentrionale tra la Grecia e la Macedonia: lavoriamo al valico di Idomeni, dove la gente viaggerà fino alla destinazione finale attraverso la croce balcanica in Macedonia. Qui esiste un gruppo di medici per le consultazioni, uno psicologo e abbiamo installato servizi igienici e docce. Il nostro team distribuisce anche articoli non alimentari: it kcon coperta, torcia, spazzolino da denti, dentifricio, barrette energetiche”.

 

La Grecia è divenuta a tutti gli effetti il punto principale di passaggio verso Germania, Svezia e Norvegia?

“La Grecia è divenuta la principale porta d’accesso all’Europa: 244855 persone sono arrivate finora (attraversando il tratto di mare dalla Turchia alle isole del Mar Egeo) contro i 119500 arrivi in Italia dall’inizio del 2015 (secondo le stime dell’Unhcr diffuse l’8 settembre 2015)”.

 

Qual è l’atteggiamento del governo greco nei confronti dei profughi?

“Il governo non ha dimostrato di possedere nessuna capacità di comando per rispondere alla crisi in modo costruttivo. L’unico modo per risolvere il problema di tante persone che arrivano sulle isole, costretti a dormire fuori per giorni prima che la polizia locale li registri e dare loro la carta necessaria per lasciare l’isola, è quello di avere più polizia di frontiera che operi nei campi di accoglienza/di transito in tutte le isole. Invece, le autorità greche hanno inviato più polizia antisommossa e non hanno messo in campo nessuna iniziativa per individuare spazi (campi, stadi …) in cui la ricezione a lungo termine possa essere organizzata. Essi hanno disatteso le proprie responsabilità: nessuna distribuzione di cibo organizzata nella maggior parte delle isole (Kos, Leros, Symi, Kalymnos) o insufficienti in tutti gli altri (Lesbo, per esempio). E hanno abusato dei migranti con un uso eccessivo della forza di polizia (la scorsa settimana, a Lesvos, il nostro team medico ha trattato oltre 10 persone che hanno riferito di essere stato picchiato da polizia)”.

 

Secondo il vostro punto di vista, quali sono le differenze con l’operato del governo italiano?

“Non posso parlare in maniera esaustiva del sistema italiano d’accoglienza, poiché non lo conosco così da vicino. Tuttavia, credo che l’Italia abbia messo in atto un sistema nazionale di accoglienza, in conformità con le norme dell’UE, fornendo due cose: all’arrivo uno screening medico e lo screening per le vulnerabilità a tutte le persone che arrivano; riparo (centri) e cibo in tutto il paese.

Invece, in Grecia:
– nessuno screening sanitario sistematico;
– nessuno screening per le vulnerabilità;
– nessun rifugio, eccetto in alcuni posti nelle isole di Lesbo e Chios;
– nessun approvvigionamento sistematico degli alimenti;
– nessun accesso ai servizi igienico-sanitari, tranne in alcuni posti nelle isole di Lesbo e Chios.

 

Quanto le rotte terrestri sono preferite a quelle marittime?

“La via utilizzata dai Siriani per raggiungere l’Unione europea è cambiata per una serie di motivi. La situazione attuale in Libia. Le restrizioni sui visti per i siriani in viaggio verso l’Egitto. Il soggiorno sempre più difficile in Giordania, Libano e Turchia, come riportato dall’Unhcr sull’accesso ai servizi di protezione e al mercato del lavoro locale. In Grecia, dal momento che i controlli negli aeroporti sono aumentati, sempre più persone scelgono la via di terra attraverso i Balcani per raggiungere la loro destinazione finale”.
Quali sono le vostre statistiche relative al 2015?

“ Gli interventi fino al 31 luglio sono stati:
– 3236 a Kos;
– 300 nelle vicine isole del Dodecaneso;
– 3000 a Idomeni.

I kit distribuiti fino al 31 luglio sono stati più di 20 000 in tutto il Paese”.

