Una piccola Italia nel cuore della Cina

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Breve storia della “colonia dimenticata”: l’Italian Style Town di Tianjin (1901-1947)

Si può passeggiare tra i villini in architettura art déco di Corso Vittorio Emanuele, fino ad arrivare in piazza Marco Polo, dove si trova il ristorante “Nuovo Cinema Paradiso”. Si possono ammirare le maschere veneziane esposte sulle bancarelle di piazza Dante per poi mangiare e bere vino in uno delle decine di ristoranti italiani con i tavolini all’aperto. L’ambiente urbano è estremamente familiare, ma il luogo in cui si trova totalmente inaspettato. Non ci troviamo infatti in una familiare località del Bel Paese, ma migliaia di chilometri più a est, più precisamente nell’Italian Style Town di Tianjin, una delle città industriali più importanti della Cina. E no, l’architettura che sto descrivendo non è un’abile ricostruzione, ma il frutto di un elaborato programma edilizio direttamente finanziato e progettato dal Governo italiano durante la prima metà del secolo scorso. Pochi lo sanno, ma l’Italia ha avuto una sua piccola colonia all’interno del Celeste Impero per oltre 40 anni.

Il possedimento risale alla rivolta dei boxer del 1900, quando organizzazioni popolari cinesi – perlopiù scuole di kung fu, da qui il nome della sommossa- si ribellarono contro la massiccia ingerenza straniera sul territorio cinese. Le potenze occidentali reagirono subito con una profonda repressione, a cui partecipò anche l’Italia, che si guadagnò così la possibilità di sedere al tavolo del vincitori durante gli accordi di pace del 1901. Fu in questa occasione che l’Italia ottenne la concessione perpetua di una piccola area a nord di Tianjin, in cui sviluppare un insediamento. Inizio così la storia della prima e unica colonia italiana in Asia.

L’acquisizione fu celebratissima in patria: il ministro a Pechino dell’epoca, Salvatore Raggi, si vantò con orgoglio che il nuovo pezzo d’Italia sorgeva proprio “nella posizione migliore di tutta Tianjin” e assicurò per esso un rapido e glorioso sviluppo. La realtà era però leggermente diversa. L’area, di appena 46 ettari si trovava su un’ansa del fiume e consisteva in un popoloso quartiere cinese, un cimitero, dei depositi di sale e paludi. Una zona nel complesso povera e insalubre, tanto che l’ambasciatore Gallina la definì “sudicio villaggio cinese”.

Nonostante la partenza lenta e incerta, l’intervento italiano si rivelò però efficace e incisivo, realmente in grado di cambiare l’identità della regione. I vecchi e insalubri quartieri cinesi, principalmente costruiti in legno, vennero completamente distrutti e gli abitanti costretti a trasferirsi altrove. La palude venne bonificata e il cimitero smantellato. Si procedette poi alla costruzione di un vero e proprio nuovo quartiere, indistinguibile per stile e urbanistica da una città di villeggiatura italiana.

La concessione acquisì in poco tempo un enorme popolarità. L’aspetto ricco e curato, caratterizzato primariamente da eleganti villini con giardino, le valsero il titolo di “concessione aristocratica”. Ben presto venne scelta come residenza di alcuni tra gli uomini più facoltosi di tutta la Cina. Nel 1936 un quotidiano locale britannico la celebrava come “la più piacevole fra tutte le concessioni”.

La situazione in Cina per l’Italia era rosea anche dal punto di vista economico: il volume d’affari nella regione era in continuo aumento, anche grazie all’apertura nel 1919 del primo istituto di credito italiano (la Banca Italo-Cinese, poi Banca Italia per la Cina). Tuttavia il trend positivo non era destinato a durare a lungo.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, l’area venne occupata dalle forze nipponiche. Alla fine del conflitto, quando la zona ritornò formalmente territorio tricolore, il nuovo governo italiano democratico riconobbe ufficialmente la cessione dell’enclave di Tientsin alla Repubblica di Cina. Ebbe così termine, nel 1947, la breve storia del colonialismo italiano in Asia.

La “Tientsin Italiana” esiste ancora. Si tratta di una “Little Italy”, metà parco a tema e metà museo all’aperto, estremamente gettonata dal turismo interno cinese. La maggior parte degli italiani ignora però l’esistenza di questo autentico angolo d’Italia nel paese del Drago. Spero di essere riuscita a ridare vita all’affascinante storia della “colonia dimenticata”.

Di Laura Iannello

Bookreporter Settembre

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