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REGIONI - page 45

Francia, a Parigi “tracce minime” di Covid-19 nell’acqua non potabile

EUROPA di

Il 19 aprile, nella capitale francese, il laboratorio dell’azienda comunale “Eau de Paris”, in collaborazione con l’Università Inserm-Sorbonne, ha scoperto “tracce minime” di Covid-19 su 4 dei 27 punti testati della rete idrica non potabile. In virtù del principio di precauzione, è stato immediatamente sospeso l’uso della rete idrica in questione. Secondo il Comune di Parigi non vi è alcun rischio per l’acqua potabile: questa dipende da un’altra rete idrica indipendente e non presenta alcuna traccia del virus, pertanto ne è stato confermato l’uso senza alcun rischio.

Le reti idriche parigine e il principio di precauzione

A Parigi coesistono due reti idriche indipendenti, quella dell’acqua potabile (2.000 km) e quella dell’acqua non potabile (1800 km), una specificità ereditata dal XIX secolo e dal barone Haussmann.

L’acqua potabile proviene da due origini: dalle acque sotterranee e da due impianti di epurazione, dove subisce trattamenti permanenti multi-barriera, intesi a rimuovere tutte le tracce di inquinamento ed agenti patogeni, compresi i virus. “La rete idrica non potabile è fornita dalla cosiddetta acqua grezza, prelevata dalla Senna e dal canale Ourcq, ed instradata senza pesanti trattamenti” ha spiegato il Comune di Parigi, il quale ha precisato che la rete contaminata “viene utilizzata per innaffiare alcuni parchi e giardini, per pulire le strade e per far funzionare i laghi e le cascate di parchi e boschi, nonché alcune fontane ornamentali in parchi o giardini attualmente chiusi al pubblico”.

“Queste sono piccole tracce ma comunque tracce, quindi abbiamo deciso di applicare il principio di precauzione in modo da analizzare i possibili rischi” ha spiegato Célia Blauel, vicesindaca di Parigi, responsabile per le questioni ambientali e presidente del consiglio di amministrazione di Eau de Paris. “Nel contesto di crisi sanitaria, abbiamo rafforzato il nostro programma di monitoraggio sull’acqua potabile e acqua non potabile” ha aggiunto la vicesindaca.

Nel frattempo, con la chiusura della rete idrica dell’acqua non potabile, per disinfettare la città, le strade saranno pulite con acqua potabile mescolata con candeggina (cloro), con il disappunto di molti, poichè l’acqua di deflusso finisce nelle stazioni di purificazione, quindi nei fiumi e negli oceani.

Le indicazioni degli esperti

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il mantenimento del Covid-19 nell’acqua potabile non è impossibile. Studi su virus simili dimostrano una durata di due giorni in acqua non clorata a 20 ° C. Tuttavia, il rischio di contaminazione tramite le reti di acqua potabile è considerato “basso”. A metà marzo, l’OMS ha, infatti, riferito che ad oggi non vi sono prove della persistenza del virus né nell’acqua potabile né nelle acque reflue, così come non vi è alcuna prova che il coronavirus possa essere trasmesso attraverso l’acqua potabile contaminata.

Nonostante la persistenza del Covid-19 nell’acqua potabile non possa essere definita impossibile, l’OMS avverte che i metodi di trattamento delle acque “dovrebbero annullare il Covid-19”. “I trattamenti forniti dalle fabbriche di acqua potabile eliminano qualsiasi rischio di contaminazione”, ha sottolineato anche Antoine Frérot, CEO di Veolia, un gigante globale del settore. Eau de Paris, che serve tre milioni di utenti nella capitale, ha spiegato che le sue fabbriche hanno istituito “diversi trattamenti successivi per eliminare tutti i virus, in particolare attraverso l’ozonizzazione, la disinfezione UV e clorazione”.

La concentrazione del virus è molto bassa nell’acqua e non si può affermare se sia contagioso o meno a questo livello. Su questo punto, Karine Lacombe, Capo del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Saint-Antoine di Parigi, è fiduciosa. Anche se “sappiamo che c’è materiale genetico, il virus non può moltiplicarsi nell’ambiente, perché ha bisogno di cellule umane e di prendere gli enzimi” ha dichiarato.

Portando avanti le loro indagini, i ricercatori hanno capito che la quantità di virus rilevata nelle acque reflue potrebbe essere un “buon indicatore per monitorare il numero di malati”, come ha spiegato Laurent Moulin, capo del laboratorio di ricerca e sviluppo di Eau de Paris. “Dal 5 marzo abbiamo effettuato un test al giorno per lo screening del virus nelle acque reflue in tre impianti di trattamento (misurazione del carico vitale mediante la cosiddetta tecnica PCR) e abbiamo scoperto che la quantità del genoma virale stava diminuendo” ha dichiarato Vincent Maréchal, professore di virologia alla Sorbona e ricercatore all’Inserm. “Ciò conferma indirettamente una minore circolazione del virus, e quindi l’efficacia del contenimento” ha sottolineato. Essendo semplice, veloce, economico, tale studio è un buon potenziale strumento per trasmettere ai paesi che non hanno i mezzi per testare le persone asintomatiche in ospedale, ha dichiarato Maréchal. Quest’ultimo sta cercando di attuare questo metodo con urgenza, in particolare in Africa, con l’aiuto dell’OMS e dell’Armed Biomedical Research Institute (IRBA).