Giacomo Pratali

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Accoglienza ai rifugiati un’arma contro l’ISIS

EUROPA/POLITICA di

Fiumi di persone, famiglie intere percorrono a piedi il corridoio balcanico, chilometri infiniti da Salonicco alla frontiera Ungherese e poi la speranza di fermarsi in Germania, Austria o nei paesi del Nord come la Danimarca.

Un flusso di rifugiati che ha sorpreso l’opinione pubblica europea abituata alla tratta mediterranea con accesso a l’Italia ma sicuramente meno inattesi dalle istituzioni europee che conoscono da oltre un anno le condizioni dei campi profughi siriani al confine con la Turchia.

Il vero cambio di regia lo ha stimolato la politica estera della Turchia che ha assunto in questi anni di instabilità la delicata posizione di ago della bilancia nella geopolitica mondiale.

Stato di frontiera con la Siria da sempre nemica di Assad e delle popolazioni Curde che si dividono tra Siria, Iraq e Turchia dove alle ultime elezioni hanno conquistato una rappresentanza in parlamento grazie al 10% di preferenze votate. Una vera spina nel fianco del presidente Erdogan.

Dalle prime fasi della crisi Siriana le frontiere Turche sono state sigillate lasciando gli esuli nei campi profughi e osservando dal confine le battaglie ormai tristemente famose di Kobane.

Cosa è cambiato ? sicuramente la politica estera USA che in passato aveva chiesto alla Turchia un intervento senza però occuparsi di Assad e soprattutto senza colpire i curdi che stavano, unici e soli in quel momento, combattendo le forze dell’ISIS alle porte dei loro villaggi.

Dopo alcune dimostrazioni di forza e di immobilità generale tese soprattutto a dimostrare l’importanza strategica della Turchia nell’area gli USA hanno evidentemente dato il via libera anche su questi due punti così delicati. Visto anche l’intervento della Russia in favore di Assad che in caso di epilogo favorevole darebbe a Putin il controllo dell’area.

Da qui il via libera ai profughi siriani, confini aperti e via libera verso l’Europa che ora deve fare i connti con dei flussi che possono arrivare fino ad un milione di persone, tanti sono quelli ammassati nei campi fino ad ora.

Accoglierli sarebbe la scelta giusta anche perché lasciando la Siria mettono in seria difficolta lo Stato Islamico che si trova ora senza personale specializzato per far funzionare le infrastrutture, centrali elettriche, gasdotti, raffinerie, ospedali.

Proprio con questa chiave di lettura si devono leggere i minacciosi messaggi  che l’ISIS ha lanciato in rete in questi giorni definendo la fuga “ un grave peccato che merita una pena esemplare”.

Per questo motivo l’accoglienza dei profughi siriani e libici oltre che doverosa per chi fugge dalle guerre e dalle carestie, humus ideale per il fiorire di estremismi religiosi, potrebbe essere motivo di destabilizzazione dei programmi di crescita dei terroristi dell’ISIS.

Refugee crisis: Msf activity in Greece

Europe di

Greece has become the main European route for migrants, especially for Syrian and Iraqi refugees. In the last two months, they has taken advantage of Turkish borders pass. Aegean Islands is the first step to reach Eu, passing along Balkan route: 244 855 people have transited from Turkey to Greece since January. To speak about this humanitarian emergency, European Affairs has interviewed Constance Theisen, Msf Humanitarian Affairs Officer in Greece, who has talked about Ngo’s activity there, like medical care and basic needs to migrants.

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What’s Msf activity in Greece?

