“Twitter Diplomacy”: la politica delle relazioni internazionali al tempo dei social media

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Lanciata da Obama e molto apprezzata dalla presidenza Trump, la comunicazione politica via social sta diventando una prassi anche per la diplomazia.

Diplomazia è da sempre sinonimo di formalità, protocolli, procedure e cerimoniali. Precise e scrupolose regole di etichetta hanno caratterizzato per secoli i rapporti ufficiali tra Nazioni, Istituzioni ed Organizzazioni Internazionali pur essendo via via mutate assieme ai cambiamenti storici e sociali.

Se però fino a pochi anni fa l’attività del Capo di Stato, dellambasciatore o del funzionario veniva ancora svolta seguendo i canoni del XX secolo, con l’avvento dei social media ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione copernicana che ha definitivamente stravolto le classiche regole anche nella comunicazione politica e diplomatica.

Dalla penna del diplomatico allo smartphone

Larte della politica estera significa anche e soprattutto creare e gestire relazioni, e chi lavora nell’ambito dellaPublic Diplomacy deve ormai riuscire a farlo in un quadro globale sempre più fluido, rapido, tecnologico ed interconnesso. Per adattare il proprio ruolo alla contemporaneità e governarne i cambiamenti, il diplomatico ha dovuto perciò aggiornare anche i propri strumenti, sostituendo la penna stilografica con lo smartphone e il tablet.

Dovendo interagire in questo scenario innovativo e complesso, i Capi di Stato e di governo, le amministrazioni pubbliche, i leader politicie quelli religiosi hanno sentito l’esigenza di rinnovarsi e deciso, quindi, che fosse il caso di iniziare a “cinguettare”, “postare” e “condividere”, ovvero sfruttare quelle nuove piattaforme globali che possono permettere di raggiungere, potenzialmente, milioni di utenti.

L’utilizzo massivo dei social media da parte dei protagonisti della politica ha quindi, di fatto, rivoluzionato in modo drastico le modalità con cui la diplomazia gestisce la comunicazione, le informazioni e addirittura le crisi, i rapporti bilaterali e i negoziati, ed ha posto così le basi per la diffusione di un nuovo canale e di una nuova prassi nell’ambito dei rapporti politici internazionali.

I pionieri della E-diplomacy

Sono gli Stati Uniti a potersi fregiare del titolo di pionieri della “diplomazia digitale”. Risale infatti al 2002 la creazione da parte del Dipartimento di Stato americano della prima unità di E-diplomacy, il cui esempio verrà seguito subito dopo dal Foreign Office britannico. In Europa, invece, il primo Paese a creare una task-force di “diplomazia digitale” sarà la Svezia nel 2006, che poi è anche l’anno della nascita di Twitter.

Tuttavia, è solo nel 2012 che la Digital Diplomacy inizia ad assumere un peso rilevante nell’ambito delle relazioni internazionali, quando vede la luce la cosiddetta Twitter Diplomacy”, grazie alla diffusione su scala globale del social networkTwitter e al suo successo “virale” tra i di Capi di Stato e di governo che, seguendo l’esempio vincente di Barak Obama, intuiscono le potenzialità del nuovo medium e iniziano ad interagire in rete con sempre maggiore intensità.

Una rete diplomatica virtuale

Il 2012 è perciò l’anno di partenza di un clamoroso effetto domino che ad oggi, secondo l’ultimo rapporto di “Twiplomacy” elaborato da Burson-Marsteller, ha portato la quasi totalità dei Paesi ad avere una presenza ufficiale su almeno un social network. Negli ultimi 7 anni, infatti, gli account Twitter di Capi di Stato e di membri del governo sono passati da 264 in 125 Paesi nel mondo, agli attuali 856 in 178 Paesi, che rappresentano il 92% di tutti gli Stati membri dellONU, con un pubblico potenziale complessivo di svariate centinaia di milioni di follower.

Si tratta di una vera e propria rete diplomatica virtuale: sempre secondo lo stesso studio, infatti, sono ormai più di quattromila le ambasciate e gli ambasciatori attivi sulla piattaforma, mentre gli Stati membri del G20 sono tutti presenti ufficialmente su Twitter e sei dei sette leader del G7 dispongono di un account personale, tra cui anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che però non “twitta” dal 2017 e sembra preferisca comunicare mediante il social network Instagrame con un account ufficiale il più possibile impersonale, seppur coniugato al femminile (@bundeskanzlerin).

Gli influencer della politica

Come già accennato, è stato Barak Obama (@BarakObama) il primo ad aver utilizzato Twitter per scopi politici ufficiali. Con oltre 120 milioni di follower, l’ex Presidente americano (che rimane ancora oggi il politico più seguito al mondo) ha fatto scuola, intuendo e rendendo evidenti le grandi potenzialità della rete. Anche Papa Francesco (@Pontifex) ne ha seguito l’esempio, e con le sue decine milioni di followers sparsi tra nove diversi account in altrettante differenti lingue, è uno dei leader più influenti suisocial. Ursula vonder Leyen(@vonderleyen), attuale Presidente della Commissione Europea, ha invece caratterizzato la sua comunicazione durante il picco europeo della pandemia da Covid-19 postando brevi video in diverse lingue e accompagnando alle classiche dichiarazioni istituzionali dei “tutorial” in stile YouTube sui comportamenti igienico-sanitari da seguire per ridurre le possibilità di contagio.