Israele, il governo di solidarietà nazionale è un ibrido

Lunedì notte Benjamin Netanyahu e Benny Gantz hanno firmato l’accordo di Coalizione per l’Istituzione del Governo d’Emergenza di Unità Nazionale, un fascicolo di 16 pagine perlopiù atte ad evitare che uno dei due firmatari possa soverchiare l’altro.

L’intesa è stata trovata dopo che le precedenti trattative tra il Likud e il Blu e Bianco per formare un governo erano fallite nuovamente e, a più di un anno dalla crisi politica che ha investito il paese, per la seconda volta nell’arco di 12 mesi il presidente Reuven Rivlin aveva concesso in data 16 aprile un periodo di 21 giorni alla Knesset per designare un membro del parlamento idoneo a formare una maggioranza al proprio interno.
Nonostante il primo turno per la carica presidenziale verrà assunto da Netanyahu per 18 mesi, dai termini dell’accordo sembra che sia Benny Gantz ad incidere maggiormente sulla prossima legislatura; ad esempio molti deterrenti e contraltari sono posti al capo di Likud, come la previsione di un lungo periodo prima delle elezioni, in caso venissero indette da Netanyahu, in cui ad assumere il ruolo di primo ministro sarebbe lo stesso Gantz; inoltre tradire l’accordo di governo varrebbe a dire per il Likud un’enorme perdita di consensi in vista di eventuali elezioni.

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Libia: la pandemia non ferma gli scontri, nuova offensiva di al-Serraj a Tharouna

AFRICA di

Le forze armate dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) e quelle del Governo di Accordo Nazionale (GNA) si sono scontrate il 18 aprile nei pressi di Tarhouna, a 65 km a Sud-Est di Tripoli.  In particolare, le forze del governo tripolino di al-Serraj hanno attaccato l’accampamento nemico lì situato.

 

L’evento è stato reso noto dal portavoce dell’esercito tripolino, Mohamed Kanunu, il quale ha dichiarato un’ulteriore avanzata del GNA e l’arresto di 12 uomini vicini ad Haftar.

 

Lo scontro si inserisce nell’ambito dell’offensiva denominata “Tempesta di Pace”, lanciata delle forze del GNA lo scorso 13 aprile verso Ovest, ai danni delle postazioni militari del generale Khalifa Haftar. In questi giorni le forze del governo di Tripoli hanno riconquistato numerose città situate sulla costa occidentale della capitale libica, aprendo un nuovo canale verso il confine con la Tunisia e disegnando una nuova mappa geopolitica.

In un’intervista a La Repubblica il capo del Consiglio Presidenziale Serraj, ha dichiarato: “Avevamo accettato il cessate-il-fuoco e la tregua umanitaria […], ci aspettavamo che i pericoli dell’epidemia da coronavirus avrebbero trasformato Haftar in un uomo di parola. Ma lui ha visto nella pandemia un’opportunità per attaccarci, [..] bersagliando con bombardamenti indiscriminati Tripoli, le zone residenziali e addirittura l’ospedale pubblico di Al Khandra nel centro della capitale”.

 

L’attacco all’accampamento di Tarhouna, e le operazioni militari fin qui intraprese dal governo di al-Serraj, si configurano infatti come una risposta all’offensiva intrapresa il 4 aprile 2019 dal generale Khalifa Haftar, condotta con bombardamenti e scontri via terra per prendere il controllo di Tripoli.

Nonostante l’operazione a Tarhouna sia andata a buon fine, alcuni ufficiali dell’ LNA hanno confermato a Reuters che le forze del GNA non sono riuscite ad entrare nella città, che continua quindi ad essere una roccaforte di Haftar.

Terre e comunità rare. Gli indios chiudono le loro terre.

Americas/AMERICHE/Diritti umani di

Il numero dei contagiati da coronavirus in America Latina ha ormai raggiunto quota 90.059, dei quali 4.247 sono morti. É quanto emerge da una statistica elaborata dall’ANSA sulla situazione esistente in 34 nazioni e territori latinoamericani. In appena tre giorni la regione è passata da 80.120 contagi e 3.364 morti, al bilancio odierno. Il Brasile continua a essere il primo Paese nella regione per numero di casi e di deceduti, registrando oltre un terzo dei positivi dell’America Latina.

Gli indigeni abbandonati di fronte alla pandemia

Per evitare il contagio, in almeno 12 Stati del Brasile, gli indios di varie etnie hanno chiuso l’accesso alle loro terre per cercare di impedire l’arrivo del coronavirus: lo rende noto il portale di notizie Uol, sottolineando che coloro che vivono nei villaggi sono più vulnerabili alle epidemie virali e temono che i casi di Covid-19 si diffondano nei loro territori. “Per il momento non abbiamo nessun caso sospetto, ma stiamo chiudendo il villaggio per non far entrare persone da fuori che possano contaminarci”, ha spiegato il capo tribù Almir Narayamoga, dell’etnia Suruì, che vive a Rondonia.

