GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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BreakingNews - page 6

Assassinio Regeni: passo falso di Al Sisi?

Come migliaia di attivisti locali. Come i militanti della Fratellanza Musulmana. Giulio Regeni, lo studente italiano di 28 anni trovato morto sulla strada dal Cairo ad Alessandria, potrebbe essere una delle tante vittime, stavolta straniera, del regime di Al Sisi.

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Dopo essere scomparso il 28 gennaio ed essere stato ritrovato morto il 3 febbraio, la prima ipotesi avanzata dalle autorità locali è stata quella dell’incidente. Un’ipotesi ritenuta inverosimile fino dal primo istante, visti i segni delle violenze sul corpo del giovane ragazzo. Sospetti, adesso,che si concentrato sulla polizia locale e un movente riconducibile alla rete di contatti intrecciata da Regeni negli ultimi mesi di vita.

La salma tornerà in Italia sabato 6 febbraio, dove verrà sottoposta ad una nuova autopsia. Intanto, gli inquirenti italiani stanno collaborando con quelli egiziani, anche se il rischio di uno sviamento delle indagini è alto, come si evince dalla notizia dell’arresto da parte delle autorità locali di due sospettati, poi smentito dalla Farnesina.

“A quanto risulta dalle cose che ho sentito sia dall’Ambasciata sia dagli investigatori italiani, siamo lontani dalla verità”, ha affermato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

Originario di un piccolo paese del Friuli, dottorando di Cambridge, Regeni stava scrivendo la sua tesi sull’economia egiziana presso l’American University. Interessato al Medio Oriente e agli sviluppi socio-economici delle rivolte degli ultimi anni, era venuto in contatto con le organizzazioni
locali e aveva probabilmente partecipato ad alcune riunioni sindacali negli ultimi mesi.

Sull’agenzia di stampa locale Nena News, vicina alle posizione antiregime, su Il Manifesto, Regeni aveva scritto diversi articoli in cui parlava proprio delle forme di repressione portate avanti dal regime contro ogni manifestazione di dissenso. Ed è proprio questa attività ad avere portato i servizi egiziani sulle sue tracce.

Per questo motivo, l’italiano sarebbe stato catturato con l’intento di fargli confessare tutta la lista di nomi che gli avevano fornito le informazioni poi riportate negli articoli pubblicati. I segni della tortura rinvenuti sul corpo spingono gli inquirenti italiani ad ipotizzare che Regeni non abbia voluto collaborare con le autorità egiziane e, per questo motivo, sia stato ucciso.

Una circostanza simile a quella che ha riguardato molti altri attivisti egiziani. E conosciuta, in parte, dall’opinione pubblica occidentale, ma messa in ombra dalle violenze più mediatiche del Daesh nei Paesi vicini. Una forma di caccia al dissenso che adesso ha colpito uno studente italiano e che quindi rischia di mettere a repentaglio i rapporti tra Roma e Il Cairo.

Rapporti intrecciati su due fronti. Quello energetico, con la presenza di Eni nel Paese nordafricano. Quello geopolitico, con l’Egitto già impegnato nei raid in Libia contro le truppe del governo di Tripoli, e in difesa dell’esecutivo di Tobruk, e possibile alleato nella ormai prossima missione internazionale che potrebbe vedere proprio l’Italia a capo della coalizione ONU.

Un Egitto in cui la Primavera Araba del 2011, le rivolte di piazza, la caduta di Mubarak e l’ascesa e la destituzione di Morsi sembrano essere state risucchiate dall’avvento di Al Sisi, sostenuto tra l’altro da Arabia Saudita e Turchia, e dal ritorno ad un regime simile a quello in vigore fino a quattro anni fa. Le leggi contro il dissenso, le elezioni farsa e la persecuzione contro la Fratellanza Musulmana, in cui spicca la condanna a morte di Morsi, e la dimostrazione di potenza con l’apertura del secondo transito nel Canale di Suez, pongono l’Occidente di fronte ad un difficile bivio.

