GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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BreakingNews - page 5

Gli interessi strategici di Cina e USA entrano in collisione

Asia/BreakingNews/Sud Asia di

Negli ultimi dieci anni la Cina è cresciuta enormemente, ridefinendo il suo ruolo a livello economico e geopolitico ed assumendo i connotati di una vera potenza globale. Nonostante i grandi cambiamenti ed il ritmo serrato che li ha contraddistinti, gli imperativi strategici di Pechino continuano ad essere gli stessi, almeno in parte.

In cima alla lista figura ancora il mantenimento dell’unità interna nelle regioni dove prevale l’etnia Han, dislocate prevalentemente lungo il corso di due grandi fiumi, il Giallo e lo Yangtze. Questi territori ospitano la parte più consistente della popolazione cinese ed i settori principali dell’industria e dell’agricoltura nazionali. Mantenere l’unità in questa macro-area è vitale per garantire la coesione del gigante asiatico e consolidare il ruolo del Partito Comunista Cinese come forza egemone. L’obiettivo non è semplice, però. L’uniformità è solo teorica, poiché il gruppo etnico maggioritario del paese si differenzia al suo interno attraverso articolazioni di carattere culturale, sociale ed economico che rendono complicata la ricerca di un punto di equilibrio. Il rallentamento economico, inoltre, contribuisce a rendere il quadro ancora più complesso.

Un’altra sfida fondamentale riguarda il controllo delle regioni cuscinetto, quelle più periferiche, abitate in passato da popolazioni nomadi e caratterizzate, per molto tempo, da confini scarsamente definiti. Nel corso dei secoli la Cina degli Han ha combattuto con i suoi vicini, riuscendo infine ad integrare molte regioni periferiche, dalla Manciuria, fino alla Mongolia, passando per lo Xinjiang, il Tibet e lo Yunnan. Oggi queste aree sono strategiche per Pechino e contribuiscono a rendere il paese la potenza che è, ma pongono molteplici sfide per il potere centrale in termini di coesione e politiche etniche.

Il terzo anello della catena delle priorità fa riferimento  alla protezione delle coste, che si estendono per circa 18 mila chilometri dal Vietnam alla Corea del Nord. Per gran parte della sua storia la Cina ha fatto affidamento sulle dimensioni interne e sulle rotte commerciali terrestri per accaparrarsi le risorse necessarie, rivolgendo scarsa attenzione ai mari. Per lungo tempo, dunque, la Cina non ha voluto disporre di una forza navale potente, concentrandosi sulla difesa delle coste da terra e sviluppando sistemi di navigazione alternativi, attraverso un articolato sistema di canali interni. Oggi la situazione è mutata e la Cina sta rafforzando considerevolmente la sua flotta militare. In queste acque, però, la distanza dall’avversario americano è ancora notevole e le politiche di difesa si concentrano tutt’oggi sul rafforzamento delle protezioni costiere.

Accanto a questi tre imperativi storici, la crescita economica dell’ultimo decennio ha fatto emergere un quarto vincolo strategico: la difesa delle rotte commerciali, delle risorse e dei mercati dalle ingerenze straniere. Oggi la Cina importa almeno quanto esporta, non è più autonoma come un tempo. Il commercio con l’estero è diventato vitale, così come gli investimenti esterni volti ad acquisire tecnologie e know-how. L’affermazione di questo nuovo paradigma ha richiesto una maggiore presenza militare, finanziaria e politica a livello internazionale e ha portato inevitabilmente a una più diretta contrapposizione con gli Stati Uniti e i suoi interessi strategici.

Gli USA, a livello esterno, considerano vitale il controllo degli oceani e il contenimento delle potenze emergenti, la Cina in primis. Pechino, dal canto suo, crede che la propria stabilità economica possa essere messa a repentaglio dal dominio americano sui mari e sulle rotte commerciali e sta rafforzando la flotta per aumentare il peso della sua presenza.

Gli interessi strategici delle due potenze collidono e dall’esito dello scontro dipenderanno gli assetti geopolitici del futuro. La partita principale, al momento, si sta giocando nel Mar Cinese Meridionale dove la Cina reclama il possesso di alcuni arcipelagi per estendere il proprio controllo sull’area e limitare l’egemonia americana sui mari del’Asia meridionale. Gli USA considerano questa politica espansionista come una minaccia alla libertà di navigazione  e come un segnale di eccesiva aggressività da parte di una potenza crescente, sempre più difficile da contenere. Entrambi i paesi hanno le proprie ragioni ed entrambi sono spinti dall’imperativa difesa dei rispettivi interessi strategici.

