GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Hezbollah

La nuova strategia di Hamas

 

L’esito delle operazioni militari all’interno della Striscia di Gaza suscita la preoccupazione, l’angoscia e la condanna da parte dei Governi, delle Organizzazioni Internazionali e dei media occidentali unanimi nel chiedere a Israele di interrompere il conflitto ed evitare una “catastrofe umanitaria”.

L’intento di questo insieme di iniziative è assolutamente condivisibile da un punto di vista concettuale e umano, quello che risulta meno accettabile, e alquanto dissonante, è la mancanza di un’uguale pressione nei confronti della controparte israeliana in questo ennesimo episodio del conflitto endemico che caratterizza il Medio Oriente da circa un secolo: non ci sono voci in questa levata corale di scudi che abbiano come soggetto il ruolo di Hamas!

Anche le discutibili manifestazioni di piazza e l’occupazione degli atenei (discutibili non in quanto proteste o espressione di dissenso in termini generali, ma perché frutto di una strumentalizzazione condotta da elementi estremizzati, prive di oggettività e avulse da una reale conoscenza e un’obiettiva analisi della situazione) sono indirizzate a senso unico contro Israele, colpevole di tutti i mali, tra i quali il peggiore è quello di cercare di sopravvivere in un mondo ostile che dichiara apertamente di volere la sua distruzione, e, soprattutto, non ammettono alcuna critica nei confronti di Hamas.

Fermo restando che il tributo di sofferenza imposto alla popolazione civile (palestinese e israeliana) sia altissimo e assolutamente condannabile, e che quindi sia lecito impegnarsi per identificare una soluzione che ponga fine a una tale situazione, rimane però il punto che nessuno dei citati protagonisti abbia condotto un’analisi sulle cause che hanno riacceso il conflitto e sugli obiettivi che Hamas ha inteso conseguire con l’attacco a Israele e, soprattutto cosa vorrebbe raggiungere dopo la cessazione delle operazioni militari.

Con l’attacco dello scorso ottobre Hamas si era prefisso di raggiungere una serie di obiettivi militari e politici finalizzati a ferire lo spirito della popolazione civile dell’area, indebolire Israele e creare le premesse per l’eliminazione dello stato ebraico.

Da un punto di vista militare, in primo luogo, l’efferatezza delle modalità che hanno contraddistinto le operazioni di Hamas aveva lo scopo di suscitare una risposta immediata, violenta e non ragionata da parte di Israele che avrebbe rovesciato il paradigma vittima-aggressore (buono-cattivo) a favore di Hamas.

Successivamente, l’idea era quella di essere supportati nella lotta contro il nemico sionista mediante l’apertura di un secondo fronte in Cisgiordania e un terzo in Libano, sperando di coinvolgere, ancorché indirettamente, l’Iran nel tentativo di infiammare tutta la regione e creare le condizioni per distruggere Israele (obiettivo dichiarato nel testo istitutivo dell’Organizzazione di Hamas).

Anche gli obiettivi politici erano molteplici: riqualificare l’immagine dell’Organizzazione agli occhi della popolazione della Striscia, offuscata dalla pessima gestione governativa e in calo costante di consensi, proponendosi come il difensore dei diritti della popolazione palestinese; sabotare il processo di distensione in atto (Patto di Abramo e intesa con l’Arabia Saudita) in modo da scongiurare il pericolo che il successo di tali iniziative potesse ridefinire l’assetto della regione favorendo la distensione tra Israele e i Paesi Arabi, minando così, il potere e l’autonomia di Hamas e vanificando la sua capacità di gestire la Striscia di Gaza (cioè l’enorme flusso di fondi che Qatar e donors mondiali – tra cui l’Unione Europea – riversano quotidianamente e che avrebbero dovuto essere usati a beneficio della popolazione civile e non per rifornire l’arsenale di Hamas come avvenuto, senza che nessuno dimostrasse o protestasse con sit-in o cortei); riproporre all’attenzione internazionale il problema palestinese assumendo il ruolo di principali difensori della causa nella regione

A otto mesi circa dall’inizio del conflitto, considerato che alcuni di questi obiettivi sono stati parzialmente raggiunti, altri, invece, non sono stati conseguiti affatto; che le operazioni militari continuano e che l’odioso ricatto sulla vita degli ostaggi (cosa che nessuno si è sognato di portare davanti a qualche Corte Internazionale di Giustizia!!!) non ha prodotto i risultati sperati, Hamas ha riconfigurato la sua strategia per il futuro.