“Our aim in Greece and along the Balkan route (we also work in Serbia) is to try and cover the immediate needs of the migrants and refugees arriving, where needed:

  • Lesvos Island: Water and sanitation in Kara Tepe camp and Moria informal camp. Two medical teams for mobile clinics in the camps and in Mytilene town and harbor, where people are sleeping outside. Mental health support with one psychologist. Bus service from the North of the island to the south so that people don’t have to walk the 65km in the sun;
  • Kos Island: Shelter, water and sanitation in Captain Elias camp. one medical team for mobile clinics in Captain Elias camp and anywhere in Kos town where people sleep outside. Mental health support with one psychologist. Distribution of non-food-items: kit with blanket, torch, toothbrush, toothpaste, energy bars;
  • Dodecanese Islands: one medical team based on a boat for mobile clinics in the islands of Simi, Leros, Tilos, Kalymnos. Distribution of non-food-items: kit with blanket, torch, toothbrush, toothpaste, energy bars. Support in all islands of local activists and municipalities with shelter (tents of shadow nets) to create space where people can sleep;
  • Athens: we have a project to help people who have suffered ill treatment (torture…) with medical and psychological support and a social worker;
  • At the Northern border between Greece and Macedonia: we work at the crossing point of Idomeni, where people will travel to their final destination through the Balkan cross into Macedonia. one medical team for consultations, one psychologist and we installed toilets and showers. Our team also distributes non-food-items: kit with blanket, torch, toothbrush, toothpaste, energy bars. “

 

Is Greece a real point of passage towards especially Germany, Sweden and Norway?

“Greece has now become the main point of entry to Europe: 244 855 people have arrived there so far (crossing the Aegean Sea from Turkey) versus 119 500 arrivals in Italy (UNHCR numbers 08/09/2015). “

 

What’s Greece government’s behaviour towards refugees?

“The Greek government has shown no leadership to respond to the crisis in a constructive manner. The only way to fix the problem of so many people arriving in the islands, forced to sleep outside for days before the local police can register them and give them the paper needed to leave the island, is to have more police sent to the islands to register the people arriving and reception/transit camps in all islands where people arrive. Instead, the Greek authorities have sent more riot police to the islands (not meant to register people) and have not shown any initiative to identify spaces (fields, stadiums…) where long-term reception can be organized for the people arriving. They have disregarded its responsibilities: no distribution of food organized in most islands (Kos, Leros, Simi, Kalymnos) or insufficient in all others (Lesvos for instance). And they have abused migrants with excessive use of police force (in 2 days in Lesvos last week, our medical team treated more than 10 people who reported being beaten by the police). “

 

In yours point of view, what’s differences with Italian government?

“I can not speak for the Italian system as I do not know it very well, but I believe that Italy has put in place a national system of reception, in accordance with EU standards, providing 2 things: upon arrival a medical screening and vulnerability screening to all people arriving ; shelter (centers) all over the country, providing also food.

Instead, in Greece:

  • No systematic medical screening (not a single island provides it);
  • No systematic screening for vulnerabilities (not a single island provides it);
  • No shelter (except in some places on Lesvos and Chios islands);
  • No systematic provision of food;
    No access to hygiene facilities (except in some places on Lesvos and Chios islands). “

 

How are land routes prefer more than sea routes?

“The route for Syrians to reach the EU has changed. Why: current situation in Lybia; visa restrictions to Syrians traveling to Egypt; more and more difficult stay in Jordan, Lebanon and Turkey (see UNHCR reports on access to protection, services and to the local job market there). Once in Greece, since controls in the airports have increased, more and more people chose the land route through the Balkan to reach their final destination. “

 

What are yours statistics of 2015?

Consultations until July 31st:

  • 3236 in Kos;
  • 437 in the neighbouring Dodecanese Islands;
  • 3000 in Idomeni.

Kits distributed until July 31st: more than 20 000 all over the country. “

 

Giacomo Pratali

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Isis, un prodotto politico

EUROPA/POLITICA di

Istanbul, meta dei profughi di Kobane  vivono per strada. I rifugiati di Aleppo:” Assad diffonde immagini e informazioni false per conservare il potere”.

