Digitalizzazione dell’impresa e nuovi modelli organizzativi

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Nel modello di impresa moderna si va sempre più affermando la filosofia che privilegia la focalizzazione dell’impresa non solo sul proprio core business, ma anche sull’evoluzione del mercato e che prevede di delegare a terzi attività collaterali e altamente marginali.

L’impresa snella (lean) è paragonabile ad un individuo agile e scattante, con poca massa grassa e tanti muscoli per competere.

Ma non bisogna correre il rischio di avere un impresa downsize che è assimibile ad un individuo sottoposto ad una cura dimagrante troppo intensa, al quale, oltre alla massa grassa, è stata fatto perdere anche molta massa magra, determinando come conseguenze un individuo troppo debole per competere.

Quando invece si parla di imprese-rete o impresa virtuale, si intende un’impresa in cui non vi è coincidenza fra i confini giuridico organizzativi e quelli gestionali.

Secondo tale approccio le imprese-clienti possono spingersi fino a chiedere alle imprese fornitrici di situare i loro stabilimenti produttivi in vicinanza o addirittura all’interno dei propri, allo scopo di velocizzare e flessibilizzare la catena produttiva e logistica, e facilitare l’interscambio di informazioni e la comunicazione con i siti produttivi.

Un esempio di struttura reticolare può essere considerata “la spaghetti organizzation” caratterizzata dalla totale assenza di una formale struttura gerarchica. Si tratta di un modello organizzativo con una struttura essenziale ed estremamente variabile.

Ad esempio alla Oticon, infatti, ciascuno è libero di muoversi senza alcun vincolo all’interno dell’organizzazione. L’organizzazione gerarchica è del tutto inesistente: non esiste un vero e proprio organigramma, non esistono job description, né funzioni, ma solo progetti, tra i quali gli individui sono liberi di scegliere quelli ai quali collaborare.

Coerentemente con questo modello organizzativo, ed al fine di facilitare la mobilità, anche fisica, dei dipendenti tra i diversi gruppi di lavoro, alla Oticon non esistono uffici chiusi, né le tradizionali scrivanie personali, ma soltanto tavoli senza cassetti, e piccoli carrellini con ruote per contenere effetti personali; i telefoni fissi sono stati sostituiti da apparecchi portatili.

Alla Oticon, per evitare il problema di dover archiviare o portare negli spostamenti pesante ed ingombrante documentazione cartecea, l’uso della carta è praticamente proibito e tutto viene archiviato su data base-centrali.

Tutti i documenti che provengono dall’esterno vengono passati allo scanner, archiviati dei sistemi informatici e poi distrutti. Per rendere più evidente, addirittura visibile, questa filosofia, la macchina distruggi-documenti è stata posizionata al piano superiore dell’edificio, così che tutti possano vedere la carta cadere come neve attraverso un tubo di vetro.

Su questa impostazione, la Oticon ha costruito un successo confermato dal passaggio dal 6% al 15% del mercato in 5 anni, con crescita del fatturato e degli utili superiori al 30% dell’anno.

Va inoltre considerato che nell’ultimo decennio grazie alla tecnologia e alle nuove filosofie di relazioni collaborative a distanza si sta sempre più diffondendo il concetto di luogo di lavoro non più basato su spazi fisici e formali, ma su valori immateriali: ovvero sulla fiducia, sul senso di comunità e sulla crescita collettiva costante.

Le applicazioni, i software, le piattaforme di lavoro collaborative che supportano il cosiddetto “lavoro agile” o “smart working” oltre ad unire efficienza ed efficacia, contribuiscono a quella che i sociologi chiamano “Nuovo umanesimo del lavoro”, ovvero mettere al centro dei nuovi modi di lavorare l’essere umano.

Sebbene l’elemento centrale della trasformazione in atto sia rappresentato dalle nuove tecnologie digitali, non è sufficiente possedere le solo competenze tecniche, bensì occorre sviluppare nuove competenze più soft che permettano di sfruttare appieno i vantaggi derivanti da queste tecnologie, acquisendo quindi una nuova e più dinamica attitudine al cambiamento.

Saper gestire il cambiamento significa quindi oggi per le aziende saper gestire la riqualificazione delle persone, che possano continuare a rappresentare un valore aggiunto se e solo opportunamente coinvolte e ri-formate.

