GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Gennaio 2015 - page 4

La nostra casa nello spazio

EUROPA/INNOVAZIONE di

Concepita come un grande laboratorio di ricerca e studio, raccoglie i contributi tecnici e scientifici di sedici Paesi partners che dal 1998 hanno letteralmente costruito sulla Terra parti, moduli, impianti per poi montare la Stazione Spaziale direttamente in orbita a circa 400 km dalla superficie terrestre.  Un peso di centinaia di tonnellate ed un ridotto spazio pressurizzato in cui muoversi e lavorare disposti su una superficie pari ad un campo da rugby americano permettono la vita di un equipaggio permanente di sei astronauti in continuo avvicendamento. Una grande missione senza una data di fine all’interno della quale sono racchiuse le speranze di tutto il nostro pianeta. Si perchè la SSI non è una semplice missione ma un grande laboratorio in cui si conducono numerosi studi scientifici in ambiente a gravità zero. Una piattaforma di ricerca internazionale per lo sviluppo di tecnologie e pianificazione della vita umana nello spazio in missioni di durata sempre maggiore.

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Rappresenta, non è certo poco, un modello unico di cooperazione internazionale in cui i Paesi partecipanti condividono la loro esperienza in campo scientifico e collaborano nei più svariati ambiti di ricerca: medicina, biologia, fisica, ricerca spaziale, osservazione spaziale, ingegneria medica, dei materiali, robotica ecc. Si tratta forse dell’esperimento a lungo termine più importante della storia dell’umanità, di un ambizioso programma spaziale in grado di unire voli a cui prendono parte equipaggi internazionali e complessi lanci di velivoli spaziali da piattaforme collocate in diverse zone del pianeta. Una gigantesca e pionieristica missione di architettura umana nello spazio che ha preso vita grazie ai continui voli di navicelle che portavano in orbita moduli contenenti parti meccaniche, sistemi di bordo, riserve d’ossigeno, cibo, acqua, astronauti ecc. Il primo equipaggio è stato lanciato nel 2000 grazie allo sviluppo e all’implementazione dei programmi Skylab, Shuttle-Mir e Space Shuttle e da allora le missioni spaziali hanno continuato incessantemente ad alternarsi. In questi primi anni d’importante sperimentazione il nostro Paese vanta una partecipazione tecnica e professionale importantissima, la cui ultima rappresentante in ordine di tempo è Samantha Cristoforetti.

I costi per il finanziamento di questo progetto sono altissimi, come altissimo è il valore tecnico scientifico che hanno le singole missioni. L’esperienza della Stazione Spaziale va però vista anche come un impegno internazionale in vista di obiettivi che nello spazio vedranno la loro realizzazione. Si spera che l’esempio della cooperazione spaziale possa portare benefici ai rapporti tra quei Paesi che spesso sulla Terra sono molto distanti e che in un modulo spaziale riescono invece a trovare piena e positiva concretizzazione.

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Il mondo intero a Parigi per la Marche Republicaine

Varie di

La folla in Place de la Republique si è iniziata a formare sin dal mattino e già verso le 14 le metro in direzione centro erano già tutte intasate e gran parte delle persone ha iniziato a dirigersi a piedi verso il luoghi del percorso della lunga marcia di libertà e solidarietà. I numeri di questo colosso pacifico sono noti a tutti: più di un milione e trecentomila le persone che hanno partecipato, tra cui 44 diversi  capi di stato stranieri che hanno sfilato a braccetto l’un l’altro. Tra le immagini che tutti ricorderanno con più commozione sarà quella di Netanyahu  e Abu Mazen per una volta vicini e solidali, ma anche l’abbraccio del  presidente francese Hollande ai supersiti ed ai familiari delle vittime di questi giorni che vorremmo cancellare dalle pagine dei libri di storia su cui non sono ancora stati scritti.

