GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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ESTERI - page 7

William Lai nuovo presidente di Taiwan, “Ha vinto la democrazia”

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TAIPEI (TAIWAN) (ITALPRESS) – William Lai, autonomista del Partito Democratico Popolare, con circa il 40,2% dei voti, ha vinto le elezioni ptresidenziali a Taiwan. Hou Yu-Ih, candidato dei nazionalisti filo cinesi, ha ammesso la sconfitta.
A votare negli oltre 18mila seggi sono stati chiamati 19,3 milioni di elettori per elezioni che potrebbero ridefinire i rapporti tra Taipei e Pechino. Secondo le prime indicazioni, le elezioni dovrebbero aver registrato un’affluenza record, almeno oltre il 70%. Ma se Lai Lai vince le presidenziali, il Partito democratico progressista perde la maggioranza assoluta allo Yuan legislativo, il parlamento dell’isola. A scrutinio non ancora ultimato, infatti, dovrebbe avere 34 seggi, contro i 32 dei nazionalisti del Kmt. Quindi è possibile che Dpp e Kmt si trovino entrambi sopra quota 40, lasciando al Tpp – la terza forza politica – una decina di seggi con una sorta di potere di veto su ogni provvedimento. “Abbiamo mostrato al mondo quanto abbiamo a cuore la democrazia. Voglio ringraziare il popolo taiwanese per aver scritto un nuovo capitolo nella nostra democrazia. Questo è il nostro impegno incrollabile. Taiwan ha ottenuto una vittoria in nome delle democrazie”, ha detto William Lai rivolgendosi ai suoi sostenitori al quartier generale della campagna elettorale del Dpp. “Solo il popolo di Taiwan ha il diritto di scegliere il proprio presidente, confidiamo in questo”, ha aggiunto, assicurando comunque di essere “determinato a salvaguardare Taiwan dalle continue minacce e intimidazioni da parte della Cina” e lavorare per mantenere lo status quo tra le due sponde dello Stretto di Taiwan. Quindi ha spiegato che la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan “sono una responsabilità importante. Useremo il dialogo per sostituire il confronto negli scambi con la Cina”.
(ITALPRESS).
– Foto: fermo immagine video Rai –

Usa e Regno Unito bombardano basi dei ribelli Houthi in Yemen. Palazzo Chigi “L’Italia è con gli alleati”