Al netto della stretta contro il Daesh in Medio Oriente e in Nord Africa da parte dell’Occidente, al netto degli interessi economici, la morte di Regeni rischia di mettere in discussione i rapporti con l’Egitto. Ma soprattutto suscita una domanda: possono Europa e Stati Uniti scendere a patti con un regime dittatoriale come quello di Al Sisi?
Giacomo Pratali

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Libia, ecco il governo

Dopo oltre un mese dall’accordo di Skhirat, è arrivata la lista del nuovo governo di unità nazionale libica, con a capo Fayez al Sarraj, scelto dal Consiglio di Presidenza. Polemiche sulla scelta del Ministro della Difesa, rimasto non assegnato: la non designazione del generale Khalifa Haftar ha portato al non voto da parte di due rappresentanti di Tobruk. Adesso, si attende la ratifica da parte del parlamento. Mentre è ancora in corso la riunione di oggi alla Farnesina tra i Paesi già presenti alla Conferenza di Roma di dicembre: la designazione del nuovo esecutivo, infatti, dovrebbe portare con sé un prossimo intervento militare internazionale nello Stato nordafricano.

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I rappresentanti politici internazionali hanno accolto con favore la notizia, data alla stampa dal rappresentante dell’ONU in Libia Martin Kobler, che poi ha aggiunto: “Esorto l’HoR (il parlamento libico, ndr) a riunirsi prontamente e ad approvare il governo”. Stesso concetto, quella della ratifica del nuovo esecutivo, ribadito anche dal Ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni.

Eppure, anche questo tanto agognato accordo ha rischiato di saltare. Nella lista dei 19 ministri manca infatti il rappresentante del Dicastero della Difesa. Per questo motivo, la mancata nomina dell’uomo forte di Tobruk, il generale Haftar, ha scatenato l’astensionismo di due rappresentanti del governo riconosciuto dalla comunità internazionale facenti parte del Consiglio di Presidenza.

Oltre al premier Fayez al Sarraj e ai quattro vicepremier in rappresentanza delle zone del Paese, ecco la lista dei nuovi ministri:
Marwan Ali per il ministero degli Esteri;
al Taher Mohamed Sarkaz per le delle Finanze;
Khalifa Rajab Abdul Sadeq per il Petrolio;
Mohamed Faraj al Mahjoub per la Cooperazione internazionale;
Bedad Qonso Masoud per la Governance locale;
Mohamed Soliman Bourguiba per la Salute;
Khair Melad Abu Baker per l’Istruzione;
Mahmud Gomaa per l’Istruzione superiore;
Abdul Motalib Boufarwa per l’Economia;
Khaled Muftah Abdul Qader per la Pianificazione;
Atef al Bahary per le Telecomunicazioni;
Hisham Abdullah al ministero dei Trasporti;
Faraj al Taher Snoussi per l’Industria;
Osama Saad Hamad per l’Energia elettrica;
Adel Mohamed Sultan per l’Agricoltura;
Faddy Mansour al Shafey per il Lavoro;
Mokhtar Abdullah Gouili per la Formazione professionale;
Ahmed Khalifa Bridan per gli Affari sociali;
Osama Mohammed Abdul Hady per le Risorse idriche.
Giacomo Pratali

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Egitto: il “sanguinoso” Mar Rosso

BreakingNews di

3 turisti stranieri sono stati feriti ieri al Bella Vista Hotel da due possibili militanti del Daesh. L’attacco è avvenuto nel resort di Hurghada, Mar Rosso. Uno dei due jihadisti è stato ucciso dalla polizia (Mohamed Hassan Mohamed Mahfouz, 22, studente), l’altro è rimasto ferito. Come riportato dalle autorità locali, I due hanno fatto irruzione nel locale muniti di pistola, cinture esplosive e una bandiera nera dell’ISIS. Mentre, come riferito dalla BBC, il loro obiettivo era rapire i turisti.

L’assalto è avvenuto dopo l’attacco avvenuto vicino alle Piramidi di Giza lo scorso giovedì, durante il Natale Coopto, e il raid contro un bus turistico, con a bordo israeliani. Entrambi gli episodi sono stati rivendicati dallo Stato Islamico.