Dalla posizione favorevole trovata al passaggio della marea umana in Place de la Bastille descrivere il panorama è quasi impossibile senza perdersi qualche dettaglio. I colori della gente, le bandiere, qualsiasi esse siano erano portare in segno d’unità. Tanti bambini, anche di pochi mesi hanno camminato tra le braccia dei loro genitori, come se questi gli volessero insegnare da subito come si costruisce un mondo migliore. Non c’era una persona che non avesse con sé un simbolo  anche piccolo per manifestare il loro diritto alla libertà d’espressione, anche solo con penne e pennelli a chiudere un acconciatura. Un placido oceano umano che davano la sensazione uditiva di una calma solenne, interrotta solo da qualche coro che inneggiava alla “fraternità” ed al libero diritto di ognuno di esprimere la propria opinione. Uno dei momenti emotivamente più alti è quando le persone arrampicate sul monumento alla Bastiglia, lì dove i loro antenati hanno combattuto per la parità dei diritti tra tutti i cittadini, intonano l’inno nazionale francese. La Marsigliese all’unisono  di un milione di persone ancora una volta ci ricorda che siamo tutti fratelli e tutti egualmente liberi. “Not afraid” dicevano molti cartelli, per inviare il messaggio diretto di pace a chi punta solo al terrore.

Dopo una marcia che continua ed espandersi fraternamente per tutte le vie d’accesso a Place de la Nation quando si giunge in questa piazza illuminata dai lampioni dalla luce aranciata e dai flash delle macchine fotografiche. Le persone sul monumento al centro della piazza continuano a cantare inni e quelle intorno continuano a sfilare in un surreale carnevale di unità solenne , ma soprattutto di speranza. La folla inizia a disperdesi verso le 18. Naturalmente, così come è arrivata prende la via di casa. “Nulla di simile dalla Liberazione” ( dal nazismo ndr), titolano tutti i telegiornali. E per chi come me era lì e ha vissuto questo evento così straordinario,  così emotivamente intenso e pregno di unione, non può far a meno, anche in modo  un po’ utopico e sdolcinato, di sperare che dopo questa dimostrazione di unità nessuno abbia più il coraggio di attentare alla nostra libertà di espressione in ogni sua forma.

Da Parigi

Laura Laportella

 

[youtube]http://youtu.be/mh4nO2pjnHA[/youtube]

 

Italia: emergenza migranti

BreakingNews di

Sono giunti a mezzanotte nel porto di Corigliano Calabro a bordo della CP 920 nave Gregoretti della Guardia Costiera, i 476 migranti, tra cui 43 donne e 15 minori, tratti in salvo dopo una serie di operazioni di soccorso al largo delle coste libiche. I migranti, di sedicente nazionalità siriana, senegalese, somala e ghanese, navigavano a bordo di 5 gommoni e 1 barcone.

Le richieste di aiuto sono giunte nella giornata di giovedì alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera a Roma, che ha coordinato i soccorsi. Dopo aver localizzato le chiamate dei migranti, sono stati dirottati 4 rimorchiatori e 1 mercantile che hanno prestato una prima assistenza alle persone in difficoltà, procedendo al loro trasbordo. Successivamente è stato disposto l’invio di nave Gregoretti che, una volta raggiunte le acque Sar libiche, ha trasbordato tutti i migranti dalle unità navali dirottate.

Nel pomeriggio di venerdì, durante la navigazione verso le coste siciliane, al largo dell’isola di Lampedusa si è resa necessaria l’immediata evacuazione medica a favore di una donna in avanzato stato di gravidanza che si trovava a bordo di nave Gregoretti. Sul punto è stato disposto l’invio della CP319 della Guardia Costiera con personale medico Cisom a bordo, per effettuare il trasbordo della donna, insieme al marito alla figlia di 1 anno, e trasferirli velocemente a Lampedusa.

 

[youtube]http://youtu.be/62UDd65BzQM[/youtube]

9 gennaio 2015 Parigi sotto assedio

Varie di

 

Parigi sotto assedio si sveglia il 9 di gennaio con la il reparto dei Corpi Speciali Francesi che si trovano a Dammaritin, a circa 40 km dalla capitale, nella regione di Senna et Marne,  circondando una stamperia in cui si sono rinchiusi i fratelli Kouachi, responsabili della strage di Charlie Hebdo.

Andandosi anche solo al prendere un caffè senti la gente che chiacchiera e qualcuno che inizia a dire “ per fortuna li hanno  isolati, sembrava che se li fossero persi nel bosco stanotte ”. Camminando per la strada, il clima era ovattato la tensione nella gente era comunque palpabile.

