GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 122

Tories o Lab? Il Regno Unito all’ultimo dilemma

EUROPA/POLITICA di

Due giorni al voto per i cittadini del Regno Unito e il mistero s’infittisce. Mai come a questo giro di elezioni generali si è raggiunto tale grado di imprevedibilità. Votare o non votare Tory? Votare o non votare Labour? A proposito, ci risiamo con i testardi scozzesi!

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Quinta potenza economica mondiale, il Regno si interroga sulle priorità che la politica dovrà inserire e affrontare nella prossima agenda quinquiennale. Al civico 10 di Downing Street continuerà ad avere le chiavi il conservatore Cameron o il laburista Miliband? Una cosa è certa, sta per finire l’era del monopolio di governo anche a Londra. I due leader dovranno provvedere ad alleanze estese per poter garantire la governabilità. Quasi una “normalità” per il resto d’Europa, Germania in primis con un modello di alleanze che “funziona” e Italia con qualche “problemino” in più, ma totalmente una novità per i britannici i quali si vedono alternare i governi laburisti o conservatori dal lontano 1922. Una simile situazione era venuta a crearsi già nel 2010 con i Lib Dem di Nick Clegg, con i quali Cameron mise su la coalizione.

Sistema elettorale e composizione del Parlamento

First past the post- così è chiamato il sistema maggioritario uninominale a norma del quale il territorio del Regno Unito è diviso in 650 circoscrizioni elettorali. La suddivisione delle circoscrizioni è divisa in questo modo: 523 in Inghilterra; 59 in Scozia; 40 in Galles; 18 in Irlanda del Nord. Da ciascuna circoscrizione verrà espresso un rappresentante da mandare alla Camera dei Comuni che assieme alla Camera dei Lord, composta da membri nominati, andrà a comporre il futuro Parlamento. La maggioranza assoluta è quantificata in 326 seggi. Un numero però improbabile da raggiungere da entrambi i partiti.

David Cameron ha dalla sua il cosiddetto” establishment” anche e soprattutto per la ripresa veloce del Regno Unito nell’economia dopo il fermo imposto dalla crisi globale. Culla del capitalismo liberale, il Regno Unito ha dato un forte segnale di rilancio, ma i frutti di questa ripresa, ad oggi, si segnalano a livello macro, la classe media deve ancora attendere le future buste paga per poterla verificare su di se.

Ed Miliband, dopo aver vinto al fratello David la leadership del Partito Laburista, Ed “il nerd” o Ed “il rosso” per i conservatori, sta guadagnando punti nei sondaggi in maniera decisiva e costante. Partito sfavorito all’inizio della campagna elettorale, ha saputo giocare molto sull’immagine, puntando all’autoironia, valore aggiunto come sempre nell’animo inglese.

I Lib Dem di Nick Clegg, voto di protesta nel 2010, oggi hanno perso la loro genuinità e vengono visti come parte del sistema. Lo Ukip di Nigel Farage, dopo l’exploit delle elezioni europee di un anno fa rimane l’anima indomata del panorama politico britanico, ma la sua portata antieuropeista e populista non si prevede possa essere determinante il 7 maggio prossimo. Infine troviamo  verdi che, con l’aiuto delle spinte da sinistra, puntano a qualche seggio.

Chi confonde le acque di tories e lab è l’SNP, il Partito Nazionale Scozzese con a capo il Primo Ministro donna, Nicola Sturgeon. Dopo aver perso il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito a settembre 2014 la popolarità della Sturgeon non è che aumentata. Una ventata di parole “di sinistra” e di grinta che fanno  la differenza. Escludendo ogni punto d’incontro con Cameron, si presume che l’SNP possa coalizzarsi con i laburisti di Miliband in caso di vittoria di questi, ma solo due giorni fa, lo stesso Miliband ha negato questa possibilità. Partendo dal presupposto che nessuno dei leader ha mai parlato o reso esplicite le possibili alleanze, pare inverosimile la chiusura totale della possibilità di alleanze tra questi due partiti.

Battaglia di seggi, battaglia di news. Lo schieramento dei grandi quotidiani, The Guardian e Financial Times in testa, rispettivamente per i laburisti e i conservatori è altrettanto un aspetto fondamentale. Il potere mediatico anglosassone determina più di una manciata di voti e si svolge ad altissimi livelli. Una copertura invidiabile dell’argomento su tutti i fronti, la City della finanza, le città operaie, le periferie del Regno vengono battute come in un trekking mainstream delle intenzioni di voto.

In sintonia con le ventate dal basso nel mondo occidentale, anche nel Regno Unito si continua ad auspicare una politica inclusiva con pressioni dal basso e sopratutto dai “giovani disillusi”, vedendo in questi il veicolo tramite il quale attingere a una nuova politica, più vera, più reale, più tangibile, fuori dall’establishment.

Europa: Should I stay or should I go?