Mustafa è originario di Aleppo. Da oltre tre anni vive in Turchia a Istanbul. Come lui, tanti altri, costretti a fuggire per cercare altrove la speranza di una esistenza pacifica capace di restituire la speranza. Sono numerosi i profughi che nella capitale turca vivono per strada. Famiglie con bimbi, che mangiano e giocano sui marciapiedi, in cerca di comprensione e di qualche moneta. Quasi tutti reggono un cartello “We are from Syria. Can you help us? Thank you”. “Non mentono. Sono davvero siriani. La maggior parte di loro proviene da Kobane – spiega Mustafa, che per vivere approccia i turisti per vendere loro le gite in barca sul Bosforo. “Ne arrivano sempre di più. Io sono fuggito da Aleppo perchè vivere era diventato impossibile. Aleppo è divisa in due: da una parte c’è il Governo, dall’altra gli oppositori. Non puoi sentirti al sicuro in nessuna delle due. Se passi da una all’altra, puoi solo pregare che per te sia stata la scelta giusta”.

Mentre l’Europa decide di aprire le porte alle migliaia di profughi che chiedono assistenza e da più parti si alzano voci decise a contrastare il governo totalitario di Baghar al Assad, Mustafa racconta la sua verità. “Assad diffonde immagini e informazioni non vere al solo scopo di conservare il suo potere. Ma non è la verità quella che filtra in Occidente. Si tratta solo di un gioco politico. Isis ha iniziato a commettere brutalità nel momento in cui l’America stava tentando di rovesciare il governo Assad. Prima di allora, centinaia di uomini erano stati inviati dalla Siria in altri Stati per addestrarsi alla guerra. Poi sono stati richiamati e da quel momento Isis ha iniziato a formarsi. Isis è un prodotto politico, tutto quello che sta succedendo è soltanto una guerra di potere. Sa cosa ha detto il governo siriano dopo la morte di quel bambino annegato mentre con la famiglia scappava da Bodrum? Ha detto “Cercavano la libertà? Eccola, la libertà”. Mustafa trattiene a stento lo sdegno misto ad impotenza. “Non so cosa si possa fare per risolvere tutto ciò. So soltanto che si tratta di cose che noi non riusciremo mai a capire fino in fondo”. Anche Philippe, nome francese e cognome italiano (che evito di scrivere), è fuggito da Aleppo. Parla italiano, in onore delle sue origini, datate di un paio di generazioni, e dei viaggi compiuti nello Stivale. E’ un artigiano che vive della sua creatività nel Gran Bazar di Istanbul. “Vivo qui da tre anni. Ma non è facile. Il Governo turco mi fa pagare tre volte tanto rispetto ad un cittadino turco. Parlo delle tasse per il negozio e di tutto il resto. Tornerei a casa, ma non posso”.

 

Monia Savioli

Risk Assessment in drone warfare policy

Americas/Innovation di

Capable of long endurance and being refueled during the flight, they are almost invisible and extremely precise. There is nothing more that you can expect from a weapon. Drones, which are not only aircraft, became the most controversial weapon in the new way of conducting wars. Especially from the beginning of the war against terrorism that legitimates the use of asymmetric technology, in order to contrast an asymmetric threat. The term “asymmetric” is incorrect, but for convenience we will continue to use it.

 

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Drones have been largely deployed in the conduct of secret military operations even in restricted air zones, outside the official war zones, with the purpose of eliminating individuals. Targeted killing missions, directed from thousands miles away with the use of local intel, conducted by firing rockets from unmanned aircraft in order to hit specific parties directly or indirectly connected with terrorist cells. The United States government doesn’t talk about the use of drones in specific missions in Iraq or Afghanistan, although it is believed that drones have been used in Pakistan as well for a long time. On one hand there no precise data or numbers exist. On the other hand, the terrorist organizations or the authorities that deal out the attacks have the tendency to exaggerate numbers and statistics. The biggest mistake made is probably that insufficient attention has been paid to the consequences of these campaigns on the victims and societies involved. Victims are not only those directly involved or wounded in the attacks but the entire community, which perceives those operations and the way they are conducted illegitimate and unfair. Zhao Jinglun affirms that, according to President Obama’s point of view, these policies are somehow themselves legitimate.