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Un collega giornalista proveniente dal Marocco racconta di esser stato fermato tre volte dalla polizia quel giorno, la tensione è alta. Parigi aveva subito una brutta ferita, alla quale si era aggiunta la sparatoria a Montrouge in cui era stata uccisa una poliziotta. “E’ un fatto isolato” – diceva la stampa locale –“Tragiche conseguenze di un incidente stradale”, queste le informazioni della Prefettura  e qui tutti ci volevamo credere per non pensare a due atti violenti in meno di ventiquattro ore. Parlando il giorno prima con un ragazzo francese che vive nel mio quartiere alle porte di Parigi,  commentando l’ultima sparatoria ho detto:  “Ma mi chiedo solo come sia possibile che qualcuno vada in giro indisturbato con un mitra in macchina”. Questo ragazzo mi ha risposto con aria rassegnata “Purtroppo c’è molta più gente di quella che noi immaginiamo che va in giro con le armi qui”; lui faceva certamente riferimento  ai fatti di cronaca locale, perché per chi vive qui è noto che ci sono alcune zone, specialmente nelle periferie a nord est della capitale francese , che sono un po’ il ricettacolo di piccole bande di malviventi locali, zone che esistono più o meno in tutte le grandi città.
La mattinata del 9 trascorre più o meno in una normalità quasi surreale. I terroristi assediati e si comincia a  vedere la fine di questo dramma con i terroristi che hanno dichiarato ad un giornalista della BFM-TV di “voler morire da martiri”. Tutti sapevamo che non si sarebbero arresi fino alle estreme conseguenze, ma la verità è che era stata talmente tanto grande l’efferatezza del loro gesto, che non importava a nessuno se fossero vivi o morti, bastava solo che sparissero dalla circolazione. In un modo o nell’altro.

Poi alle 13, seduta nel piccolo ristorante in cui stavamo pranzando con un gruppo di colleghi, sul televisore messo senza audio posizionato infondo alla stanza, leggiamo il sottopancia che scorre sotto le immagini “dell’assedio” ai fratelli Kouachi che dice “Un uomo armato ha fatto irruzione in un supermercato Kosher a Port de Vincennes, prendendo degli ostaggi”. “Non è un caso” abbiamo pensato tutti. Poi l’angoscia, Port de Vincennes si trova a circa due kilometri di distanza da dove ci trovavamo noi in quel momento. Immediatamente iniziano ad arrivare le agenzie che dicono che il sequestratore è l’assassino di Montrouge, che è legato ai fratelli Kouachi. Il quadro si fa inquietante. La tensione per la strada è al massimo, chiuso il tram 3a , chiusa la Periferìque – la “tangenziale” che circonda Parigi – volanti e blindati della Gendarmerie che sfrecciano ovunque a sirene spiegate e le ambulanze. All’interno del supermercato ci sono stati degli spari, ci potevano essere delle vittime e tra gli ostaggi c’erano anche bambini.

Le ore passano, le televisioni dividono le inquadrature tra l’assedio  di Dammartine e Port de Vincennes, arriva la dichiarazione del sequestratore Coulibaly che dice esplicitamente “ Se la polizia farà il blitz a  Dammartine , io ucciderò tutti gli ostaggi”. La conferma ufficiale della correlazione di tutti questi avvenimenti.  Continua a passare il tempo, massima attenzione da parte di tutti, telefonate e messaggi di preoccupazione che arrivano continuamente dall’Italia, si è in attesa: in un’angosciante attesa che questo incubo finisca.

La sensazione generale era quella di essere in mezzo ad una guerriglia, ma non contro i musulmani come sta iniziando a pensare l’opinione pubblica italiana, si è in guerra contro il terrorismo. Noi qui a Parigi eravamo tutti insieme: cristiani, atei, musulmani, ebrei: tutti con la stessa sensazione di  orrore. Alle 17 e 30 circa iniziano i blitz praticamente in contemporanea, le forze speciali sono agli ordini diretti del Presidente Hollande che sta guidando in prima persona le operazioni. La contemporaneità dei blitz era l’unica via possibile da un punto di vista strategico considerato che la presa di ostaggi a Port de Vincennes era la conseguenza del primo assedio. Le immagini vengono trasmesse in diretta mondiale. Tutti abbiamo visto la fine dei fratelli Kouachi e sentito gli spari che hanno ucciso Coulibaly . Era finalmente finita, ma non ci si riprendeva, la conta delle vittime era straziante e continuavano ad arrivare notizie sugli attentatori. I due fratelli erano stati addestrati in Siria ed avevano dichiarato di essere parte di Al Qaeda, il sequestratore ha detto “di far parte dello Stato Islamico”.

