GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Giugno 2016 - page 3

Generale Mario Parente nuovo direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna Italiana

Difesa/EUROPA di

Assume l’incarico di direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna con nomina del Consiglio dei Ministri Il Generale dell’arma dei Carabinieri Mario Parente, ufficiale di grande esperienza che ha partecipato alla lotta alla Mafia con il giudice Falcone a Palermo.

Dal 2015 vicedirettore dell’AISI ne assume oggi il diretto controllo, Generale dell’Arma dei Carabinieri, laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, avvocato, ha frequentato la Scuola Militare Nunziatella e l’Accademia Militare di Modena. Tra il 1980 ed il 1990 ha ricoperto incarichi di comando territoriale, nell’Arma, a Roma, Palermo, Genova e Bologna.

Dal 1991 nel ROS dei Carabinieri si è occupato del contrasto ai fenomeni di tipo mafioso, al narcotraffico e al traffico di armi, reparto di cui è stato vicecomandante dal 2002.

 

Libano, European Commision Directorate for Neighbourhood and Enlargement visita il paese

Una delegazione del Comitato Politico e di Sicurezza (PSC)dell’Unione Europea, che includeva il Presidente del Comitato e i 28 ambasciatori rappresentanti i Stati Membri dell’UE all’interno del PSC, il Presidente del Comitato Militare dell’UE, il rappresentante della Commissione europea presso il PSC e il Vice Direttore Generale dell’European Commision Directorate for Neighbourhood and Enlargement è venuta in visita in Libano.

La delegazione ha incontrato il portavoce del Parlamento libanese, Nabih Berri, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Tamman Salam e il Ministro dell’Interno, Nouhad Machnouk; all’incontro ha fatto seguito l’intervento delle forze armate libanesi che hanno illustrato la situazione del paese con un particolare focus sulla sicurezza e sulle loro relative operazioni in atto.

Panama Papers: il Parlamento Europeo istituisce una commissione d’inchiesta

EUROPA di

Con una delibera datata 8 giugno 2016 il Parlamento Europeo ha deciso di istituire una commissione di inchiesta che si occuperà di indagare sul caso “Panama Papers”. Ricordiamo che questi documenti hanno svelato l’esistenza di circa più di 214.000 compagnie offshore elencate dal celebre studio di avvocati panamense Mossak – Fonseca in una lista che include nomi di partecipanti e dirigenti di queste società. Ovviamente il chiaro fine di queste attività erano quelle di nascondere i redditi di facoltosi personaggi alle singole fiscalità di appartenenza, creando così un giro di evasione fiscale per miliardi: euro o dollari che dir si voglia, trattandosi di una lista piuttosto variegata ed eterogenea per provenienza geografica ed attività principale svolta.


In questo lungo elenco figurano moltissimi cittadini europei, con nomi di spicco del mondo della politica, dello sport e anche del cinema. Per il caso italiano basti pensare a Luca Cordero di Montezemolo o Carlo Verdone, tuttavia i nomi presenti non costituiscono forzatamente una partecipazioni in attività atte a frodare la legge, pertanto é giustificata l’azione del Parlamento Europeo che a come obbiettivo quello della chiarezza e quindi di assicurare i colpevoli (reali) alla giustizia. Inizialmente il caso scoperto dall’Associazione Internazionale di Giornalismo investigativo è stato sottoposto all’attenzione della “Special Commettee for Tax Ruling”, ma con la decisione presa l’8 giugno gli approfondimenti della vicenda saranno affidati ad un’apposita commissione d’inchiesta.

Il Parlamento ha scelto 65 membri che entro un periodo di 12 mesi dovranno presentare una relazione chiarificatrice su responsabilità individuali, danni e frodi nei confronti del fisco. Il mandato della commissione d’inchiesta, approvato dall’Aula per levata di mano, è stato concordato giovedì 2 giugno dalla Conferenza dei Presidenti del Parlamento europeo (il Presidente del Parlamento e i leader dei gruppi politici). Tra i punti più importanti del documento approvato troviamo : “indagare circa la potenziale violazione del dovere di leale collaborazione (…) da parte di qualsiasi Stato membro e dei relativi territori associati e dipendenti, purché pertinente all’ambito dell’inchiesta di cui alla presente decisione; a tal fine, valutare in particolare se un’eventuale violazione di questo tipo sia imputabile alla presunta mancata adozione di misure appropriate per evitare l’impiego di veicoli che consentano ai loro titolari finali effettivi di essere celati alle istituzioni finanziarie e ad altri intermediari, avvocati, prestatori di servizi relativi a società e trust o l’impiego di qualsiasi altro veicolo o intermediario che faciliti il riciclaggio di danaro, nonché l’elusione e l’evasione fiscali in altri Stati membri (tra cui l’esame del ruolo dei trust e delle società a responsabilità limitata con un unico socio e delle valute virtuali), tenendo conto nel contempo anche degli attuali programmi di lavoro predisposti a livello di Stati membri e intesi ad affrontare siffatte questioni e ad attenuarne gli effetti”.

