20 aprile 2020 riaprono le librerie: la nuova festa della liberazione

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Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, proclamò l’insurrezione per liberare i territori ancora occupati dai nazifascisti. Bologna era stata liberato il 21 aprile, Genova il 23, Venezia il 28. Roma lo era già dal giugno del 1944 e Napoli il 30 settembre dell’anno prima. Il 25 aprile è la data simbolo che ancora oggi viene festeggiata e non certo il giorno in cui venne realizzata in un colpo solo la liberazione. Forse anche per questo viene contestata, distorta, manipolata e strumentalizzata.

Qualcuno ne rivendica la proprietà esclusiva; altri la considerano l’inizio di una guerra civile che forse già era iniziata e durò a lungo. Impossibile che ciò non fosse in una nazione che viveva e tutt’ora vive all’ombra dei campanili, nei suoi particolarismi e interessi personali. Quella battaglia contro il nazifascismo venne combattuta da anime profondamente diverse tra loro, che non potevano trovare alcun punto d’incontro se non un nemico comune. Dopo, infatti, tornarono sulle rispettive posizioni. Come sarebbe stato possibile anche solo ipotizzare una forma di accordo tra personalità diverse come Pertini e Longo, che solo un anno dopo erano tra le anime rispettivamente del Partito Socialista e di quello Comunista? Edgardo Sogno, antifascista e comandante partigiano era uno dei più ferventi anticomunisti italiani. I partigiani dell’iconografia portano un fazzoletto rosso al collo, ma le Brigate Osoppo vennero fondate in un seminario. A personaggi di spessore morale come Ferruccio Parri e di cultura come Leo Valiani, è difficile attribuire etichette politiche, ed era parte del CLN anche una forte componente democristiana con il suo leader indiscusso: De Gasperi.

Oggi, è probabilmente l’occasione per individuare questo giorno come la data di una nuova festa nazionale di liberazione. Almeno simbolica. Non siamo sicuramente usciti dall’emergenza dovuta al Covid 19, e ne risentiremo ancora pesanti strascichi che ci condizioneranno proprio come accadde dopo il 25 aprile. Ci saranno da prendere provvedimenti che determineranno il futuro non solo economico dell’Italia, come accadde allora con la scelta dell’adesione alla Nato e al Piano Marshall: chissà se sarà il MES o saranno i Coronabond, ma la ripresa deve passare da un pesante intervento strutturale che toccherà tutti noi. Sicuramente, come allora, ci saranno processi contro i responsabili di quanto accaduto; ma le fucilazioni saranno al massimo simboliche, con l’individuazione di eventuali colpevoli di malfunzionamenti, ritardi, errori. Si dovrà decidere sull’efficacia e la validità dei decreti di emergenza; per fortuna non siamo chiamati a decidere su provvedimenti quali le leggi razziali, già abolite nel gennaio 1944.

I partigiani che hanno combattuto e continueranno a combattere questa guerra si spera ricevano i meritati onori: primi i medici e il personale sanitario in prima linea con le forze dell’ordine, ma anche le commesse dei supermercati e i magazzinieri che hanno evitato la temuta serrata e la carestia paventata dai catastrofisti. Anche loro meritano qualcosa di più che un plauso. Cercheremo di non dimenticarlo quando riprenderemo una normalità che sarà diversa da quella passat, come lo fu per la generazione che seppe rialzarsi nel dopoguerra. La retorica porterebbe a chiedere se saremo degni di loro e ripetere tante frasi fatte circolate sui social, ma è vero. Noi abbiamo salvato la patria sul divano mentre qualcuno lo ha fatto con un fucile in mano; noi abbiamo giocato con internet mentre altri ascoltavano di nascosto radio Londra.

Lasciamo la retorica al suo posto o nelle mani del popolo della rete, che non mancherà di dare il suo contributo che va dal sarcasmo all’odio; dall’ironia alla rabbia. Forse, nel nostro piccolo, abbiamo avuto un vago sentore di quella che, in quegli anni, fu la borsa nera per generi di prima necessità quando abbiamo assistiti ad episodi di sciacallaggio sui prezzi delle mascherine. Niente di tutto ciò: lungi dal voler paragonare realmente qui giorni a quelli che viviamo oggi: è una licenza.

Ma una possibilità ci è data, e vorremmo provare a cogliere: quella di scegliere un giorno simbolo per una ripartenza. E questo giorno è oggi, quello in cui a Roma e non solo. riaprono le librerie. E’ un segnale importante perché, oltre che luogo di aggregazione, le librerie sono una delle basi fondamentali della cultura: quella del libro stampato, della carta che rimane.  Quella cultura che, proprio durante questa emergenza, sembra sia stata messa in secondo piano, se non proprio dimenticata, da molti. Speriamo che la riapertura delle librerie segni il giorno della ripartenza e possa diventare un momento non solo di buon auspicio, ma anche condiviso.

 

 

 

 

Bookreporter Settembre

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