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Libia: nuovo governo e intervento ONU

Al termine della conferenza internazionale sulla Libia di Roma, il sottosegretario di Stato USA Kerry annuncia la formazione di un governo di unità nazionale entro “40 giorni”. I Paesi e le organizzazioni internazionali presenti varano un documento d’intenti, in attesa della risoluzione ONU del 17 dicembre su un intervento militare.

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“Affermiamo il nostro pieno appoggio al popolo libico per il mantenimento dell’unità della Libia e delle sue istituzioni che operano per il bene dell’intero paese. E’ necessario con urgenza un Governo di Concordia Nazionale con sede nella capitale Tripoli al fine di fornire alla Libia i mezzi per mantenere la governance, promuovere la stabilità e lo sviluppo economico. Siamo a fianco di tutti i libici che hanno richiesto la rapida formazione di un Governo di Concordia Nazionale basato sull’Accordo di Skhirat, ivi compresi i rappresentanti della maggioranza dei membri della Camera dei Rappresentanti e del Congresso Nazionale Generale, degli indipendenti, delle Municipalità, dei partiti politici e della società civile riunitisi a Tunisi il 10-11 dicembre. Accogliamo con favore l’annuncio che i membri del dialogo politico firmeranno l’accordo politico a Skhirat il 16 dicembre. Incoraggiamo tutti gli attori politici a firmare questo accordo finale il 16 dicembre e rivolgiamo a tutti i libici un appello affinché si uniscano nel sostegno dell’Accordo Politico per la Libia e il Governo di Concordia Nazionale”.

Questo il passo più importante del comunicato congiunto emesso al termine della conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Roma il 13 dicembre e promossa dalla Farnesina. Il documento è stato firmato da UE, ONU, LAS, UA e dai 17 Paesi partecipanti: Algeria, Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Italia, Marocco, Qatar, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia. Adesso, c’è attesa per la firma dell’accordo di mercoledì 16 e per la risoluzione ONU di giovedì 17, data in cui i membri permanenti si sono impegnati a firmare un accordo per “un intervento umanitario, di sicurezza e di stabilizzazione della Libia”.

L’avanzata del Daesh, l’ascesa di Sirte come epicentro del Califfato e un complesso istituzionale alla deriva hanno imposto, forse fuori tempo massimo, l’intervento delle principali potenze mondiali e persino di quegli attori internazionali che in Libia si combattono per conto terzi: su tutti, Arabia Saudita e Egitto, Qatar e Turchia. E gli stessi rappresentanti delle fazioni libiche, compresi i leader del GNC e dell’Assemblea di Tobruk.

Roma, sulla scia di quanto avvenuto al summit di Vienna sulla Siria, ha seguito lo stesso metodo. Europa, Stati Uniti, Russia e Cina si sono mosse all’unisono in direzione di un piano d’azione che possa portare ad un processo di stabilizzazione istituzionale della Libia, indispensabile per combattere il Daesh.

Mentre la pressione per un immediato intervento militare da parte di Francia e Gran Bretagna, già alleate sul fronte siriano, non ha avuto un seguito, visti gli errori commessi nel 2011.

“Tra 40 ci sarà un governo di unità nazionale”. Anche se “ci vorrà tempo per superare il retaggio di quattro decenni di dittatura. Ma ora i libici devono governare insieme”, ha detto il sottosegretario di Stato USA John Kerry. Mentre il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni ha affermato che “contro il terrorismo serve un Paese stabile”. Mentre, l’Italia avrà “un ruolo fondamentale nelle prossime settimane e mesi nel quadro delle decisioni ONU e sulla base delle richieste del nuovo governo libico”.

L’Italia, dunque, torna, seppure timidamente, protagonista nella scena internazionale, dopo che sul fronte siriano aveva adottato una linea attendista. Dopo oltre un anno di negoziati in Libia, il delegato ONU Martin Kobler, che ha ereditato da Bernardino Leon, si aspetta di strappare oltre 200 consensi dai rappresentanti dell’Assemblea di Tobruk, restii, a partire dal Presidente, a trattare sulla costituzione di un governo unico assieme agli attuali rappresentanti di Tripoli.

