GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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ESTERI - page 8

Zelensky “Grato a Italia e Meloni per rafforzamento scudo aereo”

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ROMA (ITALPRESS) – “Ho parlato con Giorgia Meloni per congratularmi con l’Italia per aver assunto la presidenza del G7 e ringraziarla per il suo costante sostegno nel G7 e nel percorso di adesione dell’Ucraina all’Ue. Ho informato il primo ministro dei recenti attacchi di massa della Russia. Sono grato all’Italia e personalmente a Giorgia per la disponibilità a continuare a rafforzare lo scudo aereo dell’Ucraina. Un’ulteriore difesa aerea salva vite umane e sostiene la vita normale nelle nostre città”. Così su X il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Abbiamo anche discusso della produzione congiunta di difesa e del contributo che l’Ucraina e l’Italia possono dare nel rafforzare non solo le nostre due nazioni, ma l’intera Europa e la sicurezza globale. Abbiamo prestato particolare attenzione all’imminente incontro dei consiglieri per la Formula di Pace e al nostro lavoro congiunto sulle garanzie di sicurezza bilaterali per l’Ucraina”, ha concluso Zelensky.
Da parte sua, il premier Gorgia Meloni nel corso del colloquio telefonico esprimendo solidarietà per le vittime dei recenti bombardamenti russi su tutto il territorio ucraino, ha assicurato che il tema dell’aggressione russa all’Ucraina sarà al centro della Presidenza italiana del G7 e ha confermato il continuo sostegno in ogni ambito del Governo italiano alle Autorità ucraine con l’obiettivo di raggiungere una pace giusta e duratura.
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– Foto: Agenzia Fotogramma –

Esplosione vicino alla tomba di Soleimani in Iran, oltre 100 morti

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TEHERAN (ITALPRESS) – Un’esplosione è avvenuta nel cimitero di Qassem Soleimani nell’anniversario della sua uccisione. Secondo i media ufficiali iraniani l’esplosione è avvenuta vicino al cimitero della città meridionale di Kerman, durante una cerimonia che commemora l’uccisione del defunto comandante della forza Quds, il generale iraniano Soleimani. L’ufficiale iraniano è morto nel 2020 in un attacco di droni statunitensi all’aeroporto di Baghdad. Il bilancio delle vittime dell’attentato avvenuto nel cimitero di Karman, in Iran, è salito a oltre 100 morti e 171 feriti, secondo quanto riferiscono fonti locali.
Per le autorità iraniane si tratta di un attentato terroristico compiuto tramite l’esplosione di due buste cariche di esplosivo comandato a distanza, a circa 700 metri, posti in una zona che porta all’entrata del cimitero. La situazione di alcuni feriti è molto grave. Gli ospedali di Kerman sono in allerta e si preparano a trasferire feriti gravi a Teheran.
-foto Agenzia Fotogramma –
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Droni israeliani contro miliziani a Gaza e Cisgiordania

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TEL AVIV (ITALPRESS) – Le forze di sicurezza israeliane (IDF) hanno usato oggi dei droni armati per colpire i miliziani palestinesi attivi a Gaza e in Cisgiordania. L’IDF fornisce un aggiornamento mattutino sulla sua recente attività a Gaza e afferma che in una scuola a Khuza’a, nel sud di Gaza, le truppe della 5a Brigata abbiano trovato un tunnel. La brigata ha anche colpito diversi siti di Hamas nell’area, comprese posizioni di osservazione e di lancio di missili. L’esercito sostiene che le truppe della Brigata Givati hanno avvistato un agente di Hamas mentre tentava di piazzare un ordigno esplosivo su un carro armato israeliano a Khan Younis, nel sud di Gaza. Secondo l’IDF, le truppe hanno diretto un drone per colpire il miliziano. Sempre a Khan Younis, l’IDF afferma che le truppe della Brigata Kfir hanno diretto un attacco aereo su un impianto di produzione di armi appartenente alla Jihad islamica palestinese. Nel frattempo, nel nord di Gaza, l’IDF afferma che le truppe della Brigata Nahal hanno identificato una cellula di Hamas che utilizza droni nell’area dei quartieri Daraj e Tuffah di Gaza City, per osservare le forze israeliane.
La cellula è stata eliminata dall’attacco di un drone. In Cisgiordania inoltre l’IDF afferma di aver effettuato un attacco con droni contro un gruppo di uomini armati palestinesi durante un raid nel campo profughi di Nur Shams. Il raid antiterrorismo su larga scala vicino a Tulkarem è stato lanciato durante la notte. Finora le truppe israeliane hanno interrogato decine di sospetti e arrestato sei palestinesi ricercati. L’attacco con i droni è stato effettuato contro un gruppo di palestinesi che lanciavano ordigni esplosivi contro le truppe israeliane. L’IDF afferma che l’operazione è ancora in corso. A Qalqilya, l’esercito israeliano afferma di aver arrestato altri quattro palestinesi ricercati e sequestrato armi. Dal 7 ottobre, secondo l’IDF, le truppe hanno arrestato più di 2.570 palestinesi ricercati in Cisgiordania, tra cui più di
1.300 affiliati ad Hamas.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Aereo in fiamme a Tokyo dopo l’impatto con un altro velivolo. Cinque morti