Nigeria, Chibok girls: trattative con Boko Haram?

BreakingNews di

Il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha annunciato ai media di voler negoziare con Boko Haram il rilascio delle 200 studentesse rapite (“Chibok girls”) nel 2014: “Se può essere stabilito un leader credibile e ci dicono dove si trovano le ragazze, siamo pronti a negoziare con loro senza precondizioni”, ha riferito alla stampa.

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Nel frattempo, il 2015 si è concluso con altre 80 vittime di attacchi terroristici avvenuti nello Stato di Borno, soprattutto nella capitale Maiduguri. Lo scorso 28 dicembre, l’organizzazione affiliata al Califfato ha attaccato moschee, mercati e stazioni servendosi di ragazze kamikaze. Sono solo gli ultimi episodi di un dicembre segnato da un cruento ritorno alla violenza, nonostante le vittorie ottenute dagli eserciti nigeriano e camerunense contro le milizie jihadiste.

Allargando l’orizzonte, le statistiche riguardo Boko Haram sono chiare. Soprattutto in merito alla sua drammatica efficacia d’azione. Dal 2014, almeno 5600 civili sono stati uccisi, mentre oltre 2000 donne e bambine sono state ridotte in schiavitù o addestrate. Infine, come riportato dall’UNICEF, oltre un milione di bambini, tra Nigeria, Camerun, Ciad e Niger, ha abbandonato la scuola.
Giacomo Pratali

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Roma: Tavola Rotonda su Infrastrutture in Iran

BreakingNews/EUROPA di

Focus sulle infrastrutture iraniane oggi all’Ance, dove si tiene una tavola rotonda organizzata dalla Farnesina insieme all’Agenzia Ice e alla stessa Associazione nazionale costruttori edili. Ai lavori, aperti dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, partecipano i vertici di Ance, Ice, Sace e Confindustria insieme a una delegazione iraniana di alto livello, guidata dal vice ministro delle Strade e dello Sviluppo Urbano e Presidente delle Ferrovie Iraniane, Mohsen Pour Seyed Aghaei. Con lui, Ali Nourzad, vice ministro delle Strade e dello Sviluppo Urbano e amministratore delegato della Cdtic – Construction and Development of Transportation Infrastructures, e Alimorad Akbari, vice ministro dell’Agricoltura, responsabile per le risorse idriche e il territorio. La delegazione di Teheran comprende 4 ministeri – Strade e sviluppo urbano, Salute ed Educazione, Agricoltura ed Energia – e 9 agenzie governative iraniane.

Per la prima volta, oltre 150 imprese della filiera delle costruzioni italiana possono condividere a 360 gradi i programmi nel settore delle costruzioni/infrastrutture previsti dal governo iraniano per i prossimi anni.

L’Italia si sta muovendo verso l’Iran con una grande azione di sistema, con la Farnesina che lavora in raccordo con il ministero dello Sviluppo Economico, Confindustria, Sace, Simest e banche. La “Tavola Rotonda sulle Infrastrutture Iraniane” fa seguito alla missione compiuta a Teheran lo scorso agosto dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, insieme alla collega dello Sviluppo economico, Federica Guidi. Poche settimane fa, inoltre, si e’ svolta nella capitale iraniana un’imponente missione di sistema guidata dal vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, con oltre 300 imprese italiane impegnate in settori di punta, come l’automotive, biomedicale, materiali per l’edilizia ed energie rinnovabili. Il governo italiano ha voluto imprimere un forte contenuto alla linea politica chiara e coerente a sostegno della nuova fase dei rapporti tra la comunita’ internazionale e l’Iran, a seguito degli sviluppi positivi del negoziato nucleare.
Oggi e’ la volta del settore delle costruzioni e infrastrutture, nell’ambito del quale Teheran prevede investimenti rilevanti per l’ampliamento e l’ammodernamento della rete ferroviaria, oltre alla rete autostradale, del tutto insufficiente al traffico generato in un paese di oltre 80 milioni di abitanti. Il governo iraniano intende inoltre attrarre investimenti rilevanti anche nei porti e negli aeroporti, cosi’ come nel settore ospedaliero, facendo un ricorso massiccio anche agli investimenti esteri.

