La jihad in salsa balcanica

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Gli ultimi arresti in Italia a seguito dell’operazione Balcan Connection portano quindi a valutare che un gruppo di albanesi e kosovari ha messo su un’organizzazione in Italia per reclutare combattenti per lo Stato Islamico. Lo rendono noto la Procura generale la quale si è concentrata su un gruppo chiamato “Spinners dei Blacani”. Reclutavano combattenti per l’Isis sulla rotta balcanica. E’ di arruolamento con finalità di terrorismo internazionale l’accusa con cui sono stati arrestati Alban ed Elvis Elezi, zio e nipote albanesi, bloccati in un’operazione della polizia coordinata dalla Procura di Brescia, in cui è stato catturato anche El Madhi Halili, un ventenne cittadino italiano di origine marocchina. Per lui l’accusa è di apologia di associazione con finalità di terrorismo internazionale, per un documento pro Califfato in italiano pubblicato sul web.

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Dietro l’arresto di Alban e Elvis c’è ancora la figura del ‘foreign fighter’ Anas El Abboubi, ventiduenne marocchino, ex studente in un istituto tecnico, di Vobarno, nel Bresciano, arrestato per terrorismo internazionale nel 2013, scarcerato dal Tribunale del riesame, e andato in Siria per unirsi a gruppi jihadisti.

Questa organizzazione ha fatto nascere cellule jihadiste che lavorano sul reclutamento prevalentemente in Italia, dove sono concentrati moltissimi migranti lavoratori di provenienza dai Balcani. Fino ad ora sono quattro le cellule individuate dagli investigatori tra Roma, Milano, Lucca e Siena.

A Roma pare operino con più inisistenza nella zona di Centocelle, quartiere popolare sito a est della capitale. Tanti “attivisti” o sospettati tali sono finiti sotto inchiesta perché risultano essere potenzialmente pericolosi e appartenenti alla fascia più estremista. Circa 150 gli albanesi dell’ Albania e del Kosovo saliti alla ribalta delle indagini anti terrorismo come jihadisti e combattenti per lo pseudo Califfato islamico in territorio siriano e iracheno. Un lavoro di reclutamento continuo e pericoloso che si sviluppa anche all’interno delle carceri tra detenuti. Due figure chiave del jihadismo in salsa balcanica sono Genc Balla e Bujar Hysa, autoproclamati imam che hanno concentrato la loro attività proprio mentre erano detenuti in Italia.

Secondo la Procura di Tirana, i due venivano finanziati da altre fonti site in Kosovo, Albania e Macedonia ed erano sostenuti da un altro personaggio, tal Ebu Usejd, proveniente da un’altra città albanese, Elbasan, il quale con il suo aiuto e quello di altri finanziatori ha facilitato l’operato di Balla e Hysaj reclutando e mandando combattenti dall’Italia.

A gennaio, dopo la strage della redazione satirica francese del Charlie Hebdo e quel che ne è conseguito nei giorni a seguire, si è tenuta la riunione dei ministri degli esteri dell’UE dove si è fatto il punto su quel che rappresenta la difficoltà maggiore nella lotta al terrorismo in territorio europeo, ovvero l’identificazione dei quartieri, delle aree più contaminate dalla propaganda jihadista e il monitoraggio continuo degli stessi.

Quella dei reclutati e reclutanti di origine balcanica è un’ulteriore realtà che si aggiunge con la stessa pericolosità dei jihadisti d’origine medio-orientale. Diversi sono i motivi. Prima di tutto la posizione favorevolissima alle porte d’Europa di questi paesi e la possibilità di viaggiare senza grandi difficoltà attraverso i Balcani verso la Siria. La propaganda jihadista punta a radicalizzare l’islam storicamente moderato, soprattutto in Albania, una popolazione mai dedita alle lotte religiose. L’identità albanese non è mai stata legata alla religione e in nome della stessa non si è combattuto. L’unico momento storico in cui si è fatto appello alle cosiddette radici cristiane è stato precisamente nel sec. XV quando sotto la guida dell’eroe nazionale albanese, Scanderbeg, ha avuto luogo la resistenza albanese contro gli invasori ottomani, musulmani quindi.

In Kosovo, Bosnia, Macedonia e, più generalmente, nelle popolazioni musulmane del territorio della ex Jugoslavia questa realtà è ben più importante. Qui la religione è stata intesa ben più radicale anche come effetto della guerra in Bosnia nei primissimi anni ’90, numerosi sono i gruppi wahabbiti che operano sui territori.

Il Presidente albanese, Nishani, ha dichiarato che l’attività terroristica non conosce confini, oramai. “ Siamo consapevoli che l’attività dei gruppi terroristici è iniziata in modo strutturato dal punto di vista ideologico e pratico dall’11 settembre 2001 dopo gli attentati alle Torri Gemelle a New York. In seguito si è allargata con la nascita di numerose organizzazioni. Gli ultimi sviluppi in Siria, Iraq e in Europa dimostrano che che questa attività terroristica non conosce, appunto, confini: ogni paese, ogni democrazia, ogni società e ogni cittadino si sentono sotto minaccia. E’ d’obbligo allora che nelle nostre istituzioni venga valutato questo pericolo alla nostra libertà e sicurezza, coordinando un’azione comune nel quadro delle alleanze”.

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Bookreporter Settembre

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