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REGIONI - page 29

Bilancio pluriennale dell’Unione europea: l’accordo tra il Parlamento ed il Consiglio

EUROPA di

Il 10 novembre, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo preliminare sulla cruciale questione del budget pluriennale per il periodo 2021-2027. Si tratta di un passo decisivo per l’attuazione del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per fronteggiare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus, rinominato Next Generation EU, nonché del nuovo meccanismo di condizionalità per il rispetto dello stato di diritto. Tra le voci che il Parlamento europeo è riuscito ad incrementare rispetto alla proposta iniziale del Consiglio – tradizionalmente più conservativa – figurano spese per la salute e la ricerca. Inoltre, è stato raggiunto un accordo vincolante – se sarà approvato in maniera definitiva – per dotare l’UE di risorse proprie da qui al 2027. Tuttavia, permangono diversi nodi che dovranno essere sciolti nelle prossime settimane dalle istituzioni europee.

Il compromesso

Martedì 10 novembre, il Presidente della Commissione Bilanci del Parlamento europeo, Johan Van Overtveldt, ha annunciato che l’Europarlamento ed il Consiglio dell’Unione europea – l’organo che comprende i rappresentanti dei 27 governi dell’UE – hanno raggiunto un compromesso sul bilancio pluriennale dell’Unione europea per il periodo 2021-2027. Quest’ultimo è finanziato in maniera proporzionale dagli Stati membri dell’UE ed è il serbatoio utilizzato per il funzionamento delle istituzioni europee e per i cosiddetti fondi europei.  Le sue voci principali sono approvate ogni sette anni, anche se ogni anno vi sono dei piccoli aggiustamenti.

L’accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio risulta essere molto importante in vista dell’attuazione di importanti misure al centro del dibattito negli ultimi mesi, in particolare del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per fronteggiare la crisi economica dovuta alla diffusione del Covid-19, rinominato Next Generation EU, nonché del nuovo meccanismo di condizionalità per il rispetto dello stato di diritto.

 

Con riguardo all’entità del compromesso, escluso il Recovery Fund, il nuovo bilancio prevederà circa 1.074 miliardi di euro: una cifra molto simile a quella del bilancio precedente, pari a circa l’1% del PIL dell’UE. È il prezzo che i leader più progressisti e quelli più inclini ad aumentare il bilancio europeo hanno dovuto pagare per l’approvazione del Recovery Fund da parte dei Paesi più scettici. Anche le singole voci di spesa del bilancio non subiranno modifiche radicali. All’inizio dei negoziati il Parlamento europeo aveva chiesto ai singoli Stati di aumentare la disponibilità del bilancio in maniera significativa, fra 40 e 110 miliardi di euro, mentre il compromesso finale prevede 16 miliardi in più rispetto alla bozza proposta dal Consiglio, che perlopiù agiscono sulle voci di bilancio della salute e della ricerca.

Il pacchetto politico concordato dalle due istituzioni europee comprende: un rafforzamento mirato dei programmi dell’UE, tra cui Orizzonte Europa, EU4Health ed Erasmus+, pari a 15 miliardi; maggiore flessibilità per consentire all’UE di rispondere ad esigenze impreviste; maggiore coinvolgimento dell’autorità di bilancio nel controllo delle entrate nell’ambito di Next Generation EU; maggiore ambizione in materia di biodiversità, nonché un rafforzamento del monitoraggio della spesa per quanto riguarda la biodiversità, il clima e le questioni di genere; infine, una tabella di marcia per l’introduzione di nuove risorse proprie dell’UE.

Un fattore da tenere in considerazione è che tali fondi non saranno immediatamente disponibili: saranno infatti reperiti dalle eventuali multe che il dipartimento della Concorrenza dell’UE imporrà nei prossimi anni alle imprese che non rispettano le norme europee, dando per scontato che eccederanno quella cifra e che saranno effettivamente riscossi.

Step successivi e criticità

Quanto agli step successivi, l’accordo dovrà completare il suo iter legislativo e dunque essere approvato all’unanimità dalla plenaria del Parlamento Europeo – si tratterà perlopiù di una formalità – ma anche dal Consiglio dell’UE, dove, ai sensi dei trattati europei sarà necessario l’assenso di tutti i 27 Stati membri.