La contrapposizione si è ormai estesa anche al campo della finanza internazionale. Grazie al potere del dollaro e dell’influenza che questo garantisce sui mercati internazionali, gli USA sono sempre stati in condizione di dettare le regole dell’economia internazionale, relegando la Cina ad un ruolo da comprimario. Per rompere il sistema, la Cina spinge per la creazione di un sistema alternativo di commercio e finanzia internazionale e cerca di accrescere il suo ruolo all’intero della Banca Mondiale e nelle altre istituzioni economiche internazionali.

In definitiva, gli interessi cruciali di Cina e Stati Uniti entrano in conflitto a diversi livelli, sia sul piano militare che su quello economico e nessuno dei contendenti può semplicemente aspettare che l’altro faccia le sue mosse. Il rischio dell’attesa sarebbe probabilmente superiore ai costi dell’azione. L’esito dello scontro non è ancora prevedibile e non sappiamo come evolveranno le attuali strategie. Quel che è certo è che uno dei contendenti, se non entrambi, dovrà rinunciare a una parte dei suoi obiettivi strategici.

 

Luca Marchesini

Roma: arrestati sospetti terroristi ISIS

BreakingNews/EUROPA di

Martedì 8 marzo i Carabinieri del Ros hanno arrestato a Roma due delle tre persone sospettate di essersi legate allo Stato Islamico. Tra i due spicca Vulnet Makelara, conosciuto con il soprannome Karlito Brigande, 41 anni, macedone, già finito in carcere in Italia, il quale stava progettando di unirsi allo Stato Islamico. Il terzo mandato d’arresto per l’altro complice era destinato al tunisino Barhoumi Firas (29), fuggito però diversi mesi fa in Iraq.

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La ricostruzione degli investigatori
Sono proprio Brigande e Firas i due personaggi chiave dell’inchiesta condotta dai Carabinieri. I due, conosciutisi in prigione, hanno continuato a mantenere i contatti anche fuori dalla prigione nel corso del 2015. Infatti, il macedone, già arrestato negli anni Novanta per rapine, era stato convinto dal tunisino ad arruolarsi con lui nel Daesh e raggiungerlo in Iraq per compiere assieme una sequenza di attacchi con autobomba.

E sono proprio le conversazioni via chat del 20 ottobre 2015, riportate nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Roma Elvira Tamburelli, ad inchiodare i due:

Barhoumi: … andrà tutto bene inshallah… anche se tu vuoi venire qua… posso sistemare tutto per te. Basta che tu fai un programma così anche con documento falso così tu puoi venire inshallah.
Brigande: .. fratello mio, ma io già sono pronto se… mi puoi scrivere le strade, le cose, come faccio, da dove cerco inshallah piano piano di arrivare là.
Barhoumi: … basta tu cerca per venire a Turchia resto ci penso io per te hai capito? Basta che tu venire a Turchia, hai capito?
Brigande: Ok fratello cerco questo mese inshallah… cerco di venire più presto.
Barhoumi: … per me io ho segnato… uno… per una operazione suicida, vuol dire prendo una macchina con l’esplosivo dentro per fare un’operazione contro i kuffar (miscredenti, ndr) inshallah. Però se mi dici una promessa che tu venire dopo un mese io posso allontanare la data dell’operazione.

La questione foreign fighters
Quella riguardante Karlito Brigande è solo una goccia nel mare del reclutamento portato avanti con successo dallo Stato Islamico in Europa e in Italia. Un reclutamento portato avanti da stati come Siria, Iraq e Libia (solo per citare i tre casi più eclatanti), ma di cui sono complici passivi gli stessi Stati occidentali da cui partono i futuri jihadisti.

L’emarginazione sociale ed economica è la leva sulla quale, attraverso i social network, gli uomini di Daesh contano. L’indottrinamento e la campagna di propaganda fatta su quelle persone, in maggioranza giovani tra i 18 e i 35 anni, immigrati di prima ma anche di seconda generazione, è una sorta di fase di addestramento psicologico, preliminare a quello di tipo fisico in loco.

Militanti che spesso si pentono di giungere in aree di guerra, come dice l’aumento degli arruolati in Libia a dispetto di Siria e Iraq, ma che altrettanto spesso vengono utilizzati come pedine dalle gerarchie locali.

