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L’intervento umanitario ONU per 12 milioni di persone in Ucraina

La continua violenza armata e il rapido deterioramento delle misure di sicurezza in Ucraina continuano ad aggravare la sofferenza di milioni di persone nella regione orientale, un’area già esposta a otto anni di conflitto armato, isolamento delle comunità, deterioramento delle infrastrutture, molteplici restrizioni ai movimenti, livelli elevati di mine antiuomo e contaminazione da ordigni inesplosi, nonché l’impatto del COVID-19.

La situazione attuale

La situazione umanitaria in Ucraina è peggiorata rapidamente in seguito al lancio dell’offensiva militare della Federazione Russa il 24 febbraio 2022. La violenza armata è aumentata in almeno otto oblast (regioni), tra cui Kyivska oblast e la capitale Kiev, nonché nell’est oblasts Donetska e Luhanska che erano già state colpite dal conflitto. I recenti sviluppi delle ostilità hanno reso la situazione ancora più imprevedibile e instabile.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha registrato dall’inizio del conflitto 802 vittime civili in Ucraina: 249 uccisi (di cui 232 adulti, 9 ragazzi, e 8 bambini) e 553 feriti.

La maggior parte delle vittime civili sono state causate dall’uso di armi esplosive di lunga portata, attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria pesante e sistemi missilistici multilancio. L’OHCHR ritiene che le cifre reali siano considerevolmente più elevate, soprattutto nel territorio controllato dal governo e soprattutto negli ultimi giorni, poiché la ricezione di informazioni da alcune località in cui sono in corso intense ostilità è stata ritardata e molti rapporti sono ancora in attesa di conferma. Ciò riguarda, ad esempio, la città di Volnovakha (parte della regione di Donetsk controllata dal governo) dove si sospetta un numero elevato di vittime civili.

Le conseguenze umanitarie del conflitto

L’intensa escalation militare ha provocato la perdita di vite umane, feriti e movimenti di massa della popolazione civile in tutto il paese e verso i paesi vicini, nonché gravi distruzioni e danni alle infrastrutture civili e agli alloggi residenziali.

La fornitura di servizi pubblici – acqua, elettricità, riscaldamento e servizi sanitari e sociali di emergenza – è sottoposta a forti pressioni e l’accesso delle persone alle cure di prima necessità è limitato da un sistema sanitario allo stremo.

Con la continuazione dell’operazione militare e la crescente instabilità, è probabile che le catene di approvvigionamento vengano interrotte per un periodo di tempo prolungato. Anche la capacità delle autorità locali di sostenere un livello minimo di servizi è stata gravemente ostacolata dalla dipartita dei dipendenti o dall’impossibilità di accedere al proprio posto di lavoro.

I gruppi particolarmente vulnerabili includono gli anziani e le persone con disabilità, che potrebbero non essere in grado di fuggire o rimanere nelle aree colpite, con conseguenti rischi per le loro vite, difficoltà a soddisfare i bisogni quotidiani e difficoltà nell’accesso all’assistenza umanitaria.

L’intervento della comunità umanitaria

La comunità umanitaria si è rapidamente adattata all’evolversi della situazione, anche grazie allo Humanitarian Response Plan, ovvero il piano di emergenza inter-agenzie aggiornato all’inizio del 2022 prima dell’inizio della crisi. Purtroppo, la violenza degli scontri armati ha provocato una forte escalation dei bisogni e una significativa espansione delle aree in cui è richiesta assistenza umanitaria rispetto a quanto previsto all’inizio dell’anno. Anche il tipo di bisogni e le attività umanitarie richieste negli oblast di Donetska e Luhanska sono cambiati a causa della nuova portata delle ostilità.

Ciò ha intensificato gli sforzi delle organizzazioni comunitarie per mitigare l’impatto del conflitto attraverso la fornitura di assistenza alimentare, servizi di protezione, accesso all’acqua potabile, rifugi e assistenza sanitaria.

Le Nazioni Unite, attraverso l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) hanno autorizzato una sovvenzione del Fondo centrale di risposta alle emergenze (CERF) di $20 milioni ad integrazione dei meccanismi di finanziamento umanitario già esistenti, tra cui lo stanziamento di $18 milioni da parte del Fondo umanitario ucraino.