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ROMA (ITALPRESS) – Le forze statunitensi e quelle britanniche di stanza nel Mar Rosso hanno bombardato nella notte più di 60 obiettivi in 16 siti utilizzati dai ribelli Houthi sostenuti dall’Iran nello Yemen. Lo hanno fatto con un massiccio attacco per ritorsione, utilizzando missili Tomahawk lanciati da navi da guerra e aerei da combattimento. Gli obiettivi militari colpiti includevano hub logistici, sistemi di difesa aerea e depositi di armi. Gli attacchi di oggi hanno preso di mira una base aerea, aeroporti e un campo militare, ha detto la stazione televisiva Al-Masirah dei ribelli Houthi. “Il nostro Paese è stato sottoposto a un massiccio attacco da parte di navi, sottomarini e aerei da guerra americani e britannici”, ha detto il vice ministro degli Esteri Houthi, Hussein Al-Ezzi, secondo i media ufficiali dei ribelli. “L’America e la Gran Bretagna dovranno prepararsi a pagare un prezzo elevato e a sopportare tutte le terribili conseguenze di questa palese aggressione”, ha affermato.
Il comando centrale degli Stati Uniti ha descritto gli attacchi militari contro i siti Houthi come un “successo” in una dichiarazione di venerdì mattina. Il comando centrale degli Stati Uniti ha affermato di ritenere gli Houthi sostenuti dall’Iran responsabili degli attacchi alle navi internazionali nelle ultime settimane. Questi attacchi miravano a minare la capacità degli Houthi di effettuare ulteriori attacchi. Sessanta obiettivi in 16 località Houthi sono stati colpiti da più di 100 munizioni a guida di precisione. “Riteniamo i militanti Houthi e i loro destabilizzanti sponsor iraniani responsabili degli attacchi illegali, indiscriminati e sconsiderati alle navi internazionali che hanno avuto finora un impatto su 55 nazioni, mettendo in pericolo la vita di centinaia di marinai, compresi gli Stati Uniti”, ha affermato il Generale Michael Erik Kurilla, comandante dell’USCENTCOM.Gli attacchi hanno coinvolto aerei da combattimento e missili Tomahawk, ha affermato il comando centrale delle forze aeree statunitensi. “Oggi, sotto la mia direzione, le forze militari statunitensi – insieme al Regno Unito e con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi – hanno condotto con successo attacchi contro una serie di obiettivi nello Yemen utilizzati dai ribelli Houthi per mettere in pericolo la libertà di navigazione in Yemen. uno dei corsi d’acqua più vitali del mondo”, ha detto il presidente statunitense, Joe Biden in una dichiarazione. I giornalisti nella capitale dello Yemen, Sana’a, hanno sentito quattro esplosioni all’alba di oggi ma non hanno visto alcun segno di aerei da guerra. Due residenti di Hodieda, Amin Ali Saleh e Hani Ahmed, hanno detto di aver sentito cinque forti esplosioni. Hodieda si trova sul Mar Rosso ed è la più grande città portuale controllata dagli Houthi. Gli attacchi hanno segnato la prima risposta militare degli Stati Uniti a quella che è stata una persistente campagna di attacchi con droni e missili contro navi commerciali dall’inizio del conflitto Israele-Hamas.
L’assalto militare coordinato arriva appena una settimana dopo che la Casa Bianca e i paesi partner hanno lanciato un ultimo avvertimento agli Houthi affinché cessino gli attacchi o affrontino una potenziale azione militare. Sembra che l’avvertimento abbia avuto almeno un impatto di breve durata, poiché gli attacchi si sono fermati per diversi giorni. Martedì scorso, tuttavia, i ribelli Houthi hanno lanciato la loro più grande offensiva con una raffica di droni e missili contro le navi nel Mar Rosso, navi statunitensi e britanniche. I caccia Usa hanno quindi hanno risposto abbattendo 18 droni, due missili da crociera e un missile antinave.

In serata è arrivata la presa di posizione di Palazzo Chigi. “L’Italia condanna con fermezza i ripetuti attacchi degli Houthi a danno di navi mercantili nel Mar Rosso e conferma il proprio deciso sostegno al diritto di libera e sicura navigazione, in linea con le norme Internazionali. A fronte del comportamento inaccettabile degli Houthi, l’Italia sostiene le operazioni dei Paesi alleati, che hanno il diritto di difendere le proprie imbarcazioni, nell’interesse dei flussi commerciali globali e dell’assistenza umanitaria”. “L’Italia – si legge – accoglie con favore l’approvazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2722 (2024) del 10 gennaio 2024 e sostiene pienamente gli sforzi dei Paesi membri delle Nazioni Unite per assicurare la libera e sicura navigazione nelle acque del Mar Rosso”. “Sono da condannare le ripetute violazioni dell’embargo di armi stabilito dalla Risoluzione 2216 (2016) e si fa appello a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite affinché le restrizioni imposte siano rispettate. È essenziale – conclude la nota – garantire la sicurezza del Mar Rosso, prevenendo e contrastando azioni di destabilizzazione che non sono nell’interesse né degli attori locali, né della comunità internazionale. È fondamentale evitare un ulteriore innalzamento del livello di tensione nella regione”.

– foto pexels.com –

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Nuove incursioni israeliane in Cisgiordania

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TEL AVIV (ITALPRESS) – Le forze di sicurezza israeliane (IDF) hanno condotto nella notte nuove incursioni in Cisgiordania. In particolare hanno preso d’assalto il quartiere orientale della città di Jenin tra le sirene che suonavano nella città. Dei blitz sono avvenuti anche a Beitunia, a ovest di Ramallah, nella Cisgiordania centrale, e la città di Qalqilya, a nord. Le incursioni includevano il campo di Dheisheh nella città di Betlemme, dove le forze di israeliane hanno fatto irruzione nelle case di numerosi palestinesi. Il corrispondente dell’emittente “Al Jazeera” ha riferito di nuovi scontri armati tra combattenti delle fazioni palestinesi e forze israeliane nel quartiere orientale della città di Jenin, in Cisgiordania.
-foto Agenzia Fotogramma –
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Abbas assicura Blinken sull’unità della Cisgiordania e Gaza