Rimane ancora da chiarire, tuttavia, la natura dell’intervento ONU in Libia dopo la costituzione del nuovo governo a Tripoli che, al netto dei no comment, sarà di natura prettamente militare e non una missione di peacekeeping, vista la radicalizzazione del Daesh sul territorio: “Ribadiamo il nostro pieno appoggio all’applicazione della Risoluzione 2213 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle altre Risoluzioni in materia per affrontare le minacce alla pace, sicurezza e stabilità della Libia. I responsabili della violenza e coloro che impediscono e minacciano la transizione democratica della Libia devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Siamo pronti a sostenere l’attuazione dell’accordo politico e ribadiamo il nostro deciso impegno ad assicurare al Governo di Concordia Nazionale pieno appoggio politico e l’assistenza richiesta in campo tecnico, economico, di sicurezza e anti-terrorismo ”, recita ancora il comunicato.
Giacomo Pratali

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USA-Cina: ancora scontro su Mar Cinese Meridionale

Varie di

Durante l’Asia-Pacific Cooperation Summit di Manila, conclusosi la settimana scorsa, il presidente Barak Obama ha ribadito la posizione americana, chiedendo alla Cina di interrompere la costruzione di isole artificiali e di nuove infrastrutture nella zona di mare contesa.

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La risposta non si è fatta attendere. In occasione del vertice dei paesi dell’ASEAN di Kuala Lumpur, in Malesia, Pechino, attraverso il vice ministro degli esteri cinese Liu Zhenmin, ha accusato Washington di volere una escalation ed ha difeso le attività di costruzione in mare, avviate nel 2013 e ancora oggi in corso.

Era stato Obama, in apertura del summit APEC di Manila, mercoledì scorso, a spingere la questione del Mar Cinese Meridionale al centro dell’agenda politica dei 21 leader riuniti. Dopo aver incontrato il presidente delle Filippine, Benigno S. Aquino III, Obama si era rivolto alla stampa sollecitando Pechino ad interrompere ogni attività militare in quel tratto di mare e ad accettare un arbitrato internazionale per ricomporre le divergenze con i vicini del sud-est asiatico.

“C’è bisogno di intraprendere passi coraggiosi per abbassare la tensione – aveva detto Obama – impegnandosi ad interrompere ulteriori rivendicazioni, ogni nuova costruzione e la militarizzazione delle aree contese del Mar Cinese Meridionale”

Pur senza prendere posizione sul fronte delle rivendicazioni territoriali avanzate dai paesi coinvolti, gli Stati uniti considerano vitale la libera navigazione sulle acque dell’area contesa. In tal senso hanno confermato il proprio impegno a fianco dei governi dell’Asia meridionale che si oppongono all’espansionismo cinese, ed hanno garantito agli alleati un contributo di 250 milioni di dollari per le spese militari.

La replica di Pechino è arrivata il 22 novembre, in occasione del vertice ASEAN di Kuala Lumpur. Il vice-ministro degli esteri cinese Liu Zhenmin ha affermato la legittimità e la legalità dell’operato del proprio governo, ribadendo che la Cina non ha intenzione di interrompere le attività di costruzione di nuove infrastrutture al largo delle sue coste meridionali. Zhenmin ha poi rispedito al mittente le accuse americane, negando che Pechino stia procedendo ad una progressiva militarizzazione dell’area. Sarebbe invece Washington a dover interrompere le provocazioni, dopo che, il mese scorso, una nave della Marina americana aveva attraversato un braccio di mare che i Cinesi considerano come parte delle proprie acque territoriali.

“La costruzione ed il mantenimento di infrastrutture militari sono necessari per la difesa nazionale della Cina e per la protezione di quelle isole e di quelle barriere coralline”, ha affermato il vice-ministro, aggiungendo che Pechino intende “espandere e rafforzare” le infrastrutture civili “per servire al meglio le navi commerciali e i pescatori, soccorrere i battelli in difficoltà e fornire maggiori servizi pubblici.”

Le posizioni dei due principali contendenti restano dunque molto distanti e nulla fa presagire, al momento, un cambiamento di rotta da parte della corazzata cinese.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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