Il primo nativo sconfitto dal coronavirus è stato Alvanir Xirixana, 15enne che viveva nel villaggio Rehebe, lungo il fiume Uraricoera, una regione dove trafficano migliaia di garimpeiros (ricercatori illegali d’oro) che fanno affari illeciti nella Terra indigena yanomami. “La morte del ragazzo ha diffuso la preoccupazione tra gli yanomami”, scrive la Folha de S.Paulo. “Molti temono che si ripeta la tragedia provocata dall’invasione dei ricercatori d’oro tra gli anni sessanta e ottanta del novecento, quando il 15 per cento della popolazione morì a causa di malattie virali, in particolare del morbillo”. La stessa organizzazione che rappresenta i diritti degli Yanomami, l’Hutukara Associação Yanomami, pone l’attenzione sulle migliaia di ricercatori d’oro che ogni anno attraversano queste zone, sottolineando come il villaggio dove viveva Alvanir sia un loro percorso.

La diffusione del virus nei popoli nativi dell’America Latina è particolarmente preoccupante se consideriamo che per queste popolazioni la situazione è già estremamente drammatica. La malattia si aggiungerebbe ad altri problemi cronici come la malnutrizione o la carenza d’acqua potabile. Una delle raccomandazioni di base per evitare la diffusione del coronavirus è proprio il lavaggio frequente delle mani con acqua e sapone. Tuttavia, in America Latina, questa semplice raccomandazione può essere difficile da soddisfare poiché la regione convive con una costante contraddizione. Sebbene la regione abbia il 31% delle fonti di acqua dolce del mondo, quasi 37 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, secondo fonti della Banca mondiale. Mentre in Bolivia le comunità indigene praticano la semina dell’acqua, in Perù l’acqua viene catturata dalla nebbia. La popolazione zapoteca in Messico svolge da molti anni lavori di raccolta dell’acqua in buche costruite a tale scopo.

Oltre a tutto questo, le popolazioni native continuano ad affrontare vecchie sfide, come l’invasione delle loro terre, il disboscamento illegale o le estrazioni minerarie illegali che probabilmente, sono gli stessi vettori del virus. Per il momento i nativi stanno facendo la loro parte, cercando di non entrare in contatto con i ricercatori d’oro o con i narcotrafficanti che hanno grandi interessi economici nella regione, ma fin quando sarà presente il disinteresse dello stato, e nel caso del Brasile di Jair Bolsonaro gli attacchi frontali alle comunità indigene, l’autoisolamento dei nativi sarà fragile e forse inutile. Per tutte queste ragioni è necessario articolare un piano nazionale di emergenza che veda la partecipazione di organizzazioni indigene e istituzioni partner per riuscire a evitare il crollo di queste rare comunità.

 

Libia: Segretario Generale ONU alla ricerca di un nuovo inviato speciale dopo la bocciatura di Washington

AFRICA di

Dopo le dimissioni di Ghassan Salamè del 2 marzo scorso, ad oggi il ruolo di inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia resta ancora vacante. Infatti, fonti diplomatiche riferiscono che la nomina del suo successore, avanzata dal Segretario Generale Antonio Guterres, è stata respinta in questi giorni dagli Stati Uniti.

Ghassan Salamè è stato il sesto inviato speciale ONU in Libia al vertice della missione UNSMIL, succeduto nel giugno 2017 al tedesco Martin Kobler. Dopo 3 anni dall’assunzione del mandato, la sera del 2 marzo scorso, ha reso noto tramite un tweet che le sue condizioni di salute non gli consentivano di portare a termine il suo mandato, viste le difficoltà riscontrate nel favorire il dialogo tra le due fazioni in conflitto.

 

Il successore di Salamè proposto dal Segretario Generale è stato Ramtane Lamamra, ex ministro degli Esteri algerino, nonché membro della Commissione per la pace e la sicurezza presso l’Unione Africana.     In questi giorni la nomina di Lamamra ha ottenuto il consenso di 14 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, eccetto quello degli Stati Uniti, che hanno quindi bloccato la nomina.

 

La testata algerina TSA, dichiara che sarebbero stati Egitto, Emirati Arabi Uniti e Marocco a fare pressioni su Washington in tal senso, forti della contrarietà dello stesso Khalifa Haftar alla nomina algerina, considerata troppo vicina al governo di Tripoli (Gna).

 

Nell’annunciare il ritiro della propria candidatura Lamamra ha affermato:“I gave my agreement in principle… (but)… consultations carried out by Mr. Guterres since then do not seem likely to result in the unanimity of the Security Council.

 

 

Mercoledì 8 aprile nel corso di una riunione ristretta sulla Libia, è stato riferito al Consiglio di Sicurezza che il Segretario Generale Guterres è alla ricerca di un nuovo candidato.

Attualmente la missione di sostegno ONU in Libia (UNSMIL) è retta in via temporanea da Stephanie Turco Williams, diplomatica statunitense, vice dell’ex capo missione Salamè. Prima della sua nomina, ha ricoperto il ruolo di Incaricato d’affari presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tripoli (Libia External Office) e quello di vice-capo delle missioni statunitensi in Iraq, Giordania e Bahrein.

Flussi migratori e Covid-19: la Commissione europea presenta linee guida per gli Stati membri

EUROPA di

Nel pieno dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, le pressioni alle frontiere esterne dell’Unione non sono scomparse. I flussi migratori non si fermeranno in questa nuova crisi e l’Unione dovrà certamente occuparsene ora ed in futuro.