L’approvazione da parte del Consiglio dell’UE appare più complessa. Nel dettaglio, il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, ha già minacciato di porre il veto sull’intero bilancio pluriennale se il meccanismo di condizionalità economica non verrà modificato. D’altra parte, dallo scorso bilancio l’Ungheria ha ottenuto quasi 30 miliardi di euro, una cifra considerevole considerando che si tratta di un Paese che ha un PIL annuale da 160 miliardi di euro, pertanto, difficilmente potrà permettersi dei ritardi nell’erogazione dei suddetti fondi.

Inoltre, permangono dei nodi da sciogliere in merito al Recovery Fund, il quale dovrà essere negoziato nel dettaglio. A tal proposito, proprio il 10 novembre, in una decisione separata dai negoziati per il bilancio pluriennale, la commissione Bilanci del Parlamento ha approvato altresì la base negoziale per le trattative con il Consiglio, che si terranno nelle prossime settimane: fra le altre cose l’Europarlamento chiede di aumentare l’anticipo dei fondi totali ai governi nazionali passando dal 10 al 20 %, da versare entro la prima parte del 2021 per far partire subito i progetti selezionati.

Infine, una volta raggiunto l’accordo sia sul bilancio pluriennale sia sul Recovery Fund, prima di iniziare ad erogare i fondi, si dovrà ottenere l’approvazione da parte di tutti i parlamenti nazionali in merito alla procedura con cui l’Unione Europea produrrà titoli comunitari per reperire i 750 miliardi di euro del Fondo per la ripresa sui mercati finanziari.

Le dichiarazioni

“Ottimo lavoro del Parlamento europeo e del team negoziale! L’accordo sul Quadro finanziario pluriennale e sulle risorse proprie raggiunto oggi è un ottimo risultato per i nostri cittadini. Adesso l’Europa può cominciare a ricostruire da questa crisi” è quanto scritto dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, in un Tweet, ringraziando anche la Presidenza tedesca del Consiglio dell’Ue e la commissione europea per l’accordo trovato a Bruxelles sul bilancio pluriennale.

“Il risultato è impressionante” ha dichiarato invece il Ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, “Il tempo stringe e il denaro è necessario con urgenza per molti paesi – ha aggiunto il Ministro tedesco – dobbiamo agire velocemente in modo da poter contrastare con tutte le nostre forze gli effetti della pandemia anche a livello europeo”.

Balcani, l’auspicata ripresa del dialogo

EUROPA di

Il prossimo incontro nell’ambito del processo di Berlino riunirà i leader dei Balcani occidentali e dell’Unione europea che si incontreranno nella capitale della Bulgaria, a Sofia. I leader dovrebbero adottare un piano per la creazione di un mercato regionale comune nel prossimo summit del 10 novembre.

Lanciato nel 2014 a seguito della Dichiarazione Juncker sull’allargamento e sulle sfide geopolitiche per l’UE, il processo di Berlino è un’iniziativa volta a mantenere lo slancio dell’integrazione europea nei Balcani occidentali. Inizialmente limitato nel tempo (2014-2018) e nel suo ambito, si è però sviluppato diventando un processo sfaccettato senza una fine prevedibile.  Leggi Tutto

Gli EAU sono il primo Paese arabo ad aprire un consolato nel Sahara Occidentale: significato e conseguenze di una decisione storica

AFRICA di

Gli Emirati Arabi Uniti hanno inaugurato il 5 novembre scorso un consolato generale nella contesa regione del Sahara Occidentale, precisamente nella città di Laayoune, nell’area de iure parte dell’ex colonia spagnola del Sahara e de facto attualmente governata dal Marocco. La cerimonia di inaugurazione dell’ufficio consolare è avvenuta alla presenza del Ministro degli Esteri di Rabat, Nasser Bourita, e l’ambasciatore degli UAE in Marocco, Al-Asri Saeed Ahmed Aldhaheri.

Le relazioni tra gli Emirati Arabi e il Marocco, il quale rivendica i territori del Sahara Occidentale, sono solide e stabili, come dimostra il recente incontro telefonico avvenuto tra il principe ereditario di Abu Dhabi ed il sovrano marocchino, alla vigilia dell’inaugurazione. In quest’occasione il re Mohammed VI ha espresso profonda gratitudine nei confronti degli UAE per la “storica decisione di aprire un proprio consolato nelle province meridionali del Regno”, auspicando che l’esempio emiratino venga seguito da altri Paesi arabi.