Pochissima Europa in questa campagna elettorale da tutte le forze politiche coinvolte. David Cameron, in caso di vittoria indirà un referendum se rimanere o meno nell’UE. Miliband non lo farà. Stranota la posizione dell’UKIP, altre invece sono le priorità del SNP. Non è un mistero lo scetticismo britannico nei confronti dell’Europa unita, ma in caso di vittoria di Cameron e di eventuale uscita del Regno Unito dall’UE a indebolirsi sarà quest’ultima,  in caso contrario con presumibile rafforzamento del SNP a dover fare i conti con l’indebolimento interno sarà lo stesso Regno Unito.

Appuntamento, il 7 maggio dalle 7.00, Greenwich Mean Time.

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Sabiena Stefanaj

“Expo e i Territori”: l’Italia chiama gli “aussies”

EUROPA di

Il console italiano Cerbo espone un’iniziativa che, attraverso itinerari personalizzati, mira a fare scoprire realtà regionali come Abruzzo, Calabria, Sicilia e Veneto.

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“Expo e i Territori”. È questa l’iniziativa presentata a Melbourne dal console italiano Marco Maria Cerbo davanti a 50 osservatori, tra giornalisti e tour operator. L’obiettivo è quello di far scoprire agli australiani i paesaggi, le bellezze artistiche e i costumi regionali, partendo da una vetrina d’importanza globale come l’evento milanese.

Sotto la lente d’ingrandimento sono state messe Abruzzo, Calabria, Sicilia e Veneto, da cui il visitatore potrà partire per costruire un itinerario personalizzato. Un turismo da incrementare, ma che parte già da una buona base. Infatti, anche a causa della forte presenza italo-australiana, circa un milione di “aussies” ogni anno decide di visitare il Bel Paese.

Giacomo Pratali

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Ucraina, vacilla l’accordo di Minsk: 8 morti

EUROPA di

Le vittime sarebbero scaturite dopo i bombardamenti di Kiev contro l’aeroporto filorusso di Donetsk. Il ministro degli Esteri Gentiloni apre le porte a Putin, alleato di importanza strategica in Siria e Libia.

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Si fa sempre più fittizio il cessate il fuoco in Ucraina. L’ultimo episodio di una guerra civile mai spenta è accaduto domenica 3 maggio. L’esercito regolare, secondo fonti filorusse, avrebbe ucciso 8 persone (un militare e 7 civili) nel corso dei bombardamenti contro l’aeroporto di Donetsk, roccaforte dei filorussi. La notizia è ancora da confermare, mentre il Ministero della Difesa di Kiev ha parlato di “bugie” e che “i militanti (separatisti filorussi, ndr) in 24 ore hanno aperto il fuoco 35 volte”.

Intanto, il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, attraverso un’intervista a La Stampa, pur ribadendo che “l’Italia sostiene Kiev, e Kiev deve fare le necessarie, dolorose riforme economiche e costituzionali, compresa l’autonomia del Donbass” e che “ha applicato correttamente le sanzioni alla Russia, pagando un prezzo pesante”, incalza con un’importante apertura nei confronti di Vladimir Putin, atteso nei prossimi giorni all’Expo: «La data non è ancora stata fissata, ma certamente l’incontro ci sarà. Senza illudersi di poter tornare d’incanto alla situazione pre-crisi Ucraina, occorre mantenere aperti i canali con Mosca. Non sfugge – prosegue – il ruolo che la Russia già ha nella scacchiera della gestione delle crisi internazionali, dall’accordo sul nucleare iraniano fino alla crisi più drammatica, quella in Siria. E potrebbe essere utile anche in Libia», conclude il titolare della Farnesina.

Giacomo Pratali

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Moas, droni e medici in soccorso ai migranti

EUROPA di

Migrant Offshor Ad Station (MOAS) insieme a Medici senza frontiere ha lanciato lo scorso 2 maggio la missione di soccorso nel mediterraneo in aiuto alle imbarcazione in difficoltà dei crescenti flussi migratori verso l’Europa.

Il MOAS con la usa nave M.Y. Phoenix di quaranta metri presidia il tratto di mare che divide l’Italia alle coste libiche e che ha visto naufragare e affondare tanti barconi carichi di speranze.

Questa missione è una risposta concreta alla grande crisi umanitaria che si è accesa in questi mesi con l’avanzare della guerra e il califfato nero.

Il dibattito su cosa fare e come farlo si è acceso lentamente spinto soprattutto sulla pressione dell’opinione pubblica ma ancora senza una risposta concreta mentre in quel tratto di mare i barconi continuano a partire e affondare.

Drone takeoff_lr

La risposta concreta sono i quaranta metri di nave, i due Droni CAMCPTER S100 che partono per monitorare le condizioni delle imbarcazioni sospette, il team di due medici e un’infermiera messi a disposizione da Medici senza Frontiere.

