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Vax Day, l’Europa si vaccina contro il Covid-19 ma non senza polemiche

EUROPA di

La diffusione del Covid-19 in Europa, sin dall’inizio, ha avuto come conseguenza principale la necessità di garantire quanto prima l’inizio delle vaccinazioni in Europa e nel mondo, così da garantire la sicurezza e la salute dei cittadini. Dopo intensi mesi di studi e sperimentazioni, e dopo aver raggiunto le 16 milioni di persone contagiate, il 21 dicembre la Commissione europea ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio per il vaccino anti Covid-19 sviluppato da BioNTech e Pfizer, a seguito dell’approvazione dell’agenzia europea per i medicinali. Nell’ambito della strategia sui vaccini contro il coronavirus, la Commissione europea ha dato il via alla campagna di vaccinazione in Europa, iniziata nei giorni 27-28-29 dicembre 2020. Gli Stati membri hanno, dunque, attuato i piani nazionali di vaccinazione e dato inizio al Vax Day, ma non senza polemiche.

La strategia sui vaccini contro il Covid-19

La risposta più efficace contro la diffusione del Covid-19 è senz’altro lo sviluppo e la distribuzione di un vaccino: per questo, al centro della risposta europea alla pandemia, vi è proprio la strategia sui vaccini. La Commissione europea e gli Stati membri hanno concordato, sin da subito, un’azione congiunta a livello europeo in materia di vaccini, così da garantire un approccio centralizzato per l’approvvigionamento e lo sviluppo dei vaccini. In primo luogo, importanti finanziamenti sono stati fatti proprio a tale scopo; poi, la Commissione europea ha concluso accordi di acquisto preliminare con i produttori di vaccini per conto degli Stati membri, garantendo che tutti gli Stati membri dell’UE avrebbero avuto uguale accesso ai vaccini, con una distribuzione proporzionale alla popolazione. A tal fine, sono stati conclusi sei contratti di acquisto del vaccino con diversi produttori tra cui BioNTech-Pfizer, AstraZeneca, CureVac, Moderna e così via. A ottobre 2020 la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a preparare le strategie nazionali di vaccinazione, così da farsi trovare pronti e preparati una volta avvenuta l’approvazione del vaccino, risalente a fine dicembre 2020.

L’autorizzazione del primo vaccino e l’inizio della campagna in Europa

Lo scorso 21 dicembre, la Commissione europea ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata – quando il beneficio della disponibilità immediata è superiore ai rischi connessi – per il vaccino anti Covid-19 sviluppato da BioNTech e Pfizer, divenuto il primo vaccino autorizzato in Europa. L’autorizzazione della Commissione europea è seguita all’approvazione del vaccino da parte dell’agenzia europea per i medicinali, che tuttavia ha richiesto alle aziende produttrici di fornire ulteriori dati su sicurezza ed efficacia quanto prima, e ha posto le basi per l’inizio della campagna vaccinale in UE.

La Commissione e l’azienda farmaceutica hanno iniziato a lavorare per consegnare le prime dosi il 26 dicembre, così da dare inizio alle giornate europee della vaccinazione previste per il 27, 28 e 29 dicembre. Le consegne poi proseguono fino alla fine di dicembre e avranno una cadenza settimanale costante nei mesi successivi. L’obiettivo è di completare la distribuzione di 200 milioni di dosi entro settembre 2021 e portare a termine così le vaccinazioni.  Il 26 dicembre la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha annunciato l’avvenuta consegna del vaccino ai 27 paesi membri dell’UE, confermando l’inizio della campagna vaccinale per il 27 dicembre, il Vax Day. “Stiamo iniziando a voltare pagina in un anno difficile. Il vaccino è stato consegnato. La vaccinazione inizierà domani nell’Ue” ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea, “Le Giornate europee della vaccinazione sono un toccante momento di unità. La vaccinazione è la chiave per uscire dalla pandemia”, ha poi aggiunto.

Se non sempre l’azione degli Stati membri dell’UE è stata contraddistinta dall’unità, questa volta non si può dire che non ci sia stata un’azione comune. Iniziare le vaccinazioni quasi tutti nello stesso giorno – Germania, Slovacchia e Ungheria hanno iniziato sabato 26 – è stato un importante gesto di unità e collaborazione. Il Commissario europeo agli affari economici Gentiloni lo considera “un giorno di speranza”, mentre per il Primo ministro italiano Conte si tratta di “un messaggio di fiducia che si irradia in Italia e in Europa”.