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TOKYO (ITALPRESS) – Un aereo ha preso fuoco all’atterraggio sulla pista dell’aeroporto Haneda di Tokyo, in Giappone, dopo una collisione con un velivolo della Guardia costiera. Lo riferiscono i media giapponesi. Sono state evacuate le 379 persone a bordo dell’aereo di Japan Airlines. Sono morti cinque dei sei membri della Guardia costiera che erano a bordo del velivolo che si è scontrato con l’Airbus della Japan Airlines.
-foto Ipa Agency –
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Israele respinge la proposta di Hamas sugli ostaggi

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TEL AVIV (ITALPRESS) – Israele ha respinto una proposta avanzata dal gruppo palestinese di Hamas tramite i mediatori di Qatar e Egitto. A riferirlo questa mattina è il sito di notizie statunitense Axios, che cita due funzionari israeliani e una fonte informata. Attraverso i mediatori di Doha e del Cairo, Hamas ha presentato a Israele la proposta di un nuovo accordo di scambio per gli ostaggi. Le autorità dello Stato ebraico hanno respinto la proposta, ma una delle fonti israeliane ha fatto notare come l’offerta dimostra comunque come il gruppo palestinese sia pronto a impegnarsi in negoziati per un nuovo accordo, anche se i combattimenti a Gaza continuano. Hamas finora ha chiesto che Israele cessi i bombardamenti prima che il gruppo possa sedersi a un nuovo tavolo del negoziato.
-foto Agenzia Fotogramma –
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Forte scossa di terremoto di 7.1 in Giappone

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ROMA (ITALPRESS) – Un violento terremoto di magnitudo 7.1 è avvenuto in Giappone nella zona di Honshu, ad una profondità di 76 chilometri alle 8.10 italiane. Il sisma è stato preceduto da una scossa di 5.6 pochi minuti prima. C’è molta attenzione per la possibilità di uno tsunami che possa raggiungere le coste del Giappone.

Foto: Agenzia Fotogramma

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Usa 2024, nel male o nel caos Trump protagonista del futuro della democrazia