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ROMA (ITALPRESS) – Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, ha detto al segretario di Stato degli Stati Uniti, Anthony Blinken che la Striscia di Gaza fa parte dello Stato palestinese e che i piani israeliani per separarla o tagliarne qualsiasi parte non possono essere accettati. Abbas ha sottolineato la necessità di fermare immediatamente la guerra a Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese ha ricevuto oggi Blinken presso la sede presidenziale a Ramallah, nell’ambito di una visita del capo della diplomazia Usa nella regione. Per la quarta volta dallo scoppio della guerra israeliana nella Striscia di Gaza, dopo l’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre scorso contro gli insediamenti e le basi militari israeliane nella Striscia di Gaza, il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, visita il Medio Oriente.
L’alto diplomatico americano ha incontrato il presidente palestinese e gli ha assicurato il sostegno degli Stati Uniti a misure concrete per la creazione di uno Stato palestinese. Abbas ha risposto sottolineando la necessità di sbloccare immediatamente i fondi palestinesi, in riferimento ai fondi fiscali dell’Autorità Palestinese garantiti dagli accordi di Oslo e che Israele rifiuta di trasferire. Ha aggiunto che le dichiarazioni dei ministri israeliani che chiedono l’espulsione del popolo palestinese sono pericolose, sottolineando che non consentiranno lo sfollamento di alcun cittadino palestinese, sia a Gaza che in Cisgiordania. A sua volta, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato che Blinken ha tenuto proficue consultazioni con il presidente Abbas sulle riforme amministrative nell’Autorità. Questo incontro è avvenuto dopo che il segretario di Stato Usa, Blinken, ha visitato Tel Aviv e ha annunciato, ieri, di aver esortato i leader israeliani a fare di più per evitare feriti e morti tra i civili palestinesi.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Francia, Gabriel Attal nuovo primo ministro

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PARIGI (FRANCIA) (ITALPRESS) – Gabriel Attal è il nuovo primo ministro francese. All’età di 34 anni è il più giovane premier nella storia del Paese. La sua nomina arriva all’indomani del sollevamento dall’incarico di Elisabeth Borne. E’ un fedelissimo di Emmanuel Macron, al cui progetto politico ha aderito sin dal 2017.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

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Libia, Ruvinetti “Preoccupati per la divisione crescente”

