I risvolti social del “Caso Archie” Ancora una volta TikTok ha ucciso

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Ha tenuto molti con il fiato sospeso la vicenda del piccolo Archie Battersbee, e la battaglia dei genitori per salvargli la vita che ha visto coinvolto anche il nostro paese dove il dodicenne britannicopoteva essere portato nel tentativo di procrastinare quanto più possibile la sua vita nonostante fosse stato dichiarato da mesi lostato di morte cerebrale. La tragedia è stata è una tragedia che è stata amplificata focalizzando l’attenzione dei lettori e dell’opinione pubblica su un dibattito mai sopito che vede posizioni profondamente diverse e difficilmente conciliabili.

Nei giorni scorsi anche Marco Cappato, Presidente dell’Associazione Luca Coscioni, ha richiamato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul problema accompagnando all’eutanasia in Svizzera una donna veneta, malata terminale e autodenunciandosi per l’ennesima volta. Avremo un’altra assoluzione per lui? Forse una condanna? O, nelle more, finalmente, il nuovo Parlamento compirà un atto coraggioso varando una legge che rispetti la scelta dell’individuo oppure  vada a definire i limiti dell’accanimento terapeutico.

In ogni caso questo dibattito ha fatti purtroppo passare in secondo piano quella che è la causa all’origine della morte del ragazzo: ancora una volta i social e ancora una volta TikTok.

Archie è almeno il settimo giovanissimo morto nel mondo per avere accettato una sfida su TikTok: la “Blackout Challenge, quella in cui giovanissimi si riprendono mentre trattengono il fiato fino all’estremo per poi lanciare il video sulla piattaforma socialper vincere il maggior numero di like e condivisioni ed avere unmomento di gloria. Ovvio che altri adolescenti cercheranno di emulare questi “eroi” della rete con effetti catastrofici. Non dimentichiamo, infatti, che tutti i giovanissimi morti per queste sfide avevano meno di quindici anni; due di loro addirittura meno di dieci anche se l’età minima richiesta per accedere a TikTok sarebbe tredici anni. Viene da chiedersi quali siano le reali forme di controllo sia da parte del social sia, prima di tutto, da parte di chi mette in mano a bambini uno smartphone senza rigorose istruzioni per l’uso. Non consola il fatto che negli Stati Uniti sono state già intentate almeno due cause nei confronti di TikTok per accertarne la responsabilità nella morte dei giovani. 

Prescindendo per il momento dalla ancora mai chiarita Blue Whale Challenge, possiamo comunque aggiungere alla Blackout Challenge la Skull Break Challenge nella quale la vittima di uno “scherzo” viene sgambettata a terra da due complici mentre salta e, ancora, le sfida a chi ingurgita più alcool o medicinali (Benzedryl in particolare) o si bagna gli occhi con miscele di schiuma da barba e candeggina per finire al salto dalla cabinovia. In Italia una bambina di dieci anni di Palermo è deceduta per una di queste sfide.

Archie per ora è l’ultima vittima conosciuta di questa follia sociale, ancora, non ci rendiamo ocnto che un computer o uno smartphone sono vere e proprie armi che, quando messe in mano a chi non è in grado di usarle, possono sono portare conseguenze estreme come quelle appena citate. Ma TikTok e le morti che  ha ad oggi cagionato sono solo paradossalmente la punta dell’iceberg del problema generato dall’incapacità di gestire consapevolmente internet e i social.

Tra gli altri aspetti non dimentichiamo che la piattaforma cinese è stata più volte messa sotto accusa in ordine ai rischi checomporta per i dati personali degli utenti; anche il Garante italiano ha lanciato un allarme in tal senso e da più parti si sono levate grida niziando dalla di allarme e peindicandolo come veicolo di induzione alla pedopornografia tanto che in India è stato messo al bando ed è probabile che avvenga in altre nazioni.

Ancora una volta il social più di tendenza tra i giovanissimi è stata la causa determinante di una tragedia che, come tutte quelle che l’hanno preceduta, doveva essere evitata. I social si dimostrano una volta di più strumento che deve essere gestito e viene lasciato invece in mano a chi non sa usarlo ed è inconsapevole dei rischi che corre e fa correr, specialmente a chi deve ancora formarsi e non riesce a comprendere i messaggi che giungono sul suo schermo.

Maggior controllo da parte delle famiglie che devono essere i primi guardiani, prima ancora di un software che può essere facilmente aggirato da chi è nato con lo smartphone in mano. Igenitori dovrebbero impedire ai loro figli di accedere ad una piattaforma ormai notoriamente pericolosa mentre, a quanto pare, sono loro a spingere i figli in questa direzione sperando di vederli diventare famosi.

Una maggiore consapevolezza sarebbe necessaria insieme ad un’informazione mirata e anche la scuola dovrebbe dare il suo contributo. In teoria la rete è già piena di informazioni, notizie, articoli specialistici e non, che rendono edotti della pericolosità di questa piattaforma che ha quasi un miliardo di utenti ed è in costante crescita con un incredibile appeal specialmente sui giovanissimi; ma evidentemente non basta. Anonymous ha già invitato tutti a disinstallare l’applicazione ed avvertito che TikTok è in realtà uno strumento di spionaggio controllato dal governo cinese. 

Questa ‘ennesima tragedia dimostra tuttavia come i messaggi restino inascoltati. L’utente medio della rete è sordo ai richiami all’attenzione e, a colpi di click continua la navigazione in mari pericolosi senza preoccuparsi minimamente delle possibili conseguenze ad iniziare da quella di conoscere a chi mette in mano i propri dati personali, la sua vita, i suoi cari. 

Forse è davvero il momento di pensare ad un’agenzia sovranazionale che controlli e disciplini la vita in rete. E per vita si intende non solo quella all’interno del web, ma quella reale che, anche nel caso di Archie è terminata per una follia di moda tra gli adolescenti.

Bookreporter Settembre

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