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di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Nel 2024 saranno diversi e importanti gli appuntamenti elettorali nel mondo delle democrazie, compreso quello per il rinnovo del Parlamento Europeo, ma nessuno avrà conseguenze su tutti gli altri come le elezioni negli Stati Uniti. L’atto finale del voto USA sarà il 5 novembre, ma già da gennaio inizia un percorso con insidie tali da poter compromettere la più longeva democrazia del mondo e, di conseguenza, la credibilità dello strumento di governo finora usato dalle nazioni più avanzate.
Questo accade perché Donald Trump si è ricandidato alla presidenza degli Stati Uniti. Cioè, colui accusato di aver attivamente partecipato, quando era ancora alla Casa Bianca, all’insurrezione del 6 gennaio 2021, mettendo in pericolo il Congresso e persino la vita dei legislatori americani che si accingevano a certificare l’avvenuta elezione di Joe Biden alla presidenza, potrebbe tornare ad essere l’uomo più potente del mondo.
Trump, a dispetto di quegli ultimi giorni di caos della sua presidenza, non solo si è ricandidato, ma risulta in testa a tutti i sondaggi che lo indicano ormai vincitore della nomination del partito repubblicano e con ottime chance anche di battere a novembre il candidato dei democratici, almeno se sarà ancora l’attuale presidente Joe Biden.
Alla vigilia del 2024, la nazione più potente del pianeta si ritrova con un dilemma: per mantenere la sua democrazia, il minore dei mali sarà rischiare l’eventuale vittoria di Trump – nonostante i timori che l’ex presidente possa instaurare un regime autoritario simile a quello vigente in Russia (dopotutto Putin è un “dittatore eletto”) –  oppure impedirne con le vie legali, la partecipazione alle elezioni, rischiando di compromettere la credibilità di tutto il sistema democratico e l’autorità di chiunque sarà eletto alla presidenza?
Sono pochissimi coloro che oggi esultano in America, soprattutto tra gli avversari di Trump, alle notizie sulla sua esclusione dalle liste elettorali delle primarie di certi Stati dell’Unione che, ci dicono, “applicano” la Costituzione. Prima il Colorado, poi anche il Maine, e chissà quanti tra gli altri 48 stati, pretendendo di rispettare il 14esimo emendamento della Costituzione, che vieta a un pubblico ufficiale che abbia giurato sulla costituzione e poi partecipato ad una insurrezione, di potersi candidare a qualsiasi carica elettiva. Almeno secondo il dibattito in corso tra molti costituzionalisti degli Stati Uniti, queste “esclusioni statali” non convincono sia come giusto processo legale (Trump non è stato ancora formalmente processato e condannato per “insurrezione”) sia come “opportunità” politica. A moltiplicare la confusione i maggiori network americani e gli editoriali sui maggiori giornali, in cui si ascoltano e si leggono da settimane esperti dando le più svariate interpretazioni.
Che fare? L’ex governatore del New Jersey, il siculo-americano Chris Christie, anche lui candidato alle primarie repubblicane, alla notizia che lo stato del Maine “vieterà” a Trump la candidatura, ha reagito con stizza, perché così ne farebbero “un martire”. Secondo Christie, Trump non vede l’ora di poter ripetere, “povero me, povero me”, e a pensarla così non è il solo. Anche l’ex stratega elettorale di Barack Obama, David Axelrod, ha ricordato sulla CNN che l’ascesa nei sondaggi elettorali di Trump è stata accelerata da ogni notizia su una sua nuova incriminazione. Già, “il vittimismo” di essere ostacolato dai “poteri forti”, continua a portare ondate di consenso a Trump.
Per trovare una via di uscita al dilemma di cui appare prigioniera la democrazia americana, bisogna porsi la domanda: perché Trump vuole tornare ad essere presidente?