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ROMA (ITALPRESS) – Si dice molto preoccupato per la situazione in cui si trova la Libia in questo momento, tra l’acuirsi delle divisioni tra est e ovest e le proteste in corso al giacimento di petrolio di al-Sharara e quella prevista per oggi all’impianto di Mellitah Daniele Ruvinetti, Senior Advisor della fondazione “Med-Or”. In un’intervista all’agenzia Italpress, l’esperto italiano di Libia delinea il quadro della situazione nel paese Nord africano che è stato messo da parte della Comunità internazionale a causa delle crisi internazionali in corso in Ucraina e in Medio Oriente. “Continua a esserci una situazione complicata in Libia – spiega Ruvinetti – I libici non riescono a fare i passi in avanti per superare le divisioni tra est e ovest e per la creazione di un governo unificato che poi porti il paese alle elezioni che è l’obiettivo della Comunità internazionale, dell’Onu e di alcuni in Libia. Non di tutti però, perché nel paese c’è a chi conviene che resti lo status quo. Va ricordato che il governo attuale di Tripoli, guidato da Abdel Hamid al-Dabaiba, doveva terminare il mandato il 24 dicembre del 2021 per andare alle elezioni, cosa che non è avvenuta, e da quel momento ha creato forti frizioni con il parlamento di Tobruk e con Khalifa Haftar che non ha mai accettato Dabaiba”.
Per questo l’esperto si dice preoccupato per una divisione del paese “che si sta sempre più acuendo”. Sempre a livello interno “tutti i tentativi che si stanno facendo per ora tra il parlamento e il Consiglio di Stato per trovare un governo unificato non stanno andando a buon fine. Il parlamento insieme a Khalifa Haftar si stanno appoggiando al governo dell’est di Osama Hammad come premier, proprio perché c’è una forte divisione con il governo di Dabaiba che da loro non viene riconosciuto”. Ruvinetti sottolinea come “negli ultimi giorni una serie di sindaci di città importanti della Tripolitania hanno giurato fedeltà al governo dell’est e non più a Dabaiba che si trova in difficoltà. Questo perché non solo è scaduto da tempo e non ha trovato un accordo con Haftar, ma anche perché ha in atto questo scontro con il governatore della Banca Centrale, Sadiq al-Kabir, di cui ho dato notizia più volte nei media arabi e libici, e quindi non sta ricevendo i finanziamenti dalla banca che finanzia tutto il Paese”.
Dietro la presa di posizione di Al-Kabir, che a sua volta non vuole finanziare il governo di Dabaiba, c’è il fatto che “contesta il modo con il quale vengono utilizzate queste risorse”. Ma se Dabaiba non ha i fondi “per accontentare anche le milizie si trova davanti ad un problema di instabilità a Tripoli che è controllata dalle milizie. Dabaiba ha già perso influenza a Misurata che già in passato era divisa sull’appoggio al suo governo, e quindi questo quadro sta creando una situazione sempre più di divisione tra la Tripolitania e la Cirenaica”.
Questo ha un riflesso importante nella regione ma anche in Europa. “Nella regione perché vediamo paesi come il Niger – aggiunge l’analista – dove c’è un governo di generali golpisti, che sotto la spinta dei russi hanno abolito il reato di immigrazione clandestina, di traffico di esseri umani anche retroattivamente dal 2015 per liberare tutti i trafficanti dalle carceri, con una Libia così instabile vede riprendere i flussi che dal Centrafrica passano per Niger e Libia e arrivano in Europa. Questo crea un grosso problema all’Italia e all’Europa di gestione di flussi migratori che quest’anno sono aumentati molto rispetto al 2022”.
Con la crisi israelo-palestinese e quella ucraino-russa, “la Libia è una crisi minore e questo sta prolungando questa situazione di divisione dove anche l’Onu non riesce ad ottenere risultati e un punto di incontro tra le parti che porti ad un governo unificato almeno riconosciuto dalle parti in campo per poi organizzare le elezioni che sarebbero la forma massima di democrazione che porti ad un governo realmente espressione del popolo. Questa mancanza di attenzione sta portando ad una situazione che sta peggiorando con riflessi sull’immigrazione che riguardano anche noi”.
Ruvinetti ricorda come nel quadro libico agiscono degli attori che agiscono anche in altri contesti come la Russia. “Mosca ha tutto l’interesse che la Libia rimanga destabilizzata per una presenza ancora con la Wagner in Cirenaica che gli serve per destabilizzare la regione come in Niger – continua l’analista – I russi usano lo strumento dell’immigraione illegale per svolgere una guerra asimmetrica e mettere in difficoltà l’Europa. C’è una presenza della Turchia molto forte in Tripolitania che non vuole abbandonare la sua influenza conquistata nel 2019 quando ha “salvato” il governo di Fayez al Sarraj dall’offensiva di Khalifa Haftar e questo crea una situazione di stallo che sta andando verso divisione delle posizioni tra est e ovest”.
Si registra inoltre un forte attivismo degli Stati Uniti “che invece stanno cercando di spingere le parti a formare un governo unitario anche se loro sono concentrati sulle altre crisi in modo più forte. Per loro la Libia è importante ma non prioritaria. Anche la nomina di un nuovo ambasciatore Usa in Libia è un elemento nuovo”.
Alla luce di tutto questo è importante che l’Europa “si renda conto che il Mediterraneo è sempre più centrale. Si renda conto che è importante un coordinamento europeo su tematiche fondamentali come l’immigrazione clandestina e la stabilità del Mediterraneo e del Nord Africa. Tra queste la Libia è fondamentale sia per la stabilizzazione della regione e del Mediterraneo sia per l’approccio alla gestione dei flussi migratori”.
In questo quadro l’Italia può giocare un ruolo importante “specialmente in Libia per la sua influenza e presenza storica. Tutto questo si inserisce in un momento nel quale sono in corso agitazioni intorno ai pozzi petroliferi con le proteste anche a Mellitah che è uno snodo fondamentale per l’Italia perché ci passa il gas. Questa divisione tra est e ovest della Libia, come già avvenuto in passato, rischia di riflettersi sui pozzi petroliferi e portare verso una chiusura totale creando danni non solo alle casse libiche ma anche ai paesi come l’Italia che ai appoggiano alla Libia per gas e greggio”.