MOAS.EU_infographics“Mentre gli altri dibattono ancora circa i pro e i contro del salvare vite umane, noi restiamo convinti che nessuno merita di annegare” ha detto il direttore di MOAS Martin Xuereb. “L’anno scorso abbiamo salvato circa 3000 persone in 60 giorni, quest’anno staremo in mare per sei mesi per soccorre tutti coloro che per una ragione o l’altra hanno deciso di intraprendere un viaggio così rischioso nel Mediterraneo. Nel 2015, abbiamo deciso di avere a bordo MSF per rendere la missione MOAS ancora più efficiente. Siamo estremamente orgogliosi di poter offrire la nostra competenza e il nostro supporto ai centri di coordinamento Italiani e Maltesi per lo scopo comune di salvare vite umane” ha continuato Xuereb

MOAS è composto da volontari esperti di attività di aiuto umanitario internazionali, professionisti della sicurezza, personale medico, e ufficiali marittimi esperti che impegnano la loro esperienza per aiutare a prevenire ulteriori catastrofi in mare.

La OMG è stata fondata da Christopher Catrambone e Regina Catrambone che nel 2006 hanno fondato a Tangeri, un’azienda leader a livello mondiale specializzata in assicurazione, assistenza di emergenza.

Second rescue_lrDopo i 400 migranti annegati nei pressi dell’isola italiana di Lampedusa nel 2013, i Catrambone decisero di fondare MOAS. Essi sperano che l’iniziativa umanitaria ispirare gli altri a livello globale, e contribuire a dissipare ciò che Papa Francesco chiama “globalizzazione di indifferenza”.

Il direttore delle operazioni Martin Xuereb è nato a Malta, ha una laurea in Scienze e un Diploma in Sociologia presso l’Open University in seguito ha conseguito un master in Studi Internazionali al Kings College di Londra, e si è formato in Italia e nel Regno Unito presso la Royal Military Academy Sandhurst e il Royal College of Studi per la Difesa.

Durante la sua carriera militare, Xuereb ha condotto missioni di aiuto in Kosovo devastato dalla guerra e moltissime altre missioni di ricerca e soccorso dirette come capo della Difesa di Malta. Professionalità, esperienza e passione sono gli ingredienti fondamentali di questa organizzazione che lo scorso anno ha salvato 3.400 persone in 60 giorni, questa missione durerà 6 mesi.

Il MOAS è una organizzazione non governativa senza fini di lucro che mantiene tutta la sua organizzazione grazie alle donazioni che possono essere fatte anche on line sul loro sito www.moas.eu , anche un solo piccolo contributo permetterà ala nave un ora di navigazione in più, ai droni di sollevarsi ancora, ai medici di restare in mare ancora e salvare tante vite umane.

Alessandro Conte

 

Xylella, Ue: “Ulivi a nord di Lecce da abbattere”

EUROPA di

L’Europa vara una serie di misure per prevenire e combattere il batterio killer che ha infestato le piante del Salento.

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Notifica della comparsa di nuovi focolai. Delimitazione delle zone infette. Rimozione e distruzione delle piante infestate e quelle entro i 100 metri. Queste le misure varate dal Paff, Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi, riunitosi a fine aprile a Bruxelles per discutere della prevenzione e della lotta alla Xylella fastidiosa, batterio killer che ha colpito gli ulivi dapprima della provincia di Lecce nell’ottobre 2013, poi quelli delle province di Taranto e Brindisi più recentemente.

Per la provincia di Lecce è stato previsto il contenimento delle piante, mentre per le province di Taranto e Brindisi l’eradicazione. A questo, si aggiungono gli 11 milioni di euro stanziati dal Governo per affrontare questa emergenza: “Facciamo un intervento ad hoc attivando la deroga per accedere al fondo di solidarietà nazionale, per la prima volta anche per un’emergenza fitosanitaria”, ha chiarito Maurizio Martina, Ministro dell’Agricoltura.

Giacomo Pratali

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Ue: “Nessuna missione militare in Ucraina”

EUROPA di

Questo quanto emerso nel corso del summit di Kiev tra Tusk e Poroshenko. Entro il 2020 l’ex Paese sovietico potrebbe entrare nell’Unione Europea.

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“Siamo favorevoli ad un’operazione civile, ma non militare”. Non lascia margini di interpretazione il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk nel corso del vertice di Kiev con il presidente ucraino Poroshenko, il quale aveva chiesto all’Unione Europea il sostegno armato contro i ribelli del Donbass. Apertura, invece, per quanto riguarda l’accesso all’Ue: “Entro i prossimi cinque anni potremmo raggiungere i requisiti necessari”.

Intervistato proprio su quest’ultimo punto il 21 aprile scorso da La Repubblica, il premier ucraino Arsenij Yatseniuk aveva constatato come questa ipotesi “abbia causato le offensive di Putin e dei filorussi nell’est dell’Ucraina. La nostra guerra civile ci è costata 1800 soldati e 6000 civili morti dal 2014. Inoltre, i separatisti non stanno rispettando il cessate il fuoco”.

