La Macedonia al voto per un futuro in UE e NATO

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Il 30 settembre 2018 i macedoni sono stati chiamati a votare sul cambio del nome del paese e non solo, poiché il risultato ha avuto conseguenze anche sul piano politico europeo: i cittadini che hanno partecipato al referendum  si sono trovati a dover scegliere per l’ingresso nell’Unione Europea e nella Nato della Macedonia, accettando l’accordo con la Grecia sul cambio del nome del paese. In particolare, la domanda sulle schede referendarie è stata «Sei favorevole a entrare nella NATO e nell’Unione Europea, e accetti l’accordo tra Repubblica di Macedonia e Grecia?».

La questione è tutt’altro che semplice: l’instabilità che caratterizza il paese dei Balcani è dovuta anche alla disputa con la Grecia per il nome. Dall’indipendenza della Macedonia nel 1991, vi è stato un continuo scontro con la Grecia sul nome del paese, territorio dell’ex Jugoslavia. In particolare, Atene non accettava il nome “Macedonia” a causa della possibilità che poi la Macedonia potesse nutrire ambizioni espansionistiche sulla provincia greca. Il paese è stato indicato con l’espressione “Repubblica ex jugoslava di Macedonia”, e la Grecia ha sempre posto il veto su ogni accenno di volontà di Skopje di entrare a far parte dell’Unione europea o della Nato. La situazione sembra essere migliorata grazie al raggiungimento di un compromesso con l’accordo di Prespa nel giugno 2018 tra i due paesi, nel quale si è utilizzato il nome “Repubblica di Macedonia del Nord”, così da distinguere lo Stato con la provincia greca.

Con il referendum del 30 settembre è stato proposto di sostituire i nomi “Repubblica di Macedonia” ed “Ex repubblica jugoslava di Macedonia” – Fyrom, usato nelle organizzazioni internazionali – con “Repubblica della Macedonia del Nord”. Sebbene si sia raggiunto un accordo che sembra essere una soluzione alla questione ultradecennale, all’interno di entrambi i paesi la situazione è tutt’altro che tranquilla.

Fin dall’inizio, l’opposizione al governo socialdemocratico di Zoran Zaev si è schierata contro l’accordo e quindi anche contro il referendum in questione, facendo leva sull’identità nazionale in funzione antieuropeista, mentre il governo di centro sinistra, autore dell’accordo con la Grecia, ha fatto campagna per il sì, sperando che un superamento del quorum potesse essere anche una legittimazione popolare per il suo operato. Non si è arrivati ad un vero e proprio boicottaggio da parte dell’opposizione, tuttavia si è spinto verso un astensionismo che ha inciso molto sul risultato referendario. Il referendum è consultivo e non vincolante, dunque per ratificare l’accordo con la Grecia sarebbe comunque necessaria l’approvazione parlamentare con una maggioranza di due terzi. Tale referendum ha molta importanza anche a livello europeo: a dimostrazione di ciò, molte figure importanti dell’Unione Europea e della Nato hanno visitato Skopje durante la campagna referendaria.

All’indomani del voto, ci si rende conto di come il referendum sia stato un vero e proprio flop: l’affluenza alle urne non ha raggiunto il quorum necessario – 50% +1 – con una partecipazione ferma circa al 35%. Tra i voti ottenuti, il 90,8% degli elettori ha votato a favore del cambio del nome del Paese – e di tutto ciò che ne consegue – mentre vi è stato solo il 6,18% di voti contrari, poiché chi voleva esprimere una posizione contraria ha preferito astenersi, così da non far raggiungere il quorum per la validità del referendum. Secondo il primo ministro macedone, è stato il boicottaggio operato dall’opposizione a provocare una così bassa affluenza, causata anche dalle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, il nazionalista Gjorgje Ivanov, il quale considera l’accordo di Prespa come una violazione della sovranità nazionale macedone.

Si può quindi parlare di una vera e propria vittoria della destra e del centrodestra, ma il primo ministro Zaev sembra tutt’altro che scoraggiato: europeista convinto e fautore del referendum in questione, promette di continuare a lottare per garantire al paese balcanico l’integrazione in UE e NATO. La questione del referendum macedone ha avuto delle reazioni anche a livello europeo; l’Alto rappresentante dell’Unione Europea Federica Mogherini e il commissario europeo per l’Allargamento Johannes Hahn hanno infatti dichiarato che “la stragrande maggioranza di coloro che hanno esercitato il proprio diritto di voto ha votato sì all’accordo Grecia e al percorso europeo; ciò è un’opportunità storica per il Paese verso l’Unione Europea”. I due esponenti dell’UE hanno poi confermato il pieno sostegno di Bruxelles alla Macedonia, aggiungendo che “ora spetta a tutti gli attori politici e istituzionali agire seguendo le loro responsabilità costituzionali al di là delle linee politiche”.

Resta un dato di fatto che il referendum non è andato nel verso giusto rispetto a chi lo aveva proposto e promosso, poiché l’affluenza è rimasta molto al di sotto delle aspettative, mentre a festeggiare è stato il Partito Democratico per l’Unità nazionale (Vmro-Dpmne). Tuttavia, il premier Zaev si sofferma sull’importanza del risultato raggiunto, affermando che la volontà degli elettori dovrebbe trasformarsi in un’attività politica del Parlamento macedone; in caso contrario, si è disposti a procedere con delle elezioni anticipate. La già complessa situazione potrebbe allora continuare a complicarsi, alla luce del fatto che alle elezioni del 2016, il Vmro-Dpmne e i Socialdemocratici dovettero negoziare sette mesi per poter formare il governo.

La Macedonia potrebbe trovarsi di nuovo in una difficile campagna elettorale e la possibilità di entrare nell’UE e nella NATO si allontanerebbe ulteriormente.

Bookreporter Settembre

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