Politicamente i vertici dell’Organizzazione hanno intrapreso un’azione di ravvicinamento verso la PLO (Palestine Liberation Organization) che risulta essere profonda ostile a Mahamoud Abbas, leader della PNA (Palestine National Authority), con il fine di poter essere comunque parte di qualsiasi struttura di Governo si possa configurare a Gaza al termine delle operazioni militari.

Una tale mossa, inoltre, consentirebbe alla struttura politica di Hamas di inserirsi anche nella Cisgiordania dove la PNA risulta essere in difficoltà di consensi.

Corruzione, scarsa capacità organizzativa e mancanza di unità di intenti nella gestione della Cisgiordania hanno notevolmente eroso il credito dei vertici del PNA nei confronti della popolazione locale che potrebbe essere spinta a identificare nel PLO e nei vertici di Hamas un’alternativa alla direzione del PNA.

La possibilità di inserirsi nella nuova struttura di governance che dovrebbe essere costituita per favorire la ricostruzione di Gaza e l’assestamento dei territori, al temine dell’attuale fase militare darebbe, quindi, la possibilità ad Hamas di introdursi nel panorama politico assumendo un ruolo nel sistema di governance in collaborazione con altre formazioni politiche, senza essere avere, quindi, l’intera responsabilità del governo come invece accaduto precedentemente a Gaza.

In sintesi, Hamas sta cercando di replicare il modello libanese di Hezbollah dove l’ala politica dell’Organizzazione partecipa al sistema di governo del Paese, legittimando la sua posizione quale entità politicamente rappresentativa, mentre, l’ala militare può continuare a perseguire l’obiettivo di combattere Israele nel Sud del Paese.

Infatti, per poter replicare una simile struttura Hamas ha ripreso i contatti con Al-Fatah (l’ala militare del PLO) cercando possibili intese nonostante i profondi dissidi che avevano causato lo scontro tra le due opposte fazioni nella striscia di Gaza negli anni 2005 2007.

Il disegno strategico di Hamas sarebbe quello di qualificarsi come entità politica ed entrare a far parte della struttura statuale che gestirà i territori palestinesi, così da poter controllare e indirizzare le azioni politiche senza avere, comunque, la responsabilità totale di governo, in questo modo avrà campo libero per poter condurre con maggiore libertà e autonomia le azioni militari contro Israele, sia dal fronte Sud (Gaza), sia da quello a Est (Cisgiordania) presumibilmente supportato da Al-Fatah, nell’ottica di poter coinvolgere anche Hezbollah a Nord.

Se questo disegno strategico dovesse realizzarsi sarebbe impossibile evitare un conflitto generale nella regione le cui conseguenze sarebbero disastrose non solo per l’equilibrio del Medio Oriente.

L’azione diplomatica internazionale deve assolutamente evitare che questo possa concretizzarsi, impedendo che Hamas si possa inserire nel processo politico di riassestamento dei territori palestinesi.

Per evitare che questo possa avverarsi è fondamentale che vengano adottate tutte le possibili azioni a livello internazionale, non solo per fare cessare le operazioni a Gaza, ma soprattutto, per identificare una soluzione che consenta di stabilire delle reali condizioni di pace e di stabilità che tengano conto delle legittime aspirazioni di tutti: uno Stato per i Palestinesi e la garanzia di vivere in sicurezza per Israele.

Soluzione che, come il passato recente dimostra, è possibile costruire e perseguire ma che non deve essere rifiutata da una minoranza politica per considerazioni di potere personale.

Il problema del Medio Oriente affonda le sue radici nella storia antica e recente e per la sua risoluzione necessita del contributo e della buona volontà di tutta la comunità internazionale che è la maggiore responsabile della situazione nella regione.