Militanti che, però, come già accaduto in Francia e Belgio, tornano con frequenza in Europa per prendere il comando di gruppi di aspiranti jihadisti e guidare una o più azioni terroristiche nelle principali città del Vecchio Continente.

Il fenomeno dei foreign fighters, aldilà dei numeri (circa 30000 sarebbero giunti in Iraq e Siria da oltre cento paesi, secondo gli ultimi dati dei servizi segreti italiani), porta, o ha già portato, la guerra tra Occidente e Stato Islamico ad un livello diverso rispetto al passato. Non più nazione contro nazione. Non più una guerra condotta prettamente contro un nemico in un luogo specifico. La guerra in Siria, in Iraq e quella prossima in Libia, sono combattute anche in Europa, Italia compresa, dalle forze di polizia e dai servizi di intelligence. L’arresto di Brigande, così come i tanti dell’ultimo periodo in Europa, dimostrano che la guerra tra Occidente e Califfato sia solo all’inizio.
Giacomo Pratali

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Si allarga black list anti-Corea del Nord

In data odierna, il Consiglio dell’Unione Europea – che, lo ricordiamo è di fatto l’organo esecutivo dell’Unione – ha aggiunto 16 persone e 12 enti alla sua “black list” di soggetti e società colpiti dalle misure restrittive europee intraprese contro le condotte della Repubblica popolare democratica di Corea.

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La decisione recepisce le nuove prescrizioni imposte dalla risoluzione 2270 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 2 marzo 2016 in risposta ai lanci di prova di razzo nucleari da parte della Corea del Nord, avvenuti il 6 gennaio  ed  il 7 febbraio scorsi.

Gli atti formali di tale iniziativa diplomatica saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue domani.

La misure restrittive dell’UE nei confronti della Corea del Nord sono state introdotte per la prima volta il ​​22 dicembre 2006. Le misure attuali adempiono a tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU adottate dopo i test nucleari ed i lanci eseguiti dalla Corea del Nord utilizzando la tecnologia dei missili balistici ed includono anche  ulteriori misure autonomamente adottate dall’UE. Tali decisione intendono colpire la politica  nucleare ed i programmi di lancio nordcoreani

Le misure più importanti comprendono divieti di esportazione ed importazione di armi, e di ogni oggetto o tecnologia che possa contribuire a tali attività. Sia l’ONU che l’UE, in modo autonomo, hanno anche istituito misure restrittive di natura finanziaria, commerciale e nel campo dei trasporti.

Con quella odierna, L’Unione europea ha così rafforzato le sue ultime misure, che furono decise il 22 aprile 2013, recependo la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 2094.

 

Domenico Martinelli

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Libia: Farnesina conferma morte dei 2 italiani

BreakingNews/EUROPA di

“Relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina informa che da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni “Bonatti”, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla. Al riguardo la Farnesina ha già informato i familiari. Sono in corso verifiche rese difficili, come detto, dalla non disponibilità dei corpi”. Questa la nota di giovedì 3 marzo del Ministero degli Esteri che conferma l’indiscrezione sulla morte degli italiani Fausto Piano, 61, e Salvatore Failla, 47. Mentre gli altri due compagni connazionali, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, rapiti anch’essi nel luglio scorso, “sono ancora vivi”, come riferito dal presidente del Copasir Marco Minniti.

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Le circostanze della morte

Mercoledì 2 aprile, Fausto Piano e Salvatore Failla sarebbero rimasti vittima di uno scontro a fuoco nei pressi di Sabrata tra le forze di sicurezza di Tripoli, guidate da Fajr Libya, e un gruppo di miliziani dell’ISIS. Secondo le fonti locali, i due italiani sarebbero stati colpiti mentre viaggiavano a bordo di un convoglio jihadista.

Le conferme video arrivate su Facebook e il comunicato della Farnesina non lasciano spazi a dubbi sulla morte dei due italiani. Dubbi, invece, che rimangono sin dagli albori dell’intera vicenda, a cominciare proprio dal rapimento del 20 luglio 2015. Infatti, al momento dell’assalto, i quattro dipendenti della Benetti stavano tornando a casa dalla Libia in Tunisia a bordo di un’autovettura, mentre solitamente i dipendenti di Eni e della stessa Benetti, per lo stesso viaggio, utilizzano un’imbarcazione marittima.