Le linee direttive della delibera istitutiva si concludono con la precisazione che questa inchiesta dovrà anche essere creatrice delle “linee guida” per una buona governance fiscale all’interno dei singoli stati membri al fine che queste manovre di elusione ed evasione fiscale non si verifichino in altro modo, riportando così i patrimoni all’interno del territorio UE, e degli stati membri del G20.
da Parigi Laura Laportella

Dall’Esercito, il progetto SIAT

BreakingNews/Difesa di

Operazioni avanguardistiche e training simulati. E’ la chiave del Sistema Integrato per l’Addestramento Terrestre, innovazione firmata SME. Un segnale laser replica la traiettoria di un proiettile, centra l’obiettivo e ne simula gli effetti. All’estremo opposto della parabola balistica, sul bersaglio, dei sensori “passivi” individuano la zona colpita e trasmettono un primo screening del danno subito ai centri di comando schierati sul territorio. Immediato l’innesco delle unità di soccorso, che procedono al recupero di soldati feriti e mezzi danneggiati sulla base di informazioni ben precise. Questi, e non solo, i presupposti del SIAT, Sistema Integrato per l’Addestramento Terrestre, in fase sperimentale dal giugno del 2014 presso i Centri di Addestramento Tattico (CAT) distribuiti in 5 aree del territorio nazionale.

Il progetto, che raggiungerà la piena fase operativa entro la fine del 2016, risponde all’esigenza dello Stato Maggiore dell’Esercito di dotarsi di moderni sistemi di simulazione funzionali ad ottimizzare lo svolgimento simultaneo di molteplici attività: dal coordinamento delle attività operative e di comando, alla razionalizzazione di armamenti e mezzi utilizzati, passando per un’accresciuta sicurezza del personale impiegato.

Attraverso l’impiego di tecnologie informatiche, sensori e frequenze di trasmissione dati GPS e radio, il sistema simula attività addestrative consentendo notevoli risparmi in termini di tempistiche e strumentazione utilizzata. L’avanguardia al servizio della concretezza, in considerazione delle complesse missioni di risposta alle crisi tipiche del post-guerra fredda. In tal senso, il SIAT riproduce fedelmente le tipologie di minaccia che insidiano i teatri operativi in cui operano i contingenti della Forza Armata, e gli schemi comportamentali dell’avversario. Ne derivano moduli addestrativi perfettamente calibrati sulle esigenze delle unità in approntamento, e lo sviluppo di capacità ed automatismi necessari per l’individuazione e il contrasto dei pericoli.

Tecnicamente, sono tre le componenti fondamentali del SIAT. La prima è il cosiddetto “LIVE”, utile all’addestramento di unità ridotte, per esercitazioni in ambienti reali presso i CAT. In questa fase due gruppi definiti convenzionalmente Blue Force (BLUEFOR) e Opposing Force (OPFOR), si fronteggiano utilizzando armi reali che ai proiettili sostituiscono però raggi laser classe 1 (eye-safe). Le emissioni riproducono esattamente traiettorie balistiche ed effetti del fuoco su mezzi e personale. Militari e mezzi sono geo-referenziati e dotati di sensori “passivi”, in grado di interagire con il segnale laser emesso dall’arma e di determinare esattamente la parte colpita. Vi è poi il “CONSTRUCTIVE”, per il comando e il controllo di unità dipendenti in condizioni di stress elevato, che gestisce gli input alle pedine operative attraverso le attività di pianificazione svolte dai Posti Comando schierati sul terreno. Gli output sono invece determinati dall’esito degli scontri che il software del sistema simula in near real time. Ad implementare i primi due step, anche se ancora in fase di sviluppo, il “VIRTUAL”, che riproduce artificialmente scenari di guerra e teatri addestrativi con la presenza di attori virtuali, ma anche le condizioni di tenuta di un mezzo in relazione all’ambiente circostante. Tutti i dati prodotti vengono analizzati dall’EXCON (Exercise Control), cuore pulsante del sistema: in base a questi vengono evidenziati gli aspetti operativi da potenziare, migliorare o correggere.
Evidenti i benefit della sperimentazione: oltre alla contrazione dei tempi necessari all’organizzazione logistica delle unità, risulta notevole il risparmio di strumenti e risorse. Un esempio fra tutti, quello dei simulatori di guida, che abbattono i costi di carburante e l’usura dei mezzi impiegati. Risvolti significativi anche in fatto di sicurezza del personale: i nuovi sistemi di fuoco “dry-fire” escludono l’utilizzo di munizioni. Eventuali colpi “a salve” o reali impiegati nelle fasi conclusive dei training, inoltre, danno luogo a policy “military green” dall’impatto ambientale estremamente ridotto, con conseguente diminuzione delle bonifiche post-addestramento a fuoco. Secondo il principio della “simulazione distribuita”, infine, il SIAT consente di federare più reggimenti schierati in località diverse, ma accomunati dallo stesso scenario operativo.