Libia: nuovo governo e intervento ONU

Al termine della conferenza internazionale sulla Libia di Roma, il sottosegretario di Stato USA Kerry annuncia la formazione di un governo di unità nazionale entro “40 giorni”. I Paesi e le organizzazioni internazionali presenti varano un documento d’intenti, in attesa della risoluzione ONU del 17 dicembre su un intervento militare.

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“Affermiamo il nostro pieno appoggio al popolo libico per il mantenimento dell’unità della Libia e delle sue istituzioni che operano per il bene dell’intero paese. E’ necessario con urgenza un Governo di Concordia Nazionale con sede nella capitale Tripoli al fine di fornire alla Libia i mezzi per mantenere la governance, promuovere la stabilità e lo sviluppo economico. Siamo a fianco di tutti i libici che hanno richiesto la rapida formazione di un Governo di Concordia Nazionale basato sull’Accordo di Skhirat, ivi compresi i rappresentanti della maggioranza dei membri della Camera dei Rappresentanti e del Congresso Nazionale Generale, degli indipendenti, delle Municipalità, dei partiti politici e della società civile riunitisi a Tunisi il 10-11 dicembre. Accogliamo con favore l’annuncio che i membri del dialogo politico firmeranno l’accordo politico a Skhirat il 16 dicembre. Incoraggiamo tutti gli attori politici a firmare questo accordo finale il 16 dicembre e rivolgiamo a tutti i libici un appello affinché si uniscano nel sostegno dell’Accordo Politico per la Libia e il Governo di Concordia Nazionale”.

Questo il passo più importante del comunicato congiunto emesso al termine della conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Roma il 13 dicembre e promossa dalla Farnesina. Il documento è stato firmato da UE, ONU, LAS, UA e dai 17 Paesi partecipanti: Algeria, Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Italia, Marocco, Qatar, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia. Adesso, c’è attesa per la firma dell’accordo di mercoledì 16 e per la risoluzione ONU di giovedì 17, data in cui i membri permanenti si sono impegnati a firmare un accordo per “un intervento umanitario, di sicurezza e di stabilizzazione della Libia”.

L’avanzata del Daesh, l’ascesa di Sirte come epicentro del Califfato e un complesso istituzionale alla deriva hanno imposto, forse fuori tempo massimo, l’intervento delle principali potenze mondiali e persino di quegli attori internazionali che in Libia si combattono per conto terzi: su tutti, Arabia Saudita e Egitto, Qatar e Turchia. E gli stessi rappresentanti delle fazioni libiche, compresi i leader del GNC e dell’Assemblea di Tobruk.

Roma, sulla scia di quanto avvenuto al summit di Vienna sulla Siria, ha seguito lo stesso metodo. Europa, Stati Uniti, Russia e Cina si sono mosse all’unisono in direzione di un piano d’azione che possa portare ad un processo di stabilizzazione istituzionale della Libia, indispensabile per combattere il Daesh.

Mentre la pressione per un immediato intervento militare da parte di Francia e Gran Bretagna, già alleate sul fronte siriano, non ha avuto un seguito, visti gli errori commessi nel 2011.

“Tra 40 ci sarà un governo di unità nazionale”. Anche se “ci vorrà tempo per superare il retaggio di quattro decenni di dittatura. Ma ora i libici devono governare insieme”, ha detto il sottosegretario di Stato USA John Kerry. Mentre il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni ha affermato che “contro il terrorismo serve un Paese stabile”. Mentre, l’Italia avrà “un ruolo fondamentale nelle prossime settimane e mesi nel quadro delle decisioni ONU e sulla base delle richieste del nuovo governo libico”.