Ma la situazione sta precipitando, a dispetto degli accordi di Minsk, a partire dalla capitale Kiev. Nei giorni scorsi, infatti, tre giornalisti vicini alle posizioni russe, Oles Buzina, Sergej Sukhobok e Oleg Kalashnikov sono stati uccisi. E le reazioni non si sono fatte attendere. Se Vladimir Putin ha bollato i fatti come “omicidi politici”, molti oligarchi e personaggi pubblici ucraini hanno incredibilmente festeggiato di fronte a questa notizia.

Giacomo Pratali

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Migranti: vertice Renzi-Ban Ki Moon

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Il premier italiano in pressing sul Segretario Generale Onu per un’operazione di polizia internazionale contro i barconi provenienti dalla Libia.

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“Fermare i trafficanti di esseri umani per evitare una catastrofe umanitaria è un’assoluta priorità su cui contiamo di avere il sostegno delle Nazioni Unite”. Si è espresso così il premier italiano Matteo Renzi nel vertice a tre con il segretario Onu Ban Ki Moon e l’alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, insignita del mandato esplorativo per constatare se ci siano le condizioni o meno per un intervento militare contro i barconi. L’incontro, avvenuto a bordo della nave S. Giusto nel Canale di Sicilia, si è svolto dopo il Consiglio Europeo straordinario di giovedì 23 aprile.

La strage di migranti e i molti sbarchi previsti nei prossimi mesi (già 25mila persone sono arrivate in Italia dall’inizio del 2015) hanno reso questo incontro necessario. Soprattutto, dopo l’aumento dei fondi destinati all’operazione Triton, Renzi ha cercato di spingere, con il sostegno di partner come Francia, Gran Bretagna e Spagna, sulla questione dei respingimenti, in una sorta di “operazione di polizia internazionale” che vada a distruggere i barconi e catturi gli scafisti.

Sul luogo dell’incontro, scelto dal Primo Ministro italiano per fare “vedere fisicamente e plasticamente a Ban Ki Moon che cosa sta facendo l’Italia”, il Segretario Generale ha affermato che “la concentrazione di tutti sia su salvare le vite, inclusa l’area libica delle operazioni di ricerca e soccorso”, ma “la sfida” è “anche assicurare il diritto all’asilo del crescente numero di persone che in tutto il mondo scappano dalla guerra e cercano rifugio”.

Mentre sulla Libia, ha ribadito che”non ci sono alternative al dialogo. Il mio Rappresentante speciale, Bernardino Leon, e la sua squadra continuano a lavorare in maniera instancabile con le parti libiche coinvolte, per aiutarle ad arrivare insieme ad uno spirito di compromesso”, conclude Ban Ki Moon.

Giacomo Pratali

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Libia: Massolo, necessaria azione politica a guida internazionale

EUROPA di

Queste le conclusioni del convegno “Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo: strategie interne ed esterne”

“Agevolare la costituzione di un governo sentito come proprio dai libici stessi”, “lavorare con le fondamenta di questa società, ovvero le tribù” e “limitare le attività migratorie e di tipo terroristico”. Con queste frasi, pronunciate a conclusione del proprio intervento dall’Ambasciatore Giampiero Massolo, Direttore Generale del Servizio Informazioni per la Sicurezza, si possono riassumere le conclusioni del convegno “Il conflitto in Libia e la stabilità del Mediterraneo: strategie interne ed esterne”, organizzato dal Centro Studi Roma 3000 e svoltosi presso il Circolo Ufficiali Forze Armate a Roma giovedì 23 aprile. Ad aprire i lavori è stato lo stesso presidente del Centro Studi Alessandro Conte, mentre gli intervenuti al dibattito sono stati Pino Scaccia, giornalista e già inviato del Tg1, Andrew Spannaus, analista di politica internazionale e Direttore di Transatlantico, Alessandro Forlani, ex parlamentare e Presidente della Commissione Studi di Geopolitica del Centro Studi Roma 3000. A moderare la discussione, Francesco De Leo, giornalista e Direttore di Oltreradio.

La necessità di una soluzione politica e non militare è stato il leitmotiv che ha contraddistinto gli interventi. Nella parte dedicata al “Mediterraneo e le sfide alla sicurezza”, l’Ambasciatore Giampiero Massolo ha delineato un nuovo quadro geopolitico per gli Stati africani e mediorientali: “In termini di sicurezza, si sono moltiplicate le zone fuori controllo: i confini da stato a stato sono divenuti porosi, i gruppi armati si sono moltiplicati, è avvenuta una commistione tra attività criminale e attività terroristica. Questo ha portato a due conseguenze. Per prima cosa – prosegue -, la regionalizzazione di Al Qaeda, ancora più parcellizzata dalla nascita delle varie Ansar locali. In più, con la cronicizzazione dei conflitti in aree come Iraq e Siria, è venuto fuori il Daesh, conosciuto come Isis, un’organizzazione che ha avuto l’ambizione, fin da subito, di farsi Stato o, meglio, Califfato. È una minaccia nuova perché è una sfida asimmetrica, che vede un’organizzazione contro organismi statuali già esistenti, e al contempo simmetrica, dato che, avendo l’ambizione di divenire Stato, riceve finanziamenti e commercia petrolio. Inoltre, è un’organizzazione che è riuscita ad utilizzare a proprio vantaggio il nostro modello di propaganda mediatica e marketing”.