L’intero progetto prevede la realizzazione dei seguenti Centri di Simulazione: 1 Centro di Simulazione Constructive a CIVITAVECCHIA (RM), per l’addestramento dei Posti Comando fino al livello Divisione; 5 Centri Addestramento Tattico di I e II livello per l’addestramento in ambiente di simulazione Live distribuiti tra CAPO TEULADA (CA), che sarà dotato anche di un villaggio per la condotta di operazioni in aree urbanizzate (Military Operations on Urban Terrain – MOUT); 1 Centro a MONTEROMANO (VT), dove verrà realizzato un CAT costituito da un modulo BLUFOR di livello compagnia di fanteria leggera, ed un modulo “OPFOR” di livello compagnia; 1 Centro a S. GIORGIO IN BRUNICO (BZ), dove sarà messo a punto un CAT costituito da un sistema di simulazione, un modulo di compagnia di fanteria leggera ed un modulo “OPFOR” di livello plotone per l’addestramento al combattimento delle unità in ambiente alpino; 1 a CESANO DI ROMA (RM), dov’è previsto un CAT costituito da un sistema di simulazione e un modulo BLUFOR di livello compagnia di fanteria leggera, e un modulo “OPFOR” di livello plotone; l’ultimo, infine, a TORRE VENERI (LE), il cui CAT sarà a livello Squadrone con un modulo “OPFOR” di livello plotone esplorante/carri. I sistemi destinati al CAT di Lecce sostituiranno integralmente i simulatori di tiro BT 46 per carri Ariete e blindo Centauro.

 
Viviana Passalacqua

G7 and Japan cyberstrategy

Innovation/Tech & Cyber di

During the last meeting held in Japan last may, G7’s head of state adopted a joint declaration about cybersecurity issues.

Representatives of the biggest 7 economies in the world stated that Internet is a key driver for global economy: openness, interoperability, reliability and security are the cornerstones of this vision, as well as the free flow of informations and protection of human rights on line.

How G7 countries are going to empower their principle declaration?

Firstly, cooperation between all the actors responsible for cybersecurity: governments. business, research and society as a whole.

Secondly, international law: according to the G7 governments it is applicable, including the United Nations Charter, in cyberspace. Furthermore, cyber activities could amount to the use of force or an armed attack within the meaning of the United Nations Charter and customary international law.

A new UN Group of Governamentals Experts (GGE), is expected to discuss more how existing international law can be applied to cyberspace.

Finally, G7 encourage more states to join the Budapest Conventionon Cybercrime and support the work done by the G7 Roma – Lyon Group’s high-tech Crime subgroup.

Even though cybersecurity is one the most important issue in the international agenda, G7 declaration sounds quite predictable without introducing any important innovation in policies.

 

JAPAN CYBERSECURITY STRATEGY

What’s the framework of the country, the third economy in the world?

As most of the cybersecurity strategies, Japan adopted a white paper. The first edition was released in 2013, while a second one in september, 2015.

The Japan Cybersecurity basic act focus on govenerment led and non government actors.

Japan Cert and National Center of Incindent REadiness and Strategy for Cybersecurity are the responsible for developing national cybersecurity policy and ensuing the security of different public sector organizations, to put forward proposals as well the Basic Cybersecurity act.

