Il 29 ottobre il Consiglio europeo ha adottato una decisione che proroga il termine previsto dall’articolo 50 del trattato sull’Unione europea a seguito della notifica, da parte del Regno Unito, della sua intenzione di recedere dall’Unione europea. L’uscita dunque non è avvenuta come previsto il 31 ottobre, vi è una proroga che durerà fino al 31 gennaio 2020: si vuole dare più tempo alla ratifica dell’accordo di recesso. Inoltre, viene specificato che il recesso può avere luogo anteriormente, il 1° dicembre 2019 o il 1° gennaio 2020, se l’accordo di recesso è ratificato da entrambe le parti.
Si ricorda infine che per la durata della proroga il Regno Unito rimane uno Stato membro soggetto a tutti i diritti e gli obblighi sanciti dai trattati e dal diritto dell’UE, come è stato fin ora. Tale decisione è stata presa all’unanimità dal Consiglio europeo mediante procedura scritta, d’intesa con il Regno Unito, come illustrato nella lettera del primo ministro del Regno Unito Boris Johnson al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Il primo ministro inglese, dopo la sconfitta in Parlamento, ha deciso di inoltrare al Consiglio europeo ben tre lettere. Nella prima lettera si richiede, su indicazione del Parlamento britannico, la proroga del temine della Brexit fino alle 23.00 del 31 gennaio; la mancanza della firma del primo ministro su questa lettera lascia intendere la sua contrarietà alla richiesta, tanto da averla scritta – almeno sembra – facendo direttamente un copia e incolla dal cosiddetto Benn Act, l’atto del Parlamento che richiede al Primo Ministro di chiedere una proroga della data di ritiro dalla Brexit. La seconda lettera è stata scritta da Barrow, il rappresentante permanente del Regno Unito presso l’UE, ed è indirizzata al segretario generale del Consiglio dell’Unione europea, sempre per una proroga. La terza lettera è indirizzata a Donald Tusk e questa volta firmata da Johnson, il quale ha provato a prendere le distanze dalla richiesta di proroga della Brexit, anche se era una richiesta legalmente dovuta.
La portavoce della Commissione europea Mina Andreeva, nel commentare la concessione della proroga al Regno Unito, ha sottolineato come quest’ultima serva solo a “dare più tempo al Regno Unito per ratificare l’accordo già negoziato”, non a negoziare una nuova intesa. Inoltre, la decisione presa sull’estensione Brexit contiene anche l’obbligo del Regno Unito di suggerire un candidato per il posto di commissario. Inoltre, il Consiglio europeo ha voluto ricordare l’impegno del Regno Unito di “comportarsi in modo costruttivo e responsabile durante tutto il periodo di proroga, come richiede il dovere di leale cooperazione” facilitando all’Unione l’adempimento dei suoi compiti, astenendosi da misure che rischino di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’UE.
Di tutt’altro avviso è invece il capo negoziatore UE per la Brexit Michel Barnier: “Il rischio di un no deal è ancora presente e potrebbe materializzarsi alla fine di gennaio, se l’accordo di recesso non è stato ratificato o alla fine del 2020, se non vi è alcun accordo sulle relazioni future”; questo è quanto è stato dichiarato di fronte alla Plenaria del Comitato economico e sociale europeo. Barnier ha poi sottolineato di essere in un momento chiave per il negoziato, che risulta essere molto complesso e che ha bisogno di pazienza per renderlo operativo.
Boris Johnson in questi giorni è stato molto impegnato anche con un’altra questione fondamentale: la richiesta di elezioni anticipate. Il 28 ottobre il Premier si è recato in parlamento per presentare una mozione per convocare le elezioni il 12 dicembre; per riuscire era necessaria l’approvazione dei due terzi della Camera, cosa che non è stata ottenuta da Johnson. L’opposizione laburista ha votato per il no, impedendo il raggiungimento del quorum necessario. Johnson però, nel frattempo, ha ricevuto una proposta da parte di due partiti, Liberaldemocratici britannici e Scottish National Party (SNP), entrambi pronti ad elezioni per il 9 dicembre. Tuttavia, Johnson si è trovato a dover rifiutare la proposta, anche per soli tre giorni di differenza: nel caso di scelta del 9 dicembre come data per le elezioni infatti, il governo non avrebbe tempo di approvare l’accordo su Brexit prima dello scioglimento delle Camere, come pensa invece di fare Johnson.
Ripresentandosi il giorno seguente in Parlamento, Johnson ha richiesto nuovamente la votazione della mozione per convocare le elezioni anticipate al 12 dicembre. Il 29 ottobre dunque, la Camera dei Comuni ha approvato la legge per andare ad elezioni a dicembre: questo implica lo scioglimento del parlamento il 6 novembre – almeno secondo i giornali britannici – cui seguiranno cinque settimane di campagna elettorale. Ciò vuol dire anche che i voti decisivi per l’approvazione dell’ultimo accordo su Brexit spetteranno al prossimo parlamento. L’argomento non può che essere al centro della campagna elettorale: i Conservatori spingeranno sull’approvazione dell’accordo trovato da Johnson e dall’UE; i Laburisti proporranno un nuovo referendum molto probabilmente; i Liberaldemocratici si presenteranno come partito contrario all’uscita dall’UE; il Brexit Party di Farage farà invece una campagna contro l’accordo di Johnson ma a favore della Brexit con un no deal.