L’assegnazione del CERF consente alle agenzie e ai partner delle Nazioni Unite di potenziare ulteriormente le operazioni umanitarie, in particolare in nuove località che non sono state precedentemente colpite da ostilità, e di migliorare la capacità della catena di approvvigionamento al fine di fornire assistenza umanitaria mirata alle persone colpite dalla recente ondata di violenza.

I finanziamenti attualmente disponibili per le operazioni umanitarie in Ucraina sono estremamente limitati. Per un rapido aumento della risposta umanitaria, i partner umanitari richiedono 1,1 miliardi di dollari per aiutare più di 6 milioni di persone bisognose. I finanziamenti immediati e urgenti saranno cruciali per soddisfare le esigenze umanitarie di milioni di civili nel mezzo di un’escalation delle ostilità.

Sostieni il Fondo umanitario in Ucraina

L’ONU ha lanciato un appello di emergenza per 1,7 miliardi di dollari per fornire aiuti alle persone all’interno dell’Ucraina e ai rifugiati fuggiti nei paesi vicini. Il Fondo umanitario ucraino è un fondo comune nazionale. I fondi messi insieme supportano una risposta umanitaria tempestiva, coordinata e basata sui diritti umani.

La tua donazione aiuterà le ONG umanitarie e le agenzie delle Nazioni Unite in Ucraina ad assistere le comunità e le persone più vulnerabili e a fornire loro cibo, acqua, riparo e altro supporto di base di cui hanno urgente bisogno. Grazie a questo meccanismo di risposta rapido e flessibile, il tuo regalo di oggi può davvero salvare una vita.

Link in basso per fornire assistenza alle vittime del conflitto in Ucraina

Fondo umanitario in Ucraina:

https://act.unfoundation.org/onlineactions/D47Mjcz_6ECF1PLeCnHIIw2

Agenzia ONU dei Rifugiati (UNHCR):

https://dona.unhcr.it/campagna/crisi-ucraina/

UNICEF:

https://donazioni.unicef.it/landing-emergenze/emergenza-ucraina?wdgs=GAEU&gclid=CjwKCAiAjoeRBhAJEiwAYY3nDD_jSpD6lKPQ0LHB7hQ9v5Iz2hU_ZE5WnT76RiUJGD4EccpjtDuYMBoCWY8QAvD_BwE#/home

World Food Programme:

https://donatenow.wfp.org/it/~mia-donazione?redirected=IT

 

La Libia ha un nuovo Primo ministro

AFRICA di

Non senza destare sorpresa, Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh è stato eletto come nuovo Primo ministro ad interim della Libia, al termine del “Libyan Political Dialogue Forum”, organizzato sotto l’egida delle Nazioni Unite a Ginevra. La nuova compagine, nota con il nome di Consiglio presidenziale, sarà composta da altre tre personalità, ciascuno in rappresentanza di una regione storica del Paese, con il compito di traghettare il Paese verso nuove elezioni, previste per il prossimo 24 dicembre.
On behalf of the United Nations, I am pleased to witness this historic moment“, ha commentato l’inviata Speciale ONU in Libia, Stephanie Williams, aggiungendo: The importance of the decision that you have taken here today will grow with the passage of time in the collective memory of the Libyan people.”

Il nuovo Primo ministro avrà ora 21 giorni per formare un nuovo gabinetto di transizione, nell’ottica di “mettere in pratica le disposizioni costituzionali necessarie per indire le elezioni come stabilito nella Road Map concordata a novembre scorso nei negoziati di Tunisi“.

Mohammed Dbeibeh, Younes Menfi, al-Lafi e Musa al Kuni: un ticket vincente

Con 73 votanti su 75, numero complessivo dei delegati libici partecipanti al Libyan PDF, la lista di Mohammed Dbeibeh si è dunque imposta ottenendo un totale di 39 voti, contro i 34 di quella guidata da Aguilah Saleh, Presidente del Parlamento di Tobruk, e Fathi Bishaga, Ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Serraj. Alla vigilia del voto, tuttavia, erano questi ad essere considerati come super-favoriti, con Salah candidato presidente, e Bhashaga come candidato premier. Il ticket era considerato molto forte e, in effetti, nella prima tornata di votazioni era risultato primo, senza però riuscire ad ottenere, e a superare, la soglia del 60%. Con sorpresa da parte degli osservatori, a seguito del ballottaggio si sono invece affermate personalità che, finora, non hanno giocano un ruolo di primo piano nel contesto politico libico.