Nella notte la conferma:  il ramo yemenita di Al Qaeda rivendica la strage di Charlie Hebdo. Tra le ultime notizie quella della telefonata che sarebbe stata fatta dal sequestratore alla famiglia, ormai certo che sarebbe stato ammazzato ed avrebbe detto “ continuate la mia opera”. Parigi è una città sotto shock,  le persone hanno paura,  nessuno pensa “che sia finita qui”. Bene o male, prima o poi,  la vita ricomincerà a scorrere normalmente nonostante le nuove minacce che gia arrivano nella notte. Le misure di sicurezza sono strettissime, blindati ovunque, controlli delle borse nei centri commerciali. L’atmosfera è surrealmente ovattata. Il cielo grigio continua a rendere pesante l’aria di una Parigi, di una Francia e dell’Europa intera che hanno subito una profonda ferita al cuore.

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Da Parigi

Laura Laportella

Francia, due blitz della polizia

BreakingNews/EUROPA di

Francia, due blitz per salvare gli ostaggi, uccisi i 3 killer, forti esplosioni nel centro di Parigi

Attorno alle 17 di venerdì 9 gennaio, grazie a due blitz condotti dalle forza speciali francesi, sono stati uccisi i tre killer che hanno tenuto sotto scacco l’Europa per tre giorni: Said e Cherif Kouachi e Amedy Coulibaly. Il primo nella tipografia di Dammartin en Goele, un piccolo centro a nord-est di Parigi, dove l’ostaggio (il proprietario dell’azienda) è stato liberato. Il secondo nel negozio kasher nel quartiere ebraico di Parigi (da cui si sarebbero udite quattro forti esplosioni) dove sarebbe rimasti uccisi quattro dei sei prigionieri.

IL RACCONTO DELLA GIORNATA

Francia con il fiato sospeso anche nella giornata di venerdì 9 gennaio. I due fratelli Kouachi, responsabili della strage contro la rivista ‘Charlie Hebdo’, sono asserragliati dalla mattinata nella tipografia di Dammartin en Goele, una cittadina a circa 40 chilometri a nord-est di Parigi. Sotto ostaggio ci sarebbe almeno una persona, Michel Catalano, 27 anni, proprietario dell’azienda. Mentre altri testimoni riferiscono che le persone catturate potrebbero essere cinque, ovvero gli altri componenti della famiglia che lavorano nell’impresa.

I terroristi sono giunti in questo piccolo centro abitato dopo essere sfuggiti per tutta la notte alle forze speciali transalpine (88 mila agenti sono stati mobilitati in tutto il Paese). Il proprietario dell’un’auto rubata dai due individui nel corso dell’inseguimento ha riferito che entrambi sono apparsi calmi e decisi e che hanno detto di appartenere alla frangia di al Qaeda nello Yemen.

Fratelli Kouachi ricercatiA questo, si è sommata l’irruzione, nel corso del pomeriggio, di un uomo armato di kalashnikov, Amedy Coulibaly, che ha preso in ostaggio sei persone (di cui uno ferito dopo la sparatoria), tra cui un neonato, nel negozio kasher Hypercasher, nel quartiere ebraico della capitale. La polizia ha recintato la zona e ha ordinato la chiusura degli altri esercizi commerciali della zona. Il premier israeliano Netanyahu ha invece dato ordine al Ministero degli Esteri e al Mossad di supportare l’azione del governo francese.

All’ingresso nel locale, l’uomo armato, lo stesso che nella giornata di giovedì avrebbe ucciso una poliziotta, avrebbe urlato “Voi sapete chi sono!” e, a distanza di qualche ora, “Liberate i fratelli Kouachi e non fate assalti”, in riferimento a quanto sta accadendo nella tipografia di Dammartin. E intanto quattro forti esplosioni sono state udite dall’interno del negozio.

Panorama ISIS, da insurgens a nuovo terrorismo

Difesa/Medio oriente – Africa di

Ai famosi Al Quaeda e le sue varie ramificazioni, Talebani e Boko Haram si è aggiunto prepotentemente l’ISIS, nuova realtà proveniente dallo stesso substrato culturale ed ideologico che si è dimostrata meglio strutturata e dagli obiettivi più chiari.

L’esperienza vissuta soprattutto dagli  Stati  Uniti negli ultimi decenni con i gruppi estremisti ha mostrato come questi fino a poco tempo fa rispondessero più alle caratteristiche tipiche dei gruppi di insurgens (combattenti che utilizzano sistemi e metodi terroristici per i loro fini) piuttosto che a quelle delle organizzazioni terroristiche.