Il 16 aprile la Commissione europea ha presentato le linee guida per l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus. Ciò risponde alla richiesta di consulenza invocata dagli Stati membri su come garantire la continuità delle procedure ed il rispetto dei diritti fondamentali.

I flussi migratori al tempo del Covid-19

Nel giro di pochi mesi si è passati dal timore di una nuova stagione di sbarchi, alla tensione in prossimità della frontiera greco-turca, fino a giungere all’emergenza dovuta al coronavirus, durante la quale i riflettori sul tema dei flussi migratori sembrano apparentemente spenti.

L’Unione europea si è materializzata fisicamente e simbolicamente il 4 marzo al confine tra Grecia e Turchia, quando la tensione fra le forze dell’ordine greche ed i profughi siriani, che tentavano di entrare in Grecia e dunque in Europa, era arrivata all’apice. La Presidente della Commissione europea, il Presidente del Consiglio e quello dell’Europarlamento, si sono dunque recati al confine per testimoniare solidarietà alla Grecia. Ursula von der Leyen, in quell’occasione, ha promesso 700 milioni ad Atene e ha parlato della Grecia come uno scudo per l’Europa, mostrando il volto di un’Unione europea molto diversa da quella del 2015, quando, in qualità di patria dei diritti umani, accoglieva i profughi in fuga dal conflitto. Oggi, l’Europa sembra difendersi dagli stessi.

In linea con questo atteggiamento di chiusura, nella gestione dell’emergenza sanitaria, il 17 marzo i 27 stati membri dell’UE hanno deciso di prendere tutte le misure necessarie per impedire qualsiasi ingresso non essenziale in Europa proveniente da Paesi terzi, per un periodo iniziale di 30 giorni, poi prorogato fino al 15 maggio. Da allora tutti gli Stati membri dell’UE-eccetto l’Irlanda-e i paesi Schengen non appartenenti all’UE, hanno assunto decisioni nazionali per attuare questa misura restrittiva. Le restrizioni ai viaggi si estendono anche alle persone bisognose di protezione internazionale o per altri motivi umanitari, nel rispetto del principio di non respingimento.

Al contempo, il coronavirus sembra bloccare le intenzioni di approdare in Europa: gli sbarchi si sono ridotti di circa l’80% in pochi giorni. Ciò vale per chi parte dai Paesi in cui le condizioni di vita possono essere definite “accettabili”. Mentre dalla Libia si continua ancora a partire: qui però i migranti spesso vengono intercettati dalla Guardia costiera libica e riportati indietro. La situazione è così più complessa di quello che appare. Malgrado il crollo degli sbarchi e l’attenzione focalizzata sull’emergenza sanitaria attuale, il tema dei migranti resta dunque centrale.

Le linee guida della Commissione europea

Il 16 aprile la Commissione europea, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), nonché delle autorità nazionali, ha presentato delle linee guida l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus.

In merito alle procedure di asilo è stato sottolineato come le misure sanitarie adottate per limitare l’interazione sociale tra il personale ed i richiedenti abbiano un impatto notevole sui processi di asilo, pertanto, si raccomanda l’applicazione della flessibilità prevista dalle norme dell’UE. In particolare, la massima flessibilità dovrebbe essere consentita in relazione alle scadenze ed alla durata del trattamento e dell’esame delle richieste d’asilo. Per quanto riguarda le interviste personali, necessarie all’espletazione del processo di richiesta d’asilo, queste possono essere condotte mediante accordi specifici, da remoto tramite videoconferenza o addirittura omesse se necessario.

Una stretta cooperazione tra gli Stati membri è di fondamentale importanza per il buon funzionamento del sistema di Dublino. La Commissione incoraggia tutti gli Stati membri a riprendere i trasferimenti dei richiedenti il prima possibile, alla luce delle circostanze in evoluzione. Prima di effettuare qualsiasi trasferimento, inoltre, è necessario considerare la situazione relativa al coronavirus, compresa quella risultante dalla forte pressione sul sistema sanitario, nello Stato membro responsabile. Laddove i trasferimenti verso lo Stato membro normalmente responsabile non possano aver luogo entro il termine applicabile, gli Stati membri possono concordare bilateralmente il trasferimento in una data successiva, la quale deve essere incoraggiata ad esempio per i minori non accompagnati e nei casi di ricongiungimento familiare.

Con riguardo alle condizioni di accoglienza, le misure di quarantena e di isolamento devono essere ragionevoli, proporzionate e non discriminatorie. I richiedenti asilo devono ricevere l’assistenza sanitaria necessaria. Coloro che sono in detenzione devono continuare ad avere accesso all’aria aperta e qualsiasi restrizione, come la limitazione dei visitatori, deve essere spiegata con attenzione.

In linea con il regolamento Eurodac- European Dactyloscopie- laddove non sia possibile prendere le impronte digitali di un richiedente a causa delle misure adottate per proteggere la salute pubblica, gli Stati membri dovrebbero provvedere il prima possibile e comunque entro 48 ore dal cessare di tali motivi di salute.