Le polemiche dietro il Vax Day

Tuttavia, anche in questo caso, non sono mancate differenze e polemiche. Ogni Paese ha fissato le proprie priorità nei piani di vaccinazione e, quasi in tutti i paesi, i primi a poter ricevere le dosi di vaccino sono operatori sanitari, anziani e persone malate. Se in Italia la prima dose di vaccino è stata somministrata ad un’infermiera ed in Francia ad un’anziana signora, in Grecia e in Repubblica Ceca sono stati i primi ministri ad iniziare e a farsi immortalare dalla stampa. Ad ogni modo, il vero elemento di discussione e polemica, in special modo in Italia, è stato il numero delle dosi ricevute da ogni Paese. La Germania, sede della BioNTech, ha avuto 151.125 dosi di vaccini, la Francia 19.500 dosi, mentre paesi come l’Italia, la Spagna, la Croazia, la Bulgaria e altri Stati membri hanno avuto 9.750 dosi. Queste polemiche sono state messe a tacere dal commissario italiano per l’emergenza Arcuri, il quale ha negato ogni forma di discriminazione nei confronti dell’Italia, sostenendo che “I contratti con le aziende produttrici dei vaccini sono stipulati direttamente dalla Commissione Europea per conto di tutti i Paesi membri e ogni Paese riceve la quota percentuale di dosi in proporzione alla popolazione”. Dunque, se molti Stati membri hanno ricevuto, per il momento, meno dosi di vaccino, con tutta probabilità ne riceveranno di più nel prossimo periodo. Un effettivo problema per la riuscita della campagna di vaccinazione, dunque, non è tanto il numero delle dosi ricevute, quanto il numero delle persone effettivamente disposte a farsi vaccinare: in molti paesi europei gran parte dei cittadini sono scettici sul vaccino e questo è un ostacolo importante per la validità della campagna europea.

UE e Covid-19: l’Unione europea della salute e l’accordo con Pfizer per l’accesso ai vaccini

EUROPA di

L’Europa si trova nel pieno della cosiddetta seconda ondata di diffusione del Covid-19 e l’emergenza sanitaria si fa sempre più grave. Per questo motivo, l’Unione europea sta intensificando la propria azione di risposta alla crisi. In primo luogo, su un piano interno, sta compiendo i primi passi verso la costruzione dell’Unione europea della salute: verranno dunque presentate diverse proposte per potenziare il quadro per la sicurezza sanitaria dell’UE rafforzando il ruolo delle agenzie europee coinvolte. In secondo luogo, da un punto di vista esterno, la Commissione europea ha approvato un nuovo contratto con l’alleanza BioNTech-Pfizer per garantire l’accesso a un potenziale vaccino: l’accordo permetterà l’acquisto iniziale di 200 milioni di dosi per conto di tutti gli Stati membri dell’UE.

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Summit Unione europea – Cina tra commercio, Covid-19 e diritti umani

EUROPA di

L’Unione europea e la Cina hanno tenuto il loro 22° vertice bilaterale in videoconferenza il 22 giugno 2020. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, accompagnati dall’alto rappresentante Josep Borrell, hanno incontrato telematicamente il primo ministro cinese Li Keqiang e il presidente cinese Xi Jinping. Al centro del vertice vi sono stati molteplici argomenti: commercio, azione climatica, sviluppo sostenibile, diritti umani – non negoziabili secondo la Von der Leyen – ed anche la risposta al coronavirus. “Il summit di oggi Ue-Cina è un’opportunità estremamente necessaria per andare avanti su tutti gli aspetti della nostra cooperazione”. Così su Twitter la presidente della Commissione Ue.

22° Summit

Il 22 giugno si è tenuto in videoconferenza il 22° summit tra l’Unione europea e la Repubblica Popolare Cinese, incontro di fondamentale importanza dal punto di vista geopolitico, soprattutto a seguito della strategia lanciata dall’UE nel marzo 2019. L’UE infatti ha ricordato gli importanti impegni assunti in occasione del vertice passato ed ha sottolineato la necessità di attuare tali impegni in modo dinamico e orientato ai risultati, in quanto ad oggi i progressi fatti sono limitati. L’agenda del summit in questione comprendeva le relazioni bilaterali tra i due attori, le questioni regionali e internazionali, la pandemia di Covid-19 e la ripresa economica. Importante tema è stato anche quello degli investimenti: l’UE ha fortemente sottolineato la necessità di portare avanti i negoziati per un ambizioso accordo di investimento globale UE-Cina che affronti le attuali asimmetrie nell’accesso al mercato e garantisca delle condizioni di parità. Per fare ciò sono necessari progressi urgenti, in particolare per quanto riguarda il comportamento delle imprese statali, la trasparenza dei sussidi e le norme che affrontano i trasferimenti di tecnologia. L’UE ha ribadito anche l’urgente necessità per la Cina di impegnarsi in futuri negoziati sui sussidi industriali in seno all’OMC e di affrontare l’eccesso di capacità in settori tradizionali come l’acciaio e le aree ad alta tecnologia. I leader hanno avuto una discussione anche sui cambiamenti climatici, in quanto la Cina è partner dell’UE ai sensi dell’accordo di Parigi, ma deve impegnarsi in un’azione nazionale risoluta e ambiziosa per ridurre le emissioni a breve termine e fissare un obiettivo di neutralità climatica al più presto possibile. Infine, il vertice è stato anche l’occasione per discutere dell’importanza del settore digitale per le economie e le società di tutto il mondo. L’UE ha sottolineato che lo sviluppo di nuove tecnologie digitali deve andare di pari passo con il rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati.