Public – private partnership is another pillar of this strategy.

Surprisingly, for a country like japan, there are weak points, too, according to a Deloitte’s Asia Pacific Defence outlook 2016.

Japan is an aging country, and its population is quite unaware of the risks of cybercrime: the system as whole is weak because people don’t behave properly in the net.

There few efforts to promote domestic expertise on cyber issues.

Cooperation is a problem, too, because admitting of being attacked a behavior socially unaccepted: frauds or cyberattack are hidden to the community.

Island mentality is another element: japanese believe no threats can hit them because they live on an island protected by the sea. Obviously, it’s not the case when we talk about cyber attacks.

To sum up, Japan is an high-value target for its economic and technology power, and its policies and its approach toward cyber issues doesn’t seem fitting.

 

Leonardo Pizzuti

 

AREA DI CRISI – Il ruolo della Russia nella crisi Mediorientale

Medio oriente – Africa/Video di

IL RUOLO DELLA RUSSIA NELLA CRISI MEDIORIENTALE

Prima puntata del WebFormat “AREA DI CRISI” settimanale di approfondimento di EUROPEAN AFFAIRS MAGAZINE. In studio Alessandro Conte, direttore di European Affairs Magazine, intervista il Professor Antongiulio de Rubertis, Professore Ordinario dell’Università di Bari e docente della Scuola di relazioni Internazionali dell’università Statale di San Pietroburgo.

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CREDITS

AREA DI CRISI – settimanale di european affairs –

CONDUCE: alessandro conte, direttore european affairs magazine –

REDAZIONE: giacomo pratali, paola fratantoni, paola longobardi, giada bono – SEGRETERIA DI REDAZIONE: giacomo pratali –

MUSICA SIGLA: per gentile concessione di francesco verdinelli –

REGIA: tino franco –

IMMAGINI: nel blu studios –

MONTAGGIO: daniele scaredecchia –

REALIZZATO IN COLLABORAZIONE CON :

EUROPEAN AFFAIRS MAGAZINE – www.europeanaffairs.media

NEL BLU STUDIOS – www.nelblustudios.com –

EDITO DA: Centro Studi Roma 3000 – www.roma3000.it

Refugee Accommodation Centre City Plaza: the Solidarity Movement

BreakingNews @en di

This is the third of five articles in the series “Athens: The Crisis Within the Crisis” (click here)

In an abandoned hotel, local citizens have created the self-managed Refugee Accommodation Centre City Plaza. Excitement was felt at all the social centres when, during one weekend, nearly all of them congregated, to appropriate one large building. Two days later we go there, walking through the worker and migrant neighbourhood to the northeast of the National Archaeological Museum.

The migrant neighbourhood

The alleyway is elegant, but has not been maintained for a decade or two. Here are shops offering “halal” and Indian restaurants with signs that none of us can read. My friend tells that this used to be a prosperous area, but then the middle class moved out, while workers and migrants moved in. We conclude that here we observe the reverse of the much-debated “gentrification” (the process when city quarters becoming more upper class and less diverse). We cross through a square with trees and flowers, where many newly arrived migrants meet, to exchange news and find contacts. Groups of people with various skin colours and ways of dress are talking silently together. Security guards are hanging at corners. Native retirees sit at benches, watching the spectacle. Children on a carpet make drawings with blonde volunteers. Below the peaceful surface, however, are personal dramas: families trying to find jobs, or to organize their way further away from war. At the middle of the Victoria Square is a sculpture, showing a centaur abducting a woman.

Reclaiming a hotel building

We turn two corners and find ourselves in front of the former City Plaza Hotel, a tall building. At the entrance we meet a group of Afghani asylum seekers, who are assisted by Nasim, a Greek political activist of Afghan origin. He greets my friend, and brings us through the entrance hall, where many local youngsters are hanging around, then up one stair to a shiny lobby. The polished decoration is intact, but the fountain is turned off. Sheets with hand written information in Arabic and Farsi are hanging on the wall. In the stairs we cross by some of the new inhabitants: families with small children, young women in fashionable jihabs, and grandpas in traditional Bedouin kirtles. At the second floor, Nasim proudly opens the door to a large catering kitchen, but the Bulgarian chef angrily chases us out – he is a professional, keeping strict hygienic routines. The hotel building has everything: reception, dining hall, cafeteria, catering kitchen with a qualified chef, and of several hundred bedrooms. The owners got bankrupt during the crisis – without paying the employees. Their trade union claims ownership of the building, the real capital of the hotel. When the squatters installed themselves and the refugees in the building, they promised to hand it over to the trade union after use. Later that evening we would hear that the trade union club of the local hotel employees had issued a formal declaration of support for the refugee accommodation. They say this is an inspiration for their own struggle to gain the salaries that they have earned.