– foto fornita da Daniele Ruvinetti –
(ITALPRESS).

Papa Francesco chiede cessate il fuoco e liberazione ostaggi a Gaza

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ROMA (ITALPRESS) – “Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Israele e Palestina. Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio”. Così Papa Francesco ricevendo in udienza il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. “Ripeto la mia condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo: in questo modo non si risolvono le questioni tra i popoli, anzi esse diventano più difficili, causando sofferenza per tutti. Infatti, ciò ha provocato una forte risposta militare israeliana a Gaza che ha portato la morte di decine di migliaia di palestinesi, in maggioranza civili, tra cui tanti bambini, ragazzi e giovani, e ha causato una situazione umanitaria gravissima con sofferenze inimmaginabili”, ha aggiunto. “Ribadisco il mio appello a tutte le parti coinvolte per un cessate il fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano, e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza Chiedo che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria. Auspico che la Comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la città di Gerusalemme, affinchè israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza. Il conflitto in corso a Gaza destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni”, ha concuso il Santo Padre.
(ITALPRESS).
– Foto: Agenzia Fotogramma –

Biden alla carica per la democrazia ma non basterà

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di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Joe Biden, che ad 81 anni è già il Commander-in-Chief più anziano della storia degli Stati Uniti, vorrebbe essere confermato alla presidenza e ha quindi scelto la vigilia dell’anniversario del 6 gennaio per pronunciare il primo discorso di lancio della sua campagna elettorale. Esattamente tre anni fa, la democrazia più longeva del mondo ha rischiato di essere assassinata dall’assalto al Congresso da parte di una folla inferocita di MAGA (Make America Great Again, l’inno di battaglia di Donald Trump). Secondo la commissione d’inchiesta del Congresso composta da legislatori che quel 6 gennaio del 2021 rischiarono la vita, i MAGA furono convocati e aizzati dal presidente Trump sconfitto da Biden due mesi prima.
Tre anni dopo, parlando in Pennsylvania nei pressi di un luogo simbolo della guerra d’indipendenza americana, il 46esimo presidente ha pronunciato un discorso carico di condanna nei confronti del suo predecessore, ormai indicato dai sondaggi come il suo più probabile avversario nel voto del 5 novembre 2024, giorno che Trump chiama “della vendetta”. Biden con tono sprezzante, ha detto che Trump ha già diretto un’insurrezione contro la democrazia e la Costituzione degli Stati Uniti e se tornasse al potere porterebbe a termine il suo obiettivo: distruggere le fondamenta democratiche della nazione.
Ricostruendo le azioni di Trump prima, durante e dopo l’attacco del 6 gennaio, Biden ha avvertito che non si può permettere a Trump e ai suoi sostenitori di presentare una ricostruzione falsa di quella giornata e del tentativo violento di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020. Biden ha detto che sostenere la democrazia della nazione diventa “la causa centrale della mia presidenza” e denunciando Trump che si rifiuta di condannare la violenza politica, ha aggiunto che “non si può essere filo-insurrezionisti e filo-americani”.
Ricordando come Trump e i suoi alleati hanno trascorso i tre anni successivi alla rivolta negando e deviando le responsabilità, minimizzando la gravità delle violenze e addirittura sostenendo che fosse tutto un complotto del “deep state”, Biden ha accusato il suo rivale di cercare di “rubare la storia, nello stesso modo in cui ha cercato di rubare le elezioni”.