E’ stato lo stesso Trump a rilanciare nel suo “Truth social” il risultato di un “poll”, in cui gli elettori rispondevano ad un simile quesito: quale è la parola che descrive meglio la ricandidatura di Trump? La parola più ripetuta dagli elettori è stata “revenge”, vendetta. La seconda, “dittatura”. Trump, come ripete nei comizi oltre a lanciarlo nei social, vuol tornare alla Casa Bianca per fargliela pagare a tutti i suoi nemici, a partire da Biden. Alla vigilia di Natale, sempre nel suo “Truth Social”, Trump ha scritto di augurarsi che tutti i suoi nemici “marciscano all’inferno!”.
Questa è la strategia di Trump il terribile, “terrorizzare” gli avversari? La vera motivazione per la sua candidatura, l’obiettivo finale sospettiamo sia un altro: aver capito che la via elettorale è la più efficace, o ormai l’unica rimasta per difendersi da quei processi che – lo sapeva già il giorno che perse le elezioni del 2020 – gli sarebbero caduti addosso.
La strategia di Trump e del team dei suoi avvocati appare quella di “ritardare” i processi, almeno quelli più importanti, fino alle elezioni e poi, una volta vinte, auto-perdonarsi.
Ma se il 45esimo presidente le elezioni del 2024 le perderà non giurando mai come 47esimo? Comunque la sua “ridiscesa in campo”, con tutte le tensioni e spaccature che ha creato, punterà al “perdono” presidenziale (qualunque il vincitore finale sia). E’ stata la stessa Nikki Haley, l’ex governatrice del Sud Carolina e ex ambasciatrice di Trump all’ONU, ormai ritenuta l’unica candidata in grado di poterlo ancora impensierire, a dichiaralo: se sarà lei a vincere la presidenza, “perdonerò Trump se sarà condannato, perché ciò farebbe gli interessi migliori del paese”. Crediamo che anche se il vincitore il 5 novembre dovesse essere Joe Biden (o persino Robert Kennedy jr), il “pardon” accadrebbe comunque per Trump. Così si potrebbero “calmare” i supporter “maga” arrabbiati per le eventuali “condanne” che avrebbero impedito al loro  “duce per un giorno” di vincere le elezioni…
Nel 2024, per il futuro della democrazia più longeva del mondo, sarà ancora una volta determinante il ruolo della Corte Suprema. I giudici supremi hanno già deciso chi sarebbe entrato o uscito dalla Casa Bianca. Nel 2000, fermando la riconta dei voti in Florida, decisero che sarebbe stato George W. Bush e non Al Gore ad entrare nello Studio Ovale. Nel 1974, quando votarono contro la pretesa di “privilegio esecutivo” di Richard Nixon durante lo scandalo del Watergate, consentendo che le registrazioni segrete carpite nell’ Ufficio Ovale fossero consegnate ad un tribunale federale, determinando le inevitabili dimissioni del presidente. Ora ai 9 giudici supremi verrà richiesto se l’ex presidente Trump debba essere escluso dalle elezioni, cioè dal giudizio del popolo “sacro” in democrazia.
Concludiamo con questa previsione: la Corte Suprema fermerà il caos sulle esclusioni dalle liste elettorali da parte degli Stati, iniziato dal Colorado e Maine e chissà da quanti altri. Ma, quando toccherà di decidere su l’immunità presidenziale richiesta da Trump per il processo federale contro di lui sui fatti del 6 gennaio che dovrebbe aprirsi a marzo, in cui il procuratore speciale Jack Smith accusa Trump di aver complottato per sovvertire il responso delle elezioni del novembre 2020 (accusandolo di cospirazione, manomissione di testimoni e cospirazione contro i diritti dei cittadini), la Corte Suprema lascerà che il processo proceda e che sia una giuria di cittadini a decidere.
Trump cercherà ancora di rallentare il corso della giustizia prima delle elezioni, ma i tempi ci sono per poter arrivare al verdetto prima del voto. Sarebbe la sua sconfitta definitiva? Dipende. Se condannato e il suo obiettivo era quello di minacciare il caos, “il perdono” già annunciato da Nikki Haley, sarà condiviso da chiunque vinca a novembre. Trump avrà quindi raggiunto il suo obiettivo, ma a non perdere ci sarebbe anche la democrazia più longeva del pianeta che, pur barcollando, potrà continuare ad esistere e sostenere tutte le altre.

