Iran, dimissioni a sorpresa per il ministro Zarif

Inaspettate e atipiche le dimissioni “presentate” lunedì 25 febbraio dal Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. È, infatti, con un post sul suo account Instagram che il diplomatico iraniano comunica la sua decisione. “I warmly apologise for my inability to continue serving [the nation] and for all the shortcomings and negligences during the period of service” scrive il Ministro, senza tuttavia rivelare le motivazioni dietro questa scelta.

In un’intervista pubblicata dal quotidiano centrista Jomhuri Eslami, Zafir rivela come le dinamiche politiche interne stessero compromettendo il suo operato. “The deadly poison for foreign policy is for foreign policy to become an issue of party and factional fighting”. Si pensa, dunque, che il motivo principale delle dimissioni sia legato alle pesanti pressioni degli “hardliners”, la fazione più conservatrice della Repubblica Islamica, estremamente critica nei confronti di Zafir, della linea moderata e di dialogo e incontro con l’Occidente perseguita dall’attuale governo. Gli hardliners, al contrario, premono per un controllo maggiore sulla società da parte di clero e istituzioni militari, forti limitazioni dei diritti civili, limitati rapporti con l’Occidente e totale rifiuto di quelli con gli USA. Difficile pensare, dunque, che possano accogliere con tristezza la dimissione di un rivale politico così “scomodo”.

Al momento, tuttavia, il presidente ha rifiutato le dimissioni del ministro, che ha normalmente ripreso ufficio.

Ma chi è Javad Zafir e perché le sue potenziali dimissioni sarebbero così importanti?

Classe 1960, Zarif si trasferisce negli Stati Uniti all’età di 17 anni e qui intraprendere i suoi studi, ottenendo B.A e M.A. in International Relations presso la San Francisco State University e successivamente un secondo master e un dottorato in “International law and policy” alla Joseph Korbel School of International Studies. Nel 1982 inizia la sua carriera nelle Nazioni Unite, come membro della delegazione iraniana all’ONU. Dal 2002 al 2007 coprirà l’incarico di rappresentante iraniano presso le Nazioni Unite.

Accademico di spicco e portavoce di un Iran moderato, Zarif viene nominato Ministro degli Affari Esteri nel dopo aver svolto diversi incarichi come consigliere di governo. In particolar modo, il suo nome è associato alle trattative dell’accordo sul nucleare (Joint Comprehenisve Plan of Action) che hanno portato nel 2015 alla firma dell’accordo tra Iran e i P5+1 (USA, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna e Germania).

E sono proprio le vicende legate al nucleare a screditare il suo nome. Il ritiro degli Stati Uniti dal “nuclear deal”, e il ripristino delle sanzioni hanno infatti indebolito la sua posizione. Se sin dall’inizio l’accordo non era supportato da tutti – e specialmente dagli hardliners- il ritiro di Washington ne ha messo in luce la debolezza e il fallimento. Uscendo dal patto, infatti, gli USA vengono meno agli accordi presi. Non solo l’Iran non ha ottenuto –e probabilmente non otterrà- i benefici che il patto avrebbe dovuto garantire, bensì la situazione del paese è gravemente peggiorata. L’inflazione aumenta, il riyal perde valore e l’economia non accenna a riprendersi.

Tuttavia, i conservatori premono perché Zarif resti. Al momento non solo non ci sarebbe un plausibile sostituto ma come sottolinea anche Ali Vaez, Iran project director presso Crisis Group, l’Iran non può permettersi di perdere un politico con le capacità diplomatiche di Zarif in un così delicato momento.

Il presidente Rouhani tuttavia, ha rifiutato le dimissioni del diplomatico moderato facendo appello all’interesse nazionale del paese: “As the Supreme Leader has described you as a ‘trustworthy, brave and religious’ person in the forefront of resistance against widespread U.S. pressures, I consider accepting your resignation against national interests and reject it”.

E se, invece, da qui a breve queste dimissioni fossero effettive?

Di certo ne gioirebbero -oltre agli hardliner chiaramente- USA e Israele, che non hanno tardato nel rispondere al post di Zarif.

“We note Zarif’s resignation. We’ll see if it sticks. Either way, he and Hassan Rouhani are just front men for a corrupt religious mafia. We know Khamenei makes all final decisions. Our policy is unchanged—the regime must behave like a normal country and respect its people” scrive su Twitter il Segretario di stato Americano Mike Pompeo.

Altrettanto tagliente la risposta del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Zarif is gone, good riddance. As long as I am here Iran will not get nuclear weapons”.

Nell’ipotesi di un ritiro (magari non ora ma nel breve periodo) del ministro Zarif e la sostituzione di questi con un esponente degli hardliner, USA e Israele, così come Arabia Saudita, potrebbero riceverne un proprio tornaconto. Se ad oggi risulta difficile motivare una linea dura e aggressiva con un paese che si sta parzialmente aprendo all’Occidente, al dialogo e alla negoziazione, di certo sarebbe più facile se dall’altro lato vi fosse una posizione rigida e isolazionista. Washington, Tel Aviv, Riyadh avrebbero, cioè, una “scusa” per un approccio più aggressivo. Ciò significherebbe un passo indietro nei tentativi di dialogo e avvicinamento compiuti negli ultimi anni dai paesi occidentali, volti a creare condizioni di sicurezza e stabilità nel Medio Oriente.

Infine, c’è l’opinione pubblica di una nazione. I sondaggi decretano Zarif la seconda figura più popolare del paese, secondo solo al generale Qasem Soleimani (generale delle Guardie della Rivoluzione Islamica che ha condotto le truppe iraniane nella guerra contro l’Iraq e successivamente contro l’ISIS). È altamente probabile, dunque, che un ritiro di Zarif dalla scena politica possa creare tumulti e l’esplosione di sentimenti contrari ad un nuovo irrigidimento del paese.

 

Di certo gli ultimi mesi non sono stati leggeri per il Ministro e per l’amministrazione Rohuani: il ritiro degli USA dal nuclear deal e il ripristino delle sanzioni hanno avuto ripercussioni negative su un’economia già in crisi. Le pressioni degli hardliner hanno accentuato i problemi e aumentato le tensioni. E non è passata inosservata neanche l’assenza di Zarif in occasione del recente incontro tra il presidente Rohuani e il leader siriano Bashar al Assad.

In conclusione, non è augurabile uno scossone di questa portata. Un cambiamento al Ministero degli Esteri iraniano potrebbe avere ripercussioni significative a livello di politica estera del paese, e non necessariamente in termini positivi. Anzi, ciò potrebbe aggravare la già forte volatilità della regione mediorientale. Allo stato attuale, l’allarme sembrerebbe rientrato, visto il categorico rifiuto delle dimissioni da parte del presidente Rouhani. È vero altresì, che già in passato Zarif aveva tentato di ritirarsi dal suo ruolo. Lecito pensare, dunque, che non sia un capitolo totalmente chiuso…

 

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