Le questioni più spinose: Covid-19, Hong Kong e diritti umani

In risposta alla pandemia di COVID-19, l’Unione Europea ha sottolineato la responsabilità condivisa di partecipare agli sforzi globali per fermare la diffusione del virus, potenziare la ricerca su trattamenti e vaccini e sostenere una ripresa globale verde e inclusiva. L’UE ha sottolineato la necessità di solidarietà nell’affrontare le conseguenze nei paesi in via di sviluppo, in particolare per quanto riguarda la riduzione del debito, ed ha invitato la Cina a cogliere appieno gli insegnamenti che derivano dalla gestione dell’epidemia e dalla risposta sanitaria internazionale al COVID-19, commissionata dalla risoluzione adottata nell’ultima Assemblea mondiale della sanità. Infine, l’UE ha inoltre invitato la Cina a facilitare il ritorno dei residenti dell’UE in Cina.

Quanto alla questione di Hong Kong, l’Unione europea ha ribadito le sue gravi preoccupazioni per le misure della Cina in merito alla legge sulla sicurezza nazionale adottata da Pechino e considera tali misure non conformi alla Legge fondamentale di Hong Kong e agli impegni internazionali della Cina, esercitando pressioni sui diritti e sulle libertà fondamentali della popolazione protetta dalla legge e dal sistema giudiziario indipendente. Infine, l’UE ha espresso una certa preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani, compreso il trattamento delle minoranze nello Xinjiang e del Tibet e dei difensori dei diritti umani, nonché delle restrizioni alle libertà fondamentali. A tal proposito, i leader dell’UE hanno sollevato una serie di singoli casi, compresi i rapporti sui cittadini scomparsi dopo aver riferito/espresso le loro opinioni sulla gestione dell’epidemia di Coronavirus, nonché la detenzione arbitraria del cittadino svedese Gui Minhai e di due cittadini canadesi: Michael Kovrig e Michael Spavor. La Presidente Von der Leyen ha ribadito che i diritti umani e le libertà fondamentali non sono valori negoziabili per l’UE, mentre il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha affermato “[…] dobbiamo riconoscere che non condividiamo gli stessi valori, i sistemi politici o l’approccio al multilateralismo. Ci impegneremo in modo chiaro e sicuro, difendendo con fermezza gli interessi dell’UE e mantenendo fermi i nostri valori”.

Covid-19: una pedina fondamentale sulla scacchiera internazionale

Con “trappola di Tucidide” il grande storico attribuiva lo scoppio della guerra fra Atene e Sparta alla crescita della potenza ateniese, e alla paura che tale crescita causava nella rivale Sparta. Oggi mentre il mondo affronta una delle sue sfide più importanti, lo scenario internazionale ci pone di fronte alla possibilità che questa trappola scatti. Ancor prima dell’emergenza Covid-19, si scorgeva una fase storica in cui una potenza a lungo dominante -gli Stati Uniti- fronteggiava una potenza emergente -la Cina- e in molti, sullo scenario internazionale, temevano per gli effetti di questa competizione.

Un duello già visto

Quest’anno per l’economia globale sarà il peggiore degli ultimi cent’anni. Solo negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione nel mese di aprile è passato al 14,7%, il più alto dalla Grande Depressione, e sicuramente le continue pressioni tra Stati Uniti e Cina non porteranno a sviluppi migliori. Nel giro di pochi mesi gli umori dell’amministrazione americana verso Pechino si sono più volte capovolti. Prima le battaglie su Huawei, il 5g e lo spionaggio informatico che, ad un certo punto, sembravano risolte con una stretta di mano tra i due leader, ma con lo scoppio del contagio il Covid-19 è diventato una pedina fondamentale sulla scacchiera internazionale.

Il Coronavirus appare in Cina a “fine dicembre” e per il mese di gennaio si rivela un problema solo cinese. Trump e i suoi esperti non esternano preoccupazione, anzi per tutto il mese e quello successivo, Trump elogerà la Cina: il 24 gennaio sul suo profilo Twitter il Presidente statunitense scriveva: “China has been working very hard to contain the Coronavirus. The United States greatly appreciates their efforts and transparency. I twill out well. In particular, on behalf of the American People. I want to thank President Xi”. Non solo Trump ringraziava il Presidente Xì per il lavoro svolto, ma il 10 febbraio si congratulava anche con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per poi accusarla a metà aprile di aver “portato avanti la disinformazione della Cina riguardo al coronavirus” e decidere la sospensione degli aiuti per un periodo tra i 60 e i 90 giorni.

La comunicazione si fa sempre più difficile

Mentre l’epidemia cresce negli Stati Uniti, a inizio marzo gli infètti sono 1300 e i morti 36, Trump dichiara emergenza nazionale e il tono nei confronti di Pechino cambia. Il Covid-19 inizia e diventare il “virus cinese” mentre il portavoce del Ministro degli esteri cinese accusa “il virus potrebbe essere partito dagli Stati Uniti e portato a Wuhan dall’esercito statunitense, quando lo scorso ottobre più di 300 soldati americani si trovavano a Wuhan per il campionato mondiale di giochi militari”.