Spesso sfugge a molti che il capitolo più recente di questa storia (che magari anche l’attuale Segretario Generale farebbe bene a considerare) è iniziato nel 1947 quando l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato, approvandola, la Risoluzione n.181, senza, tuttavia, preoccuparsi minimamente della reale applicabilità di una soluzione come quella proposta dalla commissione UNSCOP, (composta dai rappresentanti dei seguenti 11 Stati: Australia, Canada, Guatemala, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Cecoslovacchia, Uruguay, Jugoslavia) che stabiliva sulla carta, la creazione di due entità Statali secondo aleatori criteri dimostratesi immediatamente di difficile applicazione.

Mi si consenta una considerazione personale, anche chi protesta, occupa atenei e marcia in corteo per sostenere una Palestina libera dovrebbe avere l’umiltà di informarsi riguardo a che cosa e a chi stanno supportando: popoli che vogliono vivere in pace o strutture terroristiche che perseguono obiettivi di potere nascondendosi dietro le aspettative di una popolazione; desiderio di sicurezza e di vita oppure volontà di distruggere l’altro per il perseguimento di un’interpretazione distorta della religione o della politica; ricorso all’estremismo religioso o razziale, oppure volontà di dialogo e di comprensione?

Una volta che avranno fatto chiarezza sui motivi che li spingono a scendere in strada e si saranno liberati dei condizionamenti di una ideologia estremizzante e accecante allora la loro protesta potrà essere utile e potrà concorrere nella individuazione di una soluzione umanamente accettabile.

La Francia dei Cedri a un mese dal disastro di Beirut

MEDIO ORIENTE di

E’ passato appena un mese dal 4 agosto 2020, data in cui 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio abbandonate all’interno dell’area portuale di Beirut sono esplose causando un impatto così violento da essere registrato persino dall’isola di Cipro, a circa 240 chilometri dalla capitale del Libano. Il bilancio è disastroso, in termini di vite si contano più di 200 morti e migliaia di feriti, e inoltre, come se non bastasse, l’esplosione dell’area portuale, centro economico della città, ha peggiorato ulteriormente la situazione economica del Paese, ufficialmente in crisi dagli inizi di marzo, quando il premier Diab aveva dichiarato default, ma la cui precarietà ha radici ben più lontane. E da qui nell’arco di questo mese la classe politica ha quindi ceduto alle forti pressioni del popolo libanese, comportando così le dimissioni in blocco del governo alcuni giorni dopo l’esplosione; infatti il 10 agosto lo stesso Hassan Diab, primo ministro in carica da appena sette mesi, ha rassegnato le dimissioni dell’esecutivo di fronte al Presidente Michel Aoun, aggravando ulteriormente l’instabilità del Paese, che oramai non riesce più a garantire ai propri cittadini servizi essenziali come l’alimentazione, una carenza peraltro esacerbata dal disastro che ha distrutto circa l’85% delle scorte nazionali di cereali. Leggi Tutto

Hezbollah e la lotta al coronavirus

MEDIO ORIENTE di
Il partito della milizia sciita libanese annuncia la mobilitazione di migliaia di volontari con il tentativo di riconquistare la legittimità persa negli ultimi mesi.

Hezbollah ha dichiarato guerra al coronavirus in Libano. Un esercito di 25.000 persone in prima linea e quattro ospedali privati per vincere la battaglia contro il virus, una priorità dichiarata dal partito della milizia sciita libanese. La terminologia bellicosa permea i discorsi televisivi del segretario generale del partito, lo sceicco Hasan Nasralà, che non si riferisce alla milizia meglio equipaggiata della regione, ma al reggimento di medici, infermieri e volontari mobilitati nel Paese levantino. E’ la penultima mutazione di un movimento, denominato di resistenza islamica, in costante metamorfosi nell’ultimo decennio.

Hezbollah è passato dallo scontro con Israele, il nemico sionista, alla lotta contro i “tafkiris in Libano e Siria” – dal 2012 circa 10.000 miliziani libanesi  hanno combattuto nel Paese vicino a fianco di truppe fedeli a Bachar al-Assad e al sostegno di Teheran -, fino a trovarsi oggi ad affrontare la questione pandemia. A livello nazionale, ha cessato di essere un partito di opposizione  per entrare a far parte del governo appena creato, un governo fragile che ha preso vita insieme agli alleati sciiti di Amal e alla forza cristiana incarnata dal Movimento patriottico libero. Nella distribuzione dei ministeri, il partito islamista ha preteso quello della salute.