L’Italia, dunque, torna, seppure timidamente, protagonista nella scena internazionale, dopo che sul fronte siriano aveva adottato una linea attendista. Dopo oltre un anno di negoziati in Libia, il delegato ONU Martin Kobler, che ha ereditato da Bernardino Leon, si aspetta di strappare oltre 200 consensi dai rappresentanti dell’Assemblea di Tobruk, restii, a partire dal Presidente, a trattare sulla costituzione di un governo unico assieme agli attuali rappresentanti di Tripoli.

Rimane ancora da chiarire, tuttavia, la natura dell’intervento ONU in Libia dopo la costituzione del nuovo governo a Tripoli che, al netto dei no comment, sarà di natura prettamente militare e non una missione di peacekeeping, vista la radicalizzazione del Daesh sul territorio: “Ribadiamo il nostro pieno appoggio all’applicazione della Risoluzione 2213 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle altre Risoluzioni in materia per affrontare le minacce alla pace, sicurezza e stabilità della Libia. I responsabili della violenza e coloro che impediscono e minacciano la transizione democratica della Libia devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Siamo pronti a sostenere l’attuazione dell’accordo politico e ribadiamo il nostro deciso impegno ad assicurare al Governo di Concordia Nazionale pieno appoggio politico e l’assistenza richiesta in campo tecnico, economico, di sicurezza e anti-terrorismo ”, recita ancora il comunicato.
Giacomo Pratali

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Vertice NATO: Libia snodo cruciale per Mogherini e Gentiloni

BreakingNews di

Discorsi convergenti quelli dell’alto rappresentante dell’UE Federica Mogherini e del ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni in occasione della seconda giornata del seminario congiunto NATO a Firenze. Entrambi, infatti, hanno indicato non solo la Siria, ma anche la Libia come terreno cruciale nella lotta al terrorismo.

In collegamento da Bruxelles, Mogherini si è rivolta ai partecipanti al seminario spiegando che “non è ancora venuto il momento di un’azione militare europea congiunta in Siria. Ma è comunque indispensabile trovare una soluzione politica di concerto assieme a tutti gli altri attori politici, anche se le posizioni di partenza restano distanti”. E ancora: “Ritengo che la Siria sia sì importante, ma non inscindibile dal contesto libico, sul quale dobbiamo lavorare per combattere il Daesh. Dalla questione migratoria e dei rifugiati che arrivano in Europa fino agli attacchi terroristici di Parigi: il nostro continente deve poter gestire questa minaccia proveniente da fuori”.

Interpellata, invece, sul ricorso all’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona da parte della Francia, Mogherini ha difeso l’operato congiunto dichiarando che “è vero che i singoli stati stanno discutendo bilateralmente le soluzioni militari contro il terrorismo assieme a Parigi”, ma “l’Unione Europea – sottolinea -, fin dal 13 novembre, ha dato la sua solidarietà e il suo pieno appoggio al governo francese. Purtroppo è necessario l’uso della forza per difendere la sicurezza dell’UE”.

Dal canto suo, Gentiloni, intervenuto sul dibattito del pomeriggio sulla Libia, rilancia l’idea che, come nel caso siriano, anche in quello libico “serve una soluzione comune che porti all’accordo tra le fazioni. Dopodichè, le Nazioni Unite metteranno nero su bianco un piano d’intervento nel Paese. L’Italia, così come in Iraq e Afghanistan, è pronta ad assumersi le proprie responsabilità. Il destino della Libia, al pari di quello della Siria, è di fondamentale importanza per l’Europa e per l’Italia sia per la questione dei flussi migratori sia per la lotta al Daesh e al terrorismo”

Mentre, sui rapporti con la Francia dopo l’intervento in Siria e il ricorso all’art. 42.7, il titolare della Farnesina ha assicurato che “l’Italia è al fianco della Francia, con la quale stiamo studiando forme di collaborazione ulteriore in altri contesti geopolitici caldi”, ha concluso Gentiloni.