Per capire il caso e caos libico, occorre un’analisi globale del mondo islamico e una distinzione tra lotta per il predominio nel contesto sunnita e quella tra gli stessi sunniti e gli sciiti. Partendo da questo assunto, “la Libia – afferma il Direttore Generale del Servizio Informazioni per la Sicurezza – si inserisce in un contesto emblematico per tre motivi. Il primo è che il luogo dello scontro tra gli Stati che concepiscono l’Islam come politico (Qatar, Turchia) e Stati che non hanno questa visione (Egitto, Arabia Saudita). Il secondo riguarda lo scenario interno, ovvero prendere in considerazione non solo le tribù, ma anche nuove formazioni, come le milizie di Misurata, nel futuro assetto politico del Paese. Il terzo, infine, il conflitto terroristico, in cui i protagonisti sono lo Stato Islamico e Ansar Al-Sharia. Senza considerare questi tre livelli, rischiamo di travisare il fenomeno Libia”, conclude l’Ambasciatore Massolo.

Nell’analisi sulla “Libia, prima e dopo Gheddafi, le responsabilità occidentali nell’islamizzazione dell’area”, Pino Scaccia tratteggia, in qualità di testimone sul campo, i tratti salienti della parte finale del regime del Colonnello: “Fino a quando Gheddafi è rimasto al potere, la Libia è sempre stato un Paese laico e, anche se la gente non navigava nell’oro, non c’era disperazione. Tuttavia, esisteva il problema delle risorse: infatti, la rivalità storica tra Cirenaica e Tripolitania era acuita dal fatto che la prima avesse le risorse petrolifere, ma era la seconda a dettare legge in campo economico”.

E ancora: “Sono stato ospite cinque volte di Gheddafi. Nel suo ultimo periodo, aveva riacquistato credibilità internazionale ed era riuscito a rilanciare il turismo grazie anche all’aiuto degli americani. In più, non si faceva più chiamare “colonnello”, ma “fratello leader”. Quando gli chiedevo cosa significasse per lui la democrazia e come mai, nonostante parlasse di una Libia libera, il popolo non votasse mai, egli rispondeva che non ce n’era bisogno, che era lui stesso a consultarsi con i cittadini prima di prendere una decisione. Ovviamente, era tutto una farsa”.

La rivolta del 2011, responsabile della caduta del Rais, è stata di fatto pilotata: “La rivolta è montata nel giro di un anno – dichiara il cronista -. Muri El Mishari, Generale dell’esercito a capo del cerimoniale, è stata la carta vincente per i francesi. Egli si è recato a Parigi nell’ottobre 2010, un anno prima dell’uccisione di Gheddafi, dicendo di dovere fare delle cure mediche: in realtà, non si è più spostato da lì e ha poi condotto la rivolta dall’esterno”.

“Gli Shabab (“giovani”) – prosegue – non avevano i mezzi sufficienti a condurre in porto la rivoluzione e a sconfiggere il regime di Gheddafi: essi ci sono riusciti perché dietro avevano già i jihadisti e i servizi segreti di tutto il mondo. Di fatto, la rivolta è stata guidata dall’Emiro del Qatar, il quale aspira alla creazione di un grande soggetto statuale islamico, e supportata dall’Occidente. A fronte dei 1000 morti che vedevo nel telegiornale, a Bengasi non c’erano spari: questa dicotomia è stata architettata da Al Jazeera, network qatariota, responsabile di avere costruito la rivolta a tavolino. Inoltre, Sarkozy ha voluto probabilmente iniziare la guerra per evitare che si venisse a sapere che Gheddafi era stato uno dei finanziatori della sua campagna elettorale”.

Adesso, la Libia si configura come un rebus per la comunità internazionale, in special modo per l’Italia. Alla minaccia terroristica, le cronache dell’ultimo mese raccontano di un esodo migratorio imponente proveniente da Tripoli e al quale era stato posto rimedio dal “Trattato di Amicizia” tra Italia e Libia, siglato da Berlusconi e Gheddafi: “Quell’accordo è stato spazzato via dalla rivoluzione del 2011 – afferma Scaccia -. Allo stato attuale, non sono a favore di interventi militare o di blocchi navali. L’unica soluzione possibile è un accordo politico con la Libia, ma la sua instabilità istituzionale complica notevolmente questa prospettiva”, conclude l’ex inviato del Tg1.