– foto Agenzia Fotogramma –

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Usa, a Boston l’immobiliarista filantropo dal sangue siciliano

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BOSTON (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Immobiliarista, artista e filantropo: sono i tre aggettivi che definiscono Charlie Zammuto, un imprenditore italoamericano orgoglioso delle sue origini siciliane che a Boston ha scelto la propria pittura come strumento di caratterizzazione dei condomini di lusso che costruisce e vende.
Charlie è orgoglioso del suo sangue siciliano. “I miei nonni sono arrivati in America da Palermo e da Catania. Uno di loro era il proprietario dell’Italian American Printing, la stamperia di diversi organi di informazione per gli italiani della West Coast. L’altro invece era uno chef molto rinomato per i suoi manicaretti”, racconta Charlie mentre, seduto a uno dei tavoli di Premiere on Broadway, il ristorante italiano di uno dei lussuosi complessi edilizi che Zammuto ha da poco realizzato tra Medford e Somerville, accarezza il suo cane corso. “Playbill on Broadway” è un condominio con una biblioteca, una sala cinema e perfino un biliardo le cui aree comuni sono impreziosite da decine di dipinti in acrilico realizzati da questo estroso cinquantatreenne Siculo-americano, tutti dedicati ai più grandi successi del cinema e del Musical americano di Broadway.
Di questi condomini Charlie ne ha costruiti “una cinquantina nel raggio di cinquanta chilometri”. Hanno rappresentato elementi di forte riqualificazione urbana delle aree in cui sono stati realizzati. Gli appartamenti sono andati a ruba tra professionisti, professori di Harvard e manager delle blue chips. E tutti sono a tema. Ad esempio, uno ospita una serie di dipinti dedicati ai cartoni animati di tutti i tempi. Zammuto ha scoperto la sua vena artistica da alcuni anni, ed è inarrestabile nel creare nuove tele. “Di giorno lavoro e di notte non dormo: dipingo. Non riesco a stare senza fare nulla e voglio che tutti gli immobili che realizzo abbiano un tema che si identifichi chiaramente con i miei dipinti”, dice orgoglioso questo padre di tre figli che nella vita ha iniziato da imbianchino e ora ha nel suo garage una notevole collezione di supercar, tra Ferrari e Lamborghini, “tutte rigorosamente italiane”. L’arte, la musica e il lavoro sono i leitmotiv di questo uomo che da ragazzo venne espulso dalla scuola che frequentava. “A quel punto ho capito che se volevo riuscire nella vita non potevo fare altro che lavorare sodo: se hai da fare non puoi metterti nei guai…”, racconta mentre nel ristorante dei facchini portano gli strumenti di una delle band che ogni sera vi si esibiscono.
Quando non costruisce immobili e non dipinge, Charlie fa del bene. A Medford ha dato una sede per riunirsi ed incontrarsi ai “Sons of Italy”, una delle più antiche associazioni no profit di italoamericani. “Stava per sparire un punto di riferimento per la comunità italoamericana a Medford: mi è sembrato giusto fare qualcosa per mantenere viva una tradizione”, dice. Zammuto non parla, ma lo fanno invece tanti tra Medford e Somerville, del bene che fa, specialmente a sostegno dei ragazzi meno fortunati ed abbienti delle zone in cui costruisce i suoi palazzi di lusso. Per loro ha realizzato campi da gioco, ed organizza nelle scuole pubbliche attività perché riescano negli studi.

– Foto Francesco Bongarrà –

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Sparatoria all’Università di Praga, 14 vittime

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PRAGA (REPUBBLICA CECA) (ITALPRESS) – Sparatoria nella facoltà di Belle Arti e di Filosofia dell’Università Karlova, nel centro di Praga. Il bilancio provvisorio è di 14 morti e 25 feriti. Secondo la polizia l’uomo che ha sparato è stato “neutralizzato”, si tratterebbe di un 24enne, David Kozak, studente dello stesso ateneo. La struttura è stata evacuata, così come l’intera piazza Jan Palach.

“L’Italia intera ha appreso con profonda tristezza la notizia della sparatoria che ha sconvolto l’università di Praga, provocando diverse vittime e numerosi feriti”. E’ quanto ha scritto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio a Petr Pavel, presidente della Repubblica Ceca. “In questa luttuosa circostanza desidero farle giungere le espressioni del più sentito cordoglio della repubblica italiana e mio personale. Siamo vicini con sentimenti di partecipe solidarietà al dolore delle famiglie sconvolte da un gesto di così brutale violenza e auguriamo ai feriti un pronto e completo ristabilimento”.

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha inviato un messaggio al primo ministro della Repubblica Ceca, Petr Fiala, in cui esprime “il più sentito cordoglio alle famiglie delle vittime della sparatoria avvenuta a Praga, la vicinanza ai feriti e a tutta la popolazione della Repubblica Ceca”. Meloni ribadisce “la più ferma condanna di ogni forma di violenza, fanatismo e terrorismo, evidenziando che l’Europa ha il dovere di reagire e rafforzare ogni strumento utile a garantire la massima sicurezza dei cittadini”.

“Desidero esprimere le sincere condoglianze mie personali e del Senato della Repubblica alle famiglie delle vittime della sparatoria avvenuta oggi, all’Università Carolina nel centro di Praga. Il mio, nostro affettuoso pensiero, va inoltre ai tanti feriti con l’augurio che possano presto riprendersi”. Così il Presidente del Senato Ignazio La Russa.