Vertice NATO Firenze, Minniti: “Contro Daesh, fase militare e post-bellica indivisibili”

BreakingNews di

Nel corso dell’apertura ai lavori del seminario congiunto GSM dell’Assemblea, in corso presso Palazzo Vecchio a Firenze, il seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell’Assemblea Parlamentare della NATO, il presidente della Delegazione italiana all’Assemblea NATO, Andrea Manciulli, promotore dell’evento, ha ribadito “l’importanza di una giornata in cui le realtà europee e arabe del bacino Mediterraneo possono dialogare alla ricerca della pace”.

Dopo gli interventi del sindaco di Firenze Dario Nardella, del presidente del Senato Piero Grasso e l’apertura dei lavori da parte di Gilbert Le Bris, Presidente del GSM, Andrea Manciulli e Marco Minniti, Sottosegretario di Stato, hanno analizzato il rapporto del GSM dal titolo “Le origini ideologiche, teologiche e socio-economiche del terrorismo jihadista”.

“Lavoriamo a questo rapporto da un anno – ha spiegato Manciulli -. Esso tenta di spiegare la minaccia che abbiamo di fronte. In queste settimane, si è discusso se si tratta di terrorismo o di guerra. La prima parte del rapporto è dedicato all’evoluzione del fenomeno terroristico negli ultimi anni dopo la nascita di Daesh. È evidente che Daesh rappresenta una nuova forma di minaccia, nel rapporto definita “guerra asimmetrica”.

“In questa nuova forma di guerra, il primo fattore evidente è la costituzione di uno Stato dentro stati precostituiti. Questo costituisce un richiamo per il radicalismo, anche a migliaia di chilometri di distanza. É una guerra, pertanto, di tipo mediatica. In questa guerra atipica, l’altro elemento è il terrorismo, portato come minaccia dentro più continenti. E questo può essere fatto in modo organizzato o facendo leva sul fattore emotivo dei cosiddetti lupi solitari. Per sconfiggere questo nemico, serve una strategia su più piani, dunque, e condivisa. Qui oggi sono presenti molti attori europei e non: se arrivassimo alla definizione del nemico comune, faremmo già un grande passo in avanti”.

E ancora: “Nel rapporto redatto, viene inoltre esaminato il comportamento anche dell’organizzazione jihadista tradizionale: Al Qaeda. Più indebolita e per questo più attiva verso di noi e soprattutto in Afghanistan, dove, per questo motivo, è indispensabile rimanere. A questo, si aggiunge l’orizzonte territoriale e provinciale dello Stato Islamico: welfare, giustizia e scuola vengono gestiti proprio in maniera statale. È questo il salto di qualità di Daesh”.

“Nell’ultima parte del rapporto – conclude Manciulli -, si parla dell’espansione di Daesh dove c’è scarso controllo territoriale e mancanza di unione statuale. Questo è evidente in Nigeria, tramite l’organizzazione locale Boko Haram, Libia e Sinai, per esempio. L’obiettivo è creare una proliferazione di fronti. Daesh costituisce è una minaccia atipica per l’Occidente. In questo senso, il caso libico può divenire quello più importante. Se non ci occupiamo di zone come questa, così vicina non solo all’Italia, ma a tutti gli Stati Membri, facciamo il gioco dello Stato Islamico”.

Marco Minniti, Sottosegretario di Stato, ha sottolineato che “questo è un momento delicato non solo per il Patto Atlantico, ma per tutti gli attori mondiali. L’attacco di Parigi conferma il quadro di una minaccia già chiaro da tempo e evidenzia un salto di qualità: ci siamo trovati di fronte ad un attacco militare nel cuore dell’Europa. Eravamo abituati allo Stato Islamico in grado di mobilitare soprattutto singoli individui. Il 13 novembre, invece, abbiamo avuto l’esempio di una volontà di prendere temporaneamente il controllo militare di una capitale europea”.

E aggiunge: “Il punto di congiunzione tra guerra asimmetrica e simmetrica sono il foreign figheters, la più grande legione straniera del mondo che, secondo il calcolo di alcuni esperti, provengono addirittura da oltre 100 Paesi. Vanno a combattere in Siria e Iraq e poi tornano, si sganciano, diventano terroristi. Lo Stato Islamico, però, è una minaccia globale. Oltre a Parigi, dobbiamo ricordare l’aereo russo abbattuto nel Sinai, il Libano, la Tunisia. Pertanto, questa organizzazione non può essere contenuta ma sconfitta”.

