Chernobyl, il disastro, le conseguenze e gli scenari politici

Il disastro di Chernobyl si è svolto il 26 aprile del 1986, dove, nella notte di quella data, all’interno della centrale nucleare Vladimir Lenin situata vicino alla città di Pripjat, all’epoca situata all’interno del territorio dell’Unione Sovietica, oggi si trova nella parte settentrionale dell’Ucraina verso il confine con la Bielorussia. Intorno all’una e trenta del mattino il reattore numero 4 della centrale, durante un test di sicurezza, esplose causando il peggiore e uno dei più disastrosi incidenti nucleari della storia, raggiungendo il livello 7 nella scala INES con nubi radioattive che si sparsero in tutta Europa, arrivando sino alla costa orientale degli Stati Uniti.

L’impianto nucleare di Chernobyl durante la sua attività rivestiva un ruolo di prima importanza per la distribuzione di energia, soddisfando in larga parte la richiesta energetica ucraina, inoltre la centrale era utilizzata per la produzione di plutonio per scopi militari, proprio a causa della sua importanza il governo sovietico aveva dato ordine di ampliare il complesso costruendo anche i reattori 5 e 6.

Il continuo ammodernamento dello stabilimento nucleare non ha però impedito l’esplosione del reattore, avvenuto a causa di molteplici fattori, in primo luogo: un errore umano da parte degli operatori e ingegneri che lavoravano a Chernobyl quella notte, dal non rispetto delle procedure di sicurezza e inoltre è stato dimostrato tramite alcuni rapporti delle autorità sovietiche, che a contribuire al disastro sono stati anche alcuni errori di progettazione del reattore e delle debolezze strutturali fatte rimanere segrete di cui nemmeno i lavoratori della centrale erano a conoscenza. L’esplosione fu causata da aumento della potenza e della temperatura del nocciolo, questo determinò la scissione dell’acqua di refrigerazione ad una pressione elevatissima che provocò la rottura delle tubazioni di raffreddamento. Il contatto della grafite incandescente con l’aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione che portò scoperchiamento del reattore in acciaio e cemento dando così via alla fuoriuscita delle radiazioni.

Le emissioni radioattive ricaddero nella maggior parte nelle zone immediatamente circostanti, riversandosi principalmente su la città di Pripjat e nei territori circostanti come l’Ucraina, Russia e Bielorussia. Ma significativi livelli di radiazioni si sono riscontrati in tutto il continente europeo, soprattutto nelle repubbliche baltiche, scandinave e in Germania.

Secondo i rapporti pubblicati da varie agenzie delle Nazioni Unite le persone morte direttamente per l’esplosione sono 65, mentre per quelle presunte dovute alle radiazioni anche gli anni successivi vengono stimate a livelli altissimi, che secondo il gruppo dei Verdi europeo si assestano tra i 30.000 e i 60.000 decessi. Tra queste vittime si contano soprattutto la popolazione che viveva nelle zone limitrofe e il personale inviato nel sito dell’esplosione che dovette stare a stretto contatto con fortissime radiazioni indossando a volte tute di sicurezza inadeguate per la quantità di radiazioni presenti. Incalcolabili sono invece i danni ambientali causati dall’esplosione.

 

 

Per cercare di bloccare le radiazioni che scaturivano ancora dal reattore venne progettato in tempo record un sarcofago capace di coprire il reattore e che impedisse alle radiazioni di propagarsi. Gli ingegneri sovietici riuscirono a progettarne e a realizzarne uno nel novembre del 1986. Questa enorme copertura composta da acciaio e cemento iniziò in breve a presentare falle con anche pericolosissime infiltrazioni d’acqua che avrebbero contaminato ancora di più il terreno sottostante. Per ovviare al problema della continua manutenzione e del pericolo di fuoriuscite radioattive nel 1997 durante il G7 venne deciso attraverso fondi principalmente statunitensi e dell’Unione europea di realizzare una cupola contenitiva costruita con materiali più resistenti che avrebbe messo in sicurezza il reattore per svariati anni. In più la cupola sarebbe stata costruita in un altro luogo e trasportata sul sito con l’ausilio di binari in modo da garantire la sicurezza di tutti i lavoratori impiegati.

Nello stesso anno dell’incidente si aprì il processo per poter stabilire concretamente le responsabilità materiali di quel disastro. Vennero ritenuti penalmente responsabili i dirigenti e i lavoratori della centrale che portarono a vari licenziamenti e ad alcune espulsioni del partito comunista. Per quanto riguarda le responsabilità civili i tribunali obbligarono l’Ucraina a risarcire milioni di persone che hanno ricevuto danni direttamente o indirettamente dall’esplosione.

 

Dopo l’incidente la politica nucleare di Kiev è stata orientata verso la messa in disuso di alcuni impianti e il rimodernamento e l’ampliamento dei restanti, un esempio è la centrale Zaporižžja, che dopo essere stata implementata è divenuta la principale d’Europa. I rapporti tra Ucraina e Russia in merito alla collaborazione nucleare sono proseguiti in maniera continua fino allo scoppio della crisi delle forniture di gas naturale da parte di Mosca hanno notevolmente raffreddato i rapporti tra le due nazioni. Questi fatti non hanno però impedito durante gli anni, su una forte spinta russa, di cercare di provare ad instaurare durante gli anni un nuovo dialogo su base economica tra le aziende dei due paesi.

In relazione all’uso del nucleare per scopi militare Kiev ha adottato una politica netta dichiarando che non avrebbe mantenuto gli ordigni nucleari sovietici presenti sul suo territorio e restituendoli trasferendo il materiale bellico in Russia e aderendo al Trattato di non proliferazione nucleare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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