Social integration

My friend goes to volunteer at the improvised nursery, and to take some photos. At the former hotel cafeteria, Nasim introduces me to the journalist Yannis. All three are comrades in a social movement coalition led by the Solidarity Initiative for Economic and Political Refugees. The journalist talks about integration: “We say to the neighbours: The question is not to have or not to have refugees in the neighbourhood, but how to have it. It is better to have refugees with rights, who are integrated into the neighbourhood. This is safer for everyone.” While starting to squat the building, the movement also made a newspaper, in a plain language, without activist jargon, in order to communicate with the neighbours. Yannis is enthusiastic. “The solidarity movement doesn’t want to be seen as people giving gifts, or charity. We also refuse to receive any gifts, or donations, from governments, church, NGOs or big business. Our goal is to restore human dignity for all, so that everyone can claim their basic rights.” City Plaza is a self-managed housing community, where inhabitants participate in everything from assemblies and decision-making, to logistics and practical tasks. Thus, migrants become integrated with local people, while activists become integrated with non-political people.

Between Attiki and Exarchia

The solidarity movement claims that the government creates social distance between locals and migrants, when it tries to “accommodate refugees far away from the centre”. City Plaza is part of urban life. It blends well into the worker and migrant neighbourhood. This is located in-between two other neighbourhoods, where we find two opposing political movements. Exarchia is the home of radical left-wing social centres, while in Attiki, the radical right-wing party got many votes. The anarchist movement and the fascist movement take opposite political stands to the refugee crisis. Nasim and Yannis are used to navigate in this local terrain: “We could have had 500 people in this building, but 300-400 are enough, because we need to set up a nursery, a school, and take care of security – and the first floor houses solidarity people, for security reasons.” After I had been outside the building, I tried to return, but the youngsters at the entrance did not accept me, until I found Nasim. The youngsters outside City Plaza, as the retirees at Victoria Square, were not only idling about. Local people prevent aggression by close contact and gossiping – social integration.

 

More info: https://www.facebook.com/sol2refugeesen/

 

Helge Hiram Jensen

 

 

Abuso di posizione dominante nei trasporti marittimi italiani

ECONOMIA/EUROPA di

In commissione Europea è stata presentata una interrogazione parlamentare per spingere l’autorità a verificare se il mercato italiano del trasporto marittimo sia effettivamente equilibrato.

L’interrogazione è stata presentata dall’Europarlamentare Maullu di Forza Italia che ha voluto sottolineare come le recenti operazioni di acquisizione verificatesi in Italia possano danneggiare i cittadini, “L’interrogazione che ho depositato – ha dichiarato Maullu –  chiede alla Commissione europea di attivarsi per vietare atteggiamenti di abuso della posizione dominante sul mercato interno. Il libero mercato deve sempre garantire una sana concorrenza, con il miglioramento dei servizi, l’affidabilità delle linee e l’equilibrio delle tariffe”

La stessa  l’Autorità Garante per la Concorrenza e il mercato italiana  ha rilevato come l’acquisizione della società Moby da parte della Compagnia Italiana Navigazione che fa’ riferimento al Gruppo Onorato Navigazione, sia di fatto un aggregazione superiore al massimo consentito.

Lo scorso 25 febbraio 2016 è stata presentata la nuova compagine del gruppo Onorato Navigazione che ad oggi comprende le società Tirrenia, Toremar e Moby diventando il primo gruppo passeggeri del Mediterraneo con una flotta di 64 navi, 4.000 occupati, 6,2 milioni di passeggeri trasportati, 25 porti collegati, 33mila viaggi effettuati nell’ultimo anno.

