Il concetto del “culto dell’ignoranza”, è una felice locuzione di Isaac Asimov, utilizzata in un suo articolo sulla rivista Newsweek del 1980 nel quale, facendo principale riferimento agli Stati Uniti, rilevava come vi fosse una vena di anti intellettualismo generata dal falso mito che la democrazia debba condurre ad un’eguaglianza ad ogni livello e nella quale l’ignoranza di uno equivalga al sapere e alla conoscenza altrui.
Asimov muoveva il suo ragionamento dalla frase “L’America ha il diritto di sapere”, concetto fondamento del giornalismo e continuava chiedendosi polemicamente. Che cosa ha diritto di sapere? Il biologo e scrittore nato in Russia, ma formatosi negli Stati Uniti, con alle spalle oltre 500 libri pubblicati che spaziano dalla fantascienza alla biologia e all’astrofisica, si risponde che gli americani potrebbero stare meglio senza “noiose robacce” come la matematica, l’economia e le lingue straniere.
Andando avanti, l’autore di “Io Robot” lamentava l’antiintellettualismo degli americani che, invece di ascoltare la lingua di Shakespeare e Milton nella sua versione corretta, preferivano ascoltare candidati alla presidenza che ne parlassero una tutta loro ma di più facile appeal sull’elettorato.
Scrivere fantascienza vuol dire anche prevedere il futuro; e così come Giulio Verne aveva anticipato i viaggi sulla luna e i sommergibili, Asimov ha anticipato i politici italiani che si fanno vanto di sbagliare congiuntivi o preferiscono ricorrere a frasi fatte ma di facile ed immediata percezione. Magari anche quando vanno in giro becerando slogan che farebbero ridere anche ad un piazzista di una fiera di paese che vuole vendere i suoi prodotti.
Esempi? Dal “abbiamo abolito la povertà” a “in galera e buttare via la chiave”, solo per citare alcuni tra i più eclatanti, a cui possiamo aggiungere campagne politiche con slogan del tipo “mai con il partito di Bibbiano” o il più semplice ma sicuramente efficace “Vaffa” o “Onestà”. Ma non è colpa loro, bensì dell’elettorato che vuole ascoltare queste frasi e preferisce qualcuno che sbaglia il congiuntivo perché “è uno di noi.” Il riferimento è a un panettiere che accolse l’elezione di Antonio di Pietro.
Nel suo articolo Asimov va decisamente oltre, e descrive puntualmente la situazione che oggi viviamo, in cui il sapere e la conoscenza sono visti dai più, come nemici da combattere e additare quali mali peggiori in un sistema dove, viceversa, l’ignoranza è sbandierata come titolo di merito e vanto quando si riesce a farla prevalere sui titoli e le capacità altrui. Per Asimov la parola d’ordine già allora era “non fidarti degli esperti.”
Dal “questo lo dice lei”, pronunciato da una sottosegretaria senza titolo né capacità ad un economista già ministro, fino all’uso della parola professoroni in senso dispregiativo, sono decine gli esempi in cui l’assoluta mancanza di cultura viene sbandierata e usata come titolo di merito. Inutile sforzarsi di usare un linguaggio chiaro e corretto; inutile provare a spiegare concetti che possano essere provati con argomenti scientifici. Oppure far rilevare a qualche ministro che le sue proposte di legge e decreti sono contrari semplicemente a quella Costituzione su cui ha giurato. Non facciamolo poi notare al popolo del web: si corre il rischio di essere bollati come sapientoni o ci viene fatto rilevare che “conta il concetto”.
Asimov, ancora, viveva in un’epoca in cui la definizione di analfabetismo funzionale non era stata ancora ufficializzata dall’UNESCO, e per conoscere i fatti e avere un’opinione era necessario leggere almeno un giornale; un libro; un’enciclopedia. Fare almeno la fatica di andare in una libreria o in una biblioteca. Oggi, nel momento in cui il sapere è a portata di mouse e di click, è ancora più facile illudersi di avere una cultura, solo perché da un sito web abbiamo fatto nostra una fase accattivante. E quindi ci opporremo all’introduzione dei numeri arabi nelle nostre scuole (è una battuta, non sia mai).
Il problema, sempre per dirla con lo scrittore che ci ha fatto conoscere vera scienza, e fatto sognare i suoi mondi futuribili, non è andare a toccare il diritto di sapere, ma far sì che la gente sia in grado di leggere! E aggiungiamo qui, di capire. Non è semplice per la generazione che scrive xké (invece di perché).
In ogni caso, già prima di Asimov, l’avvertimento ci era stato dato da Malcolm X; “Education is our passport to the future, for tomorrow belongs to the people who prepare for it today.” Education va tradotto con “istruzione”; un qualcosa che, mi spiace per chi non li ascolta, è compito dei professoroni.