Non solo. Anche i mesi successivi sono avvolti in un alone di mistero. Se negli ultimi tre mesi già si sapeva della separazione dei quattro rapiti, meno si sapeva invece su chi li tenesse prigionieri, visto che una rivendicazione non è mai arrivata. Addirittura, fino a fine febbraio, era stato esclusa la pista ISIS.

Circostanza di fatto smentita con lo scontro a fuoco dove, molto probabilmente, i jihadisti hanno utilizzato i due italiani come scudo. Mentre gli uomini di Fajr Libya non erano al corrente che nel convoglio della brigata dello Stato Islamico fossero presenti i due dipendenti della Bonatti.

 

Giacomo Pratali

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UE: rimpatrio per 308 profughi

BreakingNews/EUROPA/POLITICA di

La Commissione ha confermato che la Grecia sta respingendo 308 migranti irregolari in Turchia. L’Unione Europea sta infatti intensificando i suoi sforzi per fare in modo che coloro che non si sono qualificati per ottenere la protezione internazionale in Europa siano rapidamente e realmente riaccompagnati nei loro paesi di origine o respinti verso i paesi di transito.

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Il Commissario per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos, ha dichiarato: “Nell’ambito del piano d’azione comune UE-Turchia abbiamo deciso di accelerare le procedure di rimpatrio e di riammissione. La Commissione europea ha rafforzato il suo sostegno alla cooperazione in materia di rimpatrio tra gli Stati membri UE e la Turchia e i trasferimenti di oggi  dalla Grecia alla Turchia dimostrano che i nostri sforzi stanno iniziando a dare i loro frutti; se vogliamo affrontare le sfide della crisi dei rifugiati con successo abbiamo bisogno di tornare ad una gestione ordinata dei flussi migratori. Dobbiamo fare in modo che coloro che hanno bisogno di protezione vengano accettare, ma deve essere chiaro anche che coloro che non hanno diritto di restare nell’UE saranno modo rapido ed efficace respinti“.

Secondo la Commissione, per fare in modo che il sistema europeo comune di asilo funzioni, è fondamentale che la politica di rimpatrio sia pienamente funzionante. Pur nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e del principio di accoglienza, il rimpatrio verso i paesi d’origine o verso i paesi di transito da parte dei migranti irregolari che non hanno diritto di restare nell’UE costituisce una parte essenziale degli sforzi globali dell’UE per affrontare il fenomeno della migrazione e, in particolare, per ridurre quello dell’immigrazione irregolare.

E’ per questo motivo che il rafforzamento della cooperazione in materia di respingimento con la Turchia è considerata ad oggi quale una delle priorità principali della Commissione europea. Nell’ambito del piano d’azione congiunto UE-Turchia, attivato il 29 novembre, l’UE e la Turchia si sono impegnati a rafforzare la cooperazione in materia di gestione del fenomeno migratorio – anche attraverso la prevenzione dei flussi migratori irregolari verso l’UE – e ad accelerare le procedure di respingimento degli  immigrati irregolari, in linea con le disposizioni studiate ad hoc per.

Tra ieri e oggi, pertanto, è iniziato il respingimento degli immigrati irregolari, prevalentemente di origine marocchina, algerina e tunisina.

Un segnale chiaro ed inequivocabile per coloro che sanno a priori di non aver diritto alla protezione internazionale.

Domenico Martinelli

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Iraq: firma contratto Trevi – autorità irachene per consolidamento diga di Mosul

BreakingNews di

Il ministero degli Esteri italiano ha confermato  che è appena stato firmato il contratto della ditta Trevi con le autorità irachene per i lavori di consolidamento della diga di Mosul.

La firma fa seguito all’intenso negoziato svolto tra l’azienda e le autorità irachene a Baghdad. Sulla base della decisione delle autorità irachene, potrà svilupparsi l’operazione di consolidamento della diga concordata nella recente visita del premier iracheno Al Abadi a Roma, e oggetto anche dei contatti avuti in questi giorni a New York dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni con i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Iraq per accelerare i termini del contratto.

Un nuovo consistente fondo di aiuti economici dell’Europa ai profughi palestinesi

Ieri la Commissione europea ha approvato un pacchetto di assistenza di 252 milioni e 500 mila euro per sostenere le Autorità ed rifugiati palestinesi. E questa è solo la prima parte del pacchetto di sostegno annuo dell’UE a favore della Palestina previsto per il 2016.