 

Gli Stati membri dell’UE, nonché l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno temporaneamente sospeso le operazioni di reinsediamento e rimpatrio. Le attività preparatorie, tuttavia, dovrebbero continuare nella misura del possibile, affinché tali operazioni possano riprendere una volta cessate le misure restrittive. Oggi più che mai è opportuno dare priorità ai rimpatri volontari, nell’ottica secondo cui esse rappresentano un rischio inferiore per la salute e la sicurezza. A tal proposito, l’agenzia europea Frontex è pronta ad assistere gli Stati membri nell’organizzazione delle operazioni aeree.

Nel ribadire il sostegno agli Stati membri nell’attuazione di tali linee guida, la Commissione europea ha annunciato che le stesse saranno integrate da incontri tematici organizzati dalle agenzie dell’UE, al fine di fornire consigli pratici e facilitare la condivisione delle migliori pratiche.

Aiuti di Stato, la Commissione approva il doppio regime di garanzia dell’Italia: via libera al Decreto Liquidità

EUROPA di

Il 14 aprile 2020, la Commissione europea ha approvato un pacchetto di aiuti nell’ambito del temporary framework previsto per gli aiuti di Stato: le misure di garanzia approvate dall’UE rientrano nelle norme previste nel Decreto Liquidità. Con due decisioni diverse, Bruxelles ha approvato delle misure a sostegno dell’economia di circa 200 miliardi e delle garanzie a sostegno di lavoratori autonomi, PMI e imprese a media capitalizzazione che risentono dell’emergenza coronavirus. In questo periodo, gli aiuti di Stato diventano fondamentali per le imprese: la Commissione ha adottato 54 decisioni per dare il via libera a 66 misure nazionali notificate dai governi di 22 Stati membri e del Regno Unito.

Il regime generale

Il primo dei due regimi approvati dalla Commissione europea riguarda un regime di aiuti a sostegno dell’economia italiana. Nell’ambito del temporary framework previsto in materia di aiuti di Stato, l’Italia ha notificato alla Commissione le misure di garanzia per i nuovi prestiti concessi dalle banche a sostegno delle imprese colpite dall’emergenza Covid-19. Sarà l’agenzia statale SACE ad erogare gli aiuti alle imprese attraverso gli enti finanziari. L’obiettivo è di limitare i rischi associati all’erogazione di prestiti alle imprese maggiormente colpite dall’impatto economico del coronavirus, aiutandole a coprire il fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti. Per questo regime, le autorità italiane hanno comunicato un bilancio totale di 200 miliardi di euro: la Commissione lo ha approvato, constatando che la misura è in linea con le condizioni del quadro temporaneo: si tratta di una misura necessaria, opportuna e proporzionata a quanto necessario per porre rimedio alla crisi economica.

La Vicepresidente esecutiva della Commissione, responsabile della politica di concorrenza, Margrethe Vestager, ha dichiarato: “Il regime di garanzia dell’Italia con un bilancio totale di 200 miliardi di euro consentirà di ottenere garanzie pubbliche su nuovi prestiti e sul rifinanziamento di quelli esistenti per tutte le imprese, comprese le grandi”, aggiungendo “Continueremo a lavorare in stretta collaborazione con gli Stati membri per garantire che le misure di sostegno nazionali possano contribuire ad attenuare gli effetti dell’emergenza del coronavirus”.

Il regime per lavoratori autonomi e PMI

La seconda approvazione di Bruxelles riguarda i lavoratori autonomi e le imprese con un massimo di 499 dipendenti che risentono dell’emergenza coronavirus, dopo la notifica del regime di aiuti dell’Italia. Nell’applicare tale regime, gli enti finanziari potranno erogare sostegni dal fondo statale di garanzia per le PMI sotto forma di: garanzie di Stato sui prestiti per gli investimenti e per il capitale di esercizio; sovvenzioni dirette sotto forma di rinuncia alla commissione applicabile alle garanzie concesse. L’obiettivo di tale regime è sopperire al fabbisogno immediato di capitale, di esercizio e per gli investimenti, così da consentire alle imprese di procedere con la loro attività. In particolare, si possono concedere garanzie su prestiti che coprono il 100% del rischio fino al valore di 800.00 euro per impresa, oppure in tutti gli altri casi (garanzie che coprono fino al 90% del rischio legato ai prestiti, l’importo del prestito limitato a quanto necessario in termini di liquidità, le garanzie saranno concesse fino a dicembre 2020, hanno durata non superiore a sei anni e si tratta di premi in linea con il quadro contemporaneo).

“Questo regime consentirà all’Italia di concedere garanzie di Stato per sostenere i lavoratori autonomi, le PMI e le imprese a media capitalizzazione che si trovano in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus” ha dichiarato la Vestager, aggiungendo “La misura […] aiuterà le imprese più piccole a sopperire al fabbisogno immediato di capitale di esercizio e per gli investimenti, permettendo loro di portare avanti le loro attività”.

Il via libera al Decreto Liquidità

L’approvazione dei due regimi da parte della Commissione europea serve a garantire le misure previste dal Decreto Liquidità. Con la pubblicazione del decreto-legge il 6 aprile scorso e la sua approvazione, sono diventate operative le misure a supporto di imprese e lavoratori autonomi, così come è attivo anche il Fondo di Garanzia. Si può fare richiesta per accedere alle garanzie statali con finanziamenti fino a 25.000 euro attraverso un modulo reso disponibile dal Ministero del Lavoro e compilabile online. Vincenzo Amendola, ministro per gli Affari europei, ha commentato positivamente l’approvazione della Commissione europea: “Una buona notizia: la Commissione UE ha autorizzato in tempi record gli Aiuti di Stato di 200 miliardi del #DLimprese. Misure del Governo che permettono una forte iniezione di liquidità a favore del tessuto produttivo e con cui tendiamo la mano a PMI e lavoratori autonomi” scrive il ministro su Twitter.