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La definizione di insurgens richiama quelle frange estremiste che si limitano a compiere attività in un determinato territorio e che emergono proprio per compiere insurrezioni verso un preciso e contestualizzato nemico. Queste realtà restano però fuori da una logica di mondializzazione della loro azione.

Quello che invece caratterizza Al Quaeda e l’ISIS è, oltre all’utilizzo di metodi terroristici, il fatto che inseriscano le loro azioni e la loro stessa esistenza in un più vasto obiettivo che è quello di diffondere la religione musulmana. Al Quaeda e lo Stato islamico, entrambe organizzazioni provenienti da realtà localizzate hanno con il tempo costruito un sistema, un vero e proprio apparato che per vivere ha bisogno di essere nutrito massicciamente dall’esterno.

Certamente, elaborando il concetto di insurgens dal quale avevano preso vita per poi applicarne le tattiche fino a scollegarsi dall’utilizzo esclusivo di  tale metodica per intraprendere una strada propria. Dal momento in cui la rivoluzione islamica ha intrapreso un cammino globale si è riformata, ricostruita, iniziando una sorta di nuova guerra terroristica il cui scopo non era più solo scacciare un invasore o rivendicare un ruolo su un territorio preciso.

Dati alla mano, vite perse alla mano, le strategie intraprese dai vari governi che hanno agito di loro iniziativa e dalle varie coalizioni che si sono impegnate, non si può non riconoscere che buona parte degli sforzi compiuti abbiano avuto poco successo. Sul fronte dell’eliminazione della minaccia terroristica in generale i progressi sono stato pochi mentre su quello della cooperazione si sono avuti risultati sicuramente più concreti.

Eppure non solo molte di queste organizzazioni restano in vita, ma ad essere divenute più efficienti sono le loro reti di supporto e paradossalmente la loro credibilità agli occhi delle popolazioni interessate. Se Bin Laden dal canto suo a partire degli anni ’80 era riuscito a costruire una rete capillare in decine di Stati composta da migliaia di seguaci, strutturati canali di finanziamento, riciclaggio e stabili rotte commerciali, lo Stato Islamico ha sviluppato questi meccanismi rendendoli più efficienti ed anche più palesi agli occhi di tutti.

Non é infatti una novità che i suoi canali di finanziamento comprendano anche la vendita ed il contrabbando di greggio. L’ISIS è in grado di generare da solo una grande fetta degli introiti con cui nutre le sue politiche. Il paradosso che ne consegue è che mentre Bin Laden era stato costretto a sviluppare una rete di intermediari finanziari invisibili nascondendosi a sua volta, lo Stato Islamico oltre a questo dimostra ogni giorno che può vivere ed operare alla luce del sole.

Sebbene il territorio di operazioni e su cui lo stesso Stato vanta sovranità sia costituito da deserto e non abbia ai suoi confini barriere, reti o mura, l’ISIS sembra ancora lontano dall’essere sconfitto. Grazie sicuramente ad una vasta rete di supporto economico anche esterno si sostiene che i guadagni che lo Stato Islamico genera e di cui gode siano enormemente più elevati di quelli della “primitiva” Al Quaeda, quasi passata di moda.

isis_forces

 

Se il secolo da poco terminato ha visto tra le minacce proprio questi gruppi terroristici, è lecito domandarsi se qualcosa stia cambiando all’interno del modo di concepire queste organizzazioni da parte dei leader stessi. Lo Stato Islamico potrebbe certo essere un’eccezione ma a giudicare dal successo che sta ottenendo e dalla mondializzazione della sua idea di rivoluzione islamica, si pone il rischio che questo gruppo divenga sempre più un esempio nel favorire l’insorgenza di nuovi attori ad esso simili. Attori che molto spesso non nascono come statali. Questa concezione non gli appartiene dal momento che nascono in clandestinità ed in clandestinità essi vivono.

Il degrado permanente che caratterizza particolari forme di società viene spesso sorretto da forme autoritarie di governo e l’appellativo di “organizzazioni terroristiche” rischia di trasformarsi in una definizione vecchia ed inadeguata: la minaccia si è accentuata da quando si è passati dal controllo del territorio all’amministrazione del territorio.