Minniti parla della strategia da adottare: “Al primo posto della nostra strategia, c’è l’intelligence. Non siamo all’anno zero della collaborazione tra i diversi servizi dei Paesi occidentali. In questo momento, tuttavia, la cooperazione e lo scambio d’informazione divengono cruciali e vanno incrementati. A questo si aggiunge la necessaria interruzione dei loro canali di finanziamento. Infine, dobbiamo tenere presente che la guerra militare va di pari passo con l’iniziativa diplomatica”.

Il Sottosegretario analizza quest’ultimo aspetto: “L’importanza di tenere uniti gli aspetti militare e diplomatico è dimostrata dal caso siriano. All’inizio, l’Isis era una componente minoritaria della componente antiAssad: in 18 mesi, è divenuta la principale minaccia. Pertanto, debbo sì a pensare di liberare Raqqa, ma anche pensare al futuro politico-istituzionale della Siria In questo senso, è di fondamentale importanza il processo diplomatico in corso a Vienna, che sarebbe un peccato mortale interrompere. Infatti,i punti nodali sono due. Costituire la più grande coalizione anti Daesh possibile. E, nel momento in cui parliamo di Vienna, dobbiamo ricordare l’ultimo passaggio cruciale: solo con il confronto, può essere affrontare la transizione politico e istituzionale siriana”.

E infine: “Sul fronte europeo, ritengo fondamentale, nella lotta contro Daesh, continuare a sostenere Schengen, incrementando i controlli sulle frontiere esterne dell’Unione Europea. Ma soprattutto, bisogna sì vincere la partita militare. Tuttavia, la nostra storia recente (Libia, ndr) ci insegna che essa deve andare di pari passo con la costituzione del futuro post-Daesh. Non bisogna dunque fermarsi a pensare solo al presente”, conclude Minniti

Vertice NATO Firenze sulla lotta al terrorismo

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Giovedì 26 e venerdì 27 novembre, presso Palazzo Vecchio a Firenze, si terrà il seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente (GSM) dell’Assemblea Parlamentare della NATO, promosso dal presidente della Delegazione italiana all’Assemblea NATO, Andrea Manciulli. A seguito dei fatti di Parigi, è stato stravolto il programma originario. Il tema del terrorismo e della sicurezza saranno al centro dell’agenda. Spazio anche a questioni come il finanziamento delle organizzazioni jihadiste, la Libia, le prospettive energetiche e i riflessi economici nei rapporti di interscambio nell’area Mena.

Oltre ai circa 120 parlamentari dei Paesi Nato e degli Stati della sponda sud del Mediterraneo presenti, interverranno alcune tra le più importanti cariche istituzionali italiane: Pietro Grasso, Presidente del Senato; Laura Boldrini, Presidente della Camera; Angelino Alfano, Ministro dell’Interno; Paolo Gentiloni, Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale; Roberta Pinotti, Ministro della Difesa; Marco Minniti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e il gen. Claudio Graziano, Capo di Stato maggiore della difesa. Attesa anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione.

Proprio a seguito degli attacchi nella capitale francese, a Firenze sono state implementate le misure di sicurezza. Tiratori scelti e unità cinofile sono già attive nel capoluogo toscano e pronti a garantire la sicurezza delle circa 40 delegazioni Nato presenti in città.

Nella giornata di mercoledì 25 novembre, verso le 17,30, si terrà infine una manifestazione di protesta organizzata da“Assemblea fiorentina contro il vertice Nato”. Sel, Rifondazione Comunista, i No Tav e altri movimenti formeranno un corteo che si snoderà lungo le vie del centro storico della città.

Papa Francesco: i rischi del viaggio in Africa

Massima allerta per la visita del Papa in Africa, in programma dal 25 al 30 novembre. Si inizia domani con il Kenya, per proseguire poi con l’Uganda e terminare con la Repubblica Centrafricana, dove il rischio attentati è alto, come ribadito, da almeno due mesi, dai servizi francesi presenti nel Paese.