“L’attentato avvenuto a Praga lascia tutti noi sgomenti. Giungano alle famiglie delle vittime, tra cui diversi giovani, le più sentite condoglianze e ai feriti l’augurio di una pronta guarigione. A nome mio personale e della Camera dei deputati, rivolgo al popolo e alle Istituzioni della Repubblica Ceca le espressioni del più profondo cordoglio e i sentimenti di solidarietà e vicinanza”. Lo dichiara il Presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana.

La Farnesina e l’Ambasciata italiana a Praga monitorano l’evoluzione degli eventi nella capitale ceca, in raccordo con le autorità locali. Subito informato, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sta seguendo gli sviluppi. Lo rende noto via X la Farnesina, che per segnalazioni invita a contattare l’Unità di Crisi e a visitare il sito Viaggiare Sicuri.

“Sono drammatiche le immagini che arrivano dall’Università di Praga, teatro di una sparatoria. Al momento si contano almeno quindici morti accertati e ventiquattro feriti, tra cui tanti giovani. Una preghiera per le vittime, con la speranza che il bilancio non si aggravi. Ci stringiamo commossi a tutto il popolo della Repubblica Ceca e ribadiamo il nostro totale disprezzo, senza se e senza ma, a ogni forma di terrorismo”, scrive su Instagram il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini.

– Foto Pexels.com –

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Democrazia in bilico, dall’America scosse che annunciano il “Big One”