Chi è dunque Dbeibeh? Nato nel 1958, il nuovo premier ha lavorato con Saif al-Islam Gheddafi nel 2007, dopo il conseguimento della laurea in ingegneria in Canada.

Ma questo è il mio unico legame con l’ex regime […]”, assicurava in un’intervista del 2018, in cui si presentava come “ un’alternativa” al Presidente di Tripoli Fayez al Sarraj e al generale Khalifa Haftar. Esponente dell’imprenditoria misuratina, Dbeibeh è considerato vicino alla Russia, ma anche alla Turchia e ai Fratelli musulmani, sostenitori del Premier uscente Fayez al Sarraj. 

Gli altri membri del nuovo Consiglio presidenziale

Mohammad Younes Menfi, nuovo presidente del Consiglio presidenziale, è un diplomatico originario di Tobruk, che ha svolto il ruolo di ambasciatore in Grecia fino all’espulsione avvenuta nel 2019, a causa della conclusione, tra Ankara ed il Governo di Tripoli, del controverso accordo sulle zone economiche esclusive nel Mediterraneo.  Gli altri due membri del Consiglio, Abdullah Hussein al Lafi e Musa al Kuni, ricopriranno il ruolo di vicepresidenti, rispettivamente in rappresentanza della Tripolitania e del Fezzan. Al-Lafi, deputato della Camera dei rappresentati del Parlamento di Tobruk, è stato eletto nella circoscrizione di Zawiya, sede di un’importante raffineria petrolifera del Paese. Il politico e diplomatico al Kuni, invece, era già stato scelto come uno dei rappresentanti della regione del Fezzan all’interno del Consiglio di presidenza guidato da Fayez al Sarraj, ricoprendo, anche se per un breve periodo, l’incarico di vicepremier del Governo di Accordo Nazionale (GNA), per poi dimettersi il 2 febbraio 2017 per divergenze con al-Serraj.

Jan Kubis è il nuovo inviato speciale ONU in Libia

AFRICA di

Nella sera del 15 gennaio il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato la nomina del diplomatico slovacco Jan Kubis come inviato speciale della Missione di Sostegno in Libia (UNSMIL), secondo quanto riferito da fonti interne al Paese. L’annuncio formale da parte delle Nazioni Unite è atteso nelle prossime ore, così da permettere l’insediamento del neonominato entro il primo febbraio prossimo.

Kubis è noto per aver ricoperto l’incarico di Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Slovacca, nonché per il ruolo di coordinatore speciale ed inviato speciale svolto in Libano, Afghanistan ed Iraq per conto delle Nazioni Unite. Il nome del diplomatico di Bratislava è stato proposto dallo stesso Segretario Generale Antonio Guterres, al fine di sostituire l’ex-inviato delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamé, il quale si è dimesso dall’incarico il 2 marzo scorso, dopo circa tre anni dall’assunzione dello stesso. Le motivazioni all’origine di tale scelta riguardavano le sue condizioni di salute, aggravate dall’eccessivo carico di stress derivante dalla missione stessa, in virtù delle difficoltà riscontrate dal diplomatico libanese nel raggiungere la pace e la stabilità nel Paese. Da allora, Salamé è stato sostituito dalla sua vice, Stephanie Williams, che ha svolto il ruolo di inviata ad interim. La nuova nomina del Consiglio di Sicurezza è stata frutto di quasi undici mesi di estenuanti trattative, seguite alla decisione di Salamè di ritirarsi dal suo incarico. Prima di optare per la figura di Kubis al vertice della missione UNISMIL, infatti, nel mese di dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva proceduto alla nomina del diplomatico bulgaro Nickolay Mladenov, il quale, tuttavia, pochi giorni dopo la sua designazione aveva annunciato di non poter assumere l’incarico, a causa di “motivazioni personali e familiari”.