“La paura del virus ha riportato i libanesi nelle tradizionali strutture di solidarietà basate sul partito e sulla confessione, oggi in competizione per servire le proprie basi sociali”, ha affermato Maha Yahia, direttrice del Carniege Center for the Middle East, a Beirut. Le persone hanno perso la fiducia nelle istituzioni statali in cui il potere politico-economico è distribuito sulla base delle 18 religioni ufficiali. “Tra le parti, Hezbollah è semplicemente quello che offre il piano più completo avendo a disposizione più risorse”, sottolinea la Yahia. La milizia ha deciso di trasferire la sua capacità di mobilitazione militare sul piano sociale. Nei sobborghi di Dahie, periferia a sud di Beirut e feudo di Hezbollah, si trova l’ospedale Saint George Hospital, che il partito della milizia ha messo a disposizione come centro nevralgico per la cura dei pazienti infetti dal Covid-19: 1000 tamponi e 80 posti letto, 16 dei quali con respiratori, in un quartiere dove la popolazione è di 800 mila abitanti, secondo le informazioni che ha dato alla stampa il direttore del centro ospedaliero Hasan Oleik.

L’esecutivo libanese ha stabilito l’ospedale universitario Rafik Hariri come centro nevralgico per il trattamento degli infetti, con una capacità di 128 posti letto. Con 541 positivi e 19 decessi (dati risalenti alla settimana passata), gli esperti hanno già annunciato che il settore della sanità pubblica libanese non sarà in grado di far fronte a un aumento del numero degli infetti.

Nel seminterrato di una moschea di Dahie si può apprezzare la complessa rete sociale di Hezbollah: dozzine di volontari muniti di mascherine e guanti impacchettano diversi prodotti alimentari nelle scatole che poi distribuiranno alle famiglie più svantaggiate. Hanno a disposizione un budget di 1,8 milioni di euro “tra fondi propri e donazioni di affiliati”, affermano fonti del partito.

La pandemia di coronavirus arriva in piena crisi economica. Prima che il virus si diffondesse, la Banca Mondiale aveva avvertito che metà dei 4,5 milioni di libanesi sarebbe finita al di sotto della soglia di povertà. Dal 17 ottobre, giorno in cui le proteste antigovernative hanno iniziato a chiedere la caduta in blocco dei partiti tradizionali, oltre 220.000 persone hanno perso il lavoro. Ora questi stessi partiti stanno cercando di sfruttare questa minaccia sanitaria. Questo è il motivo per cui è stata lanciata una campagna strada per strada distribuendo aiuti economici e alimentari. I leader promettono donazioni milionarie agli ospedali seguendo la mappa demografica-confessionale, mentre il governo ha dovuto annunciare il primo default dovuto al proprio debito statale nella sua storia.

Di Mario Savina

Libano: nove mesi di trattative per formare un governo di unità.

MEDIO ORIENTE/Policy/Politics di

Circa nove mesi sono durati i negoziati che hanno dato vita al nuovo governo in Libano, annunciato dal Primo Ministro Saad Hariri nel pomeriggio di giovedì scorso. L’esecutivo sarà formato da trenta ministri. Prima ancora di terminare il suo discorso al palazzo presidenziale di Baabda, il frastuono dei fuochi d’artificio e gli spari in aria assordavano Beirut. Scommettendo in un governo di unità, diversi leader politici hanno usato negli ultimi mesi diversi trucchi politici per superare le insidie e formare un nuovo esecutivo a colpi di concessioni da una parte e dall’altra. Tra i nuovi ministri ci sono quattro donne, una delle quali, Raya Al Hassan, responsabile dell’Interno. È la prima volta che una donna occupa tale carica nel paese.