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di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Dappertutto nel mondo si avvertono gli scossoni politici che ormai danno l’impressione di annunciare una nuova epoca per le nazioni democratiche. Gli Stati Uniti non solo non ne sono immuni, ma quello avvenuto ormai due anni fa, con l’assalto al Congresso da parte di una folla “insurrezionista” il 6 gennaio 2021, ha confermato che è proprio in America l’epicentro da dove si propagano le scosse. Ma quelle di due anni fa, a sua volte arrivate dopo il primo grande terremoto politico del novembre 2016 – anno dell’elezione di Trump – non erano state delle scosse di assestamento. Semmai, erano le premonitrici del “Big One”, del sisma capace di far crollare il sistema su cui si basa la più longeva democrazia del mondo. E questo sia se Donald Trump – ormai sospettato di voler tornare al governo per instaurare una dittatura – riesca o meno a essere rieletto alla carica di presidente.
La decisione della Corte Suprema del Colorado di escludere Trump dalle primarie repubblicane a causa del 14esimo emendamento della Costituzione, ha allargato la spaccatura di un elettorato degli Stati Uniti già iperpolarizzato. Sia gli esperti che la massa degli elettori, sono divisi in tre correnti principali: una crede che sia un dovere escludere Trump dalle elezioni perché è rispettando la Costituzione che si salva il pilastro che tiene in piedi la democrazia (ne fanno parte i maggiori costituzionalisti e l’elite del partito democratico); un’altra crede invece che sarebbe gravissimo escludere Trump, perché la Costituzione verrebbe così “malignamente” interpretata e inoltre in nessuna corte di tribunale è stato ancora provato che l’ex presidente, quando era alla Casa Bianca, abbia organizzato e partecipato all’insurrezione del 6 gennaio (di questa corrente di pensiero ne fanno parte i maggiori esponenti repubblicani al Congresso, tra cui lo speaker Mike Johnson); infine una terza corrente, che sceglie “il minore dei mali”.
Ne fanno parte i maggiori avversari di Trump per le primarie del partito repubblicano, Nikki Haley e Ron De Santis (e aggiungiamo, almeno per la corsa nel New Hampshire, Chris Christie) che sembrano voler sostenere che, anche se la Costituzione permette di escludere l’ex presidente dalle elezioni, non “convenga” alla democrazia impedirgli di partecipare: meglio che Trump sia fermato dalla scelta degli elettori e non dai giudici, altrimenti le conseguenze sulla legittimità del sistema democratico americano sarebbero incalcolabili…
Sarà la Corte Suprema chiamata a sciogliere il dilemma su cosa “convenga” al mantenimento della democrazia in America? Decidere cioè se in questo caso, aiuti più la democrazia già sopravvissuta anche ad una guerra civile, applicare la legge “alla lettera” della Costituzione – come di solito auspicano i giudici conservatori – o invece questa volta essere più “flessibili” per evitare una rottura fatale?
Anche se la Corte Suprema può dare una forte spinta all’evoluzione degli eventi sul peso del 14esimo emendamento nelle prossime elezioni, ci sono altre decisioni in sospeso capaci di forti conseguenze. Come quella se sia legittimo o meno poter processare Trump per il 6 gennaio 2021, come sta facendo lo speciale procuratore federale Jack Smith, tutte questioni che aggiungeranno altre “scosse” in preparazione del “big one”. (La decisione è se per certi crimini che Trump avrebbe commesso da presidente, da ex presidente perda le sue immunità…)
I padri fondatori degli Stati Uniti non crearono la Corte Suprema per diventare il plotone d’esecuzione della scelta elettorale dei cittadini per la Casa Bianca. Infatti poche volte è stata costretta, sua malgrado, a “scegliere” per loro. Quella più conosciuta e ricordata, è quando bloccando la riconta dei voti in Florida, decise per la vittoria di G. W. Bush su Al Gore. La meno conosciuta, ma pur sempre decisiva, fu quando i nove giudici supremi decisero, il 24 luglio del 1974, contro la richiesta di Richard Nixon di poter mantenere l’“executive privilege” per tenere segreti i nastri registrati nello Studio Ovale sul “Watergate”, provocando così le inevitabili dimissioni del presidente prima che fosse il Congresso a defenestrarlo.
Ma nella Costituzione degli USA i padri fondatori scrissero chi poteva partecipare e chi no alle elezioni. E poi, con il 14esimo emendamento (approvato il 9 luglio 1868) il Congresso decise anche di vietare la candidatura presidenziale a chi, dopo aver giurato sulla Costituzione, aveva partecipato (o “aiutato e confortato”) una insurrezione contro gli Stati Uniti. Toccherà ancora alla Corte Suprema – accettando o meno di prendere il caso dell’esclusione di Trump in Colorado – di prendersi la responsabilità di decidere se l’ex presidente potrà essere un contendente per la Casa Bianca? In questo caso nemmeno il suo “sì” o “no” potrà essere decisivo, anche se sicuramente avrà un impatto. Negli USA infatti non esiste un sistema elettorale unico federale ma ben 50 sistemi governati dalle 50 legislature statali, con non poche differenze per ogni Stato. La Costituzione federale degli Stati Uniti è stata tutta fondata sulla “tensione” autonomista degli Stati, che restano gelosi delle loro prerogative. Quindi, anche se la Corte Suprema non “annullasse” la decisione del Colorado e decidesse semplicemente di non occuparsene, ciò non escluderebbe Trump dalla corsa negli altri Stati, che decideranno autonomamente se seguire o meno l’esempio “esclusivista” affermato dai giudici supremi del “Montain State”.
Nella decisione che prenderà la Corte Suprema su Trump e il 14esimo emendamento, potrebbero pesare anche le potenziali conseguenze su altre cariche pubbliche elettive degli Stati Uniti. Pensiamo a quella “pesantissima” di Mike Johnson, speaker della Camera. Già, anche il congressman della Louisiana deve partecipare alle elezioni di novembre 2024, ma anche lui potrebbe essere accusato di aver avuto “parte attiva” all’insurrezione del 6 novembre, e di aver “aiutato e confortato” gli insurrezionisti… Quanti altri sono i congressman e senatori che potrebbero subire la stessa sorte? La democrazia americana resta in bilico in attesa della scossa del “big one”, prevista nel novembre 2024. Per questo l’America si interrogherà in questi mesi se sia “un bene o un male” quando i giudici, supremi o statali che siano, seguano e facciano rispettare “alla lettera” la legge, facendo rimanere “accountable”, cioè responsabile delle sue azioni, il 45esimo presidente. La democrazia americana è davanti al bivio e il percorso che deciderà di intraprendere da qui al novembre 2024, determinerà l’intensità delle scosse dell’atteso “big one”. Queste, siatene certi, si avvertiranno in tutta la loro potenza, anche nelle democrazie della vecchia e fragile Europa.
(ITALPRESS).

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