La battaglia si sposta sul controllo della narrazione della pandemia e la comunicazione diventa la chiave per decidere chi uscirà vincitore su scala mondiale. Iniziano le ripercussioni sui giornalisti. Il 19 febbraio Pechino espelle tre cronisti del “Wall street journal”, accusati di aver utilizzato un titolo dispregiativo “China is Real Sick Man of Asia”, a cui si accoderanno più tardi anche i giornalisti del New York Times e del Washington Post. D’altra parte, Washington risponde allontanando 60 inviati cinesi dei principali media filogovernativo.

Nel frattempo, le voci che il virus possa provenire dai laboratori di Wuhan, viene smentita il 17 marzo dalla rivista scientifica “Nature medicine”. Il Covid-19 è il risultato di un’evoluzione naturale, arrivata dal pipistrello, ma questo non ferma né la propaganda americana né il Presidente Trump che annuncia l’intervento dell’intelligence americana per investigare sulle origini del Covid-19, mentre la Cina rispedisce le accuse al mittente affermando che gli Stati Uniti spostano l’attenzione dei loro ritardi nell’agire contro il coronavirus.

Lo scontro comunicativo si rinvigorisce con le esternazioni del segretario di Stato americano, Mike Pompeo che domenica scorsa davanti all’Abc, affermava di avere enormi prove che il virus provenga dai laboratori di Wuhan. Posizione ritrattata parzialmente pochi giorni dopo, “ci sono solo delle evidenze ma non delle certezze” e riaccusa Pechino di mancata trasparenza nella fase iniziale del contagio e di continuare a essere “opaca” e a “negare l’accesso” alle informazioni.

Il Covid-19 e la leadership internazionale

Quello che oggi appare più evidente non sono solo le conseguenze del Covid-19 nel mondo ma anche il ruolo che esso ha assunto nella contrapposizione tra Stati Uniti e Cina. Quello che la storia ci dirà è che quel “rinoceronte grigio” (espressione coniata dall’analista politico americano Michele Wucker che si riferisce ai pericoli grandi e trascurati) è già in casa nostra ed ha subito un processo di fusione. Come i tentacoli di una piovra che si legano immediatamente a qualsiasi cosa, il Covid-19 è progressivamente diventato la nuova pedina da sfruttare per respingere l’ambizione della Cina di colmare il vuoto di leadership con gli Stati Uniti. E l’Europa? La sensazione è che l’Ue abbia bisogno di un processo rigenerativo per poter acquisire quel sentimento di unione tanto promosso quanto artificioso. Nell’attesa che questo processo possa presto manifestarsi, la speranza è quella di non restare intrappolati nello scontro tra Usa e Cina. La sensazione è che l’Ue non dovrà fronteggiare solo le gravi conseguenze che il Covid-19 lascerà, oltre a far fronte a questa pandemia che colpisce in maniera orizzontale ogni paese, l’Ue dovrà contrastare da un lato, il forte euroscetticismo presente nei propri confini e dall’altro, la prospettiva di una contrapposizione sempre più forte tra Cina e Usa. Dalle sue risposte dipenderà il suo futuro, la sua leadership internazionale e la sua indipendenza rispetto ai due principali contendenti a livello globale.

Turismo in Italia post COVID-19: i dati, le ipotesi e i desideri

ECONOMIA di

Nei centri storici di tutta Italia rimbomba l’eco del silenzio. Città dalle pietre millenarie sembrano musei a cielo aperto, intonsi, chiusi rigorosamente al pubblico. Le meraviglie che ammantano il nostro paese risplendono sotto il cielo azzurro senza inquinamento, nella bellezza di una primavera mai vissuta. Il turismo in Italia è una delle principali fonti di reddito e rappresenta circa il 25% del PIL nazionale. Questo potenziale è messo in ginocchio da un ospite indesiderato, il COVID-19. In un tempo che sembra immobile si cerca di correre ai ripari ipotizzando quali saranno le prospettive per un’estate che sta per arrivare, mentre si continua a navigare a vista con una bussola che sembra aver perso l’orientamento. Leggi Tutto

Il Marocco propone un’iniziativa congiunta africana nella lotta al coronavirus

AFRICA di

L’Africa dimostra di aver recepito la lezione più importante impartita dalla pandemia da Coronavirus alla comunità internazionale, nessuno può farcela da solo.

Il re del Marocco Mohammed VI ha proposto l’avvio di un’iniziativa di cooperazione tra gli Stati africani finalizzata a contrastare la diffusione della pandemia. In questo contesto, il sovrano marocchino ha tenuto colloqui telefonici di alto livello con il Presidente del Senegal Macky Sall, con Alassane Dramane Ouattara, Presidente della Costa d’Avorio e con altri leader africani.