Hariri ha riferito che il governo “lavorerà al servizio del paese” per “affrontare le sfide sociali ed economiche”, sollecitando in più occasioni la “cooperazione tra le parti”. La ripresa economica, con la situazione dei rifugiati siriani, è in cima all’agenda del nuovo governo, in attesa che le elezioni politiche volgessero al termine. La coalizione degli sciiti Hezbollah e del partito cristiano Movimento Patriottico Libero, guidata dal Presidente Miche Auron, è uscita rafforzata dalle urne come blocco maggioritario. All’opposizione, il partito Il Futuro di Hariri ha ricevuto un duro colpo, perdendo dodici dei trentatre seggi che aveva nel 2009, a dimostrazione della crescente frammentazione nel blocco sunnita. Tuttavia, l’alleato partito cristiano Forze Libanesi, guidato da Samir Geagea, è riuscito a raddoppiare il numero di seggi compensando la perdita del partito amico.

La religione guida la vita politica in Libano chiedendo una divisione salomonica  di potere tra cristiani e musulmani (sunniti e sciiti). All’interno delle quote concordate  ad ogni religione, i posti ministeriali devono essere distribuiti secondo la rappresentazione geografica di ciascuna  delle diciotto confessioni del paese. Una premessa che ha creato non poche dispute, con il partito druso ad essere il primo ostacolo nella formazione di questo governo. Successivamente è scoppiata una faida religiosa tra Il Futuro di Hariri ed Hezbollah sulla concessione di un seggio all’opposizione sunnita, e, infine, la lotta per la distribuzione dei portafogli. Hariri è arrivato alla fine a prendere in considerazione la creazione di un esecutivo con trentadue ministri, per una paese con una popolazione di 4,5 milioni di abitanti. Nell’accordo finale, Hezbollah aggiunge due portafogli, Salute e Sport e gioventù, e uno dei suoi deputati ottiene l’incarico al Ministero di Stato per gli Affari Parlamentari. Da parte sua,  Aoun ha ottenuto due posti chiave, Difesa ed Esteri. Sul blocco opposto, Hariri nomina i ministri degli Interni e delle telecomunicazioni, mentre il suo alleato di Forze Libanesi ha ceduto il Ministero della Cultura per occupare quello del Lavoro e degli affari sociali.

Aiuti economici bloccati. Secondo gli esperti, le pressioni esterne per l’urgente necessità di gestire un’economia sull’orlo della bancarotta hanno portato allo sblocco della situazione politica. La formazione del governo è requisito fondamentale per l’erogazione di oltre 8 miliardi di euro di investimenti promessi nel corso della Conferenza di Cedre – 350 da parte della Banca Mondiale –  che si è tenuta a Parigi lo scorso aprile per sostenere lo sviluppo del Libano. Mentre Hariri si è impegnato a governare con un esecutivo di unità, la frammentazione tra i partiti e l’attuale riparto di poteri continua a contrariare gli alleati internazionali come gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Francia, la Gran Bretagna e l’Arabia Saudita, che hanno già minacciato di paralizzare tutti gli aiuti alle Forze Armate Libanesi qualora il partito della milizia sciita Hezbollah non venga estromesso dal governo. Gli Stati Uniti considerano Hezbollah come gruppo terroristico, mentre l’UE fa lo stesso con l’ala armata del partito.

Paralisi politica. Alla fine del 2017, Hariri aveva dovuto dimettersi da Riad inaspettatamente durante un viaggio controverso nel quale era stato temporaneamente trattenuto. Il principe ereditario Salman Bin Mohamed, aveva rimproverato il suo alleato di eccessivo permissivismo nei confronti di Hezbollah. È stato l’intervento  del presidente francese, Emmanuel Macron, a permettere il ritorno del primo ministro a Beirut. Nel 2016, un’altra paralisi politica in chiave regionale è stata risolta quando un accordo siglato tra Teheran e Riad, padrini rispettivamente di Hezbollah e Hariri, metteva fine ad un vuoto presidenziale dovuto alla mancanza del quorum. La situazione  regionale, con la vicina Siria come epicentro, ha paralizzato la vita politica, legislativa ed economica del paese. Il Libano ha dovuto fare i conti con l’arrivo di un milione e mezzo di rifugiati siriani e il rapido declino economico collegato al calo delle entrate dal turismo e delle rimesse, fino ad accumulare un debito estero pari al 150% del PIL. La scarsa partecipazione dell’elettorato (49,2%) nelle ultime elezioni ha dimostrato lo scetticismo dei cittadini che oggi protestano contro l’aumento delle tasse e la corruzione cronica, attribuite alla casta politica del paese.