L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, ha dichiarato: “L’Unione europea rinnova il suo impegno concreto per i palestinesi attraverso questo pacchetto, l’UE sostiene la vita quotidiana dei palestinesi nei campi dell’istruzione e della sanità, proteggendo le famiglie più povere e  garantendo ai profughi palestinesi l’accesso ai servizi essenziali; questi sono passi tangibili sul campo che possono migliorare la vita dei palestinesi, ma questi passaggi non sono sufficienti. Le istituzioni palestinesi devono continuare a crescere di più, devono diventare più trasparenti, più responsabili e più democratiche. Istituzioni fondamentali e inclusive, basate sul rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani, sono cruciali in vista della creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano. Perché quello che vogliamo raggiungere è la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, che viva, in pace e sicurezza, al fianco dello Stato di Israele e degli altri vicini “.

Il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Johannes Hahn, ha dichiarato: “L’UE rimane ferma nel suo impegno per i palestinesi e sostiene attivamente una soluzione basata su due stati La nostra assistenza per assicurare il funzionamento dell’Autorità palestinese e per sostenere i gruppi di palestinesi vulnerabili, compresi i rifugiati palestinesi, è un esempio concreto di questo impegno. Ringrazio anche tutti gli Stati membri per il loro sostegno continuo dei programmi dell’UE per questa regione tormentata, che si è dimostrato efficace”.

UNRWA-logoDel pacchetto di fondi inviato ieri, 170 milioni e 500 mila euro saranno inviati direttamente all’Autorità palestinese, attraverso il meccanismo PEGASE (Mécanisme Palestino-Européen de Gestion de l’Aide socio-Economique). Con questi fondi l’UE sosterrà l’Autorità palestinese nella fornitura di servizi sanitari ed educativi, proteggendo le famiglie più povere e fornendo assistenza finanziaria agli ospedali situati a Gerusalemme Est.

I restanti 82 milioni costituiranno un contributo al bilancio del programma di soccorso e lavori dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA). Organismo ONU che fornisce servizi essenziali per i rifugiati palestinesi in tutta la regione. Questo supporto si propone di offrire un migliore accesso ai servizi pubblici essenziali e maggiori opportunità di sostentamento per i profughi palestinesi.

Un secondo pacchetto di misure a favore dei palestinesi sarà annunciato nel corso dell’anno.

A beneficio dei lettori, precisiamo che il PEGASE è il meccanismo attraverso il quale l’Unione europea aiuta l’Autorità palestinese a costruire le istituzioni di un futuro Stato palestinese indipendente. Attraverso il pagamento delle pensioni e degli stipendi dei funzionari pubblici, assicura che i servizi pubblici essenziali continuino a funzionare. Il PEGASE fornisce anche prestazioni sociali alle famiglie palestinesi che vivono in condizioni di estrema povertà ed anche un contributo all’Autorità Palestinese per sostenere i consumi degli ospedali di Gerusalemme Est.

L’Agenzia UNRWA fornisce invece servizi essenziali per i rifugiati palestinesi in Cisgiordania, a Gaza, in Giordania, Siria e Libano. L’UE è il maggior contributore di questa Agenzia ONU specializzata. Tra il 2007 e il 2014, l’UE ha contribuito con oltre 1 miliardo di euro , tra cui 809 milioni destinati al bilancio del programma dell’ente. Inoltre, l’UE ha generosamente contribuito alle richieste dell’UNRWA nelle emergenze umanitarie e nei progetti ideati ad hoc per rispondere alle varie crisi  ed alle esigenze specifiche sorte in tutta la regione. Il partenariato tra l’UE e l’UNRWA ha permesso a milioni di rifugiati palestinesi di essere istruiti, di vivere una vita più sana, di avere accesso alle opportunità di lavoro e di migliorare le generali  condizioni di vita, contribuendo così allo sviluppo di tutta la regione.

Crisi libica e traffico esseri umani, il futuro di EuNavFor Med

BreakingNews/POLITICA di

EuNavFor Med è pronta per la fase operativa B2. La guerra ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo sarà combattuta in acque territoriali libiche, “ma ci sono una serie di sfide politiche e legali da risolvere prima di poter raccomandare questa transizione”, afferma l’ammiraglio Enrico Credendino, al comando della missione europea.

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Criticità relative alla mancata costituzione di un esecutivo di unità nazionale, che ha impedito alle Nazioni Unite di autorizzare l’arresto dei trafficanti e la distruzione dei mezzi direttamente a terra.