 

La nomina di Kubis come nuovo inviato speciale nel Paese africano si colloca in un contesto piuttosto complesso ed articolato. Dal punto di vista militare, in Libia è attivo un cessate il fuoco stabilito lo scorso 23 ottobre, a seguito dell’incontro tra le delegazioni libiche dell’LNA e del GNA, riunitesi a Ginevra nel quadro del Comitato militare congiunto 5+5.  Dal punto di vista politico, invece, in seguito a mesi di negoziati, il 17 dicembre scorso, è stata formata una Commissione legale e costituzionale, volta a guidare la Libia verso nuove elezioni, previste a dicembre 2021. Al momento, inoltre, è in corso a Ginevra un nuovo round di colloqui del Libyan Political Dialogue Forum, iniziato lo scorso 13 gennaio, con l’intento di raggiungere un’intesa tra le parti libiche sui meccanismi di nomina dei futuri organismi esecutivi, il Governo unitario ed il Consiglio presidenziale. Il primo Round negoziale del Forum risale al 9 novembre 2020, pochi giorni dopo la conclusione dell’accordo di cessate il fuoco da parte delle due fazioni belligeranti. Da allora, le Nazioni Unite e l’inviata speciale ad interim, Stephanie Williams, hanno promosso una serie di incontri volti a realizzare la transizione democratica auspicata all’interno del Paese africano. Nelle ultime settimane, tuttavia, il percorso politico è stato caratterizzato da una fase di stallo, che ha rischiato di compromettere lo stesso processo di transizione democratica verso nuove elezioni. 

Tale impasse è stata, dunque, all’origine del nuovo round negoziale sotto l’egida dell’Onu attualmente in corso a Ginevra, nell’auspicio che le controversie in merito ai meccanismi di nomina dei membri della futura leadership libica possano essere superate, trovando soluzioni condivisibili sulle questioni rimaste in sospeso. 

 

L’ex inviato Onu in Libia Salamè: “sono stato pugnalato alle spalle”

AFRICA di

L’ex inviato delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamè ha denunciato l’ipocrisia di alcuni Stati del Consiglio di Sicurezza ONU, responsabili di aver minato i suoi sforzi per pacificare il Paese nordafricano. Quanto detto è stato dichiarato nel corso di un’intervista rilasciata al Centre for Humanitarian Dialogue, un’organizzazione diplomatica privata con sede in Svizzera.

Come è noto, Salamè ha ricoperto il ruolo di sesto inviato della Missione UNSMIL, il secondo di nazionalità libanese, il quale ha annunciato le sue dimissioni il 2 marzo scorso, chiedendo al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di assolverlo dal suo incarico in Libia. “Il mio fisico non regge a questo stress”, aveva affermato con un tweet, rendendo pubblica la sua decisione.

Nel corso della sua intervista l’ex inviato ONU ha affermato di essere stato “pugnalato alle spalle” da alcuni Paesi membri del Consiglio di Sicurezza, i quali avrebbero ostacolato i suoi tentativi di riportare pace e stabilità nel Paese sostenendo il generale Khalifa Haftar ed il suo Esercito Nazionale Libico (LNA). In particolare, egli ha dichiarato di aver sentito come se il suo incarico in loco fosse inutile quando Haftar, il 4 aprile 2019, ha intrapreso la sua marcia per la conquista di Tripoli, già forte dell’appoggio di numerosi sostenitori a livello internazionale.

Egli ricorda inoltre che l’11 febbraio scorso, a seguito della nota Conferenza di Berlino del mese di gennaio, il Consiglio di Sicurezza ha adottato con 14 voti favorevoli su 15 (con l’astensione della Russia), una risoluzione tedesco-britannica che, tra le altre cose, estendeva l’embargo sulle armi in Libia fino al 30 aprile 2021. Nonostante ciò, le milizie di Haftar hanno continuato ad attaccare Tripoli, portando Salamè a sentirsi “pugnalato alle spalle”. L’offensiva di Haftar ha vanificato gli sforzi profusi dalle Nazioni Unite per pacificare il Paese, sabotando i preparativi, in corso da più di un anno, per la Conferenza Nazionale di Ghadames, prevista pochi giorni dopo l’inizio delle operazioni contro Tripoli ed il governo di al-Serraj, l’unico riconosciuto a livello internazionale.

Anche in questo caso, secondo quanto dichiarato da Salamè, vi sono state pressioni da parte di Paesi “rilevanti” con l’intento di sabotare il meeting, finalizzato alla discussione dei meccanismi per giungere ad una fine del conflitto.

“È a questo punto che, in quanto rappresentante delle Nazioni Unite, ti rendi conto che l’ipocrisia di alcuni Paesi ha raggiunto un limite che rende il tuo lavoro difficile”, ha dichiarato Salamè, aggiungendo, senza giri di parole, che le Nazioni Unite “sono in pessima forma”.