Questo pare vero se guardiamo allo Stato Islamico, al momento unico rappresentante di questo nuovo terrorismo. Di conseguenza, la poca concretezza degli interventi messi in piedi all’inizio della campagna militare forniscono un margine di manovra ancora più ampio all’ISIS. Possiamo infatti notare come dalla metodica dell’insorgenza armata propria di molti gruppi terroristici si sia giunti ad Al Quaeda. Non è un caso che il nome significhi oltre “la base” anche “la regola”, il che fa pensare ad una concezione di tipo organico da applicare e diffondere su vasta scala dell’organizzazione e della sua ideologia. Da Al Quaeda il passo successivo degno di nota è stato lo Stato Islamico, che ha fatto proprie tutte le armi di cui poteva disporre.

E’ bene però sottolineare un punto generale che serve ad inquadrare il panorama all’interno del quale l’ISIS si muove, che non è solo quello che appare all’esterno: dalla tecnologia alle armi di distruzione di massa, dai semplici fucili all’utilizzo dei media le mire di queste organizzazioni saranno sempre più alte. Quanto più sarà disponibile sul mercato, tanto più esse saranno pericolose. Continue esecuzioni, persecuzioni, rapimenti, rastrellamento di villaggi. Il grande tema dello Stato Islamico resta la reazione che viene opposta, ma attorno ad esso vi è un insieme di Stati deboli, distratti o più interessati alla propria sicurezza interna e competizione internazionale per rappresentare una proposta concreta.

 

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Charlie Hebdo, la Francia e l’Islam

EUROPA di

Parigi – La strage di Charlie Hebdo segna per la Francia e per l’Europa un punto fondamentale.

Sono appena passate le 11 di martedì 7 gennaio quando due uomini incappucciati hanno fatto irruzione nella sede parigina della storica testata giornalistica francese Charlie Hebdo ed hanno aperto il fuoco dei loro kalashnikof ed ucciso 12 persone. Charlie Hebdo è giornale satirico nato nel 1970, gli anni della Contestazione e a poca distanza dal Maggio Francese, che nel corso della sua storia, pur mantenendo uno stampo libertario e marcatamente di sinistra, non ha mai mancato di ironizzare pesantemente su chiunque fosse ritenuto oggetto di satira senza  riguardi per fazione politica, religione o altro.

E’ sempre stata considerata una testata “di nicchia”, ma  ha iniziato ad acquisire maggiore popolarità con la pubblicazione di vignette satiriche anti islamiche che hanno fatto il giro del mondo attraverso il web. Che fosse una testata “scomoda” lo si era compreso già dall’incendio doloso nei confronti della redazione avvenuto nel 2011, ma nessuno si sarebbe aspettato un atto di una gravità così estrema.

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Il 7 gennaio all’interno della sede di Charlie Hebdo era in programma una riunione di redazione, che nessuno si aspettava finisse in un bagno di sangue. I terroristi di matrice islamica – individuati dall’espressione “Allah u Akbar” ovvero “Allah è grande” – hanno fatto irruzione nell’edificio situato nel XI Arrondissement di Parigi, non lontano da Place de La Republique , ed hanno ferito a morte 12 dipendenti  ed  eseguito una vera e propria condanna a morte per il direttore Stephan Charbonnier ed i tre magiori vignettisti del giornale satirico: Cabu, Tignous e Georges Wolinski.  Dopo questo atto efferato, con maggiore brutalità i folli omicida si sono accaniti contro un poliziotto già steso per terra a causa dei colpi subiti inizialmente, per poi fuggire a bordo un’auto di che verrà ritrovata abbandonata inseguito nel XIX Arrondissement presso Port de Pantin vicino alla periferia nord est della capitale francese.

manifestazione-2Questo è un avvenimento che ha scioccato profondamente non solo Parigi, ma l’intera Francia che già era preda di forte un vento nazionalista con l’ascesa sempre più rapida dell’esponente del Front Nationale Marine Le Pen. I francesi scrivono: “con l’attentato di oggi muore la libertà d’informazione”. Una frase significativa, come lo è ancor di più il fatto che proprio questo martedì 7 gennaio 2015 è uscito l’ultimo libro del celebre scrittore francese Houellebecq “Sottomissione” alla quale era stata dedicata proprio l’ultima Prima Pagina di Charlie Hebdo. Il libro di Houellebecq ipotizza nello specifico una Francia governata nel 2022 dai Fratelli Musulmani, quindi di una Francia che ha ceduto la sovranità del pensiero Occidentale a favore della meno “responsabilizzante” cultura islamica.