 

“Si tratta di un’iniziativa pragmatica e orientata all’azione, che consente la condivisione di esperienze e buone pratiche, al fine di far fronte all’impatto della pandemia sulla salute delle persone, sull’economia e sulla società”, si legge in una dichiarazione del gabinetto reale marocchino.

 

La proposta di Mohammed VI si configura quindi come un’iniziativa fra i Capi di Stato africani, volta a stabilire un quadro operativo per sostenere i rispettivi Paesi nelle diverse fasi di gestione della pandemia. Si tratterebbe di una forma di cooperazione sud-sud, finalizzata allo scambio di esperienze e al trasferimento di conoscenze tra tutti i Paesi africani, favorendo, in tal modo, la crescita economica e sociale del Continente.

In questo senso va anche la recente costituzione di una task force continentale – Africa Task Force for Novel Coronavirus (AFCOR) – guidata da Marocco, Sudafrica, Senegal, Nigeria e Kenya, per supervisionare i progressi nell’ampliamento della capacità di risposta all’epidemia e garantire l’aiuto e il supporto tecnico-sanitario necessari ad affrontare i casi di contagio.

 

Intanto i casi di positività nel Continente continuano a crescere, per un totale di oltre 15.000 contagiati e 816 decessi.Sebbene l’Africa rappresenti solo una frazione dei casi globali di infezione da Covid-19, il disastroso risvolto economico della pandemia è divenuto subito evidente.

Giovedì 9 aprile la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto in cui si preannuncia una verosimile recessione dell’Africa sub-sahariana, la prima in 25 anni.Nel rapporto della BM si legge che l’economia della regione potrebbe contrarsi fino al 5,1%, considerando che la crescita nel 2019 è stata del 2,4%.

Anche la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Africa (ECA) si è espressa sull’emergenza, pubblicando un report sulle possibili politiche da adottare per fronteggiarla. L’ECA ha chiesto ai governi degli Stati africani di consolidare i propri sforzi per definire le misure adeguate a mitigare l’impatto economico del virus a livello nazionale e regionale.

Appare quindi fondamentale definire in breve tempo una strategia africana comune di risposta all’emergenza Covid-19 perché, come affermato da Ruzvidzo, direttore di una delle divisioni dell’ECA, da questo dipenderà la capacità del continente di sconfiggere con successo la pandemia.

 

La criminalità organizzata in America Latina, azioni e reazioni ai tempi del Covid-19.

L’attuale crisi provocata dal coronavirus in ogni angolo del mondo ha effetti sociali, economici e politici che sono riscontrabili anche negli affari delle organizzazioni criminali.

In Italia come negli altri paesi per frenare il contagio da Covid-19 si fermano imprese e industrie, e anche le mafie rallentano in alcuni settori criminali come la prostituzione, la tratta dei migranti o lo spaccio di droga. Tuttavia, come ha ben sottolineato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, le “Mafie sono presenti dove c’è da gestire denaro e potere. E le élite delle mafie fanno molte operazioni non per arricchirsi, ma per avere consenso, potere…”

Ora, se per un’istante pensiamo di far valere questo monito non solo per le organizzazioni criminali italiane, possiamo pensare che tutta la criminalità organizzata mondiale oggi patisce e reagisce agli effetti del Covid-19. Le parole del procuratore di Catanzaro hanno una grande rilevanza universale e riassumono benissimo le intenzioni delle organizzazioni criminali di tutto il mondo.

La crescente minaccia rappresentata dal coronavirus ha portato in superficie le già presenti disuguaglianze sociali sottostanti e ciò vale anche per le lacune della presenza statale e il ruolo dei gruppi criminali nel colmare tale vuoto.

Basta guardare al Brasile per vedere come i trafficanti di droga del Comando rosso (Comando Vermelho – CV) nella favela Ciudade de Deus di Rio de Janeiro, scalcando il governo centrale, soffocano l’espansione del virus imponendo il coprifuoco ai residenti.

Al contempo, l’esercito nazionale di liberazione in Colombia (Ejército de Liberación Nacional – ELN) ha annunciato il 30 marzo un cessate il fuoco di un mese, che è arrivato in seguito all’appello dell’ex leader ribelle Francisco Galá, il quale ha dichiarato “di cessare il fuoco… e di liberare il paese dalla paura della guerra, almeno per questi tempi di emergenza”, secondo El Tiempo.

Mentre nel vicino Venezuela diversi video testimoniano che gruppi di “colectivos” o gruppi armati filo-governativi impongono ai residenti nel quartiere 23 di Enero di Caracas e nel quartiere di Petare vicino a Caracas di rispettare i protocolli di igiene e di quarantena. Inoltre, secondo i media locali lo stesso regime di Nicolás Maduro ha invitato i civili armati ad affiancare i membri delle forze armate per imporre le restrizioni di quarantena.

In Guatemala, l’emergenza dichiarata dal governo ha spinto i membri della banda del Barrio 18 a concedere la sospensione del pizzo da parte dei venditori locali. Tuttavia, bande come la Unión de Tepito a Città del Messico, hanno mantenuto il racket nonostante la pandemia. In El Salvador, membri della banda della MS13 ed entrambe le fazioni del Barrio 18, i Rivoluzionari e Sureños, minacciano la popolazione locale con violenza a restare in quarantena.