A Brussels  l’on. Maullu ha presentato nei giorni scorsi l’ interrogazione parlamentare per spingere la commissione ad una valutazione delle condizioni di mercato dei trasporti marittimi in italia, “ C’è un’effettiva mancanza di sana concorrenza sulle rotte dei traghetti che collegano il continente alla Sardegna” ha dichiarato Maullu a seguito della sua iniziativa “ L’avvicinarsi dell’estate fa emergere questo problema con maggiore forza, i cittadini e i turisti che vogliono raggiungere l’isola si vedono applicate tariffe molto alte e condizioni poco vantaggiose rispetto ad altre mete turistiche”

Una situazione ben nota all’antitrust italiano che nel mese di aprile ha denunciato la CIN ( Compagnia italiana di Navigazione) di posizione dominante nei trasporti marittimi

L’analisi svolta dal AGCM  ha evidenziato che le rotte tra  Civitavecchia-Olbia e Genova-Olbia, hanno subito negli ultimi anni una forte contrazione, determinando l’uscita di tutti gli operatori ad eccezione di CIN e Moby che sono parte dello stesso gruppo.

In questo contesto, CIN, pur essendo partecipata per una quota del 40% da Moby, si è comportata nei confronti di quest’ultima come un operatore in concorrenza,  così acquisendo crescenti quote di mercato ai suoi danni nelle stagioni estive 2013 e 2014.

Il mercato di fatto non presenta un numero adeguato di concorrenti che possano permettere una offerta di prezzi  in competizione a favore dei clienti finali e soprattutto ai danni di quella che veniva considerata continuità territoriale per i residenti delle isole maggiori che si vedono oggi penalizzati negli spostamenti da e per il continente. Su questo tema le altre compagnie di navigazione mantengono il riserbo e non concedono interviste o dichiarazioni .

L’interrogazione dell’Europarlamentare sembra avere lo scopo di spingere le istituzioni comunitarie a vigiliare sull’effettivo rispetto delle norme garanti della concorrenza e che siano effettivamente applicate misure tali da favorire un libero mercato come indicato dall’ACGM italiana che ha sentenziato che  di l’acquisizione da parte di Onorato Partecipazioni S.r.l. del controllo esclusivo di Moby S.p.A. e di Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A., sia determinante nella costituzione di una  posizione dominante nel mercato dei servizi di trasporto marittimo di passeggeri, autovetture e merci sulle rotte Genova – Olbia e Civitavecchia – Olbia.

Le isole maggiori affrontano così una nuova stagione turistica con un calo delle presenze costante negli ultimi anni causato in primis dai costi di trasporto marittimo, calo che danneggia l’economia della Sardegna già fortemente provata dalla crisi e che vede nel settore turistico la sua unica possibilità di resistere alla crisi.

Brazil: Olympics 2016, a bloodbath

Americas/BreakingNews @en di

“When Rio was awarded the 2016 Olympic Games in 2009, authorities promised to improve security for all. Instead, we have seen 2,500 people killed by police since then in the city and very little justice,” said Atila Roque, Director at Amnesty International Brazil in Amnesty International’s report about Brasil published on. A report which examined the new wave of police violence after that the same context came first the 2014 FIFA World Cup.

“In the last 7 years, Rio’s security forces have killed over 2,500 people in the city. Over 100 people have been killed by police in Rio de Janeiro state so far this year. The majority: young black men”. Brasil that, as remembered by Amnesty, has “the highest number of homicides in the world – some 60,000 murders a year. But thousands of those killings are carried out by the police, with almost no accountability whatsoever. “ But 1 of 5 homicides was committed in Rio. “So far in 2016, more than 100 people have been killed in the city of Rio de Janeiro. “

 

 
2014 FIFA World Cup
“In the run-up to the 2014 FIFA World Cup, human rights were increasingly restricted and violated by Brazilian security forces. Since 2013, police forces across Brazil have used unnecessary and excessive force to disperse mostly peaceful protests, including through the abuse of so-called “less lethal” weapons, that resulted in hundreds of people being injured and arbitrarily detained, among them journalists and media activists. The use of the military to undertake tasks relating to public safety and policing of demonstrations – including an operation in the Maré Complex favelas from April 2014 to June 2015 – has also resulted in a series of human rights violations. Government officials have announced a plan to implement a similar model of security operations during the Rio 2016 Olympics, raising concerns about the security and integrity of peaceful protesters and of those living in communities where the military is expected to be deployed, particularly in marginalized areas and favelas. “

 