Nell’analisi della “Libia tra alleanze regionali ed equilibri geopolitici globali”, Andrew Spannaus tratteggia due modus operandi all’interno della comunità internazionale: “Il primo al fianco dei gruppi estremisti, il secondo favorevole all’unità del Paese ed contro i jihadisti. Nel 2010, Parigi diviene la cabina di regia dove viene organizzata la rivolta libica. Anche Obama prende parte al conflitto, convinto dal “right to protect” portato avanti da una parte della sua Amministrazione democratica, e sostenuto da Hillary Clinton. La decisione d’intervenire, benchè la risoluzione 1973 delle Nazione Unite parli di “no fly zone” in Libia, è andata di fatto contro la Costituzione statunitense perché si è trattata di un’azione di guerra di cui non è stato chiesto il permesso al Congresso”.

Il Direttore di Transatlantico delinea le differenti politiche internazionali in gioco: “La politica estera di Obama ha cambiato direzione dopo i casi Siria, dove l’eliminazione di Assad non è più una priorità, e Iran, con il quale è stato sottoscritto l’accordo sul nucleare. Sul fronte arabo, invece, c’è la volontà dell’Arabia Saudita di creare un’unione transnazionale sunnita in chiave anti Iran. Al contempo c’è l’Egitto, partner dei sauditi, che si è messo in una situazione particolare dopo la decisione di Al Sisi di bombardare subito i Fratelli Musulmani. Questo ha causato malumori presso la comunità interazionale. Le Nazioni Unite, infatti, vorrebbero creare una grande alleanza internazionale, mentre l’azione militare egiziana va in direzione opposta”.

Nella prospettiva di un intervento guidato dall’Onu dobbiamo “saper distinguere e poterci fidare dei diversi gruppi con cui siamo chiamati ad interagire e a chi o cosa sono legati. Questo è un grosso ostacolo al nostro intervento in Libia per riportare stabilità. In più, nel mondo cresce il numero dei Paesi che vogliono collaborare con i Brics perché non si fidano più dell’Occidente. Questa nuova condizione potrebbe delinearsi come un’occasione per Stati Uniti ed Unione Europea”, precisa Spannaus.

Le conclusioni dei lavori, affidate alle parole dell’ex parlamentare e presidente della Commissione Studi di Geopolitica Alessandro Forlani, riguardano il possibile piano d’azione odierno, ma anche le lezioni che possiamo trarre dal passato: “Io, visto la generazione a cui appartengo, non ho un ricordo favorevole di Gheddafi. Dall’espulsione traumatica di molti connazionali non militari, passando per gli attentati e le uccisioni a Roma dei dissidenti, fino ad arrivare al caso di Ustica e alle incursioni economiche nelle nostre industrie e partecipate statali. Tuttavia, questo era un regime di enorme importanza strategica per l’Italia: basti pensare, ad esempio, all’Eni, arrivata in Libia prima che il Rais salisse al potere”.

“È evidente – ribadisce l’Onorevole – che sia avvenuta una forzatura nella ribellione del 2011 per indurre le potenze occidentali ad intervenire. Il caso libico, così come l’Iraq, ci insegna che l’abbattimento di una dittatura, mediante l’intervento della comunità internazionale, deve portare con sé la previsione di un nuovo gruppo dirigente che sostituisca il vecchio regime. È chiaro che i due governi presenti adesso non esauriscono le componenti politiche e tribali del Paese. La Libia è uno Stato disgregato che sta purtroppo seguendo le orme della Somalia”.

Il contesto politico-istituzionale libico pongono l’Italia e l’Unione Europea di fronte ad una sfida complicata: “L’Europa deve mettere in campo un apparato repressivo, sul modello di quanto avvenuto con la pirateria, e un piano di aiuti verso i rifugiati. Tuttavia, questi tipi di intervento possono essere fatti solo se dall’altra parte c’è un interlocutore istituzionale chiaro e affidabile. Va rafforzata, quindi, l’azione portata avanti in questi mesi da Bernardino Leon per la costituzione di un governo di unità nazionale. Il processo di un accordo tra le diverse componenti del mondo islamico e della comunità internazionale sarebbe necessario, ma richiede troppo tempo. Fino da oggi ritengo che sia necessaria una presenza in loco in aiuto ai migranti”, conclude Forlani.

Giacomo Pratali

Ue, immigrazione: più fondi ma è spaccatura su rifugiati

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Triplicate le risorse destinate alle operazioni Triton e Poseidon. Rimane la divisione sull’accoglienza dei richiedenti asilo.

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120 milioni di euro stanziati a Frontex per l’operazione Triton (quasi quanto quelli destinati a Mare Nostrum), aumento dell’area operativa e supporto logistico-navale all’Italia da parte dei Paesi del Nord Europa per agevolare il respingimento dei barconi provenienti dalla Libia. Nessun aiuto ad Italia, Grecia e Malta in materia di accoglienza dei rifugiati politici. No temporaneo ad un’azione militare diretta contro il porto di Tripoli. Questi i punti più rilevanti messi nero su bianco dal Consiglio Europeo straordinario, seguito prima da un vertice a quattro i leader di Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia, andato in scena giovedì 23 aprile a Bruxelles.