Angélica Durán-Martínez, criminologa dell’Università di Chicago e Benjamin Lessing professore all’Università del Massachusetts, studioso di violenza criminale e governance in America Latina, hanno sostenuto a InSight Crime, che le ragioni delle bande per esercitare questo tipo di governance vanno ben oltre il semplice garantire il loro potere e controllo. Il loro tentativo è indirizzato a ottenere più capitale sociale, per favorire le loro operazioni criminali. Benjamin Lessing sostiene che, quando lo Stato non agisce, spesso gli attori criminali si assumono la responsabilità nel prendersi cura delle loro comunità.

“Riflette il loro interesse a mantenere il supporto sociale”, ha dichiarato Durán-Martínez. “Questi gruppi vedono sul territorio i chiari rischi che la comunità deve affrontare come il mancato accesso ad acqua pulita, sapone o disinfettante e nel momento in cui lo stato non adotta misure concrete per la tutela della salute pubblica, la responsabilità di quest’ultima finisce per essere nelle loro mani.”

Il paradosso del modus operandi delle organizzazioni criminali sta nel non essere sempre contraria o antagonista a come lo stato vuole governare. L’attuale crisi sanitaria, sociale ed economica riflette in realtà un caso in cui sia gli interessi statali e quelli criminali sembrano essere abbastanza convergenti. Proprio per questo è da considerare che l’altro virus che punta a rafforzarsi, sfruttando l’emergenza della pandemia, sono le varie organizzazioni. D’altronde quando lo stato è assente o come nel caso brasiliano sopraffatto dalla superficialità, la criminalità organizzata trova terreno fertile per proliferare e rafforzarsi.

Il Coronavirus mette all’angolo Bolsonaro: l’emergenza Covid-19 evidenzia l’incapacità di gestione e coordinamento del leader brasiliano.

Americas/AMERICHE/POLITICA di

L’America Latina oggi è alle prese, come altre parti del mondo, con la pandemia di Covid-19. Il virus oltre a recare preoccupazione nella popolazione sta mettendo a dura prova i consolidati equilibri politici ed economici locali. Il morbo è ormai presente in tutti gli Stati di quest’area del mondo ed ha colpito in particolar modo il Brasile, con 2611casi, il Cile con 1306 contagi, l’Ecuador dove i casi sarebbero 1382 ed Argentina e Messico, entrambi con più di 400 casi.

In questa preoccupante situazione Jair Bolsonaro, considerato da alcuni come una figura politica divisiva, fino a pochi mesi fa godeva di una grande stima da parte della popolazione: diverse inchieste demoscopiche lo vedevano nettamente in testa nelle intenzioni di voto, 29 per cento a 17, nei confronti dell’ex presidente Lula. La popolarità di Bolsonaro probabilmente veniva aiutata dallo stato di salute dell’economia che vedeva una prospettiva di crescita, nel 2020, dell’1,6 per cento e nel 2021 del 2,3 per cento.

Caos ed instabilità

Il Presidente brasiliano si trova oggi sotto il fuoco incrociato per la gestione dell’epidemia, che ha prima bollato come una “fantasia” e poi come “isteria” promossa dai media per indebolire il suo governo. La mancata accortezza della crisi da parte di Bolsonaro ha infatti aperto la strada ai governatori locali, che ritenendo rischioso l’atteggiamento del leader brasiliano, hanno preso l’iniziativa introducendo misure più restrittive e rigorose per il contenimento dell’espansione del virus nel Paese.

João Doria nello stato di São Paulo ha così varato una quarantena di quindici giorni, chiudendo tutte le attività commerciali, i bar e i ristoranti a partire dal 24 marzo. “Stiamo facendo quello che lui non fa: guidare una risposta, la lotta contro il coronavirus, dare informazioni chiare e non minimizzare,” ha dichiarato Doria. Dal canto suo, il governatore Wilson Witzel per Rio de Janeiro ha minacciato di schierare i pompieri per bloccare l’accesso alle spiagge e di chiudere la tratta aerea con São Paulo.

La risposta di Bolsonaro, secondo il quotidiano “la Folha de S. Paulo”, è stata quella di ribadire, con una misura provvisoria, che solo lo Stato centrale ha l’autorità sulla chiusura di aeroporti e ferrovie. La sua opinione è che le attività economiche non debbano essere interrotte per nessun motivo. “[Doria] è un lunatico. Sta approfittando della situazione per fare politica,” ha poi dichiarato in tutta risposta, in un’intervista alla Cnn, sostenendo che le misure di quarantena sono “una dose di medicina eccessiva che finisce per trasformarsi in veleno.”

