U.S. President Joe Biden pauses during a meeting with Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu to discuss the war between Israel and Hamas, in Tel Aviv, Israel, Wednesday, Oct. 18, 2023. (Miriam Alster/Pool Photo via AP)

Negli ultimi quindici anni il centro di gravità della politica estera di Washington si è spostato dal teatro Euroasiatico a quello Indo – Pacifico come conseguenza della scelta geostrategica di contrastare in quella Regione la crescente influenza cinese tendente a realizzare un nuovo sistema di ordine globale.

Questa priorità ha comportato un progressivo décalage dell’attività diplomatica USA sia in Europa, sia, soprattutto, nel Medio Oriente.

Nell’area europea, infatti, la possibilità di vincolare la Russia allo scenario europeo, limitandone la libertà di azione in quello asiatico, è stata realizzata con un impiego circoscritto delle risorse nazionali statunitensi, grazie a una gestione della crisi ucraina condotta coinvolgendo i partner europei della NATO mediante lo sfruttamento abilmente gestito della voglia di rivincita dell’Europa orientale e risuscitando il concetto di guerra fredda.

Diversamente, nell’area mediorientale il progressivo raffreddamento dell’interesse USA a svolgere un ruolo primario quale potenza garante della sicurezza e della ricerca di un equilibrio regionale aveva favorito, come conseguenza, lo sviluppo delle iniziative diplomatiche di Cina e Russia e l’aumentare delle tensioni nell’area a causa dell’emergere dei contrasti connessi alla volontà da parte di alcuni Paesi di assumere il ruolo di potenza regionale.

Le precedenti due Amministrazioni e quella attuale avevano progressivamente ridotto la presenza geostrategica nei Paesi dell’area adottando linee diplomatico-politiche ambigue e prive di visione a lungo termine, creando la sensazione della inaffidabilità della volontà statunitense di rivelarsi un alleato su cui poter contare per la propria sicurezza.

L’esplodere della crisi di Gaza ha costituito l’opportunità per la diplomazia di Washington di rivedere le proprie azioni e ridefinire i suoi interessi nella regione mediorientale.

Il riorientamento della posizione USA e la sua volontà a riassumere il ruolo di protagonista nella ricerca dell’equilibrio geostrategico del Medioriente non sono avvenuti con immediatezza, in quanto è stato necessario vincere l’inerzia iniziale per invertire il processo in atto e riconfigurare la propria posizione da parte dell’Amministrazione corrente.

Infatti, a seguito dei tragici fatti del 7 ottobre Washington ha agito, inizialmente, garantendo il pieno supporto politico, diplomatico e militare a Israele.

Subito dopo, però, ha avuto inizio un’intensa attività diplomatica che ha visto impegnato il Segretario di Stato Antony Blinken nel prendere contatto con tutti i maggiori attori politici dell’area al fine di iniziare a tessere le fila per individuare quali potessero essere le condizioni per pervenire a una soluzione della crisi.

Il tour de force tra le capitali arabe ha richiesto diversi passaggi e una lunga serie di colloqui per valutare le possibili proposte e identificare gli ulteriori eventuali elementi sui cui poter costruire le ipotesi di soluzione della crisi.

L’impegno diplomatico del Segretario ha prodotto una proposta per un piano volto a ottenere la fine dei combattimenti ma, soprattutto, a identificare una strategia per la gestione di quello che sarà il dopo conflitto.

L’accoglienza tiepida e piena di riserve che ha caratterizzato la risposta al piano da parte degli attori principali di questa crisi non può essere considerata come un successo di questa prima proposta, ha anzi confermato come la soluzione della crisi di Gaza sia ancora lontana dall’essere realizzata; tuttavia, l’impegno e la sollecitudine che sono stati profusi nella sua preparazione hanno dimostrato che l’interesse geostrategico di Washington si è riorientato verso il Medio Oriente.

Indipendentemente dalla possibilità o meno di vedere coronata da successo la proposta statunitense, l’elemento importante da sottolineare è il cambio di passo dell’Amministrazione, che ha confermato di ritenere nuovamente fondamentale un suo impegno nella regione.

Questo reindirizzamento dell’interesse geostrategico USA in Medio Oriente ha comportato alcune conseguenze di importanza rilevante.

La prima: l’azione diplomatica del Segretario Blinken ha anticipato quella di eventuali altri attori geopolitici interessati a poter svolgere un ruolo da protagonisti, tagliando fuori non solo la Russia ma soprattutto la Cina, conferendo agli USA una posizione di vantaggio da sfruttare per rinforzare la sua importanza nell’area.

La seconda: la condotta del Segretario e dell’Amministrazione USA è stata caratterizzata da due fattori importanti quali la disponibilità a dialogare con tutte le entità politiche della Regione e la dimostrazione, indipendentemente dal supporto politico-diplomatico dato a Israele, di avere la volontà per esercitare pressioni politiche sul Governo di Netanyahu. Questi due fattori hanno conferito un notevole peso all’impegno di Washington che favorisce la possibilità per gli USA di ritornare a svolgere il ruolo di protagonisti dell’equilibrio nella regione.

La terza, invece, ha prodotto due differenti effetti i cui risvolti sono implicitamente connessi alla politica interna americana. In primo luogo, la possibilità per l’Amministrazione attuale di dimostrare di avere recuperato una visione geostrategica globale che affianca all’interesse per un diverso peso del rapporto euroatlantico, la necessità di contrastare l’avanzata cinese anche al di fuori del contesto Indo-Pacifico. In secondo luogo, la possibilità di sviluppare nell’area mediorientale un’azione diplomatica caratterizzata da una maggiore equidistanza tra i vari protagonisti conferisce alla posizione statunitense una chance di successo maggiore per ricoprire il ruolo di potenza in grado di garantire un equilibrio duraturo.

La combinazione di questi due effetti costituisce, infatti, un atout da giocarsi per l’attuale Amministrazione nelle prossime elezioni presidenziali al fine ottenere il supporto di quei settori non favorevoli alla crisi ucraina e contrari al supporto incondizionato verso Israele.

Come detto, le proposte di Washington per la soluzione della crisi non sono magari perfette e quindi stentano a essere condivise, la difficoltà a orientare le scelte del Governo israeliano verso la soluzione identificata per il dopo conflitto  è particolarmente importante e il progetto presentato richiede una ulteriore serie di consultazioni diplomatiche da parte dei Governi dell’area, tuttavia l’elemento fondamentale è la ritrovata volontà di iniziativa che sta caratterizzando l’azione di Washington nella Regione.

Ovviamente è prematuro affermare che questa inversione di rotta da parte dell’Amministrazione USA possa o meno aver creato le premesse per colmare il solco che si era formato tra i Paesi del Medioriente alleati od orientati a favore di Washington negli ultimi anni, restaurando la fiducia e il senso di affidabilità della politica americana quale potenza leader nella Regione.

Anche se la politica statunitense riuscirà a ridare consistenza e credibilità alla sua posizione di grande potenza indispensabile per l’equilibrio nell’area, i rapporti con altri grandi protagonisti della scena mondiale (Cina in primis) che hanno rivoluzionato la diplomazia della/nella Regione continueranno a far sentire il loro influsso e dovranno, comunque, essere tenuti in considerazione nella impostazione della visione che l’Amministrazione statunitense (democratica o repubblicana che sia nel futuro non ha importanza) dovrà impostare per conseguire i propri obiettivi geostrategici in una Regione fondamentalmente critica per la costruzione di un nuovo ordine mondiale liberale e democratico.

 

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