Il Marocco propone un’iniziativa congiunta africana nella lotta al coronavirus

AFRICA di

L’Africa dimostra di aver recepito la lezione più importante impartita dalla pandemia da Coronavirus alla comunità internazionale, nessuno può farcela da solo.

Il re del Marocco Mohammed VI ha proposto l’avvio di un’iniziativa di cooperazione tra gli Stati africani finalizzata a contrastare la diffusione della pandemia. In questo contesto, il sovrano marocchino ha tenuto colloqui telefonici di alto livello con il Presidente del Senegal Macky Sall, con Alassane Dramane Ouattara, Presidente della Costa d’Avorio e con altri leader africani.

 

“Si tratta di un’iniziativa pragmatica e orientata all’azione, che consente la condivisione di esperienze e buone pratiche, al fine di far fronte all’impatto della pandemia sulla salute delle persone, sull’economia e sulla società”, si legge in una dichiarazione del gabinetto reale marocchino.

 

La proposta di Mohammed VI si configura quindi come un’iniziativa fra i Capi di Stato africani, volta a stabilire un quadro operativo per sostenere i rispettivi Paesi nelle diverse fasi di gestione della pandemia. Si tratterebbe di una forma di cooperazione sud-sud, finalizzata allo scambio di esperienze e al trasferimento di conoscenze tra tutti i Paesi africani, favorendo, in tal modo, la crescita economica e sociale del Continente.

In questo senso va anche la recente costituzione di una task force continentale – Africa Task Force for Novel Coronavirus (AFCOR) – guidata da Marocco, Sudafrica, Senegal, Nigeria e Kenya, per supervisionare i progressi nell’ampliamento della capacità di risposta all’epidemia e garantire l’aiuto e il supporto tecnico-sanitario necessari ad affrontare i casi di contagio.

 

Intanto i casi di positività nel Continente continuano a crescere, per un totale di oltre 15.000 contagiati e 816 decessi.Sebbene l’Africa rappresenti solo una frazione dei casi globali di infezione da Covid-19, il disastroso risvolto economico della pandemia è divenuto subito evidente.

Giovedì 9 aprile la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto in cui si preannuncia una verosimile recessione dell’Africa sub-sahariana, la prima in 25 anni.Nel rapporto della BM si legge che l’economia della regione potrebbe contrarsi fino al 5,1%, considerando che la crescita nel 2019 è stata del 2,4%.

Anche la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Africa (ECA) si è espressa sull’emergenza, pubblicando un report sulle possibili politiche da adottare per fronteggiarla. L’ECA ha chiesto ai governi degli Stati africani di consolidare i propri sforzi per definire le misure adeguate a mitigare l’impatto economico del virus a livello nazionale e regionale.

Appare quindi fondamentale definire in breve tempo una strategia africana comune di risposta all’emergenza Covid-19 perché, come affermato da Ruzvidzo, direttore di una delle divisioni dell’ECA, da questo dipenderà la capacità del continente di sconfiggere con successo la pandemia.

 

Repubblica Ceca, scontro tra Governo e Parlamento per lo Stato di emergenza

EUROPA di

L’emergenza del virus Covid-19, diffuso in tutto il mondo, ha comportato l’adozione di misure anche in Repubblica Ceca, dove sin da subito sono stati presi importanti provvedimenti. Attualmente, lo stato di emergenza, e le misure che questo comporta, è stato prolungato dall’11 al 30 aprile, non senza discussioni tra Parlamento e Governo. In una riunione straordinaria di giovedì 9 aprile, i ministri hanno inoltre discusso di vari cambiamenti nelle misure di emergenza già annunciati e hanno anche approvato l’assistenza finanziaria a istituzioni culturali statali e non statali. Hanno infine deciso di rafforzare il coinvolgimento dell’esercito ceco nell’affrontare la pandemia di coronavirus, con altri 2.000 soldati.

La richiesta del Governo

Il 7 aprile scorso, Il primo ministro Andrej Babiš ha chiesto alla Camera dei deputati di prorogare di un mese lo stato di emergenza sull’epidemia di coronavirus. Lo Stato di emergenza è stato infatti dichiarato il 12 marzo e può avere durata massima di un mese. Nell’esporre la sua richiesta, il Primo ministro ha affermato “non voglio che le libertà siano limitate un secondo in più di quanto sia assolutamente necessario”; ha sottolineato i pilastri su cui è stata costruita l’UE, come la libera circolazione delle persone, e ha riconosciuto che la democrazia differisce dalla dittatura per la sua cura per ogni singola vita umana. Nel suo discorso, ha riconosciuto l’imprevedibilità della situazione in cui ci si trova e l’impossibilità di promettere ai parlamentari di prolungare lo Stato di emergenza per l’ultima volta, pur considerando l’essenziale aspetto della ripresa economica. “Oltre a fermare l’epidemia, il nostro compito fondamentale è far funzionare l’economia. Soprattutto dobbiamo sopravvivere nei primi mesi che potrebbero essere difficili” ha affermato Babiš. Le sue azioni hanno come obiettivo il controllo dell’epidemia, evitando di sovraccaricare il sistema sanitario attraverso l’isolamento dei positivi al Covid, tenendo sotto controllo la diffusione.