Le premesse di una vera politica unitaria a livello continentale in materia di contrasto all’immigrazione e al terrorismo erano state anticipate nei giorni scorsi prima dal meeting dei ministri degli Interni e degli Esteri dell’Ue, poi dall’annuncio della riunione del Consiglio Europeo dato dal presidente Donald Tusk a seguito della strage di domenica scorsa in cui sono deceduti almeno 800 naufraghi.

Ma la realtà è ben diversa. Gli interessi e i punti di vista diversi hanno fatto sì che tra l’Italia e Paesi come Gran Bretagna e Svezia non si arrivasse ad una vera politica unica. Proprio David Cameron, offertosi di inviare la nave Hms Bulwark nell’abito delle operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo, ha precisato di non volere accogliere nessun migrante. Mentre la cancelliera Angela Merkel ha aperto alle richieste di Roma, precisando tuttavia che «Svezia, Germania e Francia da sole accolgono il 75% dei rifugiati nell’Ue».

Insomma, l’accoglienza delle migliaia di migranti, che potrebbero attestarsi oltre le 20000 unità entro la fine del 2015, rimane su base volontaria. Renzi ha espresso soddisfazione per la volontà di collaborazione dei partner europei. Mentre, al momento, sembra essere rientrata la questione di un’azione militare contro il porto di Tripoli e con l’ausilio di droni: Merkel e lo stesso Primo Ministro italiano hanno ritenuto necessario, infatti, un pronunciamento delle Nazioni Unite su questa questione.

Ma la verità è che le differenze rimangono. Differenze che riguardano il giudizio degli Stati nordeuropei sull’operazione “Mare Nostrum” condotta dalla Marina Militare italiana e bollata come controproducente nella lotta all’immigrazione. E che influisce in maniera negativa sulla credibilità delle attuali Triton e Poseidon. Ma anche differenze per il futuro. Migranti, richiedenti asilo politico e terroristi provenienti non solo dalla Libia, ma dal resto dell’Africa e da parte dell’Asia sono di fatto le patate bollenti lasciate nelle mani della politica italiana.

Giacomo Pratali

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Europa e migranti all’ultima spiaggia

EUROPA di

“Senza speranza non è la realtà, ma il sapere che, nel simbolo fantastico o matematico, si appropria della realtà e così la perpetua” – da “Dialettica dell’Illuminismo”, T. Adorno-M. Horkheimer.

Di Chi parliamo quando parliamo di questi morti? Di Cosa parliamo quando parliamo di frontiere? Che fare? Come farlo?

Un mare di morti e di domande nei quali affoghiamo parole, sensi di colpa, fascismi latenti, xenofobie, xenofilie, valori laici o cristiani, realpolitik, analisi e cattedre che si scornano negli editoriali, emoticon con lacrimuccia nei commenti social, etc.

CHI? – Piu di 1000 morti in una settimana nel nostro Mediterraneo, il numero rimane impreciso. Impreciso perché, oggi, quelle persone sono un “dato tragico”. Sono circa vent’anni di sbarchi e più di 20mila morti nel tentativo di raggiungere le frontiere europee. Questo non basterà mai a fermare chi non ha nulla da perdere. “Dalle coste libiche sono pronti a partire circa 1milione di migranti”, sostiene oggi l’ONU, “ prevalentemente profughi siriani, i quali dovranno essere accolti in Europa nei prossimi 5 anni”. A fronte anche degli esibizionisti che giocano con certi istinti primari di sopravvivenza delle masse, modello Katie Hopkins nel Regno Unito, viene da riprendere le parole del Presidente della Croce Rossa Italiana: “Dove sono finiti gli appelli tipo Bring Back Our Girls?”, ha detto durante la conferenza stampa tenutasi ieri, a Catania, dove si accoglievano i 28 superstiti della strage del Canale di Sicilia. “Che senso hanno oggi gli appelli quando tocca salvare persone che fuggono da situazioni insostenibili come quelle?!”.

Frontiere – Si continua a parlare di “emergenza” sbarchi da anni, il che va a costituire un ossimoro data la costanza del fenomeno. Non si tratta più di emergenza, ma di flussi migratori stimati ogni anno. Un continente di persone che si muove in continuazione. Nel Mediterraneo si è cercato di far fronte a queste situazioni prima con Mare Nostrum e in seguito con Triton. Ma quali sono le differenze tra le due missioni che oggi si mettono a confronto?

Mare Nostrum era l’operazione italiana avviata il 18 ottobre 2013 all’indomani della strage di Lampedusa del 3 ottobre nella quale naufragarono 366 persone. La missione italiana vedeva impegnati Marina Militare, Guardia Costiera, Aeronautica, Guardia di Finanza. In particolare, la Marina partecipava con una nave anfibia (dotata di capacità ospedaliere e grandi spazi per accogliere i naufraghi), 2 corvette, 2 pattugliatori, due elicotteri, 3 aerei. Le navi d’altura si potevano spingere fino a ridosso delle coste libiche per soccorrere. Mare Nostrum si è conclusa il 31 ottobre 2014, accompagnando Triton fino alla fine dell’anno.