Nell’epoca della diplomazia digitale, insomma, non ci si può ridurre solo all’essere presenti online, al far circolare sul web dichiarazioni, documenti, notizie e comunicati, ma si deve sfruttare la visibilità delle piattaforme multimediali e diventare dei veri e propri “influencer” della politica, stimolando il dibattito, veicolando messaggi e creando tendenze che varchino l’ormai sempre più sottile confine tra il virtuale ed il reale.

 

La Twitter Diplomacy di Trump

Ma è con Trump (@realDonaldTrump, @POTUS) che la rete si è effettivamente trasformata nella nuova arena dell’agone diplomatico. Dimostrando di averne colto gli aspetti essenziali, il Presidente americanoha rotto ogni protocollo e puntato moltissimo sulla comunicazione diretta e senza filtri dei social network, inaugurando, al di la del giudizio che se ne possa avere, un modus operandi politico innovativo ed unico nel suo genere.

Ritenuto spesso poco equilibrato, impulsivo e apparentemente privo di strategia, in ambito diplomatico lo stile da “tycoon” di “The Donald può risultare avventato, controproducente, ma anche efficace.

A questo proposito, sono ben note le controversie sorte tra l’Amministrazione americana e la Corea del Nord nel 2017, quando una serie di “tweet” di Trump fecero vacillare il già precario equilibrio delle relazioni diplomatiche tra Seoul, Washington e Pyongyang.

Sempre online sono nate alcune delle più recenti dispute tra gli USA e la Cina: in passato, il Presidente americano ha più volte annunciato via Twitter e senza alcun preavviso provvedimenti economici contro Pechino che da parte sua, preferendo forme e mezzi più tradizionali, non vede di buon occhio l’eccessiva tendenza “social” della Casa Bianca.

Trump infatti ricorre molto spesso ai “cinguettii”: lo fa per colpire i suoi avversari politici, per lanciare ultimatum, per confrontarsi duramente con Organizzazioni Internazionali come lONU e, più recentemente, l’OMS.

Tuttavia, un corretto e coraggioso utilizzo di “hashtag diplomacy” può avere anche incredibili potenzialità. L’incontro avvenuto nel 2019 con Kim Jong Un nella Zona Demilitarizzata, al confine tra le due Coree, pur essendo il frutto paradossale della stessa avventata intraprendenza digitale che pochi mesi prima stava per causare una crisi diplomatica senza precedenti, ne è un esempio: in quell’occasione il Presidente Trump, lasciato il G20 di Osaka e diretto in Corea del Sud assieme allomologo sudcoreano Moon, decise di rivolgere un “tweet” personale a Kim Jong Un, tramite il quale, bypassando i media ed ignorando ogni tipo di cerimoniale, richiese un incontro distensivo ed altamente simbolico. Kim accettò di buon grado, edinvitò addirittura Trump in territorio nordcoreano intrattenendosi con lui in un lungo colloquio riservato. Un evento davvero senza precedenti.

Ciò che contraddistingue la Twitter Diplomacy trumpiana, dunque, è la spontaneità con la quale il Presidente dichiara le proprie mosse, ma anche i toni colloquiali e diretti con cui si rivolge ai suoi interlocutori. E questo è possibile perché, a differenza della maggior parte dei leader politici, pare che Trump gestisca personalmente il proprio profilo, senza essere affiancato in questo delicato compito da alcun ghostwriter o social media manager. Una “genuinità”, però, da più parti criticata, perché oltre a far incappare spesso l’inquilino della Casa Bianca in gaffe, errori e refusi, potrebbe metterebbe anche a serio rischio la sicurezza nazionale.

Social media e diplomazia: un matrimonio davvero possibile?

Quello della sicurezza, comunque, non è l’unico problema che affligge il rapporto tra nuovi media e diplomazia. Il termine diplomazia porta alla mente concetti, qualità e caratteristiche (come ad esempio formalità, accortezza ed equilibrio) che sembrerebbero sposarsi male con la comunicazione viainternet, basata invece sull’assenza di mediazione, l’irruenza e l’informalità.

Tutto ciò è compatibile, sul lungo periodo, con la comunicazione diplomatica, spesso caratterizzata da solennità, riservatezza, cautela e lungimiranza?È possibile in politica e in questioni delicate limitarsi ai 140 caratteri imposti da Twitter?

Quel che è certo però, comunque si risponda a queste domande, è che la Twitter Diplomacy oggi è una realtà dei processi politici e il mondo dei social è diventato uno strumento centrale della comunicazione su scala globale.

E non essendo più trascurabile politicamente, è un terreno dove la diplomazia non può essere assente o farsi trovare impreparata.

Andrea DOttavi

Bookreporter Settembre

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