Questioni come il cambiamento climatico e la parità di genere sono molto importanti, prosegue, ma il principale ruolo dell’ONU deve essere quello di garantire “la pace e la sicurezza internazionale”. Le Nazioni Unite sono nate per questo, ricorda il diplomatico, come “organismo per la sicurezza collettiva”, individuando, inoltre, la causa che sta condannando l’Organizzazione all’immobilismo: siamo di fronte, ha detto, ad una “deregolamentazione dell’uso della forza”.

Libia: si dimette l’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamè

AFRICA di

Dopo meno di tre anni dall’inizio del suo incarico, l’inviato speciale ONU in Libia, Ghassan Salamè, ha presentato le proprie dimissioni al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Si tratta del sesto inviato Onu della Missione in Libia UNISMIL, nonché il secondo di origine libanese, a non essere riuscito a portare la pace nel Paese. Ghassan Salamé aveva ricevuto l’incarico il 16 giugno 2017, succedendo al tedesco Martin Kobler.

La notizia è stata diffusa dallo stesso Salamè mediante un tweet pubblicato la sera del 2 marzo.

“Mesi di stress insostenibile” è il suo commento amaro. “Per due anni ho cercato di riunire i libici, di frenare le interferenze esterne e preservare l’unità del paese. Dopo il vertice di Berlino è stata emessa la risoluzione 2510 e sono state aperte tre strade, nonostante l’esitazione di alcuni: oggi dichiaro che la mia salute non consente più questo tasso di stress, perciò ho chiesto al Segretario Generale di sollevarmi dall’incarico augurando alla Libia pace e stabilità”.

Secondo quanto espresso dallo stesso Salamè, quindi, dopo circa 3 anni dall’assunzione del mandato, le sue condizioni di salute non gli consentono più di far fronte al forte stress causato dalla missione stessa, viste le difficoltà riscontate nel raggiungere pace e stabilità nel Paese Nordafricano, nonché nel dialogare con le parti in conflitto. Bisogna inoltre considerare che da tempo il diplomatico libanese aveva fatto sapere che non avrebbe completato il suo mandato.

L’annuncio di Salamè segue il fallimento dei colloqui di stampo politico e militare intrapresi a Ginevra. Gli ultimi, avviati il 26 febbraio scorso, hanno registrato l’assenza di delegati dei due fronti rivali in Libia, facenti capo a Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar. Tali assenze in fase di negoziazione, in particolare il ritiro della delegazione di Serraj dai colloqui, sono state lette come un chiaro atto di sfiducia nei confronti dell’azione dell’emissario ONU nel conflitto libico.

Nelle ultime settimane, inoltre, le forze dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), guidate dal generale Khalifa Haftar, hanno continuato a condurre attacchi contro Tripoli, compromettendo l’esito delle negoziazioni, e violando l’obbligo di “cessate il fuoco”.

Per alcuni, le dimissioni i Salamè dimostrano come la crisi libica sia giunta ad un vicolo cieco, in cui trovare una soluzione politica appare sempre più difficile. Salamè infatti era considerato come uno tra i pochi ad avere le giuste competenze per affrontare il difficile panorama libico, visto il suo vissuto, caratterizzato altresì dalla crisi politica e dalla guerra civile in Libano. Pertanto, la scelta di un successore e la definizione del suo mandato, si prospettano come passaggi delicati ed incerti.

 

Serbia and UN ink Development Partnership Framework

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The Development Partnership Framework between the Serbian government and the UN Country Team for the period from 2016 to 2020 has been signed in Belgrade. The document was inked by First Deputy Prime Minister and Foreign Minister Ivica Dacic and UN Resident Coordinator in Serbia Karla Robin Hershey. The Development Partnership Framework is “fully aligned with the national development priorities of the Serbian government, as well as with the process of pre-accession negotiations between Serbia and the European Union and the UN Agenda for sustainable development by 2030”. The estimated value of the program of activities for a five-year period covered by the Development Partnership Framework amounts to USD 170 million. Dacic said he hoped that through the joint work of Serbian ministries, offices and agencies of the UN system, the Development Partnership Framework will be successfully put into practice, in the interest of all citizens of Serbia.