I numeri: 160mila persone soccorse; 366 scafisti consegnati alla giustizia; costo: 9,5milioni di euro al mese;

Triton è ufficialmente partita il 1 novembre 2014 ed è una missione europea, non più italiana. Dispiegata da Frontex, l’Agenzia Europea delle Frontiere, il suo mandato non è più soccorrere, ma operare il controllo delle frontiere, che è la mission istituzionale dell’Agenzia. Anche se, in caso di necessità, si operano interventi di ricerca e soccorso (Sar), per rispondere al suo mandato, le navi di Frontex si mantengono in un’area entro 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a Sud verso le coste libiche, come accadeva con i pattugliamenti di Mare Nostrum. Il budget mensile è di 2,9 milioni di euro, molto inferiore a Mare Nostrum, ma i mezzi impiegati sono due aerei, un elicottero, tre navi d’altura, quattro motovedette. A oggi, Triton ha salvato 6000 migranti.

Il conto non è matematicamente ostico da fare e sono comprensibili le polemiche sorte già da qualche mese e prevedibile la proposta del Primo Ministro Renzi di “ raddoppiare Triton”.

Che fare? Come farlo? – Lunedì, 20 aprile, la Commissione dell’UE si è accordata con i Ministri degli Esteri e degli Interni dell’Unione su dieci punti d’azione per far fronte al traffico di migranti via mare. Un azione prettamente di contrasto articolata come segue:

 1. L’Unione europea rafforzerà le operazioni di pattugliamento marittimo nel Mediterraneo, chiamateTritonPoseidon, con un aumento dei fondi e delle risorse. L’Ue estenderà inoltre il proprio raggio d’azione per pattugliare una più ampia area del Mediterraneo;  L’Ue farà “uno sforzo sistematico per confiscare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti”, utilizzando come modello l’operazione dell’Unione europea Atalanta contro la pirateria, in corso al largo delle coste della Somalia. 3. Le agenzie dell’Unione europea l’Ufficio europeo di polizia (Europol), l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex), l’Unità europea che si occupa della cooperazione tra autorità nazionali nella lotta contro la criminalità (Eurojust) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) si incontreranno regolarmente per raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti, tracciare i loro fondi e agevolare le indagini sulle loro attività; 4. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) dispiegherà squadre operative in Italia e in Grecia per l’elaborazione congiunta delle procedure per la concessione d’asilo; 5. I governi degli stati membri prenderanno le impronte digitali di tutti i migranti; 6. L’Unione europea considererà opzioni per “un meccanismo di ricollocazione d’emergenza per migranti; 7. La Commissione europea lancerà un progetto volontario pilota sul reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea; 8. L’Unione europea istituirà un nuovo programma per il rapido rimpatrio dei migranti “irregolari”, coordinato dall’agenzia dell’Ue Frontex; 9. L’Unione europea si impegnerà con i Paesi confinanti e la Libia attraverso uno sforzo congiunto della Commissione e del Servizio europeo per l’azione esterna; 10. L’Unione europea dispiegherà funzionari di collegamento dell’immigrazione all’estero per raccogliere informazioni di intelligence sui flussi migratori e per rafforzare il ruolo delle delegazioni dell’Unione.

Il piano accordato ha suscitato considerazioni delle più disparate nel mondo politico e mediatico: dal Ministro dell’Interno italiano, Alfano che sostiene l’eventualità  di “ bombardare i barconi” e ancora “se l’ONU ce lo dice, andremo in guerra in Libia” alle proteste infuocate dei sindaci che chiedono “piu risorse per la ricollocazione dei profughi in arrivo”. Matteo Renzi, ha chiesto a Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo una sessione straordinaria per discutere le misure da intraprendere e che oggi dovrà esporre la posizione dell’Italia, la più unitaria possibile.

In conclusione, c’’è chi da giorni sproloquia su eventuali “blocchi navali”, ignorandone il funzionamento pratico molto particolare.  Cosa si rischia nell’attuarlo in caso di navi stracolmi di migranti lo si potrebbe spiegare con un esempio facile-facile: il 28 marzo 1997, quando migravano gli albanesi, una motovedetta stracarica di uomini,donne e bambini fu speronata da una corvetta della Marina Militare, la Sibilla, in un tentativo di harassment (misure cinematiche di disturbo). Risultato: 81 morti e 27 i dispersi a tutt’oggi nel Canale d’Otranto.

Non solo, ma Santanchè e Salvini, i più “attivi” in questi giorni, dimenticano (?) che per i fatti avvenuti tra il 2008 e i 2011, quando governavano i rispettivi partiti e quando con Gheddaffi ci si accordava, l’Italia è stata condannata da Strasburgo per respingimenti illegittimi verso la Libia.

Più ripasso del Diritto Internazionale Marittimo, della Carta dei Diritti dell’Uomo e meno partite a Risiko per chi alza il tiro della polemica sterile

Sabiena Stefanaj
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