Gli UAE, infatti, sono il primo Paese arabo ad aver istituito una sede consolare nella contesa regione del Sahara Occidentale, dando così sostegno e riconoscimento internazionale al regno marocchino per l’assoluto controllo della zona contesa.

Si tratta, in effetti, di un passo fondamentale, capace di spostare “la questione del riconoscimento della sovranità marocchina nel Sahara Occidentale della dimensione africana a quella araba”, secondo le parole del Ministro degli Esteri marocchino, soprattutto in virtù del ruolo centrale giocato da Abu Dhabi nella regione del Golfo e a livello internazionale.

In totale, la regione del Sahara occidentale ha assistito all’apertura di 16 missioni diplomatiche dalla fine del 2019, perlopiù da parte di Paesi africani che hanno stabilito le proprie rappresentanze a Laayoune e a Dakhla, città portuale situata più a sud.

Come evidenziato dallo stesso Ministro degli Esteri marocchino, l’iniziativa degli Emirati Arabi è “tutt’altro che un’azione priva di significato”, ma anzi, appare “dotata di un preciso valore politico, legale e diplomatico”, in grado di rafforzare la sovranità e “l’identità marocchina” del Sahara Occidentale.

La disputa in quest’area ha avuto inizio nel 1975 quando, in seguito al ritiro del dominio spagnolo, il Marocco ha annesso una parte della regione, situata sulla costa Nord-occidentale dell’Africa. In risposta, nel 1976, il Fronte Polisario, costituitosi come movimento il 10 maggio 1973, ha annunciato la nascita della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (SADR), instaurando un governo in esilio in Algeria ed intraprendendo una guerriglia per l’indipendenza durata fino al 6 settembre 1991, anno in cui venne dichiarato un cessate il fuoco, promosso dalla Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO).

Ad oggi, il governo di Rabat rivendica la propria sovranità sull’80% del Sahara Occidentale, mentre il Fronte Polisario, che già controlla una striscia desertica dell’area ad est delle mura di difesa del Marocco, continua a battersi affinché venga indetto un referendum per l’autodeterminazione del proprio territorio, dove risiedono circa mezzo milione di individui.

Nel corso della cerimonia di inaugurazione del consolato, l’ambasciatore emiratino ha evidenziato come tale decisione di istituire un consolato in quella zona attesti la vicinanza del Paese del Golfo al Regno marocchino per le “giuste cause” in cui si batte, all’interno di fora regionali ed internazionali. Il ministro degli Esteri di Abu Dhabi, Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan, intervenuto nella cerimonia di inaugurazione, ha affermato che la mossa si fonda sulla decisione di una leadership “saggia”, che testimonia il legame storico ed il “partenariato strategico” tra i due Paesi. A tal proposito, gli UAE si sono detti desiderosi di rafforzare ulteriormente le relazioni con il partner marocchino, aprendo ulteriori canali di dialogo e di cooperazione, con il fine di promuovere lo sviluppo e la crescita di entrambi i Paesi, oltre che pace e stabilità a livello globale.

Il nuovo consolato di Laayoune svolgerà quindi un ruolo significativo nel promuovere nuove opportunità di cooperazione in aree di mutuo interesse, rafforzando i legami culturali, economici, commerciali e di investimento tra Marocco ed Emirati Arabi Uniti.

L’apertura del consolato emiratino mostra, quindi, da un lato il sostegno di Abu Dhabi all’integrità territoriale marocchina e allo sviluppo di una cooperazione reciproca più stretta, mentre, dall’altro, è indice del successo della politica adottata dal re marocchino, Mohammed VI, desideroso di instaurare legami pacifici con gli altri Paesi della regione, preservando, al contempo, la propria integrità territoriale e nazionale.

 

 

Gaetano Armao componente della Task-Force per la risposta al Coronavirus del Gruppo del PPE al Comitato europeo delle Regioni

EUROPA di

Il Gruppo del Partito popolare europeo (EPP-PPE) al Comitato europeo delle Regioni (COR) ha costituito la Task-Force per la risposta al Coronavirus.
Dell’organismo è stato chiamato a far parte il Vicepresidente ed assessore all’economia della Regione siciliana, prof. Gaetano Armao, in rappresentanza dell’area dell’Europa meridionale.