Il 7 ottobre 2015, il Parlamento Europeo aveva annunciato il potenziamento delle missioni militari nel Mediterraneo, finalizzate all’abbordaggio, perquisizione e confisca delle imbarcazioni utilizzate dagli scafisti. Mentre la firma dell’accordo di dicembre in Marocco tra alcune componenti della vita politica e sociale libica per la formazione di un esecutivo di unità nazionale si è rivelata illusoria, il capo della missione di Supporto delle Nazioni Unite (Unsmil), Martin Kobler, ha salutato con favore il comunicato della maggioranza dei membri del Parlamento libico, che finalmente approvano la costituzione del Governo di unità nazionale e ha chiesto loro di formalizzare l’annuncio. In attesa di una stabilità politica che scongiuri la minaccia del Daesh e legittimi EuNavFor Med a un intervento territoriale risolutivo dell’emorragia migratoria che destabilizza l’Europa, la missione resta momentaneamente “sospesa” alla fase attuale, quella della lotta agli scafisti a 12 miglia nautiche dalla costa libica.

Sebbene la comunità internazionale appoggi il premier Fayez Al Sarraj, ricevuto in Italia da Matteo Renzi, la situazione si fa critica. Da più parti si ipotizzano futuri raid aerei francesi, americani e inglesi contro le basi Isis in Libia, favorite dall’attuale caos istituzionale.

Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito l’urgenza di dar vita al Governo di accordo nazionale e concentrarsi sulla comune lotta al terrorismo. Dello stesso parere il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pierferdinando Casini, che ha definito l’attentato del 7 gennaio scorso a Zlitan contro un centro di addestramento della polizia come parte della “strategia attuata dello Stato Islamico per rinviare l’insediamento del governo di unità nazionale concordato tra le parti e l’Onu”.

Senza un esecutivo riconosciuto a livello internazionale, EunavforMed è destinata allo stallo. Il comando della missione tuttavia ipotizza un futuro passaggio alla fase 3, con operazioni anche sulla costa, in collaborazione con le forze libiche e a partire dall’individuazione degli obiettivi, risolvendo i gap di intelligence sul business model dei contrabbandieri.

Secondo Credendino, “quando muoveremo alle fasi 2B e 3 ci saranno altre missioni sponsorizzate dalla comunità internazionale. Pertanto le attività di EuNavFor Med e delle altre operazioni vanno coordinate per mitigare i rischi di fratricidio. Il mandato dell’operazione europea dovrebbe essere esteso per la formazione e l’addestramento della Guardia costiera libica”.

Il terzo step, che non ha ancora ricevuto il via libera dell’UE, sarebbe in realtà il più efficace, poiché è in acque libiche che opera la maggioranza dei contrabbandieri, ma come fa sapere il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, “nel Consiglio di Sicurezza Onu non ci sono spazi per autorizzare un simile intervento senza espressa richiesta libica”.

Quanto ai risultati effettivamente conseguiti, la missione ha contribuito all’arresto di 46 trafficanti e alla distruzione di 67 imbarcazioni. Ad oggi, sono 14 le nazioni europee che partecipano ad EuNavFor Med: Italia, Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Slovenia, Grecia, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi, Svezia. Al largo della Libia sono impegnate sei navi da guerra europee: una italiana, una inglese, una francese, una spagnola e due tedesche.

A queste, si aggiungeranno altri tre mezzi messi a disposizione da Inghilterra, Belgio e Slovenia, quattro elicotteri, numerosi droni e 1300 militari. I costi dell’intervento militare – al di là di contributo europeo annuo pari a circa 12 milioni di euro – sono a carico dei singoli Paesi partecipanti. L’Italia ha contribuito alla missione con uno stanziamento di 26 milioni di euro e l’impiego di 1.020 soldati.
Viviana Passalacqua

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Cina: missili su un’isola contesa

Asia/BreakingNews di

 

Il 14 febbraio scorso le immagini catturate da un satellite hanno mostrato la presenza di nuove installazioni di tipo militare su una piccola isola dell’arcipelago delle Paracels, nel Mar Cinese Meridionale, occupata dalla Cina e rivendicata dai suoi vicini, in particolare Taiwan e Vietnam. L’isola, un tempo denominata Woody sulle carte nautiche, venne annessa da Pechino nel 1956 con il nome di Yongxing.

