La tensione nella politica boliviana non sembra volersi arrestare dallo scorso novembre, mese della crisi politica provocata dai brogli elettorali di Evo Morales, presidente in carica dal 2006 ed in cerca di un quarto mandato alle elezioni generali, che è riuscito ad ottenere solo a seguito di irregolarità. Ciò ha portato, dopo scontri e proteste per un totale di 715 feriti e 32 morti, alle dimissioni e all’esilio politico del presidente e alla nomina di un governo ad Interim presieduto da Jeanine Añez.
In Bolivia si è gridato alla fine della dittatura, ed internazionalmente il governo ha ottenuto il riconoscimento di tutti i Paesi eccetto Argentina e Messico, dove Morales si è rifugiato. Il governo ad Interim avrebbe dovuto guidare il Paese a nuove elezioni democratiche, fissate per il 3 maggio, ma il Presidente Añez le ha rinviate a data da destinarsi, con la proposta più vicina alla metà di settembre, periodo nel quale non sarà possibile ai candidati alcun tipo di comizio, con tutta la visibilità accentrata sull’attuale presidente provvisorio, che ha annunciato la volontà di ricandidarsi.
Il Coronavirus sembra essere visto più come l’opportunità per una scusa a decisioni autoritarie e volte a mantenere il potere, anche perché, seppur i casi siano solo 3000 su una popolazione di 10 milioni, quindi relativamente pochi, il Governo ha posto il veto su una legge del parlamento che imponeva elezioni entro 90 giorni, e alle proteste dai balconi con petardi e rumori avvenute verso la fine di aprile, il Presidente ha reagito dispiegando l’esercito per le strade, come riporta l’agenzia di stampa spagnola Efe. Dopo queste proteste, Il giornale El Pais riporta che il governo si è affrettato per promulgare un decreto il 7 maggio, che permette di arrestare qualsiasi persona diffonda informazioni che possano minare la quarantena, ma soprattutto la stabilità pubblica, ovvero, leggendo fra le righe, qualsiasi critica nei confronti di Añez.
Molti giornali locali hanno denunciato l’incostituzionalità del decreto, mentre Evo Morales ha dichiarato in un’intervista alla BBC mundo che Añez è sulla strada della dittatura.
Il MAS (movimento per il socialismo) ha organizzato ulteriori flash mob sui balconi a cui i sostenitori del governo provvisorio hanno prontamente risposto, mettendo di manifesto la spaccatura del Paese.
Simbolo della predetta spaccatura è il blocco di K’ara K’ara, nella regione di Cochabamba, organizzato da simpatizzanti del Mas impediscono l’accesso alla parte sud della città per richiedere le dimissioni del Governo di Añez oltre a cibo e acqua. Il governo ha autorizzato l’intervento della polizia e dell’esercito con gas e reparti anti sommossa mentre i manifestanti hanno risposto con sassi e molotov. Negli scontri è rimasta anche ferita una troupe di giornalosti e un equipe medica, a testimonianza della violenza che non sembra risparmiare nessuno. Añez spera di risolvere la situazione diplomaticamente, ed ha iniziato delle trattative, ma il viceministro del “regime interior y policia” Javier Issa ha annunciato che se le trattative si dovessero arenare il blocco sarebbe tolto con la forza, come riporta l’Abi, agenzia di stampa boliviana
Giulio Consoli
Alessandro Conte