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La Crisi del Nagorno-Karabakh: un’escalation senza fine 

EST EUROPA di

La ripresa dei combattimenti tra Armenia e Azerbaijan per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, riconosciuta internazionalmente come territorio azero ma sotto il controllo di Yerevan, rischia di sprofondare in un conflitto di portata superiore rispetto alla guerra termina 26 anni fa. Le ostilità riprese il 27 settembre questa volta vedono un coinvolgimento nella vicenda di paesi terzi che rischia di far scattare una reazione a catena che sarebbe difficile da bloccare per la comunità internazionale.  Leggi Tutto

Condizionalità economica e stato di diritto: l’accordo tra Consiglio e Parlamento europeo per vincolare i fondi al rispetto dei principi UE

EUROPA di

Il Consiglio europeo, nel pianificare ed approvare il Recovery Fund, il Piano per la ripresa dalla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, ha stabilito che l’erogazione delle misure economiche previste siano in qualche modo subordinate al rispetto dei principi dello Stato di diritto. Dello stesso avviso sono anche le altre due importanti istituzioni europee che, in merito, hanno raggiunto un accordo di fondamentale importanza: secondo il Parlamento europeo e il Consiglio, i Paesi dell’UE che non rispettano lo stato di diritto potrebbero perdere l’accesso ai fondi europei.

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Gli attacchi terroristici in Francia ed Austria e l’esigenza di una strategia comune europea

EUROPA di

Stiamo assistendo ad un ritorno del terrorismo di matrice jihadista in Occidente: negli ultimi giorni il terrore è tornato in Francia e Austria. Nella notte del 2 novembre Vienna è stata teatro di un attacco rivendicato dallo Stato Islamico il giorno successivo; l’autore dell’attentato, il ventenne Kujtim Fejzulai, ha ucciso almeno 4 persone e ne ha ferite 17, prima di essere neutralizzato dalla polizia austriaca. Pochi giorni prima, il 29 ottobre, in Francia, a Nizza, Brahim Aoussaoui, 21 anni, armato di coltello, ha attaccato la chiesa di Notre-Dame, uccidendo 3 persone; si è trattato del terzo attacco avvenuto in Francia nel giro di poche settimane, dopo la ripubblicazione, ad inizio settembre, da parte della rivista satirica francese, Charlie Hebdo, di alcune vignette del Profeta Maometto, considerate offensive e “islamofobe”. Da sempre la Francia è nel mirino, a causa della memoria coloniale e della contestata laicità assoluta. La centralità dell’obiettivo francese, pertanto, sorprende meno rispetto a quanto accaduto a Vienna. Al fine di scongiurare nuovi attacchi risulta essere prioritaria una reazione coordinata a livello europeo. Non a caso, in un colloquio telefonico, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, hanno concordato sulla necessità di elaborare una strategia comune europea contro il terrorismo.

Gli attacchi terroristici in Francia

Il 29 ottobre, intorno alle nove di mattina, il ventunenne tunisino Brahim Aoussaoui ha accoltellato e ucciso tre persone nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza, città francese già duramente colpita in passato, in quello che il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha definito «un attacco terroristico islamista». Le tre vittime sono il custode della chiesa di 55 anni, una donna di 60 anni e un’altra di 44 morta in un ristorante limitrofo dopo essere stata accoltellata nella chiesa. L’aggressore era arrivato in Europa passando per l’Italia: era sbarcato a Lampedusa a fine settembre ed era passato per Bari il 9 ottobre; tuttavia, secondo le ricostruzioni, non era stato segnalato dalle autorità tunisine, né era noto all’intelligence. Il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, giunto sul luogo dell’attacco, ha riferito alla stampa che l’uomo «continuava a ripetere “Allah akbar”».

Su Twitter, il Presidente del Consiglio francese per il culto musulmano (CFCM), Mohammed Moussaoui, ha condannato fermamente l’attacco terroristico e «in segno di lutto e solidarietà con le vittime e i loro cari» ha chiesto «ai musulmani di Francia di annullare tutti i festeggiamenti del Mawlid» l’anniversario della nascita di Maometto.

Due ore dopo l’attacco, la radio francese Europe 1 ha segnalato che in mattinata, ad Avignone, un uomo armato era stato ucciso dai poliziotti dopo aver tentato di aggredire delle persone per strada, inoltre l’Ambasciata francese in Arabia Saudita ha annunciato in un comunicato che una guardia giurata fuori dal loro edificio era stata aggredita da un uomo con un coltello.