Il voto in Parlamento

Vista la scadenza il 12 aprile, è stata richiesta la proroga dello Stato di emergenza fino all’11 maggio. In una sessione di emergenza di sette ore, il 7 aprile i parlamentari cechi hanno discusso di queste misure, ma hanno approvato un’estensione dello stato di emergenza fino alla fine di aprile, anziché approvare la data dell’11 maggio proposta dal governo. Novanta dei 101 parlamentari presenti hanno votato a favore dell’estensione dello stato di emergenza fino al 30 aprile. I parlamentari dei TOP 09 (partito liberal-conservatore), STAN (sindaci e indipendenti) e Tricolor (partito euroscettico e conservatore) erano contrari a prolungare lo stato di emergenza, in gran parte a causa della mancanza di un piano chiaro presentato dal governo per le prossime settimane, e hanno proposto una proroga di sole due settimane. “Nessuno di noi ha un piano dettagliato con punti A, B, C o D, su come possiamo gestire l’epidemia, perché la situazione è in continua evoluzione”, ha affermato il ministro dell’Interno Hamáček, in difesa su questo punto. Di diverso avviso sono stati il Partito Pirata, il Partito Comunista e l’SPD di estrema destra, che hanno suggerito la fine del mese.
I 101 deputati presenti hanno quindi votato separatamente su ciascuna proposta; 36 hanno votato a favore della proroga di 14 giorni, 48 a favore della proroga di 30 giorni del governo e 84 a favore della scadenza del 30 aprile. Nella votazione finale sull’opzione più popolare, l’estensione fino al 30 aprile è passata di 90 voti a 5. Sulla base di quanto votato in Parlamento, il governo ceco ha approvato, nella riunione del 9 aprile, l’estensione dello Stato di emergenza fino al 30 aprile 2020.

Le prime misure allentate

Lo stato di emergenza consente alle attuali misure, imposte per affrontare l’epidemia di coronavirus, di rimanere in vigore, dando al governo il diritto di limitare gli spostamenti e i viaggi, così come la libertà di movimento e di decidere sulla chiusura delle imprese. Inoltre, consente al governo di riuscire ad ottenere tutto ciò che è necessario per gestire la crisi sanitaria in modo più rapido e semplice, evitando le normali procedure come i contratti di appalto soliti, usati per le forniture di servizi. Babiš ha voluto comunque sottolineare che in alcun modo lo stato di emergenza verrà utilizzato per tornare ad uno Stato onnipotente nel senso dei pieni poteri, rassicurando la popolazione che le misure verranno revocate al più presto.
Infatti, nonostante il prolungarsi dello Stato di emergenza, le norme anti-coronavirus del governo hanno iniziato ad essere allentate, a partire dalla scorsa settimana con l’apertura di alcuni negozi e impianti sportivi. Il ministro della sanità ceco, Adam Vojtěch, ha dichiarato che ulteriori misure sarebbero state allentate e che sarebbero stati riaperti altri negozi dopo le vacanze di Pasqua. Tuttavia, il tutto è accompagnato da norme igieniche più rigorose che devono essere osservate in tutti i negozi aperti. In aggiunta, il governo consente di compiere attività di sport all’aria aperta, come la corsa o il ciclismo, purché si compiano in solitaria. Dal 14 aprile infine, i cittadini cechi e stranieri con residenza permanente o temporanea di oltre 90 giorni possono di nuovo di viaggiare all’estero, in casi necessari e chiaramente giustificati, come lavoro, salute e visite mediche o assistere membri della famiglia in difficoltà. Tuttavia, a causa della diffusione del virus, i confini rimangono chiusi e i cittadini stranieri non possono entrare nel paese: per chi torna a casa dopo un periodo all’estero è previsto l’isolamento per 14 giorni ed è ancora obbligatorio l’uso di mascherine negli spazi pubblici.

Il discorso di Macron: in Francia “déconfinement” graduale dopo l’11 maggio

EUROPA di

Il 13 aprile, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è rivolto nuovamente al Paese in un discorso di 30 minuti, in cui ha annunciato l’estensione almeno fino all’11 maggio delle misure restrittive in vigore per contenere la pandemia da coronavirus. Macron ha confermato tutti gli aiuti messi in campo per sostenere le imprese e ha ricordato i meriti del personale sanitario. Il Presidente francese ha, altresì, ammesso i problemi riscontrati dalla Francia nella gestione della crisi attuale-come l’insufficienza di mascherine e test- ed ha spiegato che le prossime settimane di “confinement” serviranno proprio a risolvere tali problemi, oltre che ad introdurre forme di aiuto economico più inclusive e a definire la fase due.

 Il discorso del Presidente francese

 Il lockdown deve ancora continuare anche se la pandemia da Covid-19, il cui bilancio si avvicina a circa 15.000 morti in Francia, sta iniziando a rallentare: è quanto affermato dal Presidente della Repubblica francese nella serata di lunedì, in diretta televisiva dal Palazzo dell’Eliseo. Per non vanificare “lo sforzo fatto da tutti” Emmanuel Macron ha così deciso di tenere ancora i francesi a casa e l’appuntamento per la ripresa è prorogato a dopo l’11 maggio.