Il concetto di riqualificazione però, per quanto importante, non è sufficiente per cogliere appieno le opportunità della trasformazione in atto è necessario che le aziende investano anche nell’acquisire nuovi talenti che siano in grado di ricoprire ruoli quasi inesistenti fino a pochi anni fa.

Ne sono un esempio figure legate al mondo web e social, come l’e-commerce manager (responsabile delle vendite online e dell’elaborazione delle strategie per il lancio di un prodotto o di un servizio online), il digital strategist (che decide le strategie di web marketing e social), il digital project manager (il ciclo di vita di un progetto basato sulla comunicazione digitale), il social media manager (che deve valorizzare la presenza di un brand sui social) affiancato dal social media analyst (che studia il ritorno dell’investimento sui social media), o ancora figure più ampie, come il digital marketing manager (che ha il compito di gestire e ottimizzare le interazioni digitali, con i propri stakeholders attraverso i canali social, web e mobile, nel rispetto degli obiettivi di vendita e marketing e coerentemente con la brand reputation dell’azienda).

Come già sottolineato, altro assett fondamentale di questa trasformazione è rappresentato dai dati e dalle informazioni oggi disponibili per le aziende.

Anche in questo caso l’investimento in tecnologie e strumenti deve essere affiancato da un forte investimento in risorse e competenze. Nuove figure professionali si rendono così necessarie, come il business analyst, il data analyst, il dta scientist.

E’ infatti necessario saper trattare e analizzare oggi grandi quantità di dati di natura eterogenea, per creare valore dalle informazioni in una logica di processo multidisciplinare. Nel nuovo “mare di dati”, l’azienda deve essere in grado di selezionare quelle importanti, sintetizzandoli per prendere decisioni. Altro elemento cruciale è poi quello legato alle competenze necessarie per garantire il rispetto di normative riguardanti le attività di protezione, sicurezza delle informazioni.

Come detto, queste figure non devono avere solo competenze tecniche, ma anche competenze che si collocano all’intersezione fra tecnologia, marketing, management, auditing, poiché hanno il compito, non solo di leggere i trend socio-culturali, ma di individuare, aggregare ed elaborare fonti di dati, di interpretare le informazioni raccolte e di darne una traduzione a livelli di impatti di business e di compliance.

Sarà necessario riqualificare, non solo i ruoli operativi, ma anche la c-line dell’azienda, costretta oggi a cambiare, al fine di includere nuove figure quali il chief digital officer che ha il compito di sovraintendere (e coordinare fra loro) tutte le funzioni dell’azienda che hanno in qualche modo a che fare con il mondo dei canali digitali, dai social network ai dispositivi mobili, dalle piattaforme di commercio elettronico sino ai sistemi informativi interni; il chief innovation officer, che ha il compito di proporre modelli innovativi per il business dell’impresa, affinchè sfrutti al meglio la rivoluzione digitale; o ancora il chief security, ovvero una figura tecnica che ha l’incarico di proteggere la sicurezza delle informazioni e dei sistemi delle azienda.

Non può inoltre essere ignorato tra i fattori significativi del cambiamento del mondo del lavoro l’emergere di nuovi bisogni di conciliazione vita-lavoro a cui è necessario dare una risposta.

In tale ottica vanno visti i riscontri positivi in termini di aumento della soddisfazione del lavoratore, di incremento della produttività e di riduzione di alcuni costi, avuti a seguito di alcune sperimentazioni da parte di numerose aziende di modelli di smart working, con l’obiettivo primario di realizzare uno strumento che parta dal concetto di telelavoro per superarlo e distinguersene.

Lo smart working non è una nuova tipologia contrattuale, ma una modalità più flessibile di lavorare. Tale modalità di lavoro risponde infatti a un bisogno di “agilità” voluto in maniera sempre più forte e costante, non solo dal mercato del lavoro, ma anche dai lavoratori a cui è stata richiesta una maggiore responsabilizzazione.

Maria Grazia De Angelis e Guido Massimiano (articolo tratto dal libro “Volare Digitale” di Maria Grazia De Angelis – NeP edizioni Srls)

Bookreporter Settembre

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