 

Di Mario Savina

G-7 Ministers appeal to Russia on Syria but reject sanctions

BreakingNews @en di

The Group of Seven industrialized nations on Tuesday urged Russia to pressure the Syrian government to end the six-year civil war, but rejected a British call to impose new sanctions on Moscow over its support of President Bashar Assad. “Russia can be a part of that future and play an important role”, U.S. Secretary of State Rex Tillerson said.Or, he added, it could maintain its alliance with Syria, Iran and militant group Hezbollah, “which we believe is not going to serve Russia’s interests’ longer term”. He flew straight from the summit in Italy to Moscow, carrying the G-7’s strong desire for a new start in Syria, but few concrete proposals to make it happen. Finally, the G-7 members broadly agree that Assad should go – but not necessarily when, or how. European leaders are especially conscious of the disaster in Libya, where an internationally backed ouster of dictator Moammar Gadhafi was followed by a descent into chaos and factional fighting and about the last week’s chemical attack, the group decided not to approve new sanctions but to ask an investigation to the Organization for the Prohibition of the Chemical Weapons

A conflict has erupted between Israel and Russia after the Israeli strike on a Hezbollah arms shipment in Syria

BreakingNews @en di

A conflict has erupted between Israel and Russia following the Israeli strike on a Hezbollah-bound arms shipment in Syria over the weekend. After the launch of air missile took place this Friday, Israel has officially recognized the attack. This situation has worried Russia. We don’t know exactly why Russia is worried but it is clear that is in Israel’s best interests to keep Russia out of the battle it is waging against advanced weapons smuggling to Hezbollah. Also Assad, the President of the Gaza Strip,Assad feels that his regime is no longer under immediate threat, and he is trying to communicate to Israel that he intends to raise the stakes should Israel continue launching attacks in his territory. Actually Assad hasn’t got interst to start a war against Israel but like Israel and Russia, he has taken things to the next level.

Hezballah denounces Damascus explosion, calls to unify efforts to get rid of terrorism gangs

BreakingNews @en di

Hezballah condemned in a statement issued on Saturday “the brutal crime against the innocent persons near Damascus this morning, which killed dozens and injured more than a hundred of visitors to the holy shrines”. The statement called to unify efforts to get rid of those terrorist gangs that are used by International and regional forces to carry out savage projects which aim to crumble the region and kill the resistance spirit in it. The statement concluded by paying condolences to the families of the victims, wishing quick recovery to the injured persons.

Israeli minister reveals that the Israeli army will soon possess a new robot technology that can assassinate Hizbullah and Hamas leaders

BreakingNews @en di

An Israeli minister said that the Israeli army will soon possess a new robot technology that can assassinate Hizbullah leader Sayyed Hassan Nasrallah and Hamas leaders, an Israeli news report said. Minister without Portfolio Ayoob Kara stated that the new technology “can eliminate the enemies, mainly Hizbullah leader Hassan Nasrallah and Hamas leaders in Gaza”. The report said the robots will be ready in a year or two and will perform “dangerous missions instead of the Israeli army”. “After what happened in Gaza and Lebanon, I don’t want Israeli soldiers to enter anymore”, jerusalemonline.com quoted the Israeli minister “I want our soldiers only at the international border. I can dispatch robots to Gaza in order to fight against them and to eliminate them face to face”. He explained that the new robot technology can enter into the smallest tunnels and can operate at a distance.

Hezbollah has acquired advanced Russian missiles that could change the balance of power in the Middle East

BreakingNews @en di

Hezbollah has acquired about 8 advanced Russian-made strategic naval missiles that could change the balance of power in the Middle East. According to Israeli YediothAhronoth newspaper, western intelligence agencies have expressed “grave concerns” that Hezbollah has acquired Yakhont missiles, also known as Onyx, a Russian supersonic anti-ship cruise weapon that is regarded as the naval equivalent of the antiaircraft S-300. These missiles can be fired from the shore and have a range of up to 300 kilometers. “Even the most advanced missile interception systems are unable to effectively intercept it”, said the reports.

Redazione
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