La Francia  è il paese europeo con il numero maggiore di cittadini di religione musulmana e gli intellettuali più acuti, come Houellebecq che da oggi è sotto scora armata, hanno intuito questa progressiva islamizzazione del Paese anche se ancora rifiutata da molti. La strage di oggi e questo libro sono  simbolo di due culture che difficilmente convivono e che spesso collidono. Anche se è vero che la parte maggiore dei musulmani è moderata e ha preso formalmente le distanze dai tragici fatti, costituisce e costituirà una fertile base per far attecchire i movimenti integralisti come l’ISIS, già mandante degli attentati terroristici dello scorso Dicembre in alcune città come Lille e Rennes .

Tutti i  paesi europei si sono sentiti profondamente colpiti in prima persona dalla strage di Charlie Hebdo, perché si è colpito un diritto che almeno in Occidente è fondamentale: la libertà di espressione e di informazione, tipici di stati laici come quelli dell’Unione Europea. I francesi sconvolti, si sono mobilitati immediatamente: dalle 17 del 7 gennaio stesso è stata indetta una manifestazione di cordoglio in Place de la Republique, un luogo simbolico oltre che per la vicinanza con la sede del giornale, anche per la nascita della democrazia prima francese, poi europea.

Commemorazione e rivendicazione dei principi della Rivoluzione Francese, queste le parole ripetute in coro dall’enorme marea pacifica di persone che si snodava nella piazza. Gli slogan più frequenti lanciati dai giovani arrampicati sul monumento al centro della piazza erano “ fraternite” , “ Charlie c’est ne pas mort” e “Sommes tout Charlie” in segno di solidarietà con i le vittime ed i loro parenti ed una volta ancora ribadire i principi per i quali la Francia è stata la culla del pensiero moderno e contemporaneo dell’intero Occidente. Grandi, bambini ed anziani, tutta Parigi si è stretta nel ricordo delle vittime, tra le quali annoverano una porzione della loro libertà

Questo inquietante accadimento di Charlie Hebdo  può essere considerato come una goccia che fa traboccare un vaso già colmo di incomprensioni e di intolleranze. Come da “corsi e ricorsi” analizzati da Gian battista Vico, quello che abbiamo vissuto in quelle drammatiche ore costituisce senza dubbio un evento storico, nodale, il sintomo di un passaggio e così percepito anche dall’opinione delle persone che lo stanno attraversando. E l’inizio di una rivoluzione socio-culturale, di un cambiamento annunciato ed atteso,  di cui ancora oggi non riusciamo a distinguere nitidamente forma e conclusione.

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da Parigi  Laura Laportella

Parigi, azione terroristica nella sede del settimanale ‘Charlie Hebdo’: 12 morti e 8 feriti

BreakingNews/EUROPA di

Nella mattinata di mercoledì 7 gennaio tre attentatori hanno assalito la redazione della testata satirica. Uccisi il Direttore e tre vignettisti. Quasi certa la matrice islamica dell’attentato. Gli assassini sono scappati a bordo di un’auto rubata e sono tuttora ricercati

12 morti e 8 feriti. Questo è il bilancio dell’attentato contro la sede del settimanale francese satirico ‘Charlie Hebdo’ verificatosi nella mattinata di mercoledì 7 gennaio a Parigi. I tre attentatori, incappucciati e armati di kalashnikov, dopo aver fatto irruzione nella sede della testata, hanno ucciso tra gli altri il direttore Stephan Charbonnier, i vignettisti Georges Wolinski, Cabu e Tignous e l’economista e azionista del giornale Bernard Maris. Gli assassini, scappati a bordo di un’auto rubata dopo la sparatoria, hanno investito una persona nel corso della fuga e, dopo aver abbandonato la vettura, sono ricercati dalla polizia francese. L’attacco terroristico potrebbe essere di matrice islamica, dato che alcuni testimoni riferiscono che i criminali avrebbero inneggiato ad Allah.

Il periodico transalpino aveva pubblicato proprio oggi un articolo dal titolo “Sottomissione”, in cui veniva fatta una recensione positiva sul romanzo omonimo dello scrittore Michel Houellebecq in cui si ipotizza l’elezione di un presidente musulmano nel 2022. E, già in passato, il giornale era stato vittima di azioni intimidatorie, come nel 2001 dopo la pubblicazione di alcune vignette su Maometto.