Le ricadute dell’atteggiamento di Bolsonaro potrebbero essere catastrofiche: non solo la classe politica brasiliana potrebbe rivoltarsi contro il presidente assumendo la gestione della crisi, ma un’epidemia incontrollata di Covid-19 piomberebbe come un’ascia sulle prospettive di crescita del Brasile, la cui economia è cresciuta di appena l’1,1 per cento nel 2019 e che stenta a riprendersi dopo anni di crisi.

Il Covid-19 arriva nelle favelas di Rio de Janeiro e la criminalità organizzata chiama al coprifuoco

Mentre si assiste a questa diatriba tra governatori e governo centrale, il coronavirus avanza e la criminalità organizzata, presente nelle favelas di Rio, si sta preparando all’attacco. La preoccupazione dei gruppi criminali per l’epidemia fa eco alle paure a livello nazionale per il destino dei quasi 15 milioni di residenti delle favelas brasiliane. In alcuni quartieri poveri di Rio de Janeiro, il New York Times riporta che le organizzazioni criminali hanno preso il controllo della situazione, intimando agli abitanti il coprifuoco. “Se il governo non ha la capacità di gestire la situazione,” recita un messaggio trasmesso tramite altoparlanti, “lo farà il crimine organizzato.”

Una bomba a orologeria è forse il modo più rapido per descrivere quello che potrebbe provocare la diffusione della pandemia del coronavirus in luoghi in cui, insieme alla criminalità organizzata, governano la povertà, la precarietà dei servizi sanitari e la carenza di acqua potabile. Le favelas infatti, sono sinonimo di calca, assenza di distanza sociale, e l’arrivo del virus rischierebbe di provocare non “un semplice raffreddore”, come ha enunziato il Presidente brasiliano, ma una vera strage tra i poveri.

COVID-19 come vivono la quarantena nel mondo? EA lo sta chiedendo agli Italiani che vivono all’estero

SOCIETA' di

Londra, New York, Brisbarne, Indonesia, Argentina e ancora Spagna, Francia e Albania, la pandemia sta contaminando moltissimi paesi, e l’unico rimedio sembra essere la quarantena, l’isolamento, quello che ormai viene definito il modello Italia. Attraverso la video conferenza chiacchieriamo con altri reclusi in casa durante queste settimane di quarantena, per noi avanzata per altri appena iniziata.

Nel primo video arriviamo a Londra per poi ripartire per New York, Australia, Singapore, Spagna e Belgio buona visione

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Covid-19, in America Latina. L’infettivologo Castro Méndez “In Venezuela scenario da incubo”

Americas/AMERICHE di

Dopo settimane di rinvii l’Oms l’11 marzo ha pronunciato l’inevitabile parola “Pandemia” e quello che pochi giorni prima sembrava interessare solo pochi paesi del globo, ha bruscamente coinvolto sempre più aree del mondo. Oltre Italia, Spagna, Germania, Francia e Regno Unito si registrano un numero crescente di casi anche negli Stati Uniti e nel Sudamerica. L’espansione del virus e della sua minaccia ha costretto alcuni di questi paesi a correggere il tiro introducendo misure sempre più rigorose. Angela Merkel si è spinta a rievocare la Seconda guerra mondiale per far capire quanto sia grave l’emergenza in Germania: “È la sfida più grande da allora”, ha detto in un discorso alla nazione, il primo attraverso i canali della tv pubblica in 14 anni, cioè da quando è cancelliera.

I timori ormai sono tanti e in differenti misure ogni paese sta attuando le sue scelte, più o meno rigorose, che puntano a rallentare la diffusione del virus che minaccia di riuscire a sopraffare, non solo le economie e i sistemi sanitari dei Paesi in via di sviluppo, ma anche quelli dei Paesi più avanzati. “La Germania – ha avvertito la cancelliera – ha un eccellente sistema sanitario, forse uno dei migliori al mondo”, ma “anche i nostri ospedali sarebbero totalmente travolti se troppi pazienti arrivassero in un tempo troppo breve “.

In Germania si sono registrati 2.800 casi in sole 24 ore, il totale è 10.082 casi, 27 morti. Nella giornata di oggi il Regno Unito ha visto i suoi casi attestarsi a 2.626 casi positivi, 104 decessi. Il premier Boris Johnson ha perciò invertito la rotta e, davanti a una Camera dei Comuni semivuota, annuncia il nuovo obiettivo di “25.000 tamponi al giorno”. La Spagna registra +30% di morti in 24 ore. La Cina ha avuto mercoledì 13 nuovi casi di coronavirus: uno solo a Wuhan (per il secondo giorno di fila) e 12 importati, di cui cinque nel Guangdong, tre a Pechino e a Shanghai e uno nel Sichuan. I contagi di ritorno sono saliti a 155, si legge nel bollettino della Commissione sanitaria nazionale, secondo cui gli 11 morti aggiuntivi sono tutti nell’Hubei. Cresce così il timore per l’aumento dei casi importati: il Global Times sottolinea come dei 155 accertati, 47 siano legati all’Iran e 41 all’Italia. Seguono, stando al quotidiano, la Spagna (21 casi), il Regno Unito (12) e gli Stati Uniti (7). In totale dall’inizio dell’emergenza i dati cinesi parlano di 3.237 morti e 80.894 casi positivi. A New York, il sindaco chiede la chiusura dell’intera città. In Australia e Nuova Zelanda chiudono le frontiere a chi non ha la cittadinanza, il Giappone a 38 Paesi, tra cui l’Italia. Il caponegoziatore UE per la Brexit, Michel Barnier positivo al test. L’Ue lavora al rimpatrio di 100mila cittadini e crea una riserva strategica di materiale sanitario di protezione, ventilatori, e vaccini quando saranno disponibili ai 27 Paesi. Iran: “Un morto ogni 10 minuti”.