Da sempre la Francia è nel mirino e ha costituito la colonna principale dei foreign fighters europei. Non a caso, recentemente, in diversi Paesi islamici, vi sono state manifestazioni e proteste contro il Presidente francese Macron. La difesa della laicità assoluta, che espelle ogni simbolo religioso dalla vita pubblica, nonché la lotta contro l’Islam radicale, sono tra i temi che hanno maggiormente impegnato l’attuale governo. Proprio qualche settimana prima dell’attacco di Nizza, Emmanuel Macron aveva annunciato un nuovo Disegno di legge contenente misure dure contro il «separatismo», termine che impiega per indicare il fatto che molti membri della comunità musulmana vivrebbero in una «società parallela», affine al fondamentalismo islamico e contraria ai valori della Repubblica francese. In un’affermazione molto contestata, Macron ha descritto l’Islam come una religione “in crisi” in tutto il mondo e ha dichiarato che il governo francese è intenzionato a “difendere la Repubblica e i suoi valori”. La decisione di prevedere nuove misure era stata presa dopo un altro evento, l’uccisione di Samuel Paty, l’insegnante di scuola media decapitato il 16 ottobre nella periferia nord di Parigi, dopo aver mostrato vignette satiriche sul profeta Maometto nell’ambito di una lezione sulla libertà d’espressione. Proprio la rivista satirica Charlie Hebdo ha scelto di ristampare le caricature di Maometto in occasione dell’apertura del processo sulla strage del 7 gennaio 2015, tuttavia, poco dopo l’avvio del processo, il 25 settembre, un 18enne di origine pakistana arrivato in Francia tre anni prima, ha accoltellato due persone fuori dagli ex uffici della rivista, riseminando il terrore in Francia.

La notte di terrore a Vienna

Nella notte del 2 novembre, alla vigilia dell’entrata in vigore di un coprifuoco nazionale per frenare la diffusione della pandemia da Covid-19, il terrore è giunto anche a Vienna, teatro di un attentato terroristico, rivendicato il giorno successivo dallo Stato Islamico. L’autore dell’attentato, che ha ucciso almeno 4 persone e ne ha ferite 17, prima di essere neutralizzato dalla polizia austriaca, si chiamava Kujtim Fejzulai, aveva 20 anni, era nato a Vienna ma aveva origini albanesi della Macedonia del Nord. Era stato condannato, nell’aprile 2019, a 22 mesi di prigione perché aveva tentato, insieme ad altri 90 islamisti austriaci, di recarsi in Siria per unirsi al gruppo dello Stato Islamico ma a dicembre gli era stata concessa la scarcerazione anticipata in virtù del diritto minorile. Secondo le ricostruzioni, poco prima di entrare in azione, il ventenne aveva prestato giuramento di fedeltà al nuovo leader dell’Isis, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi.

Il Cancelliere austriaco Kurz ha descritto l’episodio con termini duri definendolo un “attacco terroristico ripugnante”. “Si è trattato di un attacco alla nostra libera società, ma è chiaro che non ci lasceremo spaventare e difenderemo con tutte le nostre forze il nostro modello di vita” queste le parole di Kurz, il quale ha aggiunto “Non cadremo nella trappola del terrorismo”.

L’esigenza di una strategia comune

Al fine di scongiurare nuovi attacchi terroristici in Europa risulta essere prioritaria una reazione coordinata alla nuova ondata di terrore. Non a caso, in un colloquio telefonico, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, hanno concordato sulla necessità di elaborare una strategia comune europea contro il terrorismo. Nell’ambito della telefonata, il Cancelliere Kurz ha ringraziato il Presidente francese per la sua visita presso l‘ ambasciata austriaca nel giorno successivo all’attacco terroristico e ha assicurato che la collaborazione tra i due Paesi sarà fortificata anche in ambito europeo.