 
The beginning of 2016
As in the previous seven years, police homicides in Rio have not still stopped. “When comparing the first four months of 2016 with the same period in the previous year, there is a decrease of 8.5% in the number of cases of homicides resulting from police interventions in the state of Rio de Janeiro and a decrease of 13.9% in the city of Rio de Janeiro. The decrease happened mostly in the months of January and February, but more recent data shows that this trend is not guaranteed for the months ahead. The month of April 2016 already presents a significant increase when compared with the previous year, which raises serious concerns about the upcoming months. In the last trimester of 2015, the Military Police in Rio de Janeiro began implementing the programme to control the use of force with the main objective of reducing the use of firearms and lethal force during police operations and thus, the number of people killed. The program is intended to identify police units and specific officers with the highest records of use of firearms to undergo training. The General Commander of the Military Police has claimed that, after a few months, positive impacts can already be seen. However, a more detailed analysis is needed to properly understand the reasons for the decreasing numbers of people killed by police and to ensure this trend will continue throughout 2016. “

 

 
Conclusions
Brazil security context is not improving, as proved by four most important information:
– During 2016, the police were responsible for over 100 people killed in the city of Rio de Janeiro.
– In the first three weeks of April 2016, at least 11 people were killed during police operations.
– Compared to 2013, in 2015 the murders as a result of intervention by the police in Rio was increased by 54%.
– 77% of young men killed was black.

“With two months to go until the Olympics 2016, there is still time to put in place measures to mitigate the risk of human rights violations and establish accountability mechanisms for those responsible for committing human rights violations. “, Amnesty report ended.

Tunisia, la (non) svolta di Ennahda

Il X congresso del partito sancisce la fine dell’islam politico e la nascita dell’islam democratico. Si tratta del primo caso al mondo in cui una formazione politica di matrice islamica rinuncia alla “dawa”. Tuttavia il nuovo corso intrapreso dal movimento guidato da  Rashid Ghannoushi rischia di rivelarsi controproducente.

Rashid Ghannoushi, 74 anni, leader del partito islamico tunisino Ennahda prende la parola: “Le primavere arabe non hanno portato solo l’inverno dell’Isis: oggi a Tunisi comincia l’estate delle democrazie musulmane!”.

Davanti ai 13.000 sostenitori ed i 1.200 delegati riunitisi Stade Olympique de Rades, 20km dalla capitale, l’ex professore di filosofia, rientrato nel 2011 in patria dopo 20 anni di esilio a Londra, continua: “L’Islam politico non ha più alcuna giustificazione in Tunisia. Ci occuperemo solo d’attività politica, non di religione. Sarà un bene per i politici, che non saranno più accusati di strumentalizzare la religione. E lo sarà per la religione, mai più ostaggio della politica».

Le parole appena pronunciate chiudono i lavori del terzo ed ultimo giorno del X Congresso nazionale del del movimento leader dei moti del 2011 dove, con votazione finale, l’80.6% dei delegati si è espresso in favore dell’abbandono definitivo della dawa, ovvero la definitiva separazione dell’attivismo politico dalle attività religiose in seno a questo; per la prima volta un partito di matrice islamica rinuncia all’Islam politico.

Tale révirement non arriva come un fulmine a ciel sereno. L’intenzione di intraprendere un nuovo corso era già stata annunciata il 19 maggio, dalle colonne del quotidiano francese Le Monde. In tale occasione il  presidente del partito, intervistato, aveva affermato: “dopo la rivoluzione dei gelsomini nel 2011 e l’adozione nel 2014 della nuova Costituzione – ha detto Ghannoushi – in Tunisia non c’è più’ alcuna giustificazione per un movimento che si richiami ad un Islam politico”.

Parlare di “svolta”, tuttavia, è fuorviante. Ennahda ha infatti intrapreso, sin dal 2011, un percorso di istituzionalizzazione e de-radicalizzazione che l’ha resa un attore politico di primo piano, parte integrante della competizione politica democratica tunisina, nonché uno dei pilastri sui quali poggia il (fragile) successo della transizione democratica in corso nel paese. L’abbandono della dawa può essere vista, dunque, come la culminazione di un processo che ha luogo da ormai 5 anni; un balzo in avanti, uno strappo al più, ma non un vero e proprio cambio di direzione.