“Trump ha esaurito ogni via legale a sua disposizione per ribaltare le elezioni del 2020” ha detto Biden, aggiungendo che alla fine è stato riportato alla verità, “cioè che io ho vinto le elezioni e lui è un perdente”. Per questo secondo Biden, a Trump che non voleva accettare la verità era rimasto a sua disposizione “un atto disperato, la violenza del 6 gennaio”.
Evocando quel suo discorso pronunciato durante la campagna elettorale del 2020, quando Biden si era definito il custode dell’“anima dell’America”, il presidente americano ha definito le prossime elezioni come una scelta tra chi sostiene gli ideali democratici e chi vuole il caos per fare i propri interessi.
“Non c’è confusione su chi sia Trump o cosa intenda fare”, ha ripetuto Biden, aggiungendo: “Sappiamo tutti chi è Donald Trump, ma la domanda è: chi siamo noi?”.
Biden ha biasimato anche i legislatori repubblicani che dopo il 6 gennaio del 2021 avevano condannato il tentativo insurrezionista di Trump, ma che adesso sono tornati ad appoggiare le sue falsità. Adducendo il voltafaccia alla “politica, alla paura e al denaro”, Biden ha condannato “queste voci MAGA che conoscono la verità sul 6 gennaio e hanno abbandonato la democrazia”.
Il presidente ad un certo punto ha stretto i pugni e maledicendo Trump, lo ha paragonato agli autocrati “bugiardi” di alcuni paesi stranieri, e per questo Trump non sarebbe degno di essere considerato tra i leader americani, perché non ha avuto rispetto della scelta elettorale del suo popolo.
“Dobbiamo essere chiari”, ha ripetuto Biden, in queste elezioni “sono in ballo la democrazia e la libertà”.
Biden, che nei sondaggi continua ad annaspare con un indice di gradimento tra i più bassi dei presidenti degli ultimi 70 anni, ha scelto con i suoi consiglieri di ripresentare la campagna elettorale del 2024 come l’ultima spiaggia in difesa della democrazia, come aveva già fatto con successo nel 2020.
Gli basterà? Già i commentatori filo-democratici temono che a Biden, da inquilino della Casa Bianca e non più sfidante, far dominare questo tema non basti a vincere. Come ha subito osservato David Axelrod, già “stratega” elettorale di Barack Obama, per vincere Biden dovrà collegare la difesa dei “valori democratici” ad una proposta chiara e concreta per migliorare la vita dei cittadini americani, preoccupati dal carovita e di far quadrare i conti alla fine del mese.
Inoltre il voto dei giovani si è allontanato da Biden, con le decisioni contro il cessate il fuoco per Gaza che hanno peggiorato questo distacco; la vittoria di Obama così come la sconfitta di Hillary, provano ai democratici che senza un’affluenza record ai seggi degli under 30, la Casa Bianca torna sempre al Gop.
Bisogna anche ricordare che l’”indipendente” Robert Kennedy jr, terzo incomodo tra Biden e chiunque sarà lo sfidante repubblicano (ok Trump è strafavorito, ma Nikki Haley e Ron DeSantis non si arrendono), continua ad avere una sorprendente performance nei sondaggi: il figlio di RFK e nipote di JFK, potrebbe a novembre far perdere chi lo sottovaluta.
Trump, dal canto suo, parlando venerdì sera a una manifestazione elettorale in Iowa, dove il 15 gennaio parte la corsa dei repubblicani per la nomination, ha replicato al rivale democratico col suo stile da bullo-spaccone: dopo aver definito il discorso di Biden “patetico”, lo ha scimmiottato imitandone la balbuzie… Intanto nello stesso giorno del discorso di Biden sulla democrazia messa in pericolo da Trump, la Corte Suprema ha preso in esame la questione se gli Stati, come ha già fatto il Colorado, possano eliminare dalle schede elettorali il 45esimo presidente, accusato di insurrezione, per via del quattordicesimo emendamento della Costituzione. Di sicuro, il 2024 sarà un altro anno dominato dalla politica di Donald Trump, che determinerà nel bene, nel male o nel caos il futuro della democrazia americana e del mondo.
– foto Agenzia Fotogramma –
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Nuova missione di Blinken in Medio Oriente tra i timori di un’escalation