The Guardian defines the fear caused by those operations as “civil terror”. President Obama is just following the path of his predecessor George W. Bush with this policy, and it is believed that drone operations are also conducted in the horn of Africa, not just in Yemen or Pakistan or on any of the traditional battlefields. Drones: myths and reality in Pakistan (2013) reports the following: “CIA Director Leon Panetta was particularly forceful about trying to get Pakistani officials to allow armed drones to fly over even wider areas in the northwest tribal regions” and, regarding the reactions of the Pakistani administration, “It is thus amply clear that the military does not oppose drones, but seeks control over their use, or at least to leverage the debate to obtain more say over target selection”. But there is still the reality of the numbers in the field. According to the Bureau of investigative journalism more than 2000 deaths have been reported since 2006, with the highest percentage registered in 2010. Hundreds of civilians are involved, and hundreds have not yet been identified.

Retired Gen. Stanley Mc Crystal states the following: “The resentment created by American use of unmanned strikes … is much greater than the average American appreciates. They are hated on a visceral level, even by people who’ve never seen one or seen the effects of one”.

On the ground we have learned what the use of this weapon can be, its new possibilities, the political decisions that lay behind the deployment of such technology, States should build and shared a new and comprehensive risk assessment framework. But what kind of elements need to be considered? Certainly the introduction of such weapon brings new outcomes, in some cases revolutionizing policies and military strategies.

What are the facts emerging?

  • The deployment of military and the managing of related tactics in ground operations are largely effected by the use of drones. Either equipped or with a standard profile, this instrument is able to offer a wide grid of chances that in the past were available only with high financial costs – for example using drones and replacing helicopters, saving human lives, etc. Some of them can be carried on ships, can be flown and land as planes or helicopters. Versatile and able to operate in any kind of weather condition, drones represent an exceptional weapon. They can guarantee enhancement of air superiority, extending the power in the air and consequently on the ground (or views) and therefore improving the so-called soft power also in peace or no conflict situations. Air reconnaissance can be carried out and implemented during terrestrial reconnaissance, before, throughout and after military operations, supporting troops and providing essential information.
  • It would be desirable that policy makers could discuss the use and consequences of this weapon, hopefully under the guarantee of some kind of international agreement. Certainly this is unlikely to happen given the present situation, especially since lots of operations are still covered and classified. The absence of public debate is a concern, and the possibility that this happens because governments conduct secret operation, is probable and likely to be the reality of the facts.
  • Negative effects are serious, clear and numerous. Not only are we unaware of the effective number of the attacks that have been conducted, but we also are ignorant of the exact number of fatalities. A report released by the NY University reveals how the attacks impede the aid from humanitarian organizations arriving in the impacted zones. Therefore, the local population involved in the attacks is forced to abandon places without being able to return and recover their lives. The terror that these kinds of operations are causing is widespread and generic, what I have previously described as “the fighter syndrome”.
  • Drones are largely known as weapons with different capabilities. One of the biggest threats that has to be considered, and is not so remote, is the possibility that this technology will one day be used by non-governmental parties. This is already so, and with the rising of the ISIS threat is likely to become another possible reason of concern.

 

Therefore, it would be desirable to create intergovernmental commissions that, together with panels of experts and international observers, could investigate the causes and effects of these policies.