Si tratta probabilmente di udue batterie HQ-9, capaci di armare otto missili terra aria-ciascuna, con un raggio di lancio che gli esperti stimano in circa 200 chilometri, in grado di colpire velivoli, missili da crociera e balistici. Il loro dispiegamento aggrava ulteriormente la tensione lungo le acque già agitate del Mar Cinese Meridionale, teatro da alcuni anni di una disputa territoriale su larga scala, con importanti risvolti politici, strategici ed economici, alla quale partecipano tutte le potenze della regione, Giappone compreso, e gli Stati Uniti, intenzionati a difendere  la propria libertà di navigazione militare e commerciale nell’area e a limitare le velleità espansionistiche di Pechino.

La rivelazione, diffusa ieri delle autorità di Taiwan, ha indispettito i cinesi che, in un primo momento, hanno tuonato contro le menzogne della propaganda filo-occidentale e, successivamente, hanno ribadito il proprio diritto ad installare armamenti di “auto-difesa” sulle isole abitate da personale civile e militare cinese, “secondo la legge internazionale”.

La preoccupazione maggiore, per gli americani ed i loro alleati nell’area, è che Pechino porti avanti un progetto unilaterale di militarizzazione nella regione, fortificando, ufficialmente a scopo difensivo, un numero sempre maggiore di isole e neo-isole artificiali, realizzate ex-novo dagli ingegneri cinesi attraverso massicce opere di drenaggio dei fondali sabbiosi, lì dove un tempo esistevano solo tratti semi-sommersi di barriera corallina.

L’isolotto di Yongxing in effetti già disponeva di una pista aerea e, nel novembre del 2015, i satelliti avevano catturato l’immagine di un jet militare cinese atterrato sull’avamposto. I missili terra area, secondo gli esperti interpellati dalla BBC, potrebbero essere un avvertimento rivolto al Vietnam, che continua a avanzare le proprie rivendicazioni sull’arcipelago, e agli Stati Uniti, dopo che, nel gennaio scorso, un incrociatore a stelle e strisce si era avvicinato alle coste dell’isola.

Per ora Pechino ha evitato di dispiegare installazioni militari sulle isole contese dell’arcipelago delle Spratly, molto lontano dalle acque territoriali cinesi  e incastonato tra Vietnam, Malesia e Filippine, che ne rivendicano a loro volta il possesso. Se l’escalation dovesse spingersi così a sud, quella cinese sarebbe percepita non più come una semplice provocazione ma come un atto ostile esplicito, con conseguenze difficili da prevedere.

La disputa relativa al Mar Cinese Meridionale è stata affrontata anche durante il vertice, appena conclusosi in California, tra gli Stati Uniti ed i paesi dell’ASEAN, l’organizzazione che riunisce gli stati del sud-est asiatico. Solo ieri il Presidente Obama, alla conclusione del meeting, aveva ribadito l’appello americano ad interrompere ogni ulteriore “ rivendicazione, nuova costruzione e militarizzazione”, riferendosi indirettamente alle attività cinesi nell’area. Obama ha anche affermato che gli USA continueranno “a volare, navigare ed operare ovunque sia consentito dalle leggi internazionali”, aggiungendo che gli Stati Uniti forniranno il loro supporto agli alleati nella regione perché possano fare altrettanto. Un supporto che è stato invocato esplicitamente, in modo abbastanza sorprendente, dal Primo Ministro Vietnamita durante il vertice. Il premier Nguyen Tan Dung si è rivolto direttamente a Obama per chiedere che gli USA abbiano “una voce più forte e mettano in campo azioni maggiormente funzionali ed efficaci”per ottenere l’interruzione di tutte le iniziative volte a cambiare lo status quo, riferendosi chiaramente ala Cina ed alle sue attività costruttive nell’arcipelago Spratly.

Lo scopo del vertice era quello di trovare nove soluzioni comuni per contrastare l’espansionismo di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e preservare il diritto alla libera navigazione, interesse geopolitico prioritario per gli Stati Uniti in quella fetta di mondo. La scelta cinese di dispiegare di una batteria missilistica sull’isola di Yongxing in concomitanza con il vertice USA-ASEAN non è ovviamente casuale e tende a ribadire l’intenzione di Pechino di disporre come meglio crede dei territori sotto il suo controllo.