 

Libia: al-Serraj ritira le dimissioni. No ad ogni rischio di “political vacuum” nel Paese

AFRICA di

Dopo aver annunciato la volontà di cedere il proprio mandato ad una “nuova autorità” poco più di un mese fa, il Capo del Consiglio Presidenziale libico, Fayez al-Serraj, ha ritirato le sue dimissioni il 30 ottobre scorso.
La decisione, comunicata ufficialmente dal portavoce del GNA Galib al-Zaklai, è stata frutto di una serie di richieste e pressioni avanzate nei confronti del leder del GNA, affinché egli mantenesse il proprio incarico. Sul versante interno, tali pressioni sono provenute dal Parlamento di Tripoli e dall’Alto Consiglio di Stato, mentre, sul versante esterno, da parte del Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e della Missione ONU in Libia (UNSMIL), nell’intento di evitare un vuoto politico ed istituzionale, salvaguardando così la “continuità istituzionale ed esecutiva” del Paese.
La richiesta di rinvio delle dimissioni avanzata dall’Alto Consiglio di Stato libico, per il tramite del suo leader Khaled al-Mishri, è stata presentata sulla base di alcune clausole contenute nell’accordo politico relativo agli Accordi di Skhirat. Tali accordi, conclusi il 17 dicembre 2015, avevano sancito l’istituzione del GNA, in contrapposizione al governo di Tobruk, affiliato all’Esercito Nazionale Libico (LNA) e al generale Khalifa Haftar.

Va ricordato, tra le altre cose, che nella settimana antecedente all’annuncio di al-Serraj, le delegazioni libiche rivali riunitesi a Ginevra, nel quadro del Comitato militare congiunto 5+5, hanno ufficialmente siglato l’accordo di cessate il fuoco permanente in tutto il Paese. Si tratta di uno dei più importanti risultati raggiunti dalla cosiddetta conferenza di Berlino, il meeting svoltosi nel gennaio 2020 sotto l’egida dell’ONU in cui i diversi attori internazionali hanno tracciato il cammino da percorrere per giungere ad una soluzione pacifica del conflitto in Libia. Quello terminato il 23 ottobre a Ginevra è stato il quarto round negoziale successivo all’incontro di Berlino, mentre il penultimo aveva avuto luogo nel mese di settembre in Egitto.
La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia ha definito “storico” il risultato cui si è giunti, evidenziando come questo sancisca un punto di svolta “decisivo e coraggioso” verso il raggiungimento della pace e della stabilità in Libia.
Oltre al Forum sul dialogo politico, in programma a Tunisi il prossimo 9 novembre per fissare la data delle prossime elezioni legislative e presidenziali, si attendono ora nuove sessioni del Comitato 5+5, con l’obiettivo di proseguire le negoziazioni necessarie per stabilire i dettagli sulla partenza dei mercenari stranieri in loco, avviando, al contempo, l’unificazione delle forze armate del Paese.

In questo contesto, appare chiaro che le prossime settimane saranno cruciali per la definizione di un nuovo assetto per lo Stato nordafricano, teatro di una lunga guerra civile dal febbraio 2011. La necessità di una leadership forte, evitando ulteriori elementi di destabilizzazione politica all’interno del Paese, ha spinto al-Serraj a cedere alle pressioni sul rinvio delle sue dimissioni, almeno fino a quando non saranno istituiti nuovi organismi politici in grado di guidare efficacemente il Paese africano verso nuove elezioni.

L’allargamento nell’UE: a che punto siamo in Bosnia-Erzegovina?

EST EUROPA di

Da quando la nuova Commissione è entrata in carica alla fine del 2019, sono ripresi gli sforzi nella tabella di marcia a sostegno dei Balcani occidentali, regione dove la strategia si è concentrata sui settori in cui sono necessari ulteriori riforme da parte dei partner dell’area. Nonostante il continuo sostegno sul rafforzamento degli impegni presi a partire dall’agenda del vertice di Sofia nel 2018, nel nuovo rapporto presentato dalla Commissione Europea, la mancanza di progressi ha caratterizzato il quadro della Bosnia-Erzegovina, un paese dove la libertà dei media è quasi completamente soppressa e la corruzione permea ogni segmento della società

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La corsa di Albania e Macedonia del Nord nell’adesione All’UE

EST EUROPA di

“Fin dall’inizio del suo mandato, questa commissione ha rinforzato l’impegno nei confronti dei paesi vicini, quale caratteristica prioritaria. Dobbiamo impegnarci energicamente per arrivare alla pace e alla prosperità dei paesi vicini. Questo principio è alla base del nostro lavoro non solo per il nostro interesse ma anche per la credibilità della commissione e della stessa Unione Europea”.

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