Electoral commission yet to be provided with funds needed for referendum

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The Kurdistan Region’s Independent High Electoral and Referendum Commission (IHERC) has yet to be provided with the funds needed for the referendum anticipated to be held this year on the region’s independence, spokesman Shirwan Zrar said. During a press conference held in Erbil following the committee’s meeting with Kurdish political parties under the auspices of the United Nations, the IHERC spokesman said the allocated money is sufficient only for the upcoming parliamentary and presidential elections. “An average of 22 billion Iraqi dinars is set to be deposited to the commission’s account for the parliamentary and presidential elections”, Zrar said. A date for holding the Kurdistan Region’s referendum has yet to be scheduled. According to IHERC estimates there are around 3,500,000 eligible voters. The IHERC spokesman said the commission will attempt to use electronic services in the process of counting votes for an efficient process and to announce the result of the elections as soon as possible. The committee has been in touch with the Ministry of Health to combat voter fraud and have clear voter registration rolls, Zrar said.

The United Nations Committee against Torture of Bahrain

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The United Nations Committee against Torture on Friday called on Bahrain to release prominent activist Nabeel Rajab from more than nine months of solitary confinement and investigate widespread allegations of ill-treatment and torture of detainees. Bahrain’s mainly Shiite Muslim-led opposition has faced a government crackdown since last year in the  Persian Gulf kingdom. The Western-allied government closed down the main opposition al-Wefaq group, arrested Rajab and revoked the citizenship of Shiite spiritual leader Ayatollah Isa Qassim. The United Nations panel, composed of 10 independent experts, conducted its first review of Bahrain’s record in five years at a session ending on Friday, Reuters reported. Abdulla Faisal Aldosari, the Assistant Minister of Foreign Affairs who led Bahrain’s delegation, said it faced national security challenges but was acting on torture complaints. So far 52 cases had been brought to criminal courts in which 101 suspects had been found guilty of torture, he said. The UN experts, in their findings, urged authorities to “put an end to the solitary confinement of Mr. Nabeel Rajab and ensure that he is provided with adequate medical assistance and redress”. His solitary confinement “is reported to have exceeded nine months during which he has been denied adequate medical care”. The UN experts cited “continued, numerous and consistent allegations of widespread torture and ill-treatment of persons deprived of their liberty in all places of detention” in Bahrain. A “climate of impunity” seemed to be prevailing, with few convictions and light sentences, they said. The panel voiced concern at reports of coerced confessions obtained under torture, including those of three men executed in January and two men facing the death penalty, Mohammed Ramadhan and Hussain Ali Moosa. The panel suggested that the latter be retried. It also said that Bahrain should ensure that people arrested on criminal charges, including under the terror act, be brought before a judge within 48 hours. Authorities should also consider repealing provisions that allow civilians to be tried in military courts and improve conditions, especially in Jaw prison where inmates rioted in January.

 

Tunisia and UN sign agreement for the protection of women against violence.

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Foreign Minister Khemaies Jhinaoui and the Coordinator of the system of United Nations in Tunisia, Diego Zorrilla, signed an agreement with the aim at improve the support at the women victim of violence. “This agreement has the aim at improve Human Rights in the County”, said the Foreign Minister. The Minister expressed his support for commons programs with the United Nations to eradicate violence against women in Tunisia and he hoped for more consciousness of the associations of civil society . He added that will be activated nine ministries and six offices of United Nations in Tunisia and other associations of civil society. Diego Zorrilla praised the efforts of Tunisian government in this direction, but recommended more works to adapt the judicial system to protect women’s rights.

Iraqi forces fight door-to-door in Mosul as battle enters seventh month.

BreakingNews @en di

Iraqi forces continued to fight door-to-door in the Old City of Mosul, as the U.S.-backed offensive to capture the Islamic State’s (ISIS) de facto capital in Iraq entered its seventh month. There were exchanges of gunfire and mortar inside the old city near the Grand al-Nuri Mosque, from where ISIS leader Abu Bakr al-Baghdadi declared a “caliphate” spanning parts of Iraq and Syria. “Operations are ongoing, thanks God. They [ISIS militants] carry attacks on our defensive lines, but each time we repel them and they run away, leaving bodies of their dead fighters behind. Minutes ago they launched an attack and we responded by shelling them with mortar rounds, killing two of them and their bodies were left in front of our defensive lines”, Colonel Hussein Lazim Zghayer said. The war between ISIS militants and Iraqi forces is taking a heavy toll on several hundred thousand civilians trapped inside the city, with severely malnourished babies reaching hospitals in government-held areas. About 400,000 civilians, or a quarter of Mosul’s pre-war population, are trapped in the Old City, according to United Nations’ figures.

Redazione
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