Democrazia in bilico, dall’America scosse che annunciano il “Big One”

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di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Dappertutto nel mondo si avvertono gli scossoni politici che ormai danno l’impressione di annunciare una nuova epoca per le nazioni democratiche. Gli Stati Uniti non solo non ne sono immuni, ma quello avvenuto ormai due anni fa, con l’assalto al Congresso da parte di una folla “insurrezionista” il 6 gennaio 2021, ha confermato che è proprio in America l’epicentro da dove si propagano le scosse. Ma quelle di due anni fa, a sua volte arrivate dopo il primo grande terremoto politico del novembre 2016 – anno dell’elezione di Trump – non erano state delle scosse di assestamento. Semmai, erano le premonitrici del “Big One”, del sisma capace di far crollare il sistema su cui si basa la più longeva democrazia del mondo. E questo sia se Donald Trump – ormai sospettato di voler tornare al governo per instaurare una dittatura – riesca o meno a essere rieletto alla carica di presidente.
La decisione della Corte Suprema del Colorado di escludere Trump dalle primarie repubblicane a causa del 14esimo emendamento della Costituzione, ha allargato la spaccatura di un elettorato degli Stati Uniti già iperpolarizzato. Sia gli esperti che la massa degli elettori, sono divisi in tre correnti principali: una crede che sia un dovere escludere Trump dalle elezioni perché è rispettando la Costituzione che si salva il pilastro che tiene in piedi la democrazia (ne fanno parte i maggiori costituzionalisti e l’elite del partito democratico); un’altra crede invece che sarebbe gravissimo escludere Trump, perché la Costituzione verrebbe così “malignamente” interpretata e inoltre in nessuna corte di tribunale è stato ancora provato che l’ex presidente, quando era alla Casa Bianca, abbia organizzato e partecipato all’insurrezione del 6 gennaio (di questa corrente di pensiero ne fanno parte i maggiori esponenti repubblicani al Congresso, tra cui lo speaker Mike Johnson); infine una terza corrente, che sceglie “il minore dei mali”.
Ne fanno parte i maggiori avversari di Trump per le primarie del partito repubblicano, Nikki Haley e Ron De Santis (e aggiungiamo, almeno per la corsa nel New Hampshire, Chris Christie) che sembrano voler sostenere che, anche se la Costituzione permette di escludere l’ex presidente dalle elezioni, non “convenga” alla democrazia impedirgli di partecipare: meglio che Trump sia fermato dalla scelta degli elettori e non dai giudici, altrimenti le conseguenze sulla legittimità del sistema democratico americano sarebbero incalcolabili…
Sarà la Corte Suprema chiamata a sciogliere il dilemma su cosa “convenga” al mantenimento della democrazia in America? Decidere cioè se in questo caso, aiuti più la democrazia già sopravvissuta anche ad una guerra civile, applicare la legge “alla lettera” della Costituzione – come di solito auspicano i giudici conservatori – o invece questa volta essere più “flessibili” per evitare una rottura fatale?
Anche se la Corte Suprema può dare una forte spinta all’evoluzione degli eventi sul peso del 14esimo emendamento nelle prossime elezioni, ci sono altre decisioni in sospeso capaci di forti conseguenze. Come quella se sia legittimo o meno poter processare Trump per il 6 gennaio 2021, come sta facendo lo speciale procuratore federale Jack Smith, tutte questioni che aggiungeranno altre “scosse” in preparazione del “big one”. (La decisione è se per certi crimini che Trump avrebbe commesso da presidente, da ex presidente perda le sue immunità…)
I padri fondatori degli Stati Uniti non crearono la Corte Suprema per diventare il plotone d’esecuzione della scelta elettorale dei cittadini per la Casa Bianca. Infatti poche volte è stata costretta, sua malgrado, a “scegliere” per loro. Quella più conosciuta e ricordata, è quando bloccando la riconta dei voti in Florida, decise per la vittoria di G. W. Bush su Al Gore. La meno conosciuta, ma pur sempre decisiva, fu quando i nove giudici supremi decisero, il 24 luglio del 1974, contro la richiesta di Richard Nixon di poter mantenere l’“executive privilege” per tenere segreti i nastri registrati nello Studio Ovale sul “Watergate”, provocando così le inevitabili dimissioni del presidente prima che fosse il Congresso a defenestrarlo.
Ma nella Costituzione degli USA i padri fondatori scrissero chi poteva partecipare e chi no alle elezioni. E poi, con il 14esimo emendamento (approvato il 9 luglio 1868) il Congresso decise anche di vietare la candidatura presidenziale a chi, dopo aver giurato sulla Costituzione, aveva partecipato (o “aiutato e confortato”) una insurrezione contro gli Stati Uniti. Toccherà ancora alla Corte Suprema – accettando o meno di prendere il caso dell’esclusione di Trump in Colorado – di prendersi la responsabilità di decidere se l’ex presidente potrà essere un contendente per la Casa Bianca? In questo caso nemmeno il suo “sì” o “no” potrà essere decisivo, anche se sicuramente avrà un impatto. Negli USA infatti non esiste un sistema elettorale unico federale ma ben 50 sistemi governati dalle 50 legislature statali, con non poche differenze per ogni Stato. La Costituzione federale degli Stati Uniti è stata tutta fondata sulla “tensione” autonomista degli Stati, che restano gelosi delle loro prerogative. Quindi, anche se la Corte Suprema non “annullasse” la decisione del Colorado e decidesse semplicemente di non occuparsene, ciò non escluderebbe Trump dalla corsa negli altri Stati, che decideranno autonomamente se seguire o meno l’esempio “esclusivista” affermato dai giudici supremi del “Montain State”.
Nella decisione che prenderà la Corte Suprema su Trump e il 14esimo emendamento, potrebbero pesare anche le potenziali conseguenze su altre cariche pubbliche elettive degli Stati Uniti. Pensiamo a quella “pesantissima” di Mike Johnson, speaker della Camera. Già, anche il congressman della Louisiana deve partecipare alle elezioni di novembre 2024, ma anche lui potrebbe essere accusato di aver avuto “parte attiva” all’insurrezione del 6 novembre, e di aver “aiutato e confortato” gli insurrezionisti… Quanti altri sono i congressman e senatori che potrebbero subire la stessa sorte? La democrazia americana resta in bilico in attesa della scossa del “big one”, prevista nel novembre 2024. Per questo l’America si interrogherà in questi mesi se sia “un bene o un male” quando i giudici, supremi o statali che siano, seguano e facciano rispettare “alla lettera” la legge, facendo rimanere “accountable”, cioè responsabile delle sue azioni, il 45esimo presidente. La democrazia americana è davanti al bivio e il percorso che deciderà di intraprendere da qui al novembre 2024, determinerà l’intensità delle scosse dell’atteso “big one”. Queste, siatene certi, si avvertiranno in tutta la loro potenza, anche nelle democrazie della vecchia e fragile Europa.
(ITALPRESS).

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