In tutta la Francia, nel frattempo, è scattato il massimo livello d’allerta. Mentre in Italia, il ministro degli Interni Alfano ha convocato il Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo. E le reazioni da tutto il mondo non si sono fatte attendere. Dal presidente Hollande che ha riferito che “molti attentati sono stati sventati le scorse settimane. Dobbiamo reagire con fermezza, ma con spirito d’unità nazionale”. A Barack Obama che ha parlato di un “attacco codardo e diabolico” e Renzi che ha affermato che quello odierno è stato “un attacco alla libertà dell’Europa di essere Europa”. Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha definito “vile e barbaro” il blitz armato nella sede del settimanale satirico.

 

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Bangui: i militari italiani aiutano la città

Medio oriente – Africa di

Bangui – Gli alpini  italiani hanno posato oggi il primo ponte leggero prefabbricato che aiuta la popolazione di due dei quartieri sotto la protezione della missione europea a raggiungere il mercato cittadino e alcune importanti strutture cittadine.

Qui a Bangui anche il più piccolo fosso può diventare un ostacolo alla vita quotidiana e alla divisione dei cittadini.

I genieri alpini del 2° reggimento della missione europea EUFOR-RCA hanno costruito e messo in opera nello spazio di tre giorni un ponte metallico leggero per mezzo del quale è stata ripristinata la viabilità pedonale e dei veicoli in un quartiere di Bangui, nei pressi dell’aeroporto.

Questo quartiere è uno dei 3 presidiati dalle forze della missione europea a difesa dell’aeroporto e delle istituzioni centrali.

La struttura, realizzata dal laboratorio lavorazioni metalliche, era stata espressamente richiesta dalla comunità del quartiere per facilitare il transito dei prodotti agricoli della zona verso i mercati della capitale Centrafricana, con un considerevole risparmio di tempo e maggiore sicurezza.

Alla posa del ponte – avvenuta per mezzo di macchine speciali del genio – hanno collaborato anche numerosi abitanti del quartiere, che hanno contribuito a delimitare l’area del cantiere e chiuso il transito di pedoni, moto e auto per l’intera durata delle operazioni.

La presenza di tanta gente alle operazioni di posa testimonia quanto sia apprezzata dalla popolazione la presenza delle forze internazionali che hanno permesso di pacificare una zona del paese.

Per i genieri alpini si tratta del primo progetto realizzato in seno alla missione europea EUFOR RCA. Nelle prossime  settimane i militari del reggimento della brigata Julia inizieranno la costruzione di un ponte metallico di venti metri che riunirà due quartieri della capitale Centrafricana divisi dalla guerra civile.

 

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Kobane, il centro della guerra all’ISIS

Varie di

La piccola cittadina di Kobane doveva diventare l’esempio della guerra lampo di Abubakar Al Bagdadi, inferiori di numero gli irriducibili curdi sarebbero dovuti cadere dopo poche ore.

All’inizio dell’attacco dei terroristi dell’ISIS la resistenza di Kobane ha dovuto arretrare fino al confine con la Turchia dove sotto gli occhi di immobili carristi turchi cedevano posizioni senza rifornimenti e senza appoggi.

MAPPA KOBANE

Quella che sembrava una vittoria facile si è invece infranta contro una resistenza oltre ogni aspettativa dei curdi e su una copertura mediatica internazionale inattesa.

Le telecamere e la folla di reporter in campo per assistere a quella che sarebbe stata la più sanguinosa battaglia dell’anno hanno cambiato le sorti della guerra.

Utilizzando il clamore mediatico Obama è riuscito evidentemente a sconfiggere le resistenze interne al suo governo e cambiare la rotta della politica estera nel quadrante coinvolgendo la coalizione internazionale a supporto dei combattenti curdi.

Da quel momento grazie ai  bombardamenti aerei e all’aiuto dei peshmerga provenienti dal Kurdistan Iracheno l’avanzata su Kobane è stata fermata.

Questo stop dato all’ISIS è stato fondamentale, Kobane non poteva cadere, avrebbe provocato un effetto domino in tutta la regione sia in termini di territorio occupato sia in termini di alleanze e supporto di altre nazioni.

Anche se in Irak i terroristi hanno avuto qualche successo in questo punto, alle porte d’Europa no, un segnale al Califfato e un punto a favore della resistenza curda.

Alessandro Conte
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