 

Restano, ad ogni modo, dubbi e criticità. Un primo nodo da scogliere sarà quello riguardante l’autenticità di tale decisione. Molti sono, infatti, gli analisti e gli opinion leaders che nutrono dubbi a riguardo, ipotizzando che quello operato da Ennahda sia soltato un atto di taqiyya, (un precetto islamico che prevede la possibilità di dissimulare o addirittura rinnegare esteriormente la fede islamica in casi eccezionali). Di tale avviso è lo stesso Mustapha Tlili, il quale, nel suo editoriale sul quotidiano Leaders, ha accusato lo stesso Ghannoushi di aver messo in scena una vera e propria “illusione”, arrivando a chiedere, come prova di sincerità, l’introduzione della separazione tra Stato ed Islam anche nella Costituzione, ad oggi prevista nel testo, ma in maniera piuttosto vaga.

È tuttavia plausibile, se si considera il pragmatismo dimostrato in questi anni dal fondatore del movimento, che tale scelta, più che un autentico ripensamento sul rapporto tra politica e religione, sia una mossa strategica. Presentandosi infatti come prima forza politica del paese e definendosi “un movimento democratico e civile” Ennahda intende avvicinarsi al Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, in un momento in cui il partito secolarista alla guida del governo di coalizione, Nidaa-Tounes, si trova ad affrontare una grave crisi interna ed un rimpasto di governo sembra ormai inevitabile.

In secondo luogo, poi, bisognerà trovare una risposta ad una questione che, nel trionfalismo con il quale i media di tutto il mondo hanno accolto “la svolta di Ennahda” sembra sfuggire al dibattito pubblico, ma sulla quale si giocherà una partita importante nel percorso verso un regime stabile e  pienamente democratico.

Accettando la competizione democratica e partecipando alle elezioni dell’Assemblea Costituente, il partito islamico ha progressivamente abbandonato le posizioni anti-sistemiche degli anni di Ben-Ali e della rivoluzione, divenendo un elemento di mediazione tra i partiti secolaristi ed i movimenti politici islamisti di stampo radicale emersi in questi anni sul territorio nazionale in un contesto sempre più polarizzato.  Sino ad oggi, dunque, il “Movimento della Rinascita” è stato, de facto, l’unica forza legittima in grado di dialogare con il nuovo salafismo, assurgendo a catalizzatore politico delle istanze islamiche provenienti dalla società civile.

A tale processo, però, è corrisposta una reazione uguale e contraria provocando molte spaccature all’interno del fronte islamico. Una parte della popolazione, soprattutto tra le fasce più giovani, non ha accettato le scelte intraprese dal partito, rimanendo su posizioni anti-sistemiche e, di conseguenza, affluendo verso gruppi più radicali.

Al tempo stesso, proprio l’inclusione della sezione tunisina dei Fratelli Musulmani ha reso possibile la progressiva marginalizzazione degli altri movimenti islamisti dal contesto istituzionale, con ciò contribuendo alla loro radicalizzazione. Il movimento Ansar al-Shari’a (AST) ne è una prova. Questo, infatti, dopo i moti del 2011, in un primo momento non era andato contro le istituzioni tunisine; con la progressiva integrazione di Ennahda nelle dinamiche istituzionali ed in seguito alle repressioni operate nei suoi confronti dal governo, da un lato ha visto allargarsi le sue fila mentre, dall’altro, è andato incontro ad una ulteriore radicalizzazione.

Alla luce di quanto detto pare lecito domandarsi se lo strappo operato durante l’ultimo congresso non possa portare ad effetti controproducenti. L’abbandono della dawa da parte di Ennahda lascia scoperta una matrice culturale e politica di primaria importanza nella società tunisina alla quale, dal 2011 ad oggi, il partito di Ghannoushi ha garantito un’espressione moderata. La “svolta di Ennahda” lascia dunque un vuoto che dovrà essere colmato, ma da chi?

Sebbene il 73% dei tunisini si sia espresso a favore della separazione tra stato e religione, vi è comunque una fetta importante della popolazione che, non condividendola, potrà trovare forme di rappresentanza dell’Islam politico solo in partiti assai più radicali, non essendo presente sul territorio tunisino un’altra forza islamista moderata. Ne consegue che, se da un lato i Fratelli Musulmani tunisini, magari memori dell’esperienza dei cugini egiziani, hanno preso definitivamente le distanze dai movimenti estremisti,  dall’altro quella che, più che un vero ripensamento, potrebbe essere una scelta strategica per porsi alla guida dell’esecutivo in caso di deposizione dell’attuale primo ministro Habib Essid,  invece di  portare ad un’ulteriore stabilizzazione del sistema politico in Tunisia rischia di rafforzare proprio quelle forze che vorrebbero destabilizzarlo.

Di Tommaso Muré

Redazione
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