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Nonostante i 148 morti di aprile nel campus universitario in Kenya, è la Repubblica Centrafricana a destare le maggiori preoccupazioni sia presso la Santa Sede sia presso l’esercito francese, capofila della missione delle Nazioni Unite. Il picco di massima allerta sarà raggiunto il 29 novembre, in occasione dell’apertura del Giubileo per l’Africa da parte del Pontefice.

Se il rischio per Francesco I è già evidente da molte settimane, i fatti di Parigi e, in special modo, gli attentati all’Hotel Radisson in Mali alzano ulteriormente il livello della tensione.

Tensione palpabile nelle parole pronunciate dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano: “Il Papa vuole fortemente fare il viaggio in Africa, anche nella sua tappa più critica, la Repubblica Centrafricana, dove sono ripresi gli scontri”, ma “se ci dovessero essere scontri in atto, sarebbe difficile pensare di andare per la sicurezza del Pontefice, ma anche della popolazione”.

Tensione, tuttavia, che non scoraggia il Pontefice, “pronto – come dichiarato ieri – a sostenere il dialogo interreligioso per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese”.

La Repubblica Centrafricana, come altri Stati africani, convive un conflitto interno a causa della guerra civile scoppiata due anni e mezzo fa. Inizialmente, non era un conflitto di tipo religioso, ma di stampo politico tra le milizie presenti nel Paese. Dopo la deposizione dell’ex presidente Bozizè, la guerra civile è divenuta uno scontro confessionale.

Facendo un breve excursus, analizzando la geografia della Repubblica Centrafricana, il Centro-Sud è più sviluppato e abitato in prevalenza da cristiani, i quali rappresentano l’80% della popolazione totale. Il Nord, invece, è meno sviluppato e a maggioranza musulmana. La mancanza di attenzione e di politiche verso quest’area da parte della capitale Bangui, hanno favorito il riversarsi di milizie non regolari dall’estero attraverso la parte settentrionale del Paese.

Dal 2003 al 2013 il protagonista della scena politica centroafricana è stato l’ex presidente Bozizè, eletto per due volte e per due volte protetto dall’esercito francese (nel 2003 e nel 2006) nel corso delle due guerre civili.

La prima, nel 2003-2007 in cui aveva come rivale il politico e militare Michel Djotodia. La seconda, malgrado gli accordi di pace, nel 2012, quando le guardie presidenziali lo abbandonano. Dopo la crisi umanitaria che deriva da questi anni di guerra civile, Bozizè scappa in Camerun. A cacciarlo è il gruppo ribelle “Seleka” (coalizione), composto da centrafricani, ma anche da ciadiani e sudanesi. Prima di andarsene dal Paese, l’ormai ex presidente aveva richiesto l’intervento della Francia a sua protezione, ma Hollande ha rifiutato.

L’altro fattore che ha contribuito alla deposizione di Bozizè è stato il mancato appoggio del presidente del Ciad Deby, il quale, dal 2010, gli aveva tolto l’appoggio esterno e aveva favorito la creazione di un gruppo ribelle di matrice islamica che si dirigesse contro la capitale Bangui.

Nel 2013, i ribelli diventano esercito regolare. Tuttavia, questa nuova situazione non fa altro che esasperare gli animi e le violenze all’interno del Paese. Violenze che sfociano nella terza guerra civile dal 2003. Nel dicembre dello stesso anno, però, l’Onu vota una risoluzione per un intervento militare nella Repubblica Centrafricana a guida francese.

Nel gennaio 2014 viene eletta presidente Catherine Samba-Panza, prima donna a ricoprire quella carica, cristiana ma neutrale. Le violenze tra musulmani e cristiani però continuano fino ad oggi. Le Nazioni Unite, l’UNICEF e altre ONG denunciano una escalation di scontri che vedono coinvolti i bambini sia nelle vesti di soldato sia nelle vesti di vittime.

 

Giacomo Pratali

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