Pertanto, quella che poche settimane fa sembrava una minaccia lontana, oggi preoccupa allo stesso modo varie aree del mondo. L’epicentro oggi è in Europa ma la preoccupazione che questo possa spostarsi in quei paesi dove le economie e i sistemi sanitari sono più vulnerabili, si sta rafforzando l’inquietudine anche in quei governi e leader che si sono mostrati spavaldi difronte lo scoppio di un’epidemia nel proprio paese.

Sudamerica – Le ripercussioni della rapida diffusione del Covid-19 nel continente sud-americano ha evidenziato che il virus non ha confini. Come sappiamo la diffusione del virus, che in questi giorni sta già maturando le sue prime vittime in Sudamerica, ha il doppio effetto di minacciare le economie e di portare al collasso i sistemi sanitari nazionali. Insomma, se la diffusione del Covid-19 ormai è assai probabile anche in America Latina, è altrettanto preoccupante chiedersi cosa potrà succedere in quei paesi, come il Venezuela, dove l’impossibilità di farvi fronte sembra quasi certa.

Venezuela – E se arriva in Venezuela? “Il problema non è se arriva in Venezuela – taglia corto il Dottor Julio Castro Méndez, medico infettivologo, referente dell’ONG Médicos por la Salud (Medici per la salute), che redige un periodico rapporto sulla situazione degli ospedali venezuelani –. Il problema è quando arriva. Io ritengo che la cosa sia inevitabile, è solo questione di tempo, visto che il Covid-19 ha iniziato a diffondersi negli altri Paesi del Sudamerica”. Uno scenario da incubo, quello che si verificherebbe all’arrivo del coronavirus, “dato che la situazione sanitaria, in Venezuela, è da tempo compromessa. Negli ospedali spesso manca l’acqua, fondamentale nel prevenire la diffusione del virus, si verificano continuamente blackout elettrici. Il 53% delle strutture sanitarie è completamente privo di mascherine”.

Sistema sanitario al collasso. É il Venezuela, appunto, il Paese che suscita le maggiori preoccupazioni. Non mancano gli interrogativi sulla reale possibilità che eventuali positività vengono comunicate, dato che l’attuale governo di Maduro non ha mai comunicato qualcosa relativamente alle altre epidemie in atto nel Paese. “Ce ne sono tre in particolare, in questo momento: malaria, morbillo, difterite, mentre il dengue, che sta causando numerosi contagi in altri Paesi, soprattutto Brasile e Paraguay, non sta contagiando particolarmente il Venezuela”, dice il medico. Ma nel Paese ci sono anche diversi casi di tubercolosi. Castro Méndez spiega: “da tre anni ci sono queste epidemie in atto, ma a denunciarlo sono state le organizzazioni internazionali, non certo il Governo” e continua spiegando come “nell’attuale contesto di poca trasparenza e crisi generalizzata, pensare alla possibilità di poter effettuare diagnosi a gruppi numerosi di persone sia tecnicamente impraticabile per il sistema sanitario venezuelano”. Per le prossime settimane, “molto dipenderà da quanti saranno i casi che si presenteranno. Ma se si arrivasse a numeri simili a quelli di Corea o Italia, nel giro di due settimane la situazione sarebbe di completo collasso”. Il rapporto 2019 di Médicos por la Salud, del resto, è eloquente. Lo studio documenta che durante il 2019 il 78% degli ospedali venezuelani ha avuto problemi di rifornimento idrico. Nel mese di dicembre, solo il 16% delle strutture ha avuto acqua tutti i giorni. Restano frequenti i blackout, che lo scorso anno hanno coinvolto oltre il 60% degli ospedali. La presenza di medici, nel Paese, è scesa del 10%, quella del personale infermieristico del 24%. Le unità di terapia intensiva funzionano al 60-70%, a seconda dei momenti, le sale operatorie a poco meno del 50%.

Il Presidente Nicolás Maduro, dopo aver annunciato nei giorni scorsi una “quarantena totale” per il paese, ove finora ci sono stati 33 contagi senza vittime, sospende tutte le attività escluse quelle legate alla distribuzione alimentare, alla sicurezza, ai servizi sanitari e ai trasporti, per poi aver visto tramontare la sua richiesta di aiuti al Fmi per rafforzare le capacità di risposta del sistema sanitario venezuelano per il contenimento del Covid-19.

Antonello Salvatore Cossu
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