Dopo aver annunciato l’estensione del lockdown, aver ringraziato il personale sanitario ed aver fatto luce sui problemi francesi nella gestione dell’emergenza sanitaria, Macron ha affermato che sono in corso di definizione i tempi e le modalità della fase due, cioè del ritorno alla vita dopo aver superato almeno la fase più critica dell’emergenza dovuta al Covid-19. Il Presidente ha, così, dato un orizzonte ai francesi. “Il prossimo 11 maggio (…) sarà l’inizio di una nuova fase”, ha promesso il Capo dello Stato.

Dal giorno della fine del lockdown, gli ospedali, i laboratori di analisi, i medici di famiglia, dovranno essere in grado di testare chiunque al primo sintomo e metterlo in quarantena immediatamente. Dopo l’11 maggio, se il numero dei contagi sarà diminuito, Macron spera di riaprire le scuole-ma non i licei- e le università, la cui chiusura aumenta le diseguaglianze sociali, soprattutto nei quartieri popolari e nelle campagne francesi. Non tutti i bambini, infatti, hanno a disposizione strumenti digitali o l’aiuto dei genitori. “Vedremo dopo due settimane di riapertura se l’impatto è negativo”, ha affermato Pascal Crépey, epidemiologo presso la School of Advanced Studies in Public Health (EHESP).

 

Dopo l’11 maggio il Presidente francese vorrebbe anche riaccendere il motore economico del Paese, di concerto con le imprese. “L’11 maggio si tratterà di consentire a quante più persone possibile di tornare al lavoro, di riavviare il nostro settore, le nostre attività e i nostri servizi”, ha dichiarato nel suo discorso. “Le persone anziane e i più vulnerabili” rimarranno invece ancora a casa per scongiurare un contagio. Per lo stesso motivo, non potranno ancora riaprire bar, ristoranti, alberghi, teatri, sale da concerto e musei. “I principali festival ed eventi con un vasto pubblico non potranno essere tenuti almeno fino a metà luglio prossimo”, ha aggiunto Macron, indicando che “la situazione sarà valutata collettivamente da metà maggio, ogni settimana”. Ogni francese sarà “dotato di una mascherina per la circolazione in pubblico”, l’obbligo di indossarla potrebbe, infatti, diventare “sistematico”, in particolare sui mezzi pubblici.

“La speranza rinasce, ma nulla è già acquisito”, ha avvertito il Presidente, precisando che non bisognerà abbassare la guardia ed allentare i controlli, bensì, sarà necessario continuare a rispettare le misure di precauzione, poiché il virus probabilmente non sarà debellato presto e sarà necessario imparare a conviverci. “Le regole potrebbero essere adattate in base ai nostri risultati, perché l’obiettivo principale rimane la salute di tutti i francesi” ha insistito il Presidente. Il confinamento, in quest’ottica, sarebbe revocato gradualmente.

Infine, Emmanuel Macron, nel suo discorso, ha altresì invitato l’Europa ad una “maggiore audacia” ed i Paesi più ricchi a “ridurre in modo massiccio” il debito degli Stati africani.

 Le reazioni politiche

 Quella di Macron è una scelta politica non priva di rischi. Il suo annuncio è stato, infatti, immediatamente criticato dall’opposizione.

A destra, il Presidente dei repubblicani, Christian Jacob, ha invocato una gestione della crisi che includa un buon uso della logistica. Intervistato da Agence France-Presse (AFP), Jacob ha spiegato: “Tutto ciò dipenderà dalla sua capacità di suonare realmente la mobilitazione generale. Le parole non saranno più sufficienti. Possiamo vedere il ritardo che abbiamo in mascherine, attrezzature, test, ecc. Ora dobbiamo anticipare la ripresa economica, settore di attività per settore di attività”.

A sinistra, il Segretario del Partito Socialista, Olivier Faure, ha chiesto anche lui di verificare che le condizioni logistiche siano soddisfatte. “Per l’11 maggio abbiamo bisogno di garanzie di fattibilità, vedremo, è un obiettivo ambizioso, che dobbiamo condividere, dobbiamo mettere tutti i nostri sforzi insieme per raggiungerlo” ha ammonito in un programma in onda sul canale televisivo TF1.

All’estrema destra, il vicepresidente di Rassemblement National (RN), Jordan Bardella, ha descritto il graduale “deconfinamento” delle scuole come “estremamente pericoloso”. “Il Capo dello Stato ha indicato che renderebbe possibile il test per tutte le persone che presentano sintomi, eppure sappiamo che il 50% delle persone infette dal coronavirus è asintomatico e, tra questi asintomatici, ci sono anche molti bambini; quindi iniziare il deconfinamento rimettendo migliaia di bambini nelle classi scolastiche, lo trovo estremamente pericoloso, lo trovo una decisione sbagliata” ha dichiarato Bardella. Anche il leader dei deputati di La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, considera “estremamente pericoloso” il piano annunciato da Macron, descritto anche dagli ecologisti come una “una follia”.

Le prossime settimane, dunque, saranno un banco di prova per il Governo francese.

Francesca Scalpelli
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