Per gli americani ed i suoi alleati l’escalation militare, anche se su scala ridotta, ha il sapore della provocazione. Un ufficiale americano ha dichiarato ai microfoni della CNN che il dispiegamento dei missili, avvenuto  a vertice in corso, è stato “un’ulteriore dimostrazione del tentativo unilaterale della Cina di cambiare lo status quo” nel Mar Cinese Meridionale. Sulla stessa linea il Giappone, che per bocca del Segretario Capo di Gabinetto Yoshihide Suga ha bollato come inaccettabile l’iniziativa di Pechino.

La disputa sembra destinata ad inasprirsi, soprattutto se la Cina deciderà di procedere nella creazione di infrastrutture militari sulle isole sotto il suo controllo, spingendosi ancora più a sud. Un’altra variabile in gioco riguarda le risorse energetiche e minerarie che potrebbero nascondersi sotto i fondali corallini. Le indagini geologiche e le trivellazioni non sono ancora iniziate, almeno ufficialmente, ma la scoperta di giacimenti di petrolio o gas naturali potrebbe compromettere ulteriormente i rapporti tra le potenze che si affacciano su quella fetta di oceano.

 

Luca Marchesini

 

Regeni e il depistaggio del governo egiziano

Continua ad infittirsi il giallo legato alla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni. L’ammissione da parte di tre fonti di intelligence egiziane, secondo cui il 28enne sarebbe stato arrestato per il suo comportamento impertinente nei confronti delle forze dell’ordine e, soprattutto, perché sospettato di essere una spia a causa dei suoi contatti con la Fratellanza Musulmana e il Movimento di Sinistra 6 Aprile, sono state smentite il 15 febbraio dal Ministero dell’Interno de Il Cairo che tramite, l’agenzia stampa Mena, nega “che il ragazzo sia stato imprigionato dall’autorità di sicurezza prima della sua morte”.

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Innanzitutto, i dati certi. L’autopsia ha evidenziato segni di tortura sul corpo di Regeni, tra cui sette costole rotte e scosse ai genitali.

Ma quello che è emerso nelle ultime 48 ore è una dicotomia tra quanto riportato dalle testate internazionali come New York Times e Reuters e italiane come Corriere della Sera e La Repubblica, e dalle autorità egiziane. Aldilà della smentita da parte del governo, è chiaro che in atto ci sia un tentativo di sviare le indagini.

Oltre a non chiarire le circostanze della scomparsa di Regeni, alcune testimonianze, ritenute attendibili in un primo momento, cozzano con quanto riferito sia dalle stesse fonti dell’intelligence, intervistate separatamente e in forma anonima dal New York Times, sia dalle riprese delle telecamere dei negozi che avrebbero ripreso l’arresto del 25 gennaio scorso.

Come rivelato dai tre testimoni dei servizi, l’interesse crescente di Giulio nei confronti delle attività sindacali egiziane, osteggiate dal presidente Al Sisi, avrebbero indotto le autorità locali a pensare che il ricercatore italiano fosse una spia.

Insomma, egli sarebbe finito in un affare più grande di lui. Secondo il Corriere della Sera, nel mese di dicembre, l’Università di Cambridge, presso la quale Regeni era dottorando, avrebbe chiesto allo studente di intensificare le ricerche all’interno del sindacato e dei movimenti di opposizione al regime di Al Sisi. Per questo motivo, le ultime settimane di vita del ragazzo sarebbero state contraddistinte dalla partecipazioni alle riunioni di tali movimenti e alla conoscenza di personalità sia sindacali sia appartenenti alla Fratellanza Musulmana.

Questo il movente che ha probabilmente generato, nelle autorità egiziane, il sospetto che Regeni fosse una spia: “Dopotutto, chi viene in Egitto a studiare i movimenti sindacali?” ha rivelato un funzionario dell’intelligence.

In più, gli eventi strettamente legati alle ore che hanno riguardato la scomparsa dell’italiano. Come già scritto, alcune testimonianze, ritenute inizialmente credibili, secondo cui Regeni sarebbe stato portato via da due poliziotti, sono state smentite dalla chat di Facebook risalenti proprio al 25 gennaio. Qui, il ragazzo parla alla fidanzata e al professore due ore dopo la presunta cattura da parte della polizia.

Una cattura che probabilmente è avvenuta. Ma legata a tempistiche e a protagonisti differenti. E, soprattutto, con uno stile di vita che, con ogni probabilità, aveva messo i servizi segreti egiziani sulle tracce di Giulio Regeni ben prima del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa.
Giacomo Pratali

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