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ROMA (ITALPRESS) – Il capo della diplomazia degli Stati Uniti, Antony Blinken, torna oggi in Medio Oriente per proseguire l’intensa attività diplomatica dell’amministrazione Biden sul conflitto che va avanti da tre mesi tra Israele e Hamas, mentre crescono i timori per un’estensione regionale della crisi. Il tour di una settimana del segretario di Stato Usa, il quarto nella regione dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, includerà visite in Israele e Cisgiordania, nei paesi del Golfo e in Egitto. Farà tappa anche in Turchia e in Grecia. Blinken ripeterà i suoi appelli per portare un maggior numero di aiuti umanitari a Gaza. Tenterà inoltre di ottenere progressi sulla delicata questione di come la Striscia di Gaza possa essere gestita dopo la guerra. A spiegarlo ai giornalisti è stato il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller.
Blinken viaggia con le preoccupazioni per l’escalation regionale sotto i riflettori. Dopo che martedì scorso un raid ha ucciso il vice capo dell’ufficio politico di Hamas, Saleh Al-Arouri, nella capitale libanese Beirut. Il leader di Hezbollah sostenuto dall’Iran, impegnato in scontri a fuoco con Israele dal Libano meridionale, ha detto che la sua milizia sciita “non può stare in silenzio”. Giovedì l’esercito Usa ha effettuato un attacco di ritorsione a Baghdad uccidendo il leader di una milizia sostenuta dall’Iran, accusata dei recenti attacchi contro il personale americano. Il conflitto si è inoltre insinuato anche nelle rotte marittime vitali del Mar Rosso. Gli Houthi, che controllano gran parte dello Yemen, hanno lanciato droni e missili contro più di 20 navi dal 19 novembre. “Non è nell’interesse di nessuno, né di Israele, né della regione, né del mondo, che questo conflitto si estenda oltre Gaza”, ha detto Miller, aggiungendo che Blinken discuterà i passi che le parti possono intraprendere per evitare un’escalation.
Come nei viaggi precedenti, Blinken cercherà di avviare discussioni su come sarà gestita Gaza se e quando Israele raggiungerà il suo obiettivo di sradicare Hamas, che governa la Striscia dal 2007. “Discuteremo della necessità di una governance combinata che unisca la Cisgiordania e Gaza sotto la leadership palestinese, ma i dettagli li terrò per conversazioni diplomatiche private”, ha detto Miller. I vicini arabi di Israele hanno reagito, insistendo sul fatto che garantire un cessate il fuoco dovrebbe essere la priorità. Washington questa settimana ha criticato due ministri israeliani per aver sostenuto il reinsediamento dei palestinesi fuori Gaza, affermando che Israele aveva assicurato ai funzionari statunitensi che le dichiarazioni non riflettono la politica del governo. Miller ha ammesso che sono grandi le sfide che Blinken deve affrontare. “Non ci aspettiamo che ogni conversazione durante questo viaggio sia facile”, ha detto.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

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Medio Oriente, nuovo tour di Blinken nella regione

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ROMA (ITALPRESS) – Il segretario di Stato degli Stati Uniti, Anthony Blinken, inizierà questa sera un nuovo tour in Medio Oriente che includerà anche Israele. Lo rivelano fonti del Dipartimento di Stato Usa. Ciò avviene in un momento in cui aumentano i timori per l’espansione della guerra che va avanti da tre mesi tra lo Stato ebraico e il movimento Hamas. Non si hanno altri dettagli sull’orario specifico di questo viaggio e sulle sue tappe. Questa sarà la quinta visita ufficiale di Blinken in Israele e la sua quarta nella regione da quando è scoppiata la guerra tra lo Stato ebraico e Hamas il 7 ottobre.

Foto: Agenzia Fotogramma

(ITALPRESS).

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