Some of the actions that should be undertaken are:

  • Making policies regarding the use of drones more transparent, both in the national and international debates.
  • Establish a common legal framework so as to be able to establish common policies and best practices. Work closely to extend the jurisdiction of the International Courts and international law regarding the new profiles that are emerging.
  • Enhancing international law application and accountability that, respecting national sovereignty and therefore creating a safe framework for all those non-governmental organizations that cannot presently operate and provide support in distressed areas.
  • Open a confrontation on important issues on drone policies, such as rules for reconnaissance, quality of the targets, procedures for engagement and reliability of the information that are the basis of the decision-making process.
  • Create a support system able to intervene promptly at a local level and capable of absorbing the negative effects that arise from targeted operations. These operations can be carried out with the use of volunteer non-governmental organizations and military, diplomatic and political efforts. Peace keeping and peace enforcing operations could also help, as would more efforts to guarantee humanitarian corridors. Considering that it is almost impossible to eliminate the margin of error, responsibilities and accountabilities should always exist.

 

Francesco Danzi

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What’s next?

feed_corousel di

Rieccoci di nuovo qui dopo qualche settimana di silenzio e di meritato (?) riposo!

Siamo tornate e ci siamo già rimesse al lavoro, scavando in quella montagna di materiale di storie e immagini che abbiamo raccolto. Già, è ora di montare il documentario, ma anche di mettere per iscritto e in forma più narrativa le storie che ci hanno maggiormente colpito.

The Railway Diaries è terminato in Kyrgyzstan il 12 agosto, scendendo ai piedi di una montagna di Karakol con una jeep sovietica dell’anteguerra tutta sgangherata. E sì, siamo ancora vive – per chi si preoccupava – e decisamente soddisfatte. Sono stati tre mesi e mezzo di viaggio dove ci è capitato un po’ di tutto, siamo finite sulle montagne albanesi con le Vergini Giurate e in mezzo al mare Egeo per incontrare le migliaia di migranti in rotta verso l’Europa; abbiamo visto i curdi festeggiare la loro entrata in parlamento e incontrato la guerriglia del PKK in Iraq; le sacerdotesse zoroastriane d’Iran ci hanno aperto un mondo millenario e l’Asia Centrale ci ha regalato grandi perle che presto vi racconteremo.

E ora, what’s next?

Abbiamo in serbo un bel po’ di progetti e ben presto scoprirete quali…

Nel frattempo vi riproporremo in queste settimane alcune storie e momenti topici del viaggio in modo che possiate riviverlo con una continuità geografica e magari ritrovare anche qualcosa che vi siete persi per strada.

Buona lettura!

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Rieccoci di nuovo qui dopo qualche settimana di silenzio e di meritato (?) riposo!

Siamo tornate e ci siamo già rimesse al lavoro, scavando in quella montagna di materiale di storie e immagini che abbiamo raccolto. Già, è ora di montare il documentario, ma anche di mettere per iscritto e in forma più narrativa le storie che ci hanno maggiormente colpito.

The Railway Diaries è terminato in Kyrgyzstan il 12 agosto, scendendo ai piedi di una montagna di Karakol con una jeep sovietica dell’anteguerra tutta sgangherata. E sì, siamo ancora vive – per chi si preoccupava – e decisamente soddisfatte. Sono stati tre mesi e mezzo di viaggio dove ci è capitato un po’ di tutto, siamo finite sulle montagne albanesi con le Vergini Giurate e in mezzo al mare Egeo per incontrare le migliaia di migranti in rotta verso l’Europa; abbiamo visto i curdi festeggiare la loro entrata in parlamento e incontrato la guerriglia del PKK in Iraq; le sacerdotesse zoroastriane d’Iran ci hanno aperto un mondo millenario e l’Asia Centrale ci ha regalato grandi perle che presto vi racconteremo.

E ora, what’s next?

Abbiamo in serbo un bel po’ di progetti e ben presto scoprirete quali…

Nel frattempo vi riproporremo in queste settimane alcune storie e momenti topici del viaggio in modo che possiate riviverlo con una continuità geografica e magari ritrovare anche qualcosa